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La figlia dello spazzacamino: Harmony History
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E-book241 pagine3 ore

La figlia dello spazzacamino: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1808
Reduce dalla guerra Peninsulare, Rob Selborne scopre che per onorare le disposizioni testamentarie del padre e della nonna, morti durante un'epidemia, deve sposare una delle gentildonne presenti alle nozze della cugina. Nessuna delle fanciulle, però, è di suo gusto, tranne la giovane Jemima, invitata alla cerimonia perché, secondo la tradizione, il bacio di uno spazzacamino porta fortuna ai novelli sposi. Convinto che lei possa essere la soluzione al suo problema, Rob le propone un'unione di convenienza, che naturalmente non sarebbe mai consumata. Pur di sfuggire a un padre violento Jemima accetta, ma quando Rob le mette l'anello al dito...
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2020
ISBN9788830522589
La figlia dello spazzacamino: Harmony History
Autore

Nicola Cornick

Nata nello Yorkshire, nei pressi delle brughiere che ispirarono alle sorelle Bronte Cime tempestose e Jane Eyre, e laureata in Storia all'università di Londra, ha lasciato il lavoro per dedicarsi alla sua vera passione: scrivere.

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    Anteprima del libro

    La figlia dello spazzacamino - Nicola Cornick

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Penniless Bride

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2003 Nicola Cornick

    Traduzione di Elisabetta Frattini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-258-9

    1

    L’atmosfera che si respirava nelle spaziose stanze depositarie di innumerevoli segreti dello studio legale Churchward e Churchward, sito nel quartiere londinese di High Hollborn, garantiva di per sé una discrezione rassicurante, molto apprezzata dalla clientela nobile.

    Un mattino d’agosto del 1808, l’avvocato Churchward figlio si trovò a trattare una delicata questione di eredità. La guerra e le stravaganze dei clienti più eccentrici riuscivano a complicare anche le pratiche più semplici, e in quel caso in particolare il giovane legale dovette far sfoggio di tutta la delicatezza di cui era capace per affrontare l’argomento spinoso con il debito tatto.

    Il nuovo conte di Selborne si era presentato nello studio una ventina di minuti prima e, conclusi i convenevoli di prammatica, stava ascoltando la lettura delle ultime volontà del defunto padre e di sua nonna. Intento a illustrare al suo cliente le clausole del primo testamento, l’avvocato Churchward osservava con attenzione le reazioni del gentiluomo seduto di fronte a lui nella comoda poltrona in pelle sistemata davanti alla scrivania.

    Robert, conte di Selborne, aveva un’aria severa. E ancora non sapeva che cosa lo aspettava. Dalla famiglia del padre aveva ereditato il viso sottile dai lineamenti cesellati mentre i capelli scuri erano sicuramente un retaggio di antenati originari della Cornovaglia. Nonostante i lunghi anni trascorsi sotto il sole della Spagna agli ordini del generale sir John Moore avessero conferito un colorito scuro alla sua pelle, in quel momento appariva pallido e teso. In effetti, le richieste avanzate da suo padre lo ponevano in una situazione poco invidiabile. E quello era solo l’inizio. Il giovane avvocato, infatti, non aveva ancora avuto l’opportunità di esporgli i dettagli del secondo testamento che, se possibile, lo avrebbero messo in una posizione ancora più scomoda.

    Sollevando lo sguardo su di lui, lord Selborne dichiarò in tono asciutto: «Vi sarei grato se foste così gentile da rileggermi i punti salienti del testamento di mio padre. Voglio assicurarmi di aver capito bene».

    «Certamente, signore» mormorò Churchward nonostante ritenesse inutile una seconda lettura. Robert Selborne non era uno stupido. Aveva ventisei anni e fin dal giorno della sua maggiore età era stato lontano dalla patria a combattere, prima in India e poi in Spagna, dove aveva ricevuto diversi encomi per il coraggio dimostrato e per l’eroico salvataggio di un ufficiale suo compagno d’armi. Sfortunatamente era stata proprio la predilezione per l’esercito rispetto a una tranquilla vita di famiglia a trascinarlo nella situazione in cui si trovava ora.

    Schiaritosi la voce, l’avvocato riassunse: «Avete ereditato la contea di Selborne e tutte le proprietà annesse in quanto unico figlio del vostro predecessore, quattordicesimo conte Selborne di Delaval». La sua espressione si fece grave. «Verrete in possesso delle suddette proprietà e del denaro che vi spetta il giorno del vostro matrimonio.»

    Colse negli occhi del conte un misto di rassegnazione ed esasperazione, e in tono asciutto lesse, parola per parola, il paragrafo successivo.

    «Mio figlio sceglierà una sposa tra le fanciulle presenti al matrimonio di sua cugina, la signorina Anne Selborne. Si unirà in matrimonio con lei entro quattro settimane da quella stessa data, e per i sei mesi successivi risiederà a Delaval. In caso contrario il denaro andrà a mio nipote, il signor Ferdinand Selborne...»

    «Grazie, Churchward» annuì Robert in un tono asciutto quanto quello usato dal giovane avvocato. «Speravo di aver frainteso la prima volta.»

    «Purtroppo non è così, signore.»

    Robert Selborne si alzò e si avvicinò alla finestra dell’ufficio che all’improvviso gli sembrava diventato angusto.

    «Dunque, alla fine, mio padre è riuscito a tarparmi le ali» commentò come se stesse riflettendo tra sé. «Giurò che avrebbe trovato il modo di farlo.»

    L’avvocato Churchward si schiarì di nuovo la voce. «A quanto pare...»

    «Ha sempre desiderato che mi sposassi e che gli fornissi un erede.»

    «La qual cosa è comprensibile, dal momento che siete il suo unico figlio.»

    Rob Selborne gli lanciò un’occhiata accesa. «Naturalmente. Non crediate che non abbia apprezzato i sentimenti di mio padre, Churchward. Se fossi stato al suo posto, probabilmente mi sarei comportato nello stesso modo.»

    «Ne convengo, signore.»

    «Chissà, forse sarei arrivato anch’io a includere una condizione altrettanto draconiana nel mio testamento.»

    «Non lo escluderei, signore.»

    Rob si voltò di scatto. «Malgrado ciò, in questo momento sono tentato di mandare al diavolo la memoria di mio padre, per quanto questo possa sembrare irriverente.»

    «Ma del tutto naturale, tenuto conto delle circostanze, signore» si affrettò a giustificarlo il giovane Churchward in tono comprensivo. «Un gentiluomo come voi non può che detestare ogni costrizione.»

    Rob strinse i pugni. «Per quanto mi riguarda, Ferdie può prendersi tutto. Non mi sposerò unicamente per ereditare il capitale di mio padre.»

    Alla sua dichiarazione seguì una lunga pausa.

    «Permettetemi di farvi notare, signore» intervenne alla fine il giovane avvocato, scegliendo con molta cura le parole, «che la fortuna di vostro padre ammonta a circa trentamila sterline. Non è una cifra esorbitante, ma non è nemmeno di così scarsa rilevanza da potervi rinunciare con leggerezza.»

    Un muscolo scattò sulla mascella di Rob Selborne. «Me ne rendo conto.»

    «E dopo l’epidemia che si è portata via i vostri cari, la tenuta di Delaval versa in condizioni molto precarie.»

    Rob emise un lungo sospiro. «Non sono ancora stato a Delaval, Churchward. È davvero ridotta così male?»

    «Sì, signore» si limitò ad annuire l’altro.

    Rob si voltò di nuovo verso la finestra. «Non me ne andai perché non tenevo alla mia famiglia o a Delaval, Churchward, voglio che lo sappiate.»

    L’avvocato rimase in silenzio. Conosceva l’amore che legava Rob Selborne a Delaval. Anche se era stato lontano per cinque lunghi anni, spinto ad arruolarsi nell’esercito per dar prova del suo valore, il profondo attaccamento alla sua famiglia e al luogo dov’era nato era indiscutibile.

    «Vorrei non essere stato lontano così a lungo» dichiarò il conte amareggiato.

    «In gioventù vostro padre restò lontano da Delaval per tre anni, impegnato a visitare l’Europa» gli rammentò l’avvocato, rispondendo più all’emozione che trapelava dal suo tono che all’affermazione in sé.

    Lo sguardo cupo di Rob Selborne si illuminò mentre lo guardava. «Grazie, Churchward. Suppongo che in un modo o nell’altro ci siamo dovuti entrambi conquistare una certa indipendenza.»

    «Sono d’accordo con voi, signore.»

    Durante la pausa che seguì, Robert Selborne infilò le mani nelle tasche della giacca verde dal taglio impeccabile, rovinandone la linea elegante.

    «E il matrimonio di mia cugina Anne... quando si terrà esattamente?»

    «Domani mattina, signore.» Churchward si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Il tempo era stato tiranno in tutta quella vicenda. Era stato convocato d’urgenza nei primi giorni dell’anno a Delaval dal quattordicesimo conte di Selborne, conscio della morte imminente. Al suo ritorno a Londra si era affrettato a scrivere a Robert in Spagna, per avvisarlo di quanto stava accadendo. Quella prima missiva purtroppo non era mai giunta a destinazione. Un mese dopo, gli aveva comunicato la morte dei suoi genitori e della nonna paterna, stroncati dall’epidemia che aveva decimato l’intera regione. Quella seconda lettera era stata recapitata con grave ritardo, solo sei settimane prima. Robert, rintracciato a Corunna, si era affrettato a partire per Londra, dove aveva scoperto che i suoi cari erano morti ormai da sei mesi. In quel periodo Delaval era rimasta pressoché abbandonata, ed era stata depredata a più riprese. Per riportare la tenuta agli antichi splendori ci sarebbe voluto tempo e denaro. E per ereditare il denaro necessario alla ricostruzione, Rob si sarebbe dovuto sposare di lì a quattro settimane.

    «Dunque dovrei trovarmi una sposa domani» osservò Rob abbozzando un sorriso. «Dovrò procurarmi un abito per l’occasione e rinfrescarmi la memoria su come ci si rende gradevoli agli occhi delle signore, anche se temo che i risultati non saranno dei migliori. In ogni caso dovrò pur fare un tentativo, se voglio ricostruire Delaval.»

    Churchward respirò a fondo prima di parlare. «Mi sembra di capire che abbiate deciso di sottostare alle disposizioni di vostro padre. Correggetemi se sbaglio.»

    «Non credo di avere altra scelta, anche se avrei preferito che fosse meno categorico nelle sue imposizioni. Voi sapete spiegarmi perché voleva che scegliessi la mia futura sposa al matrimonio di mia cugina?»

    L’avvocato temporeggiò, sistemando le carte sparse sulla scrivania. In effetti, aveva chiesto spiegazioni al vecchio conte di quella limitazione in particolare, ritenendo che sarebbe stato più ragionevole concedere a Robert un campo di scelta più vasto. Per tutta risposta lui aveva dichiarato di non voler essere ragionevole. Suo figlio conosceva già la maggior parte delle giovani dame che sarebbero state presenti alla cerimonia, il che in qualche modo gli garantiva che avrebbe scelto una ragazza proveniente da un’ottima famiglia.

    «Credo che il vostro defunto padre desiderasse vedervi sposato con una giovane gentildonna in qualche modo legata alla vostra famiglia, se non da vincoli di parentela, almeno d’amicizia» spiegò l’avvocato.

    Rob rise. «In questo caso non capisco perché non si sia preso la briga di andare fino in fondo e decidere anche chi avrei dovuto sposare» commentò secco. «Auguratemi buona fortuna, Churchward.»

    «Sono sicuro che non ne avrete bisogno, signore» replicò il giovane avvocato. «Siete un ottimo partito.»

    «Voi mi lusingate, Churchward. Spero solo che la lista di invitati alle nozze di mia cugina sia molto lunga.»

    «Me lo auguro anch’io, signore» annuì il legale in tono triste, giocherellando nervosamente con la penna d’oca che aveva in mano. Era arrivato il momento di rivelare il contenuto del secondo testamento, quello della nonna del conte.

    La vedova del tredicesimo conte di Selborne era diventata eccentrica e intrattabile dopo la morte del marito avvenuta dieci anni prima durante una battuta di caccia, ma non aveva perduto il senno come si sarebbe potuto desumere leggendo le clausole presenti nelle sue ultime volontà.

    «Ora procederei alla lettura del testamento di vostra nonna...» gli rammentò non senza provare un certo disagio. «Temo che la contessa fosse una persona, come dire, originale...»

    Rob sollevò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. «Questo è fuori dubbio, Churchward, ma state per caso cercando di dirmi qualcosa? Voglio sperare che le ultime volontà di mia nonna non riservino altre sorprese.»

    L’avvocato depose il testamento del vecchio conte in un cassetto e prese quello della contessa sua madre.

    «Sapevate che la contessa vostra nonna intendeva lasciare a voi i suoi beni, signore?»

    «Mia nonna mi disse qualcosa in proposito l’ultima volta che ci vedemmo» confermò Rob Selborne. «Naturalmente immagino che si tratti di una somma simbolica, poiché non possedeva alcuna proprietà né gioielli che non fossero di famiglia.»

    Le labbra del giovane avvocato si incresparono in un sorriso tirato. L’anziana nobildonna amava scherzare e la divertiva molto fingere di essere praticamente indigente.

    «Lady Selborne possedeva una fortuna che ammonta a quarantamila sterline, signore.»

    Colto alla sprovvista da quella notizia, Rob si sedette. «Come è possibile, Churchward?»

    «La contessa possedeva investimenti in varie miniere di ferro.»

    «Capisco» mormorò Rob, incredulo. «Potremmo sostenere senza timore di essere smentiti che la discrezione era il suo forte.»

    «Sì, signore. La contessa vostra nonna riteneva che, benché redditizi, i suoi investimenti minerari non dovessero essere argomento di conversazione in società.»

    Rob si strinse nelle spalle. «Poco importa da dove viene il denaro, a patto che mi permetta di ricostruire Delaval.»

    L’avvocato si schiarì di nuovo la voce, poi respirò a fondo. Purtroppo non poteva esimersi dal proseguire. «C’è una condizione nel testamento della contessa, signore...»

    Rob si appoggiò allo schienale della poltrona. «Ma certo» commentò in tono ironico. «Come ho potuto pensare che il testamento di mia nonna non riservasse sorprese?»

    L’avvocato Churchward si tolse gli occhiali, li pulì nervosamente con un fazzoletto, poi li inforcò di nuovo.

    «Mi sembrate agitato, Churchward» constatò Rob Selborne, scrutandolo. «Preferite che sia io a leggerlo?»

    Emettendo un sospiro di sollievo, Churchward gli consegnò il foglio in questione. «Grazie, signore, credo che sia più opportuno.»

    Rob scorse in fretta il documento poi, aggrottando la fronte, lo lesse una seconda volta più lentamente. Churchward trattenne il respiro in attesa di una reazione esplosiva che non si manifestò, come lui aveva temuto, con un eccesso di collera, bensì con una risata divertita.

    «Santo cielo!» esclamò il conte sollevando lo sguardo. «È un vero peccato che mio padre e sua madre non abbiano confrontato le loro ultime volontà.»

    «Sono d’accordo con voi, signore» convenne l’avvocato con enfasi.

    Rob lesse il testamento per la terza volta. «Vi prego di correggermi se sbaglio, Churchward. Se mi sposo entro un mese erediterò trentamila sterline da mio padre...»

    «Esattamente, signore.»

    «E ne erediterò quarantamila da mia nonna se resterò casto per cento giorni dopo la lettura di questo documento?»

    L’avvocato divenne scarlatto e si limitò ad annuire.

    Rob lesse ad alta voce in tono asciutto: «Per provarsi degno di ereditare la mia fortuna, mio nipote Robert Selborne dovrà dimostrarsi temperante nella vita privata come mi aspetto che lo sia nella gestione del patrimonio. Forse dovrei aggiungere che questa condizione non risulterà eccezionalmente gravosa per il mio caro nipote che ha sempre dimostrato di possedere una ferrea forza di volontà...». Sollevò lo sguardo e commentò: «Grazie, nonna!». Poi continuò: «La gioventù di oggi non sa che cos’è la disciplina, perciò ritengo utile stabilire che mio nipote verrà in possesso del mio capitale solo se sarà in grado di astenersi dai piaceri della carne per cento giorni a partire da quando leggerà questo testamento».

    Rob appoggiò il foglio sulla scrivania. Sulle sue labbra aleggiava ancora un accenno di sorriso.

    «Non posso crederci. È legale, Churchward?» chiese infine.

    L’avvocato si agitò sulla sedia. «Purtroppo lo è, signore. La contessa vostra nonna era sana di mente al momento della stesura del documento che è stato controfirmato da due testimoni. Potreste impugnarlo, naturalmente, tuttavia personalmente ritengo che portare laquestione in tribunale equivarrebbe a suscitare sgradevoli speculazioni.»

    «Diventerei lo zimbello di tutta Londra» convenne Rob. «E nel caso in cui io non fossi in grado di rispettare le condizioni, l’eredità andrebbe a mio cugino Ferdie che non riuscirebbe a rimanere casto nemmeno per dieci giorni» osservò in tono divertito. «In che modo ci si aspetta che dimostri di essermi attenuto alle prescrizioni contenute nel testamento? Presentandomi qui ogni mattina per fornirvi un resoconto dettagliato di come ho trascorso la notte?»

    Il giovane avvocato avvampò. «Vi prego, signore, non mi sembra il caso di scherzare su una faccenda così importante. Sono sicuro che lady Selborne non intendesse essere in alcun modo irriguardosa. Suppongo che confidasse nel fatto che avreste agito secondo coscienza.»

    Rob si alzò. «Vi chiedo di perdonarmi, non era mia intenzione offendere la vostra sensibilità, Churchward» si scusò, continuando a sorridere. «A questo punto non credo che ci sia altro da dire. Per ereditare la somma che mi necessita per riportare Delaval agli antichi splendori dovrò conformarmi alle richieste presenti in entrambi i testamenti, sposandomi entro un mese e praticando l’astinenza per cento giorni a partire da oggi» riepilogò tendendo la mano all’avvocato. «Vi ringrazio, Churchward, mi siete stato di grande aiuto come sempre. Vogliate scusarmi se la mia reazione davanti alla lettura dei testamenti dei miei cari è stata in qualche modo sconveniente...»

    L’avvocato gli strinse la mano con forza. «Niente affatto, signore. Comprendo la vostra reazione e vi assicuro che ho cercato in ogni modo di convincere entrambi i miei clienti a rinunciare alle clausole eccentriche che avevano deciso di apporre ai loro testamenti, senza peraltro ottenere alcun risultato.»

    «Apprezzo la vostra solidarietà» dichiarò Rob. «Vi contatterò di nuovo per comunicarvi se sarò riuscito o meno a soddisfare le richieste dei miei congiunti defunti.»

    Churchward rimase a fissare la porta che si era richiusa alle spalle di lord Selborne. Lo sentì salutare gli impiegati augurando loro una buona giornata, poi si lasciò cadere sulla poltrona e allungò una mano verso l’ultimo cassetto della scrivania, dove teneva nascosta una bottiglia di sherry per le emergenze.

    Jemima Jewell aprì il vecchio baule sistemato in un angolo della stanza e ne estrasse l’abito da cerimonia che profumava di lavanda.

    «Eccolo» dichiarò osservandolo alla luce. «Spero che basti stirarlo...»

    Suo fratello Jack, appoggiato alla sponda del letto, atteggiò le labbra a una smorfia. «Secondo me sei cresciuta ancora, Jem.»

    «Figuriamoci!» ribatté Jemima fulminandolo con lo sguardo. «Ho ventuno anni, non sono più una scolaretta.»

    Jack sorrise. «Sarà, ma ciò non toglie che il vestito è corto. Ti si vedranno le caviglie.»

    Jemima si lasciò sfuggire un sospiro. Detestava quell’abito che era costretta a indossare per i matrimoni e le occasioni speciali. Si trattava della divisa di gala degli spazzacamini che prevedeva una gonna nera e rigida di cambrì, leggermente svasata, una camicia bianca, una giacca nera aderente con bottoni anch’essi neri e brillanti come pezzetti di carbone, calze di

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