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Pioggia rossa
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E-book96 pagine1 ora

Pioggia rossa

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Info su questo ebook

La tranquilla vita di Qeshvend, un villaggio di umili agricoltori e allevatori, cambia radicalmente quando la guaritrice del posto viene condannata al rogo per stregoneria: le ultime parole della condannata a morte sembrano capaci di cambiare per sempre, in un inarrestabile crescendo di orrore, non solo Qeshvend ma l'intero Impero... finché il genere umano pare destinato a divenire nient'altro che carne da macello, nutrimento per una nuova, terrificante specie dominante.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2019
ISBN9788832526653
Pioggia rossa

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    Anteprima del libro

    Pioggia rossa - Giuseppe Vitale

    61

    I. Il rogo.

    *

    Parte Prima – Pioggia rossa.

    Mirvëll aveva perso sua sorella Dasha, la sua amata sorellina – aveva e avrebbe sempre pensato a lei come alla sua sorellina, anche quando Dasha, quasi adulta, era stata in procinto di sposarsi –, e la donna legata al palo conficcato in quella porzione di terreno, cosparsa di fasci di paglia e legname, era la colpevole di siffatta perdita: Tetraj, la giovane guaritrice del villaggio, una delle persone più stimate e benvolute dalla gente del posto, una vera istituzione, cruciale per la vita di quella piccola comunità.

    Quando le indagini del Monsignore avevano ricondotto alla solitaria casetta nel bosco in cui viveva Tetraj, non solo Mirvëll, ma praticamente tutti gli abitanti di Qeshvend avevano faticato a credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. La loro fede era stata messa a dura prova.

    A guardarla, a guardare Tetraj, con il suo volto pulito e lentigginoso e i suoi capelli corvini dalla lunga coda intrecciata, nessuno avrebbe mai sospettato di lei. Quante volte, d’altronde, i suoi decotti e medicamenti avevano curato ferite, lenito dolori, salvato vite? La sua casetta nel bosco, che passava di guaritrice in guaritrice, era stata, per anni, irrinunciabile punto di riferimento per l’intero villaggio di Qeshvend.

    Eppure…

    Alla scomparsa del sesto abitante del villaggio – Dasha era stata la quarta –, nel giro di due mesi, il Pastore di Qeshvend aveva sollecitato l’intervento del Monsignore. Gli uomini mandati dalla capitale spirituale della Regione, Shenitët, soldati instancabili e coraggiosi figli di Dio, avevano setacciato il villaggio e le zone limitrofe per una lunga settimana, giungendo infine alla macabra scoperta.

    Erano state trovate delle ossa, nella piccola abitazione di Tetraj, ossa umane di varie dimensioni, tutte ben spolpate, lisce, polite. Ossa che, avevano pubblicamente annunciato i soldati presbiteriani, erano riconducibili ai sei qesh scomparsi nelle settimane antecedenti. La notizia, dopo l’iniziale e ovvia incredulità, aveva insieme nauseato e fatto infuriare la brava gente del villaggio, uno dei più poveri della Regione dello Jashtëpyll, producendo solo qualche blando tentativo di difesa, da parte della giovane accusata.

    Tetraj, che non era mai stata donna di molte parole, ma non per questo di cattive maniere o sgarbata, aveva semplicemente detto che quelle ossa facevano parte di un’antica usanza che le guaritrici si tramandavano di generazione in generazione, per tenere lontani gli spiriti maligni della Foresta Nera; questi, com’era risaputo, in assenza della guaritrice e delle sue arti mediche, avrebbero potuto imperversare indisturbati nei villaggi e nelle città dell’Impero, portando pestilenze, carestie e morte con sé. Inoltre, la donna aveva soggiunto che le ossa incriminanti erano in quantità troppo esigue affinché si potesse risalire a sei persone diverse, e che mai avrebbe fatto del male ai suoi protetti. Dopodiché, detto ciò, la giovane si era chiusa in un prolungato silenzio, in una muta accettazione delle parole del cardinale Madhzot, a capo del drappello di soldati presbiteriani inviato dal Monsignore, e dell’irreversibile destino che l’attendeva.

    Tutte le duecento anime del villaggio, Mirvëll compreso, stretto accanto alla moglie e alle loro due bambine, erano riunite presso la piazza di Qeshvend, nell’umido e sudaticcio tramonto di piena estate, il sole che era una vecchia e logora moneta di rame premuta con forza su una polverosa superficie di roseo marmo.

    «Il Nemico è abile a nascondersi, a dissimulare la sua presenza e intrufolarsi, indisturbato, nella vita dei suoi più umili e devoti servi», cominciò a dire il Cardinale, le mani giunte, le labbra severe scolpite in un volto tanto austero. «La fede in Nostro Signore è l’unico strumento in nostro possesso che ci consenta di smascherarlo, di stanare l’Avversario e fermare, così, le sue terribili macchinazioni.» Madhzot rivolse uno sguardo di pietra alla donna legata al palo, i piedi affondati nella collinetta di legna spezzata, il capo chino e in parte coperto dai capelli scompigliati. «Gli occhi. Basta guardare negli occhi di questa donna, di questa serva del Demonio, per intendere la sua natura. Le creature del Nemico sono sempre imperfette e nessuna creatura di Dio, invece, potrebbe mai avere simili occhi.» Si sollevò un breve brusio, nella folla, un brusio di disappunto e pentimento: nessuno di loro aveva pensato a questo, nel guardare gli occhi di Tetraj, uno castano e uno giallastro; quest’ultimo, invero, si notava soprattutto in certe condizioni di luminosità. «E le ossa. Nessuna tradizione è cara, buona e giusta a Dio, se contempla il vilipendio di cadaveri e l’impiego delle membra dei morti. Paganesimo, figli miei, paganesimo!», asserì Madhzot, alzando il tono della voce vibrante, baritonale; al che, Mirvëll sentì la più piccola delle sue figlie, quattro anni, sussultargli tra le braccia. «Le ossa non sono tante da giustificare la scomparsa e l’uccisione di sei servi del Signore, dice lei, la strega , e questa è l’ennesima menzogna. La concubina del Nemico», proseguì il Cardinale, puntando l’indice dal prezioso e vistoso anello d’oro massiccio contro Tetraj, «ha prelevato alcune parti dei corpi, per i suoi sporchi scopi, occultandone poi il resto.»

    Qualcuno, tra la folla, sbottò: «Dove sono?! Vogliamo i nostri cari!»

    «Sì», aggiunse qualcun altro, «dobbiamo dar loro degna sepoltura.»

    «Lei la deve pagare», si unì una terza voce, rotta dal pianto, «ma i nostri morti meritano un luogo di riposo, dove noi possiamo andare a piangerli.»

    Il cardinale Madhzot fece cenno ai suoi uomini, disposti dinanzi alla prima fila di spettatori al fine di mantenere l’ordine, di attendere in posizione: poteva gestire la cosa da sé. «Saranno svolte le dovute ricerche, figli miei», garantì, con fare paterno, un padre severo più che comprensivo. «Ma penso che siamo tutti d’accordo, qui, nel dire che la cosa più importante, al momento, sia quella di assicurare l’Avversario al giudizio del Signore.» Si levò un nuovo brusio, più alto del precedente, e questa volta di approvazione, assoluta e incrollabile. «E ricordate, figli miei, che le nostre spoglie mortali non hanno importanza, agli occhi di Dio, una volta varcata la soglia che separa questo mondo dal Suo Regno. Quando le fiamme purificheranno quest’essere corrotto e immondo, i nostri cari fratelli e sorelle saranno finalmente liberi, nella loro forma celeste, di librarsi fino al più alto dei cieli e unirsi alle schiere di santi, angeli e beati, nell’immensa misericordia e benevolenza di Dio Nostro Signore.»

    Un nuovo verso di collettiva approvazione, che trascinò anche Mirvëll, le lacrime agli occhi: Presto, troverai la pace che meriti, mia adorata sorellina , pensava, con un groppo in gola, il cuore che si riempiva di gratitudine nei confronti di Madhzot e di Dio Onnipotente, del Suo infinito amore. Presto, mia amata Dasha, veglierai su tutti noi, da lassù, insieme a mamma e papà.

    «Prima di tutto questo, però», riprese il Cardinale, in tono ferreo, quasi militaresco, «viene il momento del

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