Corleone quando i sogni nascevano in Piazza Soprana
()
Info su questo ebook
Correlato a Corleone quando i sogni nascevano in Piazza Soprana
Ebook correlati
Nemmeno sul letto di morte Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIo e Arintha. Le cose che non voglio dimenticare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni"i diari della bicicletta-storie di salotto e di trincea" Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniStagioni Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniForse una sera: Storie di un'italiana Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLe rondini tornano sempre ad aprile Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Profumo del Passato Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniReduce di Cefalonia: La storia del marinaio Franco Del Vecchio, che si salvò dai massacri tedeschi e dai campi di concentramento Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniNapoli, tra bellezza e magia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUna Bugatti da guerra Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAscrea.. come eravamo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Mondo di Maria Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLe finte bionde Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniBiglietto di terza classe Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniA noi non accadrà. Un marinaio nella Seconda Guerra Mondiale Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniVoglio vivere così: Racconti e ricette del Mondo Piccolo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniTra i vicoli della mia infanzia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniA quell'ora la Tele non c'era Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAnna in balia della tempesta Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniRicordi di infanzia e di scuola Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPittindiàni Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPiazza Plebiscito - Atto primo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMemorie di una prof Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniGli astronauti Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniI misteri del chiostro napoletano Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniQualche giorno a Milano Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa terra nel cuore Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUn incantesimo lungo una notte Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniFede e bellezza Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Arti dello spettacolo per voi
I 10 brani da ascoltare almeno una volta nella vita Valutazione: 5 su 5 stelle5/5I fratelli Karamazov Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Medioevo (secoli XI-XII) - Letteratura e teatro (29): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 29 Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniManuale Di Dizione Italiana: Regole Ed Esercizi Pratici Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniGirotondo Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Amphitruo - Asinaria - Aulularia - Bacchides Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni500 Film da vedere prima di morire: Quarta Edizione 2019 Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniStoria dei fumetti di Alien e Predator: 1988-2018. Un universo raccontato per la prima volta Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniKeep calm e guarda un film Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniRomeo e Giulietta Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Principe Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniGuerra e pace: Ediz. integrale Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAcqua di colonia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniI capolavori Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Gestire la cadenza dialettale - Per colloqui di lavoro e il personal branding: Acquisire un italiano neutro per colloqui di lavoro e il personal branding Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Medioevo (secoli XIII-XIV) - Letteratura e teatro (35): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 35 Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPaesi tuoi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMANUALE PER SCRITTORI 3.0 - La professione più ambita del Web: Trucchi e Segreti per scrivere da professionisti Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Maestro tra danza e musica. L’accompagnamento musicale nella lezione di danza classica dell’Ottocento, dal violino al pianoforte Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSei personaggi in cerca d’autore Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPasolini sconosciuto. Interviste, scritti, testimonianze Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniFrancesco e i burattini Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniC'eravamo tanto amati. I capolavori e i protagonisti del cinema italiano Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLeggende degli Indiani d'America Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLe leggende del castello nero e altri racconti Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Il diritto di contare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa casa in collina Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniGiorgio Gaber. Frammenti di un discorso... Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLiberati della brava bambina: Otto storie per fiorire Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniDelos Science Fiction 215 Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Recensioni su Corleone quando i sogni nascevano in Piazza Soprana
0 valutazioni0 recensioni
Anteprima del libro
Corleone quando i sogni nascevano in Piazza Soprana - Vincenzo Ruffino
info@youcanprint.it
Introduzione
Questa è una raccolta di ricordi del periodo dell’età della fanciullezza, messi insieme senza un evidente legame cronologico, solo una ricostruzione verosimile senza la pretesa del rigore storico né di riferire gli eventi così come effettivamente accaduti.
Ho scritto questo libro anche per restituire alla mia città natale, più volte sfregiata da dolorose vicende di criminalità, la sua essenza di città popolata da gente di buoni princìpi, donne e uomini semplici e di cultura, giovani, scrittori, artigiani, poeti, imprenditori, patrioti, artisti, una comunità di persone che, nonostante le molte difficoltà ha dato, e continua a dare, il suo contributo alla crescita della mia bella terra.
Corleone era una città animata, piena di vita e in fermento dopo la guerra, con feste paesane e sagre che si susseguivano una dopo l’altra in una perenne sfida fra quartieri a chi festeggiava con più pompa il proprio santo. Fidanzamenti, matrimoni e battesimi rallegravano parenti, amici e tutto il vicinato, e le feste danzanti erano ottime occasioni per nuovi incontri e nuovi innamoramenti.
I ragazzini di Piazza Soprana vivevano nella più ampia libertà, fuori casa dalla mattina alla sera tardi. Tranne nei giorni in cui per la Città di voce in voce veniva lanciato l’allarme zingari
, essi scorrazzavano a volontà nelle strade del quartiere, i genitori sicuri che nulla di male sarebbe loro accaduto.
La città era viva. I ragazzi, una volta lasciata la scuola – chi perché non-ne-voleva-sapere, chi perché aveva assolto l’obbligo – seguivano i genitori in campagna o venivano mandati come apprendisti presso gli artigiani. Similmente, molte fanciulle erano avviate a imparare i segreti di sarte e parrucchiere. Raramente gli apprendisti godevano di remunerazione, anche la loro speranza di racimolare qualche soldino – riposta nelle mance dei clienti alla consegna dei lavori – andava in molta parte delusa. La formula liturgica di ringraziamento - U Signuri tu paga! U Signuri t’ava a biniriciri!
- avrebbe dovuto gratificarli, ma li lasciava a mani vuote: avrebbero preferito di gran lunga e più prosaicamente qualche spicciolo …
Oltre alla dolce spensieratezza della fanciullezza, vissuta nella massima desiderabile libertà, nel racconto ho cercato di rievocare le difficoltà dei giovani e meno giovani di allora. La sartoria dei miei fratelli, a tal proposito, fu scuola di vita. Situata di fronte alla chiesa e alla caserma della Pubblica Sicurezza, nella maggiore via che collegava Piazza Soprana con il centro, era una formidabile finestra sulla vita del quartiere, sul viavai dei suoi personaggi. Ritrovo di tanti amici di diverse estrazioni, vi andava quotidianamente in scena uno spaccato della società corleonese, dei pregiudizi e dei problemi del paese, sebbene velati, camuffati e quasi dissimulati in un’atmosfera spensierata, sintomo del desiderio di affrontare la vita con leggerezza e ironia.
Chiedo scusa a tutti coloro che dovessero trovare qualche motivo di offesa, non voluta, nella descrizione di fatti e personaggi, che comunque rimangono indicativi e inventati per esigenze di narrazione.Pertanto, ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale..
Ringrazio i cari amici che numerosi mi hanno sostenuto in questa mia impresa, a cominciare da Nonuccio Anselmo che con il suo blog informa settimanalmente sulla vita passata e presente di Corleone, sui suoi eroi di ieri e di oggi, dal quale ho attinto a piene mani e che ne è pertanto il principale riferimento anche se non espressamente citato. Sono grato a Nonuccio per la profonda ristrutturazione di questo romanzo.
Un particolare ringraziamento va a Giovanni Saladino per avermi guidato sul rigore linguistico e la coerenza storica della narrazione: sono grato a Giovanni anche per la sua minuziosa revisione della prima stesura del romanzo.
Un caro ringraziamento va a Francesco Bentivegna per i suoi incoraggiamenti e i suoi consigli. Un sincero grazie alla mia nipote Filomena Di Gregoli Talamo per la sua minuziosa ricerca di refusi. Grazie a Valentina Strada per i suoi suggerimenti, e a Renato Frezza, prezioso nelle fasi di impaginazione. Sono grato a Dina Anselmo Gariffo, a Gina Marino Polzner, a Celeste Vaccaro Marino e a mia nipote Iana Fauci Navarra, per avermi spronato a scrivere. Un grazie anche alla mia pro-nipote inglese
Maria Luisa Cocchiara per l’illustrazione.
Grazie a Carmelo Puleo, Mimmo Miranna, Luchino Gariffo e i miei cognati Ettore e Salvatore Piccione e tanti amici ancora per i particolari sui personaggi di allora.
Sicuramente ho dimenticato qualcuno; in ogni caso un grazie a tutti.
Dedico questo libro a mia mamma, mai conosciuta; a mio papà, che fu madre e padre tenero; a mia sorella Pina; ai miei fratelli e sorelle da tempo scomparsi, sempre uniti da profondo e incondizionato affetto; soprattutto al mio gemello Leo e a Maria, ispiratori di molte storie qui raccontate.
I bambini di Piazza Soprana
La fontana ottagonale era il centro del ritrovo, soprattutto d’estate. Allo spuntar del sole arrivavano gli uccellini, uno dietro l’altro come a richiamarsi a vicenda. Svolazzando e danzando in allegria vi facevano sosta per dissetarsi e con il loro cinguettio allietavano il risveglio del vicinato. Al mattino la coda di quartare e di bummali e il chiacchiericcio e l’animato vociare delle donne che nell’attesa di riempirli d’acqua lamentavano l’un l’altra quanto lavoro le attendeva quel giorno e la disperazione per i monelli che discoli la sera prima erano ritornati a casa impolverati e sporchi dalla testa ai piedi. Quella sosta tutte insieme alla fontana per approvvigionarsi dell’acqua che i cocci avrebbero mantenuta fresca tutto il giorno, era l’occasione cercata per confidare, sotto sacro giuramento, segreti di fatti inenarrabili che a stento avevano tenuto in pancia.
Che atmosfera incantevole godevano nel mese della transumanza coloro che, seduti al circolo, vedevano sfilare, annunciati dal suono lontano dei campanacci, interi greggi che da monte si trasferivano a valle sotto gli occhi vigili dei cani di mànnara e dei pecorai, alcuni a piedi e altri a cavallo!
Piazza Soprana, gremita a ogni ora del giorno, era il ritrovo di tutti nel quartiere, in specie della fragorosa nidiata del dopoguerra. I picciriddi finivano puntualmente con il bagnarsi a vicenda con spruzzi d’acqua l’uno contro l’altro. I più arditi scalavano la colonna centrale e vi sedevano in cima con fare di vittoria. Stanchi, si dissetavano con abbondanti sorsate di quell’acqua fresca e invitante. I più piccoli, non sapendo bere a garganella, vi si affunciavano. Non mancavano i birbanti più grandicelli, che di nascosto spalmavano il cannolo con peperoncino piccantissimo: il bruciore che colpiva i malcapitati alle labbra era fuoco che nemmeno l’acqua riusciva a spegnere. I colpevoli venivano smascherati quasi subito: erano i primi a correre via allo spuntare di mamme e sorelle richiamate dalle urla dei piccoli.
Le estati erano calde e perciò i ragazzini andavano vestiti leggerissimi, con pantaloncini e magliette, ma sempre con scarponcini, gli stessi inverno e estate: quelli erano d’obbligo perché le scarpe leggere si sarebbero consumate subito. Quando il caldo si faceva insopportabile, i più non resistevano al desiderio di toglierseli e di rinfrescarsi i piedi. Alcuni finivano in acqua perché scivolavano nel fondo viscido per il lippo o perché spinti dai dispettosi: bagnati fradici, venivano tirati fuori dalla fontana da qualche passante. I pianti dirotti non evitavano le sculacciate delle mamme, che richiamate dalle grida non mancavano anche di minacciare i colpevoli, nel frattempo in fuga a gambe levate.
I giochi continuavano nelle forme più disparate. I più piccoli preferivano Nascondino
, i Quattro Canti
mentre alle ragazzine piaceva "Moscacieca" e saltare su quadratini disegnati a terra. I grandicelli preferivano lo "Schiaffo,
Mani in Alto!,
Acchiana u Patri cu Tutti i Figghi, il
Buccino", l’antichissimo gioco dei "Baddunzi". I più grandi ancora si avventuravano nei giochi con i soldi nella speranza di vincere la somma per il cinema: lo Sguazzetto
e il Quadrato
.
Il gioco del pallone divenne popolarissimo. Ogni angolo e piazzetta erano gremiti da bambini vocianti ingaggiati in lunghissime partite correndo tutti assieme dietro alla palla: due massi delimitavano la porta, non c’era arbitro, né tute. Benché non rassomigliasse nemmeno lontanamente a un campetto, Via Borgognoni, in piano, lunga e con fondo liscio, era l’area preferita. Al lato della chiesa di Santa Rosalia, dalla fontana alla cappella di San Cristoforo, potevano giocare diversi gruppi contemporaneamente. Tutti i pomeriggi, sia d’estate che d’inverno, non mancava nessuno: bambini e ragazzini arrivavano da ogni strada e rumorosi animavano la piazza con urla di "forza, passami a palla" e grida di gioia a ogni gol segnato.
Era la disperazione dei nonni di Anna Maria e anche di don Totò che non poteva schiacciare il pisolino; né potevano riposare le sue figlie, le rigorose e amate professoresse. Dal balcone richiamava i bambini a fare silenzio, intimando loro di andare a giocare altrove e minacciando di tagliuzzare la palla; per un po’ il tono delle voci si abbassava per poi riprendere con rinnovato vigore. Non di rado don Totò perdeva la pazienza e allora le secchiate d’acqua volavano, beccando alcuni malcapitati. Tutto era inutile, perché presto il gioco riprendeva. Solo gli spuntoni della grata di San Cristoforo avevano il potere di zittire e disperdere i bambini: quegli spuntoni erano micidiali, immancabilmente e inesorabilmente la palla di gomma vi andava a bucarsi, sgonfiandosi per sempre. Il gioco finiva lì, salvo a riprendere con una fatta di carta di giornali.
Luca era fra i più discoli e i più ascoltati di Piazza Soprana e Giuliana invece era a capo delle femminucce; entrambi dettavano legge nei giochi fra coetanei. Amici sin dai primi vagiti, amavano passare assieme lunghe ore sia nei giochi all’aperto che in casa.
Luca fu il primo di due gemelli a nascere, un bambinone paffutello e bello. Tanta fu la felicità nell’accogliere il nuovo arrivato che nessuno si accorse che ce n’era un altro, nemmeno donna ‘Ntonia, la levatrice, che di bambini ne aveva fatti nascere a centinaia e aveva una grande esperienza. Tutte si dedicarono a pulire Luca, con grida di gioia e di esultanza sia perché era veramente bello, sia perché tutto era andato bene. La mamma, che non aveva mai sospettato di portare in grembo due creature, nonostante la pancia fosse stata più voluminosa del solito, se ne accorse solo quando la seconda, rimasta sola nel ventre, cominciò a scalpitare.
Donna ‘Ntonia nel frattempo era già andata via ad assistere un’altra partoriente, quando la giovane Maria corse a chiamarla. Donna ‘Ntonia aveva coperto lesta la distanza fra le due abitazioni e trafelata stava scalando i due piani, le ali ai piedi mosse dalle urla sempre più acute della partoriente in avanzatissimo travaglio, quando Maria la raggiunse:
«Donna ‘Ntonia, n’avutru picciriddu c’è! Curriti prestu!»
«Chi dici, Marì? Dui sunnu? commu è possibili, unna s’ammucciava l’avutro!?»
«Dui sunnu, me matri avi bisognu du so’ aiutu, sennò u picciriddu mori!»
Sorpresa e sbigottita da quelle parole, la levatrice fece per tornare indietro e correre ai ripari cosciente del grave danno che la sua inavvertenza avrebbe potuto provocare al secondo gemello, quando un grido acuto dell’altra partoriente la richiamò in alto e i parenti corsero a trascinarla su:
«Prestu, donna ‘Ntonia, u picciriddu sta nascennu. Curriti!»
Non ebbe scelta, corse su, fece il più presto possibile, una bella bambina già si stava affacciando alla vita: nacque la piccola Giuliana.
Il gemello di Luca dovette fare tutto da solo per farsi strada, faticando un paio d’ore per superare – prima con la testa ben voluminosa e poi con le spalle – quel cunicolo che non finiva più e per respirare aria a pieni polmoni. Con uno strillo significativo fece sentire alla levatrice, che proprio in quel momento sopraggiungeva trafelata, la sua protesta per tanta sbadataggine!
«Che beddu puru chistu!», esclamarono tutte, mentre il bambino strillava a più non posso. Anche Luca strillava, probabilmente senza saperne il motivo; si calmarono solo quando sul petto della mamma sentirono di essere di nuovo assieme, rassicurati ciascuno dal calore dell’altro.
In realtà il secondo non era poi così beddu come il primo, anzi, più piccolo, si presentò paonazzo e quasi cianotico per la mancanza d’aria, ma con una voglia di vivere e una fame non comuni.
I due gemelli e Giuliana furono battezzati nella chiesa di Santa Rosalia da Padre Salvatore. Sempre vicino alle famiglie, i bambini nutrirono un affetto particolare per lui, considerandolo un faro.
Padre Salvatore era una persona eccezionale: riservato e schivo da tentazioni di dominio, era umile ma di carattere fermo. Asciutto, alto, dinamico con la gambata agile, chiamato appunto "Padre Bicicletta", con fare apparentemente severo, aveva particolare cura dei bambini che lo circondavano festosi. Abitava con la sorella in Via San Michele Arcangelo, a metà della salita, e viveva con poco, destinando le elemosine alla chiesa e ai poveri. Colto, arguto e sveglio, si teneva lontano dai politici limitando all’essenziale i contatti con le persone che contavano ed esclusivamente nell’ambito delle sue funzioni e preferendo dedicare il suo tempo ai giovani e alla lettura. Unico suo vezzo era il fumo: amava le sigarette con aroma particolare.
Luca rimase orfano della madre in tenerissima età; non aveva compiuto nemmeno un anno quando lei se ne andò. La zia paterna Binna lo volle con sé nella sua casa, intenzionata a crescerlo come un figlio suo. Vi rimase per poco perché sua sorella Maria lo riprese quando venne a sapere che in quella casa dimoravano spiriti burloni. La zà Binna non ne aveva paura, anzi si vantava di interagire e dialogare apertamente con loro, ma diceva che gli spiriti spesso le facevano sparire il bambino ed ella li sfidava minacciandoli di ritorsioni:
«Delinquenti, unna mittistivu u picciriddu? Vi pigghiu a vastunati si un m’u faciti truvari!»
Lo trovava puntualmente chiuso in un armadio o in qualche cassettone.
Poco poteva però Maria per proteggere il fratellino dalla rigidità della matrigna che il padre, Turiddu, volle presto accanto a sé. Persa la moglie, sbandò sopraffatto dall’ansia di dover accudire a una prole numerosa con due bambini piccolissimi. La matrigna presto si dimostrò tale, con una particolare severità verso Luca sin dalla più tenera età, punendolo a ogni minima monelleria.
Indomito, Luca crebbe autonomo, il carattere forgiato ad affrontare ogni avversità, propenso a vivere una vita tutta sua, per niente malleabile, intollerante ai soprusi e alle prepotenze altrui, ma sempre generoso e pronto alla difesa dei più deboli. Legatissimo al suo gemello e sempre premuroso e protettivo con lui, si addossava tutte le colpe delle loro marachelle, comprese quelle non sue, e gli risparmiava qualsiasi fatica. Se c’era un peso da sollevare era Luca a farsi avanti: «E’ troppu pesanti pi tia, lassa a mmia, ci penzu io». Pronto a intervenire se qualcuno lo attaccava, menava cazzotti all’impazzata, incurante della mole e dell’età dell’avversario: non voleva in maniera assoluta che qualcuno toccasse il fratello.
Giuliana era la più piccola di tre sorelle. Bella, affettuosa e di una intelligenza non comune, bambina modello sin dall’asilo, presto divenne la coccolina di casa. Il padre, titolare di un frequentato salone da barba che si affacciava proprio sulla fontana di Piazza Soprana, avendo un debole per lei, le risparmiò la ferrea disciplina con la quale aveva angustiato le sorelle maggiori, concedendole la libertà di giocare fuori con le amichette, ma sempre pronto a tenerla d’occhio.
Ribelle anche lei, crescendo, non disdegnava di sfidare i maschietti sia alla fontana che nei loro giochi preferiti. Sfuggendo all’occhio vigile del padre, lei si lanciava in coppia con Luca nelle sfide a squadre, non temendo la competizione; la loro forte intesa era un baluardo. Anche Giuliana spesso tornava a casa bagnata fradicia ma soddisfatta di aver messo in fuga quei discolacci che avevano avuto la temerarietà di sfidarla pensando di avere la meglio perché era una femminuccia.
Sempre assieme, Luca e Giuliana amavano girovagare mano nella mano per le vie del quartiere e andare a curiosare attratti dagli artigiani che lo popolavano. Sulla Piazza Soprana e sulle vie adiacenti si affacciavano infatti numerose putìe - mercerie, negozi di generi alimentari, un forno elettrico, un curdaru, due scarpara, un oste - oltre a un paio di trappeti, un frantoio, il teatro dei pupi, una sala da ballo per soli uomini e il circolo degli agricoltori.
Il lavoro dei calzolai, i scarpara, in particolare li lasciava a bocca aperta e, quando potevano, Luca e Giuliana correvano a sedersi sui gradini delle loro putìe per assistere alla creazione degli scarponi. Tutto di loro li attraeva: la scenografia, i movimenti delle mani, le smorfie sul volto e pure le cantate scaccia-fatica.
Uno dei loro preferiti era "mastru Viché u Foddu". Appena lo scorgevano, uno sguardo di intesa fra i due e di corsa affascinati a sedersi in prima fila per vederlo all’opera. All’apparenza burbero – ma sotto sotto contento della loro compagnia – finiva sempre per intrattenerli affabilmente:
«Commu mai siti cca? Chiffà, ‘unn’aviti chiffari oggi?» Li accoglieva con volto truce.
«Mastru Viché, nni fa viviri commu fa i scarpuna?» Lo pregava Luca.
«Avanti, assittativi boni boni, senza fari baccanu chi vi cantu ‘na canzuni!»
E iniziava con:
«Bedda arrispigghiati
Ca lu sonnu è viziu!
Provu u sdillizziu
Vicino addo te.
Commu po’ dormiri
Ccu sta’ friscanzana,
Sta’ tramuntana
Pa’ trippa ti va!»
E poi con voce struggente:
«E non mi dire lairo
E non mi dire brutto!
Se no mi pilo tutto
Tuttu mi pilerò!»
E poi tenero:
«Se avessi un lapiso
Di marca fabbitro
Tutte dipingeria
Le tue beltà!»
Infine chiudeva:
«E non mi dire lairo
E non mi dire brutto!
Se no mi pilo tutto
Tuttu mi pilerò!
Tuttu mi pileròòòòòòòòòòò!
‘Nzà, ‘nza!»
E faceva finta di tirarsi i capelli.
A volte continuava con:
«Bedda affacciata al lastrico
Mi fece un dolce signo
Vinni so pà cu ligno
E tuttu mi lignò.
E non mi dire lairo
E non mi dire brutto!
Se no mi pilo tutto
Tuttu mi pilerò!
Tuttu mi pileròòòòòòòòòòò!
‘Nzà, ‘nza!»
Luca e Giuliana ridevano dalla gioia, ne erano letteralmente affascinati.
Mastru Viché u Foddu era amico di tutti, ma non aveva nessun amico. Piccolo di statura, ricurvo su se stesso, la faccia nera e la barba di una settimana, con il mezzo sigaro sempre in bocca, il naso schiacciato e largo, la bocca semiaperta a mo’ di sogghigno, assomigliava al vecchietto dei film western che guidava i cavalli della diligenza. Vestito alla meno peggio, pantaloni lisi e neri, camice luride, berretto senza colore per l’unto che lo copriva, nei suoi pochi spostamenti da un negozio all’altro per procurarsi da mangiare, camminava a passo lesto per non fermarsi con nessuno, riluttante com’era a socializzare con chi lo salutava: non andava oltre qualche battuta a chi gli chiedeva come stava.
La piccola putìa nel vicoletto di Via Cammarata: Mastru Viché u Foddu era un artista nel suo lavoro. Il rito, consolidato negli anni, era immutabile: iniziava sempre con l’inumidirsi abbondantemente le mani con il suo sputo, se le strofinava ripetute volte, se le fasciava con strisce di cuoio, ormai nere per l’uso. Incerava accuratamente lo spago e vi applicava la zaccurafa, leccandola per renderla scorrevole. Con la lesina bucava i bordi della tomaia e per i fori faceva passare la zaccurafa e lo spago incerato e con tutta la sua forza stringeva i nodi con smorfie che davano la misura dello sforzo. Terminava le scarpe con l’applicazione di tacce
(chiodi) e puntette
di metallo, per preservare punte e tacchi. Gli scarponi finiti da mastru Viché ‘u Foddu erano robusti, duravano un’eternità.
Sarcastico verso chi gli chiedeva riparazioni impossibili, guardava le scarpe e poi negli occhi il cliente e poi le scarpe ancora; restava in silenzio e poi con fare abbattuto:
«Ma chi ci vo fari cu sti scarpi? … Ti ‘nni vai a ballari, a un matrimoniu? T’hai a maritari? Hai a salutari u sinnacu?»
«Mastru Viché, mi l’ava a riparari picchì un ci n’aiu sordi pi ‘na scarpa nova!»
«U nu viri, sunnu frarici, è megghiu jittarilli!»