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Tutto quel viola: Susanna Marino indaga nella Torino esoterica
Tutto quel viola: Susanna Marino indaga nella Torino esoterica
Tutto quel viola: Susanna Marino indaga nella Torino esoterica
E-book417 pagine4 ore

Tutto quel viola: Susanna Marino indaga nella Torino esoterica

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Info su questo ebook

Torino, oggi. Susanna Marino, studentessa neolaureata e squattrinata, riceve l’invito per un esclusivo vernissage nella Galleria Subalpina. Il gallerista Tommaso D’Anza inaugura infatti La fanciulla, la morte, il diavolo, mostra antologica sul misterioso pittore Lorenzo Alessandri. Il critico d’arte e docente universitario Arturo Ginzburg, che sarebbe dovuto intervenire al vernissage, viene ritrovato barbaramente ucciso nel suo studio. Poco dopo il delitto, una studentessa del professor Ginzburg scompare nel nulla. Francesca Sanniti, ruvido ma sensibile commissario, si trova a indagare su un intricato caso nel quale la stessa Susanna Marino viene coinvolta. Un giovane giornalista e una misteriosa medium conducono Susanna in un viaggio attraverso una Torino nebbiosa e gozzaniana, in cui nulla è ciò che sembra. Oscuri omicidi, forse di carattere rituale, colpiscono la città, e pare esista un vecchio film perduto, Sortilegio di Nardo Bonomi, che qualcuno ha tutto l’interesse di tenere celato. Susanna Marino e il commissario Sanniti si trovano coinvolte in un oscuro enigma, la cui soluzione affonda nel viola, in tutto quel viola...

Cristiana Astori è nata ad Asti e vive a Roma. Laureata in psicologia, è autrice della Trilogia dei colori (Tutto quel nero, Tutto quel rosso, Tutto quel blu, 2011-2014) edita dal Giallo Mondadori, a cui è seguito Tutto quel buio (Elliot, 2018). Nel 1999 ha ricevuto il Premio Ferrero per la Critica Cinematografica; attualmente lavora per le Biblioteche di Roma. Ha anche tradotto diversi autori tra cui Jeffery Deaver, Douglas Preston, Richard Stark e la saga di Dexter. In campo fumettistico, ha pubblicato la graphic novel L’amore ci separerà – Love will tear us apart (De Falco, 2002), ha sceneggiato il Dylan Dog Color Fest n. 11 (Sergio Bonelli Editore, 2013) e le avventure steampunk di The Professor (Erredì Grafiche Editoriali). La sua raccolta di racconti Il Re dei topi e altre favole oscure (Alacran, 2006) è il primo libro italiano a cui Joe R. Lansdale abbia dedicato una frase di lancio.
 
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2023
ISBN9788869436901
Tutto quel viola: Susanna Marino indaga nella Torino esoterica

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    Anteprima del libro

    Tutto quel viola - Cristiana Astori

    SuperNoir

    Bross

    Cristiana Astori

    Tutto quel viola

    Susanna Marino indaga nella Torino esoterica

    Prefazione di Steve Della Casa

    Il nostro indirizzo internet è:

    http://www.frillieditori.com

    info@frillieditori.com

    EDITING E IMPAGINAZIONE MICHELA VOLPE

    Copyright © 2023 Fratelli Frilli Editori

    Via Priaruggia 33 R – Genova - Tel. 010.3071280

    ISBN 978-88-6943-682-6

    ISBN ePUB 978-88-6943-690-1

    INDICE

    PREFAZIONE

    PROLOGO

    PARTE PRIMA

    1.

    2.

    3.

    4.

    5.

    6.

    7.

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    PARTE SECONDA

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    PARTE TERZA

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    5.

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    7.

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    EPILOGO

    NOTA DELL’AUTRICE

    PREFAZIONE

    Cristiana Astori ha reso molto originale un terreno noto e frequentato, quello dei gialli ambientati nel mondo del cinema. Lo ha reso originale perché il suo stile non è classicheggiante ma nervoso e pulp, perché riflette la lezione di Quentin Tarantino (nei suoi romanzi personali reali e immaginari si mescolano – e questa non sarebbe una novità – ma soprattutto personaggi viventi fanno pessime fini – e chi scrive ne sa qualcosa – proprio come Hitler e i suoi compari in uno dei più bel film di Quentin).

    E poi c’è un’altra componente, altrettanto importante. Le scene d’azione sono descritte con una capacità di evocazione visiva veramente straordinaria. Gli inseguimenti, le corse in macchina, gli agguati: sembra davvero di vederli, e forse non è un caso se Cristiana si è dedicata anche al fumetto. E i particolari di ambientazione sono evocati con rara precisione. In un romanzo precedente una scena chiave si svolgeva in uno storico cinema di Torino, oggi abbattuto. Credo sia una delle poche fonti che ci può restituire le dimensioni, le caratteristiche, persino l’odore dello storico cinema Zeta d’essai.

    Infine, l’elemento più importante di tutti. La protagonista dei romanzi della Astori è una ricercatrice che si appassiona ai casi di film rari, sconosciuti, attorno ai quali fioriscono leggende e si intrecciano interessi sordidi e pulsioni omicide. Anche in questo caso teoricamente non si dovrebbero scorgere novità di rilievo visto che la cinefilia (quella vera, ma soprattutto quella presunta) è da tempo argomento di scrittura molto diffuso. Per la Astori però la cinefilia è un sentimento che non impedisce alle sue storie di essere pienamente contemporanee. Non c’è nostalgia, non ci sono calchi narrativi o stilemi citazionisti. C’è una storia ambientata nell’oggi, con la sensibilità di oggi e le tensioni di oggi, che scaturisce da un passato che è presente ma che è vissuto come qualcosa con cui bisogna fare i conti, ma che al tempo stesso è lontana e distante. I personaggi vivono e muoiono nell’epoca contemporanea, non c’è nostalgia, non ci sono bolle temporali. Ancora una volta il richiamo è a Quentin: pochi sanno che c’è stato un Django anche negli anni Sessanta, e il Django che porta la sua firma è coinvolgente e divertente anche per chi ignora totalmente il fatto che si tratti di un remake.

    È questa la forza di Quentin, è questa la forza di Cristiana Astori, presenza assolutamente unica (e notevole) nel panorama giallo contemporaneo.

    STEVE DELLA CASA

    Tra queste pagine troverete la verità... e l’immaginazione. L’una è necessaria all’altra e viceversa; ma ognuna deve essere considerata per quello che è. Quello che vedrete potrebbe anche non piacervi, ma voi vedrete!

    (Anton Szandor LaVey)

    Ai miei folletti Prince & Crudelia

    PROLOGO

    9 settembre 1969

    Disturbo?

    Lorenzo Alessandri alzò gli occhi dalla tela, mentre la porticina della Soffitta Macabra si apriva cigolando sui cardini.

    Tu non disturbi mai disse con un sorriso bonario. Vieni avanti.

    Le tende erano aperte e la silhouette della ragazza si stagliò contro la vetrata del bovindo, su cui batteva il sole al crepuscolo. Un raggio dal pulviscolo dorato attraversò il vetro e le accarezzò i capelli biondi e lisci, la mini verde acido e la carnagione color latte.

    Il pittore la osservò, e sorrise. Quando dedichi la tua vita a dipingere, la prima cosa che noti, ancor prima dei colori, è il modo in cui la luce illumina i corpi.

    Angelika era diversa da tutte le altre: quando il sole la colpiva, alla sua immagine accadeva qualcosa di singolare. Non sapeva definire esattamente che cosa fosse, ma era il motivo per cui quel giorno ad Amsterdam, al mercatino di Waterlooplein, aveva provato l’irrefrenabile impulso di dipingerla. L’aveva subito messa a fuoco tra la folla che popolava le bancarelle di dischi usati, avvolta in uno strano giaccone dal collo di zibellino, con un disco dei King Crimson in mano e il sole che le incendiava i capelli.

    Era rimasto a fissarla per qualche istante, lei, il disco, la luce, poi aveva preso coraggio.

    "21st Century Schizoid Man è forte. Mi permetti di regalartelo?"

    Lei aveva scosso il capo, con una smorfia. Detesto i King Crimson. Io voglio te.

    Avevano vissuto un paio di mesi come in una bolla, chiusi in una stanzetta sul canale, tra colori a olio, hashish e patate fritte, ma il segreto della luce sulla sua pelle, quello non era mai venuto fuori. Più lui la dipingeva, più il mistero si faceva insondabile, rinnovando il desiderio di ritrarla di nuovo, in un loop infinito.

    Credeva fossero passati giorni, invece erano passati mesi e quel vincolo oscuro che lo legava a lei lo aveva talmente intrigato che non aveva potuto fare a meno di portare Angelika con sé in Italia come modella.

    Era un rapporto particolare il loro, alimentato più dai pennelli che dalla vita reale, come se l’Angelika Musa sovrastasse l’Angelika Donna, e, attraverso la tela, lei gli schiudesse mondi occulti e sconosciuti. Nella vita quotidiana, invece, l’inafferrabile modella diventava una ragazza come tante, carina, scontrosa e pure un po’ viziata.

    Per questo, quando l’amico di Lorenzo aveva perso la testa per lei, lui si era lealmente tirato indietro.

    Non mi ami, Lorenzo gli aveva detto Angelika. Per questo vuoi rinunciare a me.

    No, non ti amo. Perché tu vieni prima dell’amore. Da un altro tempo, e da un altro luogo.

    È un modo elegante per licenziarmi, vero?

    Se è elegante non lo so, ma di sicuro è sincero le aveva risposto, e ora che scorgeva la sua sagoma sensuale contro la vetrata del bovindo, Lorenzo Alessandri tremava.

    Perché sei venuta? le domandò, mentre l’inarrestabile impulso di ritrarla tornava a impossessarsi di lui, proprio come quel pomeriggio di due anni prima al mercatino di Waterlooplein.

    Perché voglio essere dipinta sussurrò Angelika. Ora, adesso, e per l’ultima volta.

    Si slacciò il top e la minigonna verde acido cadde ai suoi piedi, mentre lei rimaneva ritta, immobile, dinanzi a lui con indosso null’altro che gli stivali di camoscio dal tacco infangato.

    Angelika era magra, ma a contrasto con la vita sottile i seni nudi e rotondi avevano un che di oltraggioso, così come il sesso che pareva schiudersi come un frutto impudico nella vertigine della stanza.

    Il pittore trasse un respiro profondo, poi inarcò il sopracciglio e invocò in soccorso la compagna che tante volte nella vita l’aveva salvato. Mi hanno chiesto in tanti perché ho fatto il pittore, e non l’idraulico disse. Ed ecco uno dei motivi.

    Lei non rise, non rideva mai alle sue battute, ma le sue labbra si increspavano in una smorfia capricciosa, rendendola ancora più desiderabile. Allora, Lorenzo, è un sì?

    Lui si arrese. Lo è.

    Una scintilla di trionfo balenò nei suoi occhi di ghiaccio. Perfetto...

    Alessandri sostituì la tela a cui stava lavorando con una immacolata, poi pulì il pennello nell’acquaragia e le fece cenno di sedere sul divano sfondato della Soffitta Macabra.

    Angelika invece vi si sdraiò, e le sue natiche irriverenti spiccarono sul drappo purpureo.

    Il pittore scosse il capo, turbato.

    Questa sarà l’ultima volta, lo sai, vero?

    Lo so mormorò Angelika.

    La luce rossa del crepuscolo si rifletté sulle sue pupille blu, che si tinsero di un viola profondo, poi un raggio più intenso degli altri colpì la vetrata del bovindo.

    Lorenzo Alessandri si coprì gli occhi, abbagliato, e quando tolse poco a poco la mano il corpo sensuale della modella si materializzò attraverso il pulviscolo dorato, e fu allora che il mistero che l’aveva legato a lei sin dai tempi del loro incontro a Waterlooplein gli si rivelò all’improvviso dinanzi.

    La pelle di Angelika non rifletteva la luce, ma la assorbiva.

    PARTE PRIMA

    Non vuoi dirlo, eppure tu sei un Mago Nero...

    Ma no, insisto nel dire che non lo sono. D’altra parte anche i pittori che dipingono la Madonna, non è detto che siano religiosi... possono essere degli atei. Quindi se io dipingo il diavolo, non è detto che sia un Mago Nero.

    (da un’intervista al pittore Lorenzo Alessandri)

    E chi col fuoco, chi con l’acqua, chi alla luce del sole, chi di notte, chi per ordine superiore, chi per processo, chi nel lieto mese di maggio, chi per lento decadimento...

    (Leonard Cohen, Who by fire)

    1.

    Torino, ottobre 2015

    Avanzava rapida lungo i portici di via Po, riparandosi con la sciarpa dal vento freddo che faceva vorticare le foglie in una danza ipnotica.

    Si strinse nel cappotto verde mela, facendosi largo tra la folla del sabato pomeriggio che passeggiava pigra, osservando le vetrine.

    Lanciò un’occhiata distratta pure lei, non ai negozi di abiti chic sulla sinistra, ma alle bancarelle dell’usato sulla destra. Era in clamoroso ritardo, e si augurò di non trovare nulla di interessante.

    Intercettò invece una copia in dvd di Zeder mai più ristampata, un’altra di Operazione Paura in perfette condizioni e la prima edizione dell’introvabile antologia di Daphne du Maurier da cui era stato tratta la ghost story di Roeg, Don’t look now, il tutto a meno di dieci euro.

    Susanna scosse il capo.

    Anche se inseguita da un feroce serial killer non avrebbe mai potuto fare a meno di gettare uno sguardo alle bancarelle dell’usato, sperando di scovare la prima edizione di Ossessione di King o il raro dvd di Cosa avete fatto a Solange?, e mettere a repentaglio la sua già improbabile vita.

    Afferrò rassegnata i due film horror e il libro della Maurier, e frugò nella tracolla orientale, finché non estrasse un biglietto gualcito da dieci euro e lo allungò al venditore.

    Una campana, da qualche parte, batté sette rintocchi.

    Dannazione!

    Aspetti signorina!

    L’uomo armeggiava nella scatola di latta, in cerca dell’euro di resto.

    Lasci stare...

    Infilò gli acquisti nella borsa, e si dileguò sotto i portici scuri.

    Ma chi sei, Cenerentola? mormorò il venditore, in lontananza.

    Susanna colse il tintinnio della moneta che ricadeva nella latta, attutito dal vociare dei passanti e dal turbinio del vento autunnale, e accelerò il passo.

    Piazza Vittorio era inondata da una luce violacea, come se i raggi scarlatti del crepuscolo fossero filtrati dalle grandi nubi blu e nere che si sfilacciavano lungo il corso del Po, sulla cupola della Gran Madre e in cima agli imponenti palazzi sabaudi.

    Alzò gli occhi e nell’atmosfera purpurea del tramonto le parve di cogliere i sospiri di una Torino segreta che viveva da sempre dietro al vetro istoriato di quegli abbaini art-nouveau.

    Un’inquietudine leggera la colse, poi abbassò lo sguardo e attraversò a rotta di collo un paio di semafori rossi in mezzo alla piazza, finché non raggiunse la sponda di pietra che si affaccia sul Po.

    Scese di corsa la scalinata scavata nella roccia dell’imbarchino, gli stivali di camoscio color crema che sdrucciolavano sui gradini umidi. Sul lungofiume dei Murazzi erano nati parecchi locali che aveva frequentato soprattutto da studentessa quando si divertiva a girare per i club con gli amici, ascoltando musica dal vivo.

    Sospirò. Ora, che era laureata ma disoccupata, la sua condizione non era cambiata di molto, per non dire affatto.

    I Murazzi invece lo erano.

    Una severa ordinanza comunale aveva costretto a chiudere numerosi locali, e sulla banchina, prima meta della movida torinese, la gente si era fatta più rara e parecchie serrande erano abbassate. Sul molo, insieme all’odore acre delle alghe di fiume, si respirava un’atmosfera sottile di abbandono e di vuoto.

    Il Blue Velvet però aveva resistito.

    Forse perché esisteva da sempre, o forse perché non c’era mai stato, ed era un semplice luogo della mente che le si materializzava dinanzi nei momenti più oscuri.

    Susanna sorrise. Forse la revisione degli ultimi film di Lynch non le aveva fatto così bene. Infatti l’insegna del locale era lì, vera e reale dinanzi a lei, un neon blu cobalto che pulsava ammiccante sul molo, riflettendosi nelle acque screziate di viola.

    ... and suddenly a movement in the corner of the room...

    Dall’interno proveniva la voce cupa di Robert Smith.

    ... and there is nothing I can do when I realize with fright...

    Spinse il portone del club ed entrò.

    ... that the Spiderman is having me for dinner tonight...

    Stavolta al Blue Velvet non attendeva nessuno, ma quella attesa era lei. E le sette erano passate da un po’.

    Attraversò il pavimento a scacchi bianchi e neri, e si fece largo tra la gente che affollava il bancone in metallo anodizzato, sgomitando con garbo per riempirsi il piatto di tartine all’hummus e pasta fredda. Da terra alcuni faretti proiettavano le ombre degli avventori voraci sulle pareti bluastre, trasformandoli in sagome stilizzate ed esistenziali.

    Detestava le apericene. Quello che doveva sembrare il costoso aperitivo dei ricchi si tramutava in realtà in una cena da poveri, perché a quanto pareva bastava arraffare un po’ di penne scotte al finto salmone e qualche pizzetta e tutti erano sazi e contenti.

    Scosse il capo, imponendosi, almeno quella sera, di stare al gioco, e scomparve dietro la porticina di sicurezza accanto al pianoforte.

    Riapparve poco dopo con i capelli legati in una coda alta, il grembiule nero con le iniziali B.V. ricamate in blu, e il sorriso più cordiale che riusciva a sfoggiare.

    Si augurò che Tony, il principale, non avesse notato il suo ritardo, e prese posto dietro al bancone. Lavò le stoviglie rimaste nel lavandino, servì birre alla spina e preparò caffè a raffica. In quello era molto rapida, si era abituata lavorando in pizzeria, ma sui cocktail non era ancora molto ferrata, a differenza di Ronnie, il giovane barista dai capelli ossigenati, che shakerava le bevande più improbabili con l’appeal di un ballerino.

    Si augurò che gliene ordinassero il meno possibile.

    Stava spillando una Kilkenny strong media e una bianca belga, e nel contempo preparando un ristretto in tazza piccola, un espresso nel vetro e un decaffeinato corretto quando udì una voce alle sue spalle.

    Un Bloody Mary, grazie.

    Si voltò, nervosa, poi si accorse che quella voce la conosceva.

    Ed era dell’ultima persona che avrebbe voluto incontrare.

    2.

    Mise a fuoco la sagoma nella penombra del club: alto, magro, spalle larghe, l’inseparabile giubbotto di pelle dalla zip tirata su e l’aria spavalda. Stefano Salvatori, per gli amici Steve.

    Quando l’aveva conosciuto, qualche anno prima, si era qualificato come cacciatore di pellicole, oltre che stuntman per il cinema, ma di che cosa davvero vivesse ancora non era chiaro: di lavori ne faceva molti, parecchi dei quali rischiosi e ai limiti della legalità, e di tutti questi Susanna preferiva restare all’oscuro.

    Se stai per chiedermi se ho incassato i ventimila di Altavilla, la risposta è no.

    L’uomo lanciò un’occhiata al suo grembiule da cameriera. L’avevo sospettato.

    Si trattenne per non strozzarlo.

    Allora che cosa vuoi?

    Un Bloody Mary.

    Ronnie fa dei cocktail squisiti.

    Ma io lo voglio preparato da te.

    Steve le puntò addosso l’occhio azzurro, quello di vetro, che si era procurato in seguito a non si sa quale misterioso incidente.

    Okay. A tuo rischio e pericolo.

    Susanna afferrò il menu per ripassare gli ingredienti e si mise ad assemblare il cocktail, contrariata.

    Dalle casse usciva la voce buia di Johnny Cash.

    Steve non le staccava lo sguardo di dosso. Esagera pure con il tabasco disse. Lo voglio piccante.

    Tacque per non insultarlo.

    Ormai si conoscevano da anni, e avevano anche collaborato in più occasioni alla ricerca di film perduti, ma ancora non aveva capito se di lui poteva fidarsi, anzi, qualcosa le ripeteva che era meglio non farlo.

    Terminò di preparare il Bloody Mary e glielo posò davanti. Con apericena sono nove euro, senza cinque.

    Steve le allungò un biglietto da dieci.

    Niente apericena. Ma tieni il resto.

    Lei gli fece rotolare davanti cinque monete da un euro. Se volevi sapere dell’assegno di Altavilla, sappi che a queste cifre non sono corruttibile.

    Ah, quindi il vecchio ti ha pagato con un assegno la incalzò lui. E come mai non l’hai ancora ritirato?

    Susanna si morse la lingua. Alla fine, non sapeva come, Steve riusciva sempre a farla parlare.

    Era un assegno post-datato rispose rapida, continuando a risciacquare i piatti.

    Ah, bene replicò lui, il volto illuminato dal Bloody Mary rosso sangue. Quindi puoi anche strapparlo.

    Ho detto postdatato, non ho detto nullo.

    È la stessa cosa.

    Ora basta saltò su Susanna. Puoi provocarmi finché vuoi, ma per quel dannato film di vampiri sono andata fino a Budapest, per trovarlo ho rischiato la vita e...

    ... e poi sono arrivato io e te l’ho salvata.

    Susanna avvampò. Certo, perché strapparmi il film di mano mentre schiattavo pareva brutto.

    Brutto o bello, ora sei viva e non di certo grazie a te.

    Okay, mettila come ti pare replicò lei, esasperata. In ogni caso non mi pare giusto dover dividere i soldi della ricompensa con te.

    Quali soldi?

    Quelli che ritirerò lunedì quando andrò in banca alla scadenza dell’assegno.

    Steve inarcò il sopracciglio. Come no.

    Susanna strizzò la spugna odorosa di detersivo al limone e la passò all’interno di un paio di bicchieri sporchi. Scommettiamo?

    Non scommetto mai quando so di vincere. Non mi diverte.

    Come vuoi. Il calice per poco non le volò di mano. Ora perdona, ma devo lavorare. Steve scolò il Bloody Mary in una sorsata, e posò il bicchiere vuoto sul banco. Tornerò.

    Per i miei soldi?

    No, per i tuoi cocktail.

    3.

    Le persone al mondo che detestano la pizza si contano sulle dita di una mano.

    Susanna era una di quelle.

    Dopo l’esperienza di lavoro presso un pizzaiolo schiavista che in tutta gratitudine l’aveva pure licenziata, l’odore di una semplice margherita cotta in forno le dava il voltastomaco.

    Eppure, in quel dannato locale, qualcosa l’aveva imparato, per esempio a camminare in perfetto equilibrio con il vassoio carico di bevande. Il trucco era banale: disporre i bicchieri più piccoli e leggeri all’interno, e le bottiglie più alte e pesanti sul bordo esterno a riequilibrare il carico.

    Gli avventori del Blue Velvet affollavano i tavoli, ascoltando musica e chiacchierando a voce bassa: alcuni indossavano abiti casual, altri eleganti, ma ogni mise era fuori dal comune e pareva ispirata a qualche oscuro musicista dark o uscita dall’atelier di uno stilista minimale.

    Susanna attraversò la sala a passo spedito e distribuì le consumazioni ai tavoli, finché non passò davanti all’elegante pianoforte a coda, su cui erano stati abbandonati piatti sporchi di salmone e calici di prosecco semivuoti.

    E un cocktail, intatto e solitario.

    Rum e Coca.

    L’odore dell’alcol le penetrò le narici fin quasi a stordirla, mentre una sagoma si materializzava incerta tra le luci oblique del locale.

    Rum e Coca... Se li metti insieme fanno il Cuba Libre...

    N-non bevo... ti prego...

    Il ragazzo avanzava verso di lei, il cocktail in una mano, le labbra piegate in un sorriso sensuale.

    Non ti senti più libre?

    Susanna scosse il capo per scacciare quell’immagine, perché vedere Edoardo, in quel momento, era come vedere i fantasmi, e non era la prima volta che lì al Blue Velvet le capitava di incontrarne, perché a volte in quel luogo tutto precipitava, ed era come se i vivi e i morti fossero la stessa cosa...

    Susanna... non ti senti più...

    Vacillò, e una sonnolenza sottile la aggredì poco a poco. Le palpebre le si fecero pesanti, mentre la mente svaporava e ogni cosa intorno diventava precaria.

    Dannata narcolessia mormorò. La colpiva sempre nei momenti peggiori. Sbatté gli occhi, mentre le dita poco a poco le si intorpidivano. Accelerò il passo, e tentò di seguire i quadri bianchi e neri del pavimento, ma il reticolo si distorceva. Desiderava soltanto una scialuppa che la traghettasse al volo fino alle sacre pastiglie di Ritalin che teneva nella tracolla dietro al bancone. Ancora pochi metri e...

    Il vassoio rovinò a terra in un clangore di schizzi e di vetri rotti, tra le grida sorprese degli avventori.

    Susanna barcollò verso la parete, confusa. Il sonno le era passato in un istante.

    M-mi dispiace, disse, rivolta agli occupanti dei tavolini accanto; i cocci di vetro erano schizzati un po’ ovunque, sulle tartine, nei bicchieri, addosso ai vestiti. Tentò di rifugiarsi nel pensiero confortante dell’assegno postdatato di Altavilla, ma il lunedì le parve lontanissimo.

    Io... non volevo...

    Stava per dirigersi al bancone a recuperare una scopa e una paletta quando Tony si materializzò al suo fianco, la collera dipinta sul volto barbuto.

    Che succede?

    Sono... sono scivolata, mentì Susanna. Se avesse detto al principale che le era parso di rivedere il fidanzato morto non l’avrebbe di certo presa bene, ma se avesse pure scoperto che era narcolettica, e che si addormentava mentre serviva ai tavoli, l’avrebbe licenziata all’istante.

    Non vedeva l’ora di incassare quell’assegno, e poter frequentare il Blue Velvet soltanto come cliente.

    Scivolata dove? indagò l’uomo. "I pavimenti prima erano perfetti."

    Non... non saprei... Si guardò intorno, imbarazzata. Non sapeva che altra scusa inventare, e la proverbiale severità di Tony esigeva chiare spiegazioni.

    Sono stata io.

    Susanna e Tony si voltarono all’unisono. Una biondina dalle lunghe trecce e una camicia indiana cangiante scese da uno sgabello alto e si parò decisa tra Tony e Susanna. Doveva avere meno di trent’anni e non arrivava al metro e sessanta, ma parlò con voce chiara e sicura, incurante dell’interlocutore grosso e barbuto.

    L’uomo la scrutò perplesso. E tu che cosa c’entri?

    Più che altro c’entra Lei La ragazza sgranò gli occhi, di un colore singolare, quasi violaceo, e gli mise sotto il naso una grande borsa di renna con le frange. L’avevo dimenticata in mezzo al passaggio, non inciamparvi sarebbe stato un miracolo.

    Ah fece Tony, interdetto.

    Era chiaro che non se la poteva prendere con una cliente.

    Sono terribilmente distratta, aggiunse la biondina, abbassando lo sguardo. Mi dispiace.

    E va bene sospirò l’uomo. Può capitare.

    Poi si rivolse a Susanna. La prossima volta, carina, cerca di pensare meno al fidanzato disse, e sparì dietro alle porte della cucina.

    La biondina era tornata ad appollaiarsi sullo sgabello; scriveva assorta su un quaderno, mordendo un pezzo di pizza.

    Grazie per prima disse Susanna. Mi hai praticamente salvato la vita.

    Lei alzò gli occhi dal foglio, che le brillavano sul viso come due pietre color ametista, e le lanciò un sorriso. Figurati. Per così poco.

    "Be’ per ora il Blue Velvet è la mia unica entrata del mese... anche se per essere laureata in cinema non mi dovrei lamentare."

    Ti capisco replicò la ragazza. Non è che noi dottorande in storia dell’arte ce la passiamo molto meglio.

    A saperlo, in un’altra vita mi iscriverei a ingegneria scherzò Susanna. O magari a economia e commercio.

    Io, in un’altra vita, non mi iscriverei proprio a nulla la biondina socchiuse gli occhi, sognante. Affitterei uno di quei bei pullmini arancioni anni Settanta, i Volkswagen, hai presente? E poi partirei all’avventura per l’Europa: Parigi, Londra, Praga, Budapest, Berlino... non sarebbe fantastico?

    Sicuro. Budapest a parte, però.

    Perché?

    Mmh. Ci sono stata di recente, e diciamo che ho passato vacanze più tranquille.

    Ah, davvero? Comunque restano tutti gli altri paesi d’Europa la rassicurò la ragazza. Al nord ho alcuni parenti, mi potrebbero ospitare per un po’.

    Beata te sorrise Susanna. Le mie parentele non escono dall’Italia e stanno tutte in posti noios... Si voltò. Ronnie la stava chiamando al bancone per le nuove ordinazioni. Senti, ora devo andare, ma ti posso offrire qualcosa da bere? Sei stata davvero carina poco fa.

    Wow, grazie... una Coca con ghiaccio, allora!

    È la mia bevanda preferita. Anche tu astemia?

    No, saggia dichiarò la ragazza. Ho appena bevuto una vodka liscia, un mojito, e una caipirinha. Fece una pausa. L’alcol nell’attesa ti aiuta a ragionare.

    Nell’attesa?

    Sì, aspettavo una persona e... Lo sguardo brillante le si appannò per un attimo. Comunque, io sono Carlotta.

    Piacere, Susanna con la coda dell’occhio si accorse che alla cassa si era formato un capannello di gente impaziente. Ora devo scappare, ma torno con la Coca.

    Grazie Carlotta scarabocchiò alcune cifre sul tovagliolino unto di pizza. "Intanto ecco il mio numero. Per il viaggio

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