Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Spada di Pietra
La Spada di Pietra
La Spada di Pietra
E-book346 pagine4 ore

La Spada di Pietra

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una leggendaria spada, un formidabile guerriero, la fede e il destino sono la ricetta per una storia epica senza precedenti.

Harakh  è il prescelto e tu il suo retaggio, ciò per cui combatterà fino alla fine dei tempi.
LinguaItaliano
EditoreMyth Press
Data di uscita29 mag 2023
ISBN9788885465206
La Spada di Pietra

Correlato a La Spada di Pietra

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La Spada di Pietra

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Spada di Pietra - Diego Zanforlin

    CREDITI

    Prima Edizione Digitale – Maggio 2023

    Vi invitiamo a visitare il nostro sito, i nostri canali social e a lasciare un commento sulla vostra esperienza di lettura.

    Qualsiasi riferimento a cose o persone reali è puramente casuale.

    www.mythpress.eu ~ shop.mythpress.eu.

    Myth Press® è un marchio concesso in esclusiva a

    Creative Place via Giulio Salvadori 28 – 52100 Arezzo

    Editore Luigi D’Acunto

    Curatore editoriale Mirko Biagiotti

    Autore Diego Zanforlin

    Illustrazione di copertina Sabrina Stella

    Revisione a cura di Filippo Gliozzi

    ISBN 978-88-85465-20-6

    Le prime luci del giorno dipingevano un’ampia distesa erbosa ai limiti di un fitto bosco. Un uomo sulla trentina ne usciva in sella al suo cavallo; vestiva una sottile armatura che non lo copriva interamente. Dietro di lui, il bosco si animò di una moltitudine di creature di specie e razze diverse, famose per il loro ancestrale antagonismo: umani e licantropi, elfi e nani, folletti e giganti. Procedevano in modo ordinato e compatto, secondo la natura di ciascuno. Non erano una bizzarra accozzaglia di creature unite dal caso, ma un vero e proprio esercito al seguito del proprio condottiero. Si ersero i vessilli dei numerosi clan accorsi; non potevano essere più diversi l’uno dall’altro, se non per un elemento che li accomunava: una spada d’argento dalla strana forma che vi campeggiava sopra.

    Dal lato opposto si delineavano le forme di un altro esercito in avanzata, anch’esso popolato da strane creature: erano ancora lontane per distinguerle, ma dalle loro dimensioni si sarebbero detti troll e orchi, di certo seguiti dagli onnipresenti goblin. Il loro vessillo non era altro che una lunga e lugubre bandiera nera strappata nel mezzo come presagio di morte.

    L’uomo a cavallo si fermò, ma il suo sguardo correva all’orizzonte. I comandanti delle varie razze e fazioni gli si strinsero attorno in attesa di un suo cenno.

    Uno di loro si fece più vicino. «Sei pronto a morire, Harakh?»

    «Tutto mi sarei aspettato fuorché questo, ma ormai ci siamo...»

    «Non abbiamo scelta, lo sai.»

    «Avremo preso la decisione giusta?»

    Nessuna risposta.

    «Statemi vicino quando mi circonderanno.»

    «Andrà tutto bene.»

    I due si guardarono a lungo come se tutto fosse silenzio.

    Furono queste le parole che incuriosirono Astor, un bardo in cerca d’ispirazione, mentre sfogliava a casaccio un antico codice riposto in un forziere nel fondo di un magazzino di robivecchi. La copertina era sdrucita, i fogli slegati, le parole sbiadite. C’erano anche un diario e qualche rotolo avvolti in un manto scarlatto. Sfogliò qualche pagina, lesse qua e là e non si fermò più. Raccolse i testi, si sedette su una panca, appoggiò la candela in luogo sicuro e cominciò dal principio. Era una storia fantastica, il racconto di un’avventura, di un viaggio, di una spada: le cronache del mondo in un’era precedente.

    Ne rimase così affascinato che tutto trasformò in ballate e canzoni e peregrinò per tutto il continente seguendo le orme dell’eroe di quei testi. Con raffinata poesia tramandò di luogo in luogo quanto vi era accaduto, consegnando l’eroe al mito e se stesso alla storia.

    È Harakh l’eroe di cui Astor ci ha consegnato le gesta, ed è di lui e della sua compagnia che in questo libro si racconta per ordinata e scrupolosa cronologia, secondo gli appunti e le ricerche del bardo poeta.

    All’avventuriero che ha la fortuna di giungere a Darsin:

    se crede in un Dio, non lo dimentichi di ringraziare,

    perché gli è stata concessa una grande benedizione.

    La corruzione e la rovina che dilagano nel mondo

    misteriosamente non valicano gli alti picchi che la circondano.

    Darsin deve essere per l’avventuriero una sorta di santuario:

    guai a colui che vi porti i mali che da soli non entrano.

    Goda della compagnia di quei cari minatori, fabbri e onesti lavoratori.

    Vi rimanga più che può, fino a che l’avventura o il dovere

    non lo richiami prepotente a nuove spedizioni.

    Prima di partire, però, l’avventuriero non dimentichi di visitare il fabbro

    di nome Harakh e non badi a risparmio alcuno,

    perché alle sue creazioni molti, me compreso, devono la vita.

    Da Appunti di un avventuriero,

    di Toraqqeru il nano pellegrino

    Il furto

    Harakh se ne stava chino dietro al bancone della bottega a riordinare alcuni attrezzi invenduti. Il negozio era deserto, da fuori non giungevano più le voci dei passanti e ormai era l’ora in cui era difficile distinguersi.

    La campanella della porta della bottega squillò all’improvviso. L’aria gelida del rigido inverno s’infilò tra gli scaffali e lo raggiunse nonostante la sua posizione defilata. Si strofinò con forza le braccia e fece capolino con la testa da dietro il bancone per accogliere il cliente dell’ultimo minuto. «Buonasera.»

    Nessuna risposta. La campanella suonò di nuovo e la porta si chiuse.

    Harakh si schiarì la voce. «Buonasera!»

    Tra gli espositori c’era un uomo avvolto in un consunto mantello nero, ricurvo su degli utensili da minatore.

    Quello si voltò, ma il viso rimase coperto dall’ombra proiettata dall’ampio cappello. L’uomo ricambiò il saluto con un leggero movimento della testa. Per una frazione di secondo le fiamme delle lampade a olio si riflessero sui suoi occhi: erano rilucenti, neri e freddi.

    Harakh indugiò un istante prima di riprendere parola, perché non c’era nulla in quell’uomo che lo facesse sembrare un minatore, tranne la modesta statura. «Come posso aiutarla?»

    «Questo è il meglio che ha da offrire?», lo sconosciuto buttò sul tavolo un paio di scalpelli.

    «Dipende da chi lo chiede e in che modo, Signor...?»

    «Humpf!...Mao’og, delle pianure dell’Est, al di là delle montagne.»

    «Dicono che la vita da quelle parti non sia affatto facile.»

    «Dicono bene… Adesso che abbiamo fatto conversazione, posso avere quello che cerco?»

    «Da questa parte», Harakh si trascinò malvolentieri verso un altro scaffale.

    «Punte, scalpelli, mazze, picchetti, palanche… Tutto prodotto con la mia lega speciale; efficacia personalmente testata e garantita.»

    Sotto il mantello le mani di Mao’og si mossero frenetiche e Harakh, interpretandolo istintivamente come un segnale di pericolo, mise mano a un piccone con la scusa di mostrarne la precisa fattura.

    «Signor Harakh,», l’uomo deformò le labbra, «non credo che lei si sia fatto un nome per queste cianfrusaglie: voglio i suoi pezzi migliori».

    Nonostante le apparenze, lo straniero se ne intendeva di metalli, e in qualche modo aveva capito che Harakh aveva degli arnesi di ben altra fattura. Come l’avrà scoperto? Il giovane fabbro aggrottò le sopracciglia.

    «Che cosa vi fa pensare che io abbia altro da offrire?»

    L’uomo si drizzò.. «Starò al vostro gioco, ma non per molto. Questa lega non può essere la stessa della spada che ha trafitto un krog1; è quello il materiale che voglio!»

    «Quelle sono dicerie… la storia di un avventuriero alla ricerca di un pasto gratis, niente di più. Questi attrezzi sono forgiati con la stessa lega delle mie spade, non posso offrirvi di meglio, ma se non ne siete ancora convinto, lo verificherete voi stesso.»

    Harakh si fermò di fronte a una dozzina di blocchi di pietra di colore diverso e ben etichettati: miniera di Canter, miniera di Braville, miniera di Grek, miniera di Laput, Arzulite; roccia di Bry, ecc.

    «Sono campioni selezionati dalle nostre miniere e dalle catene montuose esterne alla Valle. Provate voi stesso l’efficacia dei miei utensili.»

    «Che delusione. Avrei dovuto sapere che non mi avreste mai venduto quegli attrezzi.»

    «Non capisco», rispose sgranando gli occhi.

    «Chi ha trovato la gallina dalle uova d’oro se la tiene ben nascosta, non è così?», Mao’og abbozzò un sorriso al quale non doveva essere abituato. Si voltò e inforcò l’uscita. Indugiò sulla soglia. «Tra quelle pietre… ne manca una di colore nero».

    Un brivido scosse il fabbro.

    «Ripasserò», disse lo straniero da sopra le spalle, e uscì.

    Prima ancora di rendersene conto Harakh si era precipitato fuori per seguirlo, ma Mao’og era scomparso.

    Harakh chiuse in fretta il negozio e cominciò a riunire varie cose in un angolo del retrobottega: un’armatura leggera delle sue preferite, una daga, uno scudo rotondo grande quanto una pentola per il gonglir2, delle razioni di cibo e tutto quanto gli sarebbe servito per mettersi in viaggio al più presto. Frugò tra i cimeli e le rarità frutto di lunghi scambi con nani ed elfi, alla ricerca di qualcosa di utile in caso di imprevisti come medicine, unguenti, lenitivi, ricostituenti e quant’altro. Salì al secondo piano, cenò con degli avanzi, ravvivò il fuoco e si coricò, pronto a partire l’indomani ai primi raggi di sole.

    Non fu un sonno tranquillo: degli incubi lo avevano agitato più volte. Nell’ultimo di questi aveva sentito un rumore di vetri rotti; doveva trattarsi della finestra del retrobottega, che dava su un vicolo buio e defilato ed era l’unica dalla quale ci si poteva intrufolare in casa. Aprì gli occhi. Il fuoco nel camino indicava che non dovevano essere passate più di 3 o 4 ore da quando si era addormentato: Harakh odiava le interruzioni nel sonno. Riaddormentarsi in fretta; non desiderava altro, ma dal piano di sotto giunse un altro rumore di qualcosa che andava in frantumi: sordo, intenso, metallico, reale.

    Si precipitò saltando le scale a balzi, staccò dalla parete una spada e uno scudo da parata e irruppe nel retrobottega: non c’era nessuno. Uno sguardo gli bastò per accertarsi che non fosse stato toccato alcun oggetto di valore, ma sul pavimento erano sparsi numerosi attrezzi da estrazione.

    Crash!, si udì di nuovo.

    Harakh corse nella fucina: la finestra era in pezzi, e una figura scura spariva tra le ombre del vicolo adiacente.

    «Fermati!».

    Lo inseguì così come si trovava: in pigiama, con una spada, uno scudo e a piedi nudi sulla neve.

    Le grida di aiuto svegliarono i vicini, che cominciarono a popolare la via. Le luci delle case rivelarono il fuggitivo mentre sgattaiolava via con un sacco in spalla. Individuato e minacciato dalle mazze e dai bastoni dei fabbri, s’infilò tra i vicoli per poi allontanarsi, saltando da un tetto all’altro con l’agilità di un gatto.

    Gli uomini non si persero d’animo e presto organizzarono un inseguimento a cavallo che purtroppo non diede alcun frutto, tranne per il ritrovamento di un mantello nero rattoppato e sdrucito con all’interno un paio di piccoli scalpelli con impresso il marchio HrK: la sigla di Harakh.

    Quella notte il giovane fabbro dovette ripetere più volte il racconto del suo incontro con Mao’og; quando rientrò, albeggiava di già.


    1 Mostro di tipo verme che si annida tra le rocce avvolto da una corazza lamellare impenetrabile. In rari casi raggiunge i 5 metri di lunghezza. Spesso viene usato dai minatori per scavare gallerie in rocce molto dure. I nani ne sono i principali allevatori.

    2 Il gonglir è un tipo di casseruola che si prepara con selvaggina o cacciagione. Per lo più si usa per il coniglio, ma si può impiegare per altri animali di piccola taglia. Contiene cipolle, carote, patate, pepe, pane tritato e spezie di bosco. Si deve lasciar bollire a fuoco lento per più di 3 ore. La pentola ha un diametro di circa 30 cm.

    Il rifugio

    Era mezzogiorno quando si svegliò; il furto e le spiegazioni della notte precedente l’avevano sfinito. Si costrinse a mangiare solo per poter affrontare senza i morsi della fame il viaggio che lo attendeva.

    Ripensava incessantemente al furto, il primo in 15 anni di attività, ma soprattutto lo preoccupava che quel Mao’og fosse al corrente di una pietra interamente nera.

    «Maledizione!», borbottò, sbattendo il bicchiere sul tavolo.

    Harakh si vestì in fretta, scelse gli abiti più resistenti, indossò gli stivali e si diresse alla stalla. Zampaforte lo attendeva con il muso conficcato nella soffice biada. Lo salutò con uno sbuffo mentre l’uomo lo accarezzava tra le narici.

    «Prepariamoci, bello», disse mentre lo imbrigliava. «Lo so che preferiresti una strigliata prima, ma la miniera è lontana e non abbiamo tempo da perdere.»

    «Harakh, Harakh! Ci sei?», si udì dal negozio.

    «È chiuso!», rispose rientrando dal cortile.

    «Abbiamo letto. Siamo Dorl e Borl.» Il fabbro aprì la porta. «Ci conosciamo?».

    I due entrarono con familiarità. Tutto di loro indicava che erano fratelli: i nomi, la bassa statura, e l’addome ampio che li precedeva.

    «La tua sorpresa è comprensibile, Harakh. Sono almeno 10 anni che non ci si vede. Siamo i Kennewin, lavoravamo con tuo padre.»

    «Certo, ora ricordo! Siete spariti dopo la morte di papà. Cosa vi porta qui?»

    «Bah!... è una lunga storia. Diciamo che vorremmo ripagare un favore che dobbiamo al tuo vecchio.»

    «Non ho idea di che cosa parliate.»

    «Permettici di aiutarti a risistemare il negozio, questo ci basta.» Borl fece per entare.

    «Siete gentili, ma qui non c’è nulla da fare: guardate voi stessi.» Harakh indicò gli scaffali, «E poi avrei una certa fretta, stavo per uscire. Non voglio sembrare scortese, vi sono riconoscente, ma devo proprio andare.»

    «Non c’è proprio nulla che possiamo fare?»

    «Se proprio ci tenete, qualcosa c’è: venite!» Harakh li condusse nell’officina.

    «Questo sì che è un bel casino!», esclamò Borl.

    Il pavimento era ricoperto di impronte e polvere di carbone. Tutti gli scaffali erano stati spostati e gli oggetti sparsi a terra. Dalle assi del pavimento sporgeva la porta di un vano ormai spalancato e vuoto.

    «Non so come ci sia riuscito, ma il ladro ha trovato la botola sotto il banco di lavoro dove tenevo i miei attrezzi.»

    «Tutto chiaro!», Dorl afferrò le mani del fabbro. «Al tuo ritorno questa stanza sarà come nuova.»

    Qualche minuto dopo Harakh era già in sella a Zampaforte, che era stato caricato di tutto il necessario. L’equino era robusto, di color bruno rossiccio e con una striscia bianca sul muso. La criniera e la coda erano folte e lunghe, così come il pelo che ricopriva gli zoccoli. Il fabbro celava la sua fine corazza sotto una comoda giubba con collo di pelliccia e custodiva lo scudo, la spada e l’elmo in una sacca laterale.

    Dorl e Borl non avevano il minimo indizio sulla meta dell’uomo e non potevano sospettare le intenzioni con cui si era messo in viaggio, se non qualche affare urgente organizzato prima del furto.

    «Ci vediamo tra un paio di giorni», disse agitando il braccio.

    I fratelli Kennewin lo salutavano dalla porta del negozio.

    Spronando il fedele Zampaforte, Harakh si diresse a ovest, la direzione in cui Mao’og era scomparso. Oltrepassò la periferia di Darsin fino a lasciarsi la città alle spalle. Un’ora più tardi aveva raggiunto la breve pianura che precede il Bosco Basso, caratterizzato dalla rada vegetazione che svetta qua e là tra gli enormi massi e reliquie di antiche frane o di esplosioni vulcaniche che avevano generato l’enorme conca nella quale Darsin sorgeva. Le montagne, che le leggende volevano sede di antichi popoli come i Giganti e gli Yeti, la circondavano per intero, raggiungendo altezze inaccessibili all’essere umano. Non vi erano documenti scritti, ma non mancavano viaggiatori che dicevano di averli visti sfidarsi in lontananza. Harakh amava questi racconti, ne collezionava in grande quantità, e si faceva prendere da questi pensieri ogni singola volta che contemplava le cime.

    Il terreno iniziava già la sua brusca inerpicata tra i fitti boschi del primo anello delle Montagne Alte quando Harakh si arrestò presso una sorgente abituale.

    «Vieni, bevi! Sei stato bravo Zampaforte.» Il cavallo sbuffò ciondolando la testa prima d’infilare il muso nell’acqua e bere profusamente. «Bravo, amico mio, riposa. Devo chiederti ancora uno sforzo: prenderemo una scorciatoia un po’ pericolosa.»

    Le luci del tramonto stavano per spegnersi e Harakh fissava l’oscura Gola del Serpente: un passaggio lungo e stretto che giunge al secondo anello delle Montagne Alte. Di giorno il posto non era pericoloso, ma di notte era tutta un’altra storia. L’uomo accese una lanterna e si preparò a spronare il destriero.

    «Metticela tutta, bello mio! Hiiyaaah!»

    Zampaforte scattò come un lampo e si precipitò nell’oscurità. La piccola luce gli segnava i primi metri e la neve si levava in bianche nuvole sotto i potenti colpi dei suoi zoccoli. Quel cono luminoso generava una sensazione di sicurezza, ma Harakh sapeva che era solo un’illusione e che non l’avrebbe protetto dai banditi o dai folletti in agguato tra gli anfratti. L’unica cosa su cui poteva contare era la velocità del suo cavallo.

    Per un paio di volte avrebbe giurato di aver intravisto qualche movimento lungo le pareti: folletti forse, ma non dovevano essere stati pronti ad agire.

    «Avanti Zampaforte, dobbiamo uscire prima che faccia buio, non possiamo accamparci qui dentro.»

    L’uscita si profilava all’orizzonte e Harakh tirò un sospiro di sollievo... troppo presto. Un’ombra sbucò da un cespuglio e Zampaforte s’impennò, disarcionandolo.

    «Non ti avvicinare!», gridò afferrando un bastone vicino a lui.

    «Non farmi del male, ti prego!», squittì una vocina stridula.

    Harakh raccolse la lampada e la puntò in avanti. Una piccola figura tremante se ne stava rannicchiata a pochi passi da Zampaforte. Si copriva la testa con le mani e scalciava per allontanarsi.

    «Cosa sei? Che intenzioni hai?».

    L’esserino, abbassando timidamente le mani, fece sbucare i suoi grandi e luminosi occhi da dietro le dita, «Non farmi del male, ti prego.». Le lunghe orecchie a punta gli tremavano vistosamente, e il piccolo e appuntito naso gli gocciolava per il freddo.

    «Non hai nulla da temere se non hai cattive intenzioni».

    «Non ne ho, giuro. Nessuna cattiva intenzione, solo paura», la voce gli tremava ancora.

    «Se è così, perché sei saltato fuori a quel modo?»

    «Mi danno la caccia, sto scappando.»

    «Da chi?»

    «Non lo so, da quelli che hanno messo questa, suppongo», il piccoletto indicò una grossa tagliola conficcata nella gamba sinistra.

    «Oh, per mille fulmini, dobbiamo toglierla subito!»

    «Non c’è tempo, mi prenderanno!»

    «Se ce la fai a resistere, ti condurrò in un luogo sicuro.»

    Harakh montò a cavallo e tese la mano a quell’esserino non più alto di un metro e che, nonostante tutto, esitava ad afferrarla.

    «Se sei sincero ti puoi fidare di me».

    Ancora ricurvo a causa del dolore, si fece coraggio e strinse la mano dell’uomo, che d’uno strattone lo sollevò per poi posarlo delicatamente sulla sella davanti a lui.

    «Blocca la gamba e stringi i denti, ti farà male», disse.

    Spronò di nuovo Zampaforte come aveva fatto fino a poco tempo prima e finalmente abbandonò la Gola del Serpente. Dietro di lui, lontano, si udirono delle grida di rabbia.

    Circa un’ora dopo i due giunsero a un capanno dove solo un cancelletto separava la stalla dall’abitazione. Harakh accomodò della paglia per distendervi il ferito, liberò Zampaforte dal suo carico e prese degli attrezzi da una bisaccia di pelle.

    «Cosa sono quelli?»

    «Non ti taglierò la gamba. Servono per forzare le ganasce, ma tu devi stare fermo, capito?»

    Un cenno della testa diede inizio all’operazione.

    «Ahhhh!… Aspetta! Sei sicuro che questo sia l’unico modo?»

    «So quello che faccio. Senza la chiave non c’è modo di aprire questo modello. Piuttosto, mi sto chiedendo se dovrei farlo: potresti essere pericoloso.»

    «Come osi?»

    «Scherzavo. Anche se fosse, non potrei mai lasciare soffrire qualcuno in questo modo. Fermo un attimo… Bene, ci siamo quasi. Se posso, mi stavo chiedendo cosa sei. Insomma, sei un folletto?»

    «Cosa? Un folletto? Ti sembro forse piccolo, dinoccolato e vestito di foglie e cortecce d’albero?... La tua espressione non mi piace, mi sento offeso!»

    «Mi dispiace. Insomma, foglie e cortecce a parte, la differenza non è poi molta.»

    «Di’ un po’, lo hai mai visto un folletto? Il mio volto ti sembra quello di un folletto? Non posso credere che stiamo parlando di questo!»

    Clack!

    «Ecco fatto. Togli lo stivale, vorrei vedere la ferita.»

    «Già fatto?»

    «Cosa ti aspettavi? Vediamo la gamba.»

    «Che sensazione meravigliosa… Come ti chiami?» Il fabbro sembrava indifferente, e l’altro insistette ancora. «Non ho nulla con me, ma vorrei sdebitarmi. Se foste così gentile da presentarvi potrei farvi avere i miei rispetti.»

    «Eh? Cos’è tutta questa formalità improvvisa? Sono Harakh, un fabbro di Darsin.»

    «Nobile Harakh, vi ringrazio di cuore per questa vostra gentilezza.»

    «Lo stivale… è presto per rallegrarsi, anche se vedendoti direi che non c’è nulla di rotto. Lo stivale ti ha protetto, è molto resistente e… non essere formale con me, per cortesia.»

    «Harakh... Bel nome, mi sembra di averlo sentito da qualche parte. Brrr! Fa un po’ freddo qui, non trovate?» Harakh lo guardò storto. «N-Non trovi, volevo dire.»

    «Già! Sei un tipo loquace. Visto che mi sono presentato, perché non mi dici anche tu come ti chiami e non mi racconti come sei finito nella tagliola? Dimmi anche se mi devo preoccupare del fatto che qualcuno venga a cercarti stanotte.»

    «Cercarmi? Stanotte? Oh, cielo... potrebbero farlo?»

    «Dipende dalla tua risposta.»

    Mentre parlava Harakh stava armeggiando nel camino; poco dopo, una scintilla fece presa sulla stoppa. Il piccolo e vivace fuoco cominciò a danzare, rompendo l’oscurità e la frigidità della capanna. La piccola creatura

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1