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L'ultimo guardiano
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E-book326 pagine4 ore

L'ultimo guardiano

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Info su questo ebook

Le vicende di Cador, giovane cavaliere normanno, durante la Prima crociata. Da mercenario, spavaldo e sanguinario, dovrà confrontarsi con uno straordinario destino che lo condurrà a conoscere e ad appropriarsi di uno dei più grandi e potenti segreti dell’umanità. Un viaggio lungo la storia, le crociate, le battaglie, il sangue, il mistero della vita, sino al drammatico epilogo e all’inizio della leggenda templare. Un romanzo che è anche un viaggio iniziatico alla ricerca dell’equilibrio con se stessi e col mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2019
ISBN9788863938753
L'ultimo guardiano

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    Anteprima del libro

    L'ultimo guardiano - Nino Branchina

    1

    Quando nell’ottobre del 1095 Cador giunse a Rouen, la città era in gran fermento. Nella piazza della cattedrale di Notre-Dame il giovane incontrò Oddone, zio di Roberto e vescovo di Bayeux, che aveva sempre difeso le pretese di successione del nipote al ducato di Normandia.

    «Come mai vi trovate qui, Oddone?» chiese Cador.

    «Sono diretto a Clermont, ragazzo mio. Prima di affrontare il lungo percorso, ho voluto affidare i miei propositi alla santa Vergine e portare i saluti al vescovo Guillaume. Attendo che i miei servi tornino dal fare provviste.»

    «Anch’io dovrò recarmi a Clermont» affermò Cador. «Ditemi, per quale motivo il papa sta affrontando un simile viaggio?»

    «Papa Urbano presiederà un concilio con il quale intende esortare il mondo cristiano contro il pericolo musulmano in Terra Santa. Laggiù la situazione sta precipitando e presto Bisanzio cadrà nelle mani dei turchi, se non interverremo. A proposito, perché non vieni con me? Mi farebbe un gran piacere averti al mio fianco.»

    «Vi ringrazio per l’invito, ma non è possibile» replicò il giovane. «Roberto mi ha incaricato di scortare Clemente, il vecchio consigliere di Guglielmo, sino a Clermont. Lo ricorderete di certo.»

    «Clemente è ancora vivo?» domandò. «Credevo fosse morto da tempo. Un uomo strano, schivo e di poche parole, ma con saggezza da vendere. Ricordo che a Falaise, non amando la vita di corte, preferiva starsene rintanato in una piccola fattoria nel villaggio. Quando Guglielmo doveva prendere decisioni importanti era costretto a inviare una delegazione per scortarlo sino a palazzo.»

    Cador scosse la testa divertito. «Di lui so solo il poco che mi riferì mio padre» affermò. «Clemente era l’unico ad avere competenze di medicina, e venne chiamato dalle levatrici durante il travaglio di mia madre Agnes.»

    «Conosco questa triste storia: la presenza di Clemente non servì a salvarle la vita.»

    «Perché lo avete definito strano?»

    «Vedi, il popolo si trova sempre smarrito innanzi ai comportamenti e agli stili di vita inconsueti delle persone. Si mormora che Clemente esercitasse pratiche e facesse letture poco ortodosse.» 

    «Un mago?» 

    «Non saprei dirtelo con certezza, ma di qualunque cosa si trattasse, non ho mai sentito qualcuno parlare male di lui.»

    In quel momento Oddone venne raggiunto dai suoi inservienti con muli carichi di provviste. 

    «Devo riprendere il cammino, Cador. Se Dio vorrà, ci rivedremo a Clermont.»

    «Vorrà di certo, Oddone, non dubitatene. Fate buon viaggio.»

    Si congedarono, e mentre Oddone si metteva in testa al suo seguito, Eusebio si avvicinò al giovane normanno.

    «Padrone, non era Oddone, lo zio di Roberto, quello con cui stavate parlando?»

    «Lo era, infatti. Anche lui si sta recando a Clermont per sentire parlare il papa.»

    «Vi ha detto altro di interessante?»

    «Mi ha parlato di Clemente.» 

    «E allora?»

    Cador scosse la testa dubbioso. «Non credo che avremo motivo di rallegrarci in quel maniero, Eusebio» concluse con un sospiro.

    Le giornate del giovane normanno al castello di Rouen erano piuttosto oziose. 

    La compagnia di Clemente non era per nulla piacevole. Solitario e di poche parole, il vecchio trascorreva la maggior parte del giorno all’interno della biblioteca, dove arricchiva l’intelletto con le dottrine del passato. 

    Non avendo altra occupazione, anche Cador cominciò a leggere antichi testi. Furono soprattutto le opere di medicina e quelle di alchimia a coinvolgerlo maggiormente.

    «Non vi stancate mai di starvene rinchiuso qua dentro?» chiese un giorno a Clemente. «È possibile che non abbiate altri interessi?»

    «Di questi tempi non mi pare che ci siano alternative. O sai maneggiare la spada o devi darti allo studio. Diciamo che alleno la mia mente almeno quanto tu fai con il corpo. Credo che possano essere due armi egualmente potenti.»

    «È strano.»

    «Cosa?»

    «Sebbene vi conosca sin dall’infanzia mi rendo conto di sapere di voi soltanto quel poco che raccontava mio padre, che vi teneva in grande considerazione.» 

    «Raimbaut era un grand’uomo, e non meritava affatto quanto il destino gli ha riservato. La morte di tua madre fu un’immane tragedia, e lui non l’avrebbe superata senza la fede in Dio e il calore della mia amicizia.» 

    «Com’era mia madre? L’avete conosciuta prima che sposasse mio padre.» 

    «Agnes era stata presa a servizio qualche anno prima, e la ricordo come una donna semplice, una buona cristiana con una grande volontà e saldezza d’animo. Il giorno del parto le levatrici intuirono subito che c’era qualcosa che non andava in quel travaglio lungo e sfibrante. Agnes aveva perso molto sangue. Chiesero il mio aiuto, ma quando arrivai per lei non c’era più nulla da fare.»

    Un’ombra offuscò il volto di Cador. «La mia nascita ha spezzato la felicità della mia famiglia.»

    «Come ogni madre, anche la tua preferì perdere la vita pur di salvare il proprio bambino.» 

    Cador rimase in silenzio, commosso. 

    «E voi?» chiese. «Perché non mi raccontate qualcosa del vostro passato?»

    «C’è poco da sapere» rispose Clemente. «Sono stato abbandonato in fasce nell’orto dell’abbazia di Saint Pierre, e accolto e cresciuto con grande benevolenza dai monaci.»

    «Vostro padre, vostra madre?»

    «Di loro non ho mai avuto notizia.» 

    «Non avete mai avuto il desiderio di sapere chi fossero?»

    «No» rispose Clemente. «Sei stupito?»

    «Be’, avrete avuto le vostre ragioni.»

    «Dai monaci ho ricevuto tutto l’amore e il calore di cui avevo bisogno e poi, cosa più importante, mi hanno insegnato ciò che occorre a un uomo per vivere rettamente la propria vita.» 

    «E sarebbe?»

    «Il timore del Signore e l’amore per la conoscenza della verità.»

    «Soltanto? Niente passioni, niente battaglie, niente donne o vino?»

    «Quelle cose ti avvelenano la vita.» 

    «Se lo dite voi. Ditemi, piuttosto, cosa intendete per verità?»

    «Non è facile a spiegarsi. Ciò che affranca lo spirito elevandolo al di sopra del mondo materiale: in ciò consiste la verità.»

    Cador emise un sospiro di velata irritazione. «Non credo di essere il genere d’uomo cui voi appartenete, Clemente. E riguardo a voi, siete veramente certo di non avere il pur minimo interesse per le cose corporee?»

    «Cosa vuoi dire?» 

    «Ho dato un’occhiata ai vostri libri, alle pergamene e alle decine di trattati accumulati dentro quegli scaffali.»

    «E allora?»

    «I vostri interessi si spingono ben oltre la spiritualità. Siete un grande appassionato di medicina e matematica, un cultore del cielo e delle leggi che regolano il moto degli astri.»

    «Cosa c’è di strano? La ricerca della verità passa anche attraverso l’osservazione attenta e intelligente della natura e del suo divenire, e tramite la conoscenza delle leggi del corpo, del cosmo e dei numeri.»

    «E cosa mi dite dei libri di alchimia e del laboratorio chiuso all’interno della stanza in cima alla torre? Ho dato un’occhiata e visto acqua e polveri di metalli, misture e bevande varie, e poi fornelli, pentole e recipienti di vetro dalle forme bizzarre.»

    «È quello che serve per mettere in pratica quanto si apprende dalle teorie alchemiche.» 

    «Ho le idee un po’ confuse al riguardo» confessò il giovane. 

    «L’alchimia è la scienza che ha lo scopo di trasformare l’uomo, la sua coscienza e il suo spirito, affinché egli possa risalire da questo mondo materiale, dov’è caduto a causa del peccato, fino al Creatore.» 

    «Mondo materiale, peccato: sbaglio o serbate un atteggiamento troppo severo nei confronti del mondo in cui viviamo?»

    «È l’atteggiamento di chi tiene alle sorti della propria anima.»

    «Parlatemi della risalita al Creatore» proseguì il giovane. «Se insegnate quella dottrina, è logico pensare che ne abbiate già esperienza.»

    Clemente atteggiò le labbra in un sorriso. «Be’, credo di avere raggiunto lo scopo.»

    «E perché non ci siete rimasto, lassù?» gli chiese Cador in tono irrisorio. «Dite la verità, non sarà che, nonostante tutto, preferite stare con i piedi per terra?»

    Il vecchio scosse la testa. «Ho ancora un compito da portare a termine.»

    «Capisco. Volete parlarmene?»

    «No, Cador, non voglio.»

    «Spiegatemi, allora: se volete migliorare lo spirito, a cosa serve tutto lo strumentario racchiuso là dentro?» 

    «Il risveglio spirituale dell’uomo è un cammino gradua­le che deve partire dalla conoscenza dell’energia, delle leggi della materia e delle loro trasformazioni. Bisogna lavorare la materia fino a farle perdere ogni traccia d’imperfezio­ne terrena e purificarla per come era nelle intenzioni del Crea­tore.» 

    «Ho conosciuto uomini con le vostre stesse idee che si vantavano di essere riusciti a trasformare il piombo in oro.»

    «Hai avuto modo di assistere a qualcuna di queste trasforma­zioni?»

    «A dire il vero, mai. E voi, sapreste riuscirci?»

    «I risultati materiali sono mere premesse del risultato finale, che è soltanto spirituale. Tutto deve tendere verso la trasformazione dell’uomo, verso la sua divinizzazione, la sua fusione nell’energia divina dalla quale si irradiano le energie della materia.» 

    «Non avete ancora risposto alla mia domanda.»

    «A cosa vuoi tendere nella vita, Cador, all’oro o a Dio?»

    «Soltanto un matto rinuncerebbe all’oro.»

    «Quindi io sarei matto?»

    «Non volevo dire questo… avete frainteso le mie parole.»

    «Non ho frainteso, Cador, e lo sai bene. Non sono fatto della tua stessa pasta e detesto il tuo stile di vita. Sarò anche un vecchio caprone, ma il mio udito funziona perfettamente: ti ho sentito spesso dir male della mia persona con il tuo servo.»

    «Se è così, perché non vi siete mai lamentato con me direttamente o con Roberto?» 

    «Come qualsiasi uomo, anche tu sei libero di farti un’opinione sugli altri.»

    «È vero: le vostre idee e la vostra condotta sono molto lontane dal mio modo di vivere. Ma perdonatemi se con atteggiamenti o parole vi ho mancato di rispetto.» 

    «Non sei un ragazzo cattivo, Cador, però dovresti smussare il tuo carattere.»

    «Vorreste manipolarmi come materia per i vostri esperimenti?»

    «Ascoltami con attenzione» gli disse Clemente. «Se lo desideri, sono pronto a mostrarti ogni cosa, perché tu possa affinare lo spirito e le conoscenze. Ma non posso farlo se non dopo un cambiamento radicale della tua vita.»

    «Non modificherei la mia vita per nulla al mondo. Non m’interessa la vostra proposta.»

    «Pensaci bene, Cador. Questi insegnamenti manifestano ciò che è celato agli indegni e alla maggior parte degli uomini.» 

    L’espressione di Cador divenne fredda e risoluta: «Non intendo privarmi di ciò che mi rende felice soltanto per dare retta alle credenze di un vecchio».

    Clemente trasse un sospiro rassegnato. «Sei sempre stato un tipo cocciuto, ragazzo, ma prendo atto del tuo punto di vista. L’alchimia non è scienza per tutti. Solo pochi eletti, in grado di abbandonare ogni richiamo della carne e della materialità, saranno in grado di attuare quella trasformazione e tornare a Dio.»

    2

    Le notizie che in generale si avevano della Terra Santa e di Gerusalemme erano molto scarse. La situazione degenerò quando alcune popolazioni nomadi delle steppe, di derivazione islamica e guidate dal condottiero Selgiuk, cominciarono a premere alle frontiere orientali dell’impero bizantino, occupando vasti territori di confine sino all’altopiano anatolico e tratteggiando uno scenario inquietante, perché da lì solo la pianura li avrebbe divisi da Costantinopoli. A sud i selgiuchidi si erano spinti alla conquista della Siria e della Palestina, vessando le popolazioni locali e le carovane dei pellegrini cristiani diretti a Gerusalemme; a nord non tardarono a scontrarsi con l’esercito del sovrano bizantino, Alessio Comneno. L’imperatore, memore della disastrosa disfatta di Romano iv Diogene a Manzicerta e terrorizzato dalla reale possibilità che la crescente potenza turca potesse invadere dapprima il suo regno e poi spingersi alla conquista dell’Europa cristiana, chiese aiuto all’occidente latino. Si basò su queste premesse la decisione di papa Urbano ii di promuovere la crociata.

    La mattina del 27 novembre, a Clermont, la folla fuori dalla cattedrale era così grande che si decise di organizzare l’incontro all’esterno, dove vennero allestiti il trono papale e piccoli palchi per accogliere la nobiltà. Cador ed Eusebio si mescolarono alla folla vociante che, all’arrivo della delegazione papale, ammutolì.

    Papa Urbano salì sulla piattaforma accompagnato da vescovi, prelati e da una numerosa scorta armata. Mentre il suo seguito prese posto a sedere lui rimase in piedi, e cominciò ad arringare la folla.

    «Cavalieri e uomini timorati di Dio, è tempo che prendiate nelle vostre mani il destino della Terra Santa e corriate in aiuto dei vostri fratelli. Gli infedeli hanno già invaso le frontiere dell’impero di Bisanzio, spargono sangue innocente e stanno per raggiungere le acque dello stretto di San Giorgio. Questi demoni mettono a soqquadro le chiese e devastano ogni villaggio. Se non ci opponiamo all’ondata di morte, non ci sarà più futuro per i nostri fratelli. E se questo dovesse accadere, cosa diventerà quel mondo cristiano per cui nostro Signore è morto? I pagani stanno profanando le strade che Cristo ha reso eterne con i suoi miracoli e bagnato con il suo sangue. Non permettete che cadano nelle mani dei feroci e sacrileghi nemici della croce! Siate dunque fedeli servitori di Dio!»

    «Non sarà mai che accada una cosa del genere!» qualcuno urlò tra la folla. Dalla sua posizione defilata, Cador osservava Clemente, impassibile nell’udire le parole del papa.

    «Vi esorto, nobili e poveri» continuò Urbano ii «affinché vi affrettiate a scacciare questa ignobile minaccia dalle regioni abitate dai nostri fratelli cristiani e forniate loro tutto l’aiuto possibile. Udite queste parole uscire dalla mia bocca, ma in realtà è Cristo stesso che parla per mio tramite. Sappiate che Dio rimetterà ogni colpa a coloro che si recheranno laggiù o che perderanno la vita in battaglia o durante il viaggio, per mare o per terra. Parlo soprattutto a voi, nobili e cavalieri, abituati a combattere conflitti sanguinosi nelle vostre stupide guerre private, perché possiate convogliare tutta questa energia verso un nobile scopo, e ottenere una vittoria che faccia sorridere Dio e vi permetta di guadagnarvi il paradiso. Coraggio, armatevi e partite per liberare la Chiesa di Dio a Gerusalemme, e vi scongiuro, fatelo per pura devozione, non per ottenere onori o profitti materiali. Nulla ritardi la partenza di quanti di voi decideranno di partecipare alla spedizione: date in affitto le vostre terre, raccogliete il denaro necessario al vostro mantenimento e mettetevi in cammino sotto la guida del Signore.»

    Dette queste parole, Urbano ii si avvicinò al vescovo di Le Puy, Ademaro di Monteil, gli consegnò la croce, emblema della missione, e lo nominò legato apostolico dell’esercito. Roberto e suo zio Oddone di Bayeux furono i primi che si avvicinarono alla croce per toccarla e baciarla, seguiti da numerose altre personalità nobiliari di diversa provenienza. Quando a Raimondo di Tolosa venne affidato il compito di organizzare l’esercito, si levò un grido d’entusiasmo. 

    Ora, finalmente, il vecchio mondo era unito e pronto ad affrontare il pericolo musulmano.

    3

    Una notte il sonno di Cador fu turbato da un incubo. Aveva la consapevolezza di trovarsi come fuori dal tempo: tutt’attorno soltanto tenebre. E nelle viscere di quelle tenebre si celava qualcosa di terribile, pronto a ghermirlo da un momento all’altro. Un fascio di luce aprì un varco nell’oscurità, e fu allora che Cador si trovò davanti una città le cui mura gemevano: il sangue sgorgava dalle mura come un fiume in piena, spargendosi ai suoi piedi. Il giovane percepiva le urla e la disperazione della battaglia all’interno della città. Colonne di fumo s’innalzavano perdendosi nel nero del cielo. Le porte della città si aprirono, la terra tremò e il sordo battito degli zoccoli precedette l’ingresso di centinaia di destrieri montati da cavalieri in meravigliose cotte d’acciaio, con scudi e mantelli variopinti. Gli uomini a cavallo impugnavano lance le cui punte scintillavano nel fuoco. Un’onda di uomini e donne inermi s’infranse contro i cavalieri. Cador sguainò la spada e s’avventò contro uno degli aggressori a cavallo. Lo disarcionò ma, prima che potesse finirlo, il cavaliere si tolse l’elmo e fissò Cador dritto negli occhi. Si trattava di Clemente. Poi qualcuno afferrò la sua spalla sinistra, scrollandola. Cador si girò di scatto pronto a colpirlo, aprì gli occhi e gli apparve davanti lo sguardo di Eusebio.

    «Svegliatevi, padrone!» disse il servo. «Stavate dimenando il braccio come se foste nel bel mezzo di una battaglia! Ho dovuto faticare parecchio per farvi aprire gli occhi.» 

    «Accidenti, Eusebio, ne hai di forza in quei muscoli. Mi sento la spalla a pezzi.»

    «Su, alzatevi e vestitevi. Il sole si è già levato.»

    Un vento gelido soffiava da oriente, e gli alberi della foresta oscillavano sotto le sue violente raffiche. Cador sentiva ancora in bocca l’asprezza del vino della notte precedente e sulla pelle il profumo delle prostitute. Nel cortile riecheggiavano lo scalpitio degli animali domestici e i passi degli stallieri e della servitù già al lavoro, e dalle cucine giungeva il rumore delle pentole e l’odore dei cibi. Il sole aveva da poco iniziato il suo nuovo percorso celeste.

    Cador ed Eusebio scesero nella cucina, un enorme ambiente che occupava tutto il piano terra della rocca. Lì c’era già Clemente. 

    «Che sia una buona giornata» disse il giovane a gran voce.

    «Ti ringrazio, Cador» rispose Clemente, protendendo le braccia in un gesto benedicente.

    Il giovane normanno divorò con avidità pane caldo con burro e miele, e bevve il latte appena munto dai contadini.

    «Sembra quasi che questo sia il tuo ultimo pasto!» gli disse sorridendo Clemente.

    «Il padrone ha passato una notte piuttosto agitata» spiegò Eusebio.

    «Oh, capisco. Ragazze, naturalmente» ironizzò il vecchio. «Nutri parecchio interesse per questo genere di cose, a quanto pare.» 

    «Interesse che voi non condividete» replicò il giovane. «Ditemi, è questo il motivo per cui avete così poche donne al castello?» 

    «Solo quelle di servizio.»

    «Non capisco perché siate così riluttante ad ammetterle al vostro cospetto. Il vostro Dio non ha fatto l’uomo e la donna perché si accoppiassero?» 

    «È vero, ma a me piace avere una vita limpida per stare più vicino al Signore, che è anche il tuo Dio. La privazione è necessaria per ottenere la tolleranza di Dio nel suo regno. Più l’acqua è limpida, più permette alla luce del sole di pe­netrarla.» 

    «Dite? Io so soltanto che nel calore delle cosce di una donna ritrovo piacere e tempra.»

    «Ti prego, Cador, non ungere con il peccato la mia casa finché ci vivrai.»

    «Sono qui per servirvi, Clemente, non per abusare della vostra ospitalità.»

    «Molto bene, ragazzo, molto bene.»

    «In realtà, le donne c’entrano poco…» Cador sospirò. «Incubi, invece… solamente incubi.»

    «Non mi dirai che è la prima volta che i tuoi sogni diventano incubi, ragazzo mio?»

    «No, certo. Ma questo era diverso dagli altri. Sembrava così reale...» 

    «Padrone» esclamò Eusebio «perché non lo raccontate a Clemente? Forse potrà darvene una spiegazione.»

    «Certo» assentì il vecchio. «Desideri farlo?»

    Cador non se lo fece ripetere due volte. «Non ricordo per intero il sogno, però posso dirvi che mi trovavo all’interno di una città dove si combatteva una sanguinosa battaglia, e tra i cavalieri aggressori c’eravate anche voi, Clemente. C’erano cadaveri e sangue dappertutto; uomini, donne e bambini gridavano disperati.»

    Clemente chiuse gli occhi e rimase in silenzio a riflettere. Cador ed Eusebio se ne stettero a osservarlo senza trovare il coraggio d’interromperne la meditazione. Il giovane però era troppo turbato, per cui ruppe gli indugi e lo incalzò. «Ditemi Clemente, devo considerarlo come una manifestazione del mio destino favorevole o ostile?»

    «Il tuo sogno va oltre le mie capacità di interpretazione.»

    «E questo cosa vorrebbe dire, che non siete in grado di darmi delle risposte?»

    «Proprio così. Spero che avrai tempo e luogo per comprenderlo, ragazzo mio.» 

    Clemente si alzò e, pallido in volto, si avvicinò al grande camino in cui il fuoco era animato da scintille vermiglie.

    «Padrone, credete che Clemente abbia detto il vero?» chiese Eusebio a bassa voce.

    «Non lo so, ma conosco molti pronti a giurare a favore del suo potere e…»

    «Ho detto che ci sarà tempo e luogo per comprendere tutto!» li interruppe il vecchio con tono secco e deciso. «Non vi affannate ancora a porvi domande.»

    Il rimprovero destò un profondo imbarazzo in Cador, che si astenne dal proseguire oltre con i propri pensieri e li mise a tacere nell’intimo.

    Il giorno che si apprestavano a vivere non sarebbe stato come gli altri. 

    Poco dopo che le campane ebbero suonato l’ora dei vespri, sentirono le grida concitate di uomini nel cortile. Cador accarezzò l’elsa della spada e si tenne pronto.

    «Fate largo!» urlava Hoskuld, il maniscalco. «Devo parlare con il padrone.»

    Clemente ordinò di portare altre torce e di accenderle al focolare, quindi fece spalancare la porta. «Cosa sta succedendo?» domandò.

    «Signore… signore!»

    «Cosa c’è, Hoskuld, perché tutta questa agitazione nella mia casa?»

    «Ho da riportarvi tristi notizie, purtroppo.»

    «Parla, per amor di Dio.»

    «Mi trovavo a Rouen per contrattare il prezzo di alcuni attrezzi, quando la mia attenzione e quella di molta altra gente è stata richiamata da grida provenienti dalla cattedrale. Mi sono precipitato dentro appena in tempo per vedere fuggire tre uomini. Fulgenzio, il vostro amico monaco, era stato appena assassinato nella sagrestia e la sua cella messa a soqquadro!»

    «Fulgenzio, assassinato?» Clemente tremava. «Oh, Dio mio, perché gli hai riservato questa sorte? Perché non hai lasciato che prendessero me?»

    Cador vide il volto di Clemente colto da un pallore mortale. Il vecchio non poté trattenere le lacrime e crollò sconvolto sulla sedia. Cador ed Eusebio lo raggiunsero e si sforzarono di confortarlo. Clemente piangeva disperato e le sue mani erano preda di un tremito irrefrenabile, non riusciva a parlare ma indugiò a lungo sugli occhi del giovane, come se cercasse delle risposte. Gli afferrò il braccio e lo trasse a sé. 

    «È una tragedia terribile. Non sono stato abbastanza vigile. Aiutami, ti prego, devi proteggermi!»

    «Perché parlate di tragedia, Clemente? Cosa sta succedendo?»

    «Signore» disse Hoskuld rivolto a Clemente.

    «Cosa c’è ancora?»

    «Gli assassini di Fulgenzio si dirigono a sud, verso Chartres.»

    «Possiamo ancora raggiungerli!» disse Eusebio. «Cosa aspettiamo a sellare i cavalli e a consegnare quegli stolti alla giustizia di Dio?»

    «Dio non li vedrà nemmeno» replicò Cador con lo sguardo arcigno. «Non hanno avuto nessuna pietà e non ne riceveranno da noi.»

    «Ti prego, Cador» disse

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