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La fede distorta
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E-book131 pagine1 ora

La fede distorta

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La fede distorta descrive l’approccio alla fede di una parte dell’umanità, 
il cui unico fine è quello di ritenersi destinataria, anche da non credente, di buoni auspici da parte della divinità, dalla quale pretendere, pur non meritandola, un’attenzione particolare nella certezza di ottenerla. 
La perenne lotta tra il bene e il male è il filo conduttore delle storie raccontate, con un epilogo che lascia la porta aperta alla speranza del genere umano.

Massimo Lanzilao, avvocato civilista del Foro di Lecce, è stato più volte ospitato da alcuni quotidiani locali con articoli a sfondo politico per la sua lunga partecipazione alla vita amministrativa della sua città. Dopo avere trattato con il romanzo Islamai (Edizioni Grifo, 2016) la condizione della donna nel mondo islamico, presenta questo nuovo scritto con cui si propone di descrivere le debolezze umane attraverso un’attenta osservazione e indagine psicologica del comportamento dei soggetti menzionati nel libro.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mag 2023
ISBN9791220142045
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    La fede distorta - Massimo Lanzilao

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    Massimo Lanzilao

    La fede distorta

    La fede distorta

    Alla mia famiglia

    Capitolo 1

    Nella piccola comunità del quartiere in cui abitavano si conoscevano tutti, le persone si incontravano spesso nel supermercato di zona salutandosi frettolosamente. Talvolta, quando la conoscenza non si esauriva soltanto al cenno del capo, si soffermavano per brevi considerazioni sulla vita, sulla salute, sulla politica, sulle difficoltà del momento, sui rapporti familiari, in definitiva era sempre un modo per avere notizie sui fatti degli altri, anche se alla fine non si rendevano conto di parlare anche dei propri, accentuando enfaticamente gli aspetti sui quali si poteva essere compatiti per dare sfogo alle proprie pene, non aveva importanza quali fossero. Nel contesto in cui la gente viveva, ogni attimo era scandito dalla ripetizione quotidiana di ogni attività, come avveniva per la maggior parte dell’umanità, in cui ognuno pur essendo impegnato a risolvere affannosamente i problemi giornalieri, conservava dentro di sé i desideri remoti, le aspettative di vita che spesso non si realizzavano mai, ma che costituivano la speranza di una soluzione positiva alternata alla inconscia consapevolezza della improbabile riuscita dei propri propositi. Tuttavia, quando ormai gli incalzanti dubbi sul raggiungimento della meta desiderata si impossessavano dell’animo umano, le persone venivano strette da una incontenibile angoscia, da una ricerca spasmodica di una via d’uscita, anche se razionalmente pensavano che non si sarebbe mai trovata.

    Ed ora quale sarà la soluzione? Chi mi aiuterà? Non saranno sufficienti a confortarmi i fuggevoli incontri, le parole scambiate casualmente, lo sfogo momentaneo con i conoscenti di turno incontrati per caso, la compassione generata in loro con atteggiamenti di sconforto per le proprie pene, forse se mi rivolgerò al Padre Eterno, pensavano Rosa, Piero, Carla, Corrado e tanti altri, qualcosa riuscirò ad ottenere, in definitiva non avevano mai chiesto nulla. Ma poi il dubbio li assaliva: esisterà veramente questa entità suprema? O è il risultato della nostra immaginazione, una necessità dettata dalla disperazione in cui l’uomo confida quando non ha altre opportunità?

    Eccoli, dunque, si conoscono tutti i protagonisti della vita di ogni giorno, legati da un sottile filo di speranza, troppo debole per resistere all’enorme peso delle nascoste miserie umane, impercettibili, dissimulate, tutto ciò di cui gli altri non verranno mai a conoscenza, segreti abilmente celati sotto una coltre di perbenismo ostentato senza pudore, maliziosamente insinuante di altrui colpe, da cui altezzosamente si dissociano censurandole con spregiudicatezza. Soltanto agli altri vengono attribuite le nefandezze, soltanto il vicino, il conoscente, l’amico di sempre, la moglie o il marito sono destinatari di aspre critiche, trascurando i propri difetti, per un verso trattandoli con indulgenza, per l’altro dimenticandosene, come se non fossero mai esistiti, ricacciando il ricordo nei meandri più segreti e nascosti della mente. La breve durata della vita si spegne come una meteora, l’esistenza finisce, non rimarrà più nulla se non l’istantaneo ricordo del proprio passaggio su questa terra che svanirà come brezza al sole della mattina. Ed eccola là, con i difetti, le angosce, le certezze, le speranze, un’umanità variegata, di cui ogni singolo componente presenta un aspetto singolare, unico, ma che, in altri contesti, appartiene ad altri personaggi simili, in cui ognuno può riconoscersi e vedere sé stesso come l’immagine riflessa in uno specchio, quello della vita di tutti i giorni. Tuttavia, quando tutto sembra perduto, la sua stessa natura porta l’essere umano a rivolgersi alla impercettibile entità divina, mai considerata realisticamente partecipe delle vicende personali, guardata sino a quel momento con distacco, anzi spesso ritenuta inutile, razionalmente improbabile se non impossibile: ideale presenza, portatrice di divieti imposti attraverso prescrizioni contrarie all’umana volontà di compiere atti riprovevoli ma utili per raggiungere il proprio scopo. Ma se sotto le spoglie dell’essere etereo, cui questa variegata umanità si rivolge con devozione nonostante le proprie nefandezze dimenticate, si celasse colui che con le lusinghe tenta di avere la sua anima per sé e per l’eternità, si potrebbe affermare che il destino dell’uomo sia già segnato nel momento della sua falsa preghiera?

    Le storie raccontate, nonostante siano parallele, hanno ognuna la propria singolarità nella presentazione dell’animo umano, nel suo approccio con la realtà in relazione con la divinità che l’uomo ritiene panacea di ogni malvagità compiuta per realizzare i propri desideri e nel contempo portatrice della speranza e della illusione di potere vivere all’infinito.

    Capitolo 2

    La chiesa era gremita, erano tutti lì ad attendere l’inizio della messa, un leggero vocio serpeggiava mentre i ritardatari prendevano posto in piedi assiepati all’inizio della navata. L’ingresso del sacerdote dette formalmente avvio alla funzione, i fedeli si alzarono in piedi, le ultime parole bisbigliate cessarono, lo sguardo si fissò sui consueti movimenti del celebrante. La variegata moltitudine di cristiani cominciò a rispondere meccanicamente alle litanie religiose pronunciate per il rito, che come una cantilena stonata si susseguivano rimbombando nell’arco della volta. Quella mattina la signora Rosa, rimasta vedova con un figlio, si era affrettata per giungere in chiesa di buon’ora e per prendere uno dei primi posti a sedere: il giorno dopo sarebbe stato importante, forse quello decisivo da quando era morto suo marito, lasciandola con un bambino da accudire e con una misera pensione. Lei, allora casalinga, aveva dovuto affrontare sacrifici immani per consentire un’istruzione adeguata al proprio figlio, aveva svolto tantissimi lavori, dalla collaboratrice familiare alla badante, dalla sarta alla commessa, attività temporanee che di volta in volta era riuscita a reperire faticosamente. Nonostante tutto era riuscita a mantenere quel che restava della propria famiglia, ma ora, a sessant’anni, poteva sperare soltanto in qualche lavoro occasionale, poco per una vita dignitosa. Quel giorno suo figlio, giovane laureato in scienze politiche, si sarebbe dovuto recare a Roma per sostenere un concorso pubblico aspirando ad un impiego nell’Amministrazione dello Stato. Pregava con fervore, a memoria recitava parole di fede senza accorgersi di ciò che diceva, pensava di meritare un aiuto divino, un’intercessione in favore del figlio, un’illuminazione nello svolgimento della prova d’esame. Si rivolgeva al Signore, parlava con lui, a tratti le sembrava di ottenere risposte rassicuranti, avrebbe avuto il sostegno desiderato, si giustificava per qualunque peccato avesse compiuto durante la propria vita, diceva che non avrebbe potuto fare altrimenti, le circostanze le avevano fatto prendere decisioni forse sbagliate, ma era stata costretta dagli eventi. Quando era morto suo padre lei era sola in casa con lui, sapeva dove aveva nascosto i suoi risparmi, li aveva presi, non aveva dato nulla ai suoi fratelli facendo credere che non fossero stati lasciati soldi, anzi aveva rovistato in ogni angolo insieme con loro, mostrando di condividerne l’ansia e le aspettative. Voleva tutto, voleva migliorare la propria vita, anche se all’epoca suo marito era in vita e le consentiva una conduzione familiare dignitosa. Si giustificava, non aveva colpe, era prevalso in lei lo spirito di sopravvivenza, la volontà di ottenere qualcosa in più per suo figlio, per il quale pregava ardentemente durante la messa. Si sentiva giustificata anche per avere messo zizzania tra i suoi vicini di casa; parlando con alcuni di loro ne aveva accusato uno di essere un truffatore, che aveva approfittato di un’anziana signora e, circuendola, aveva fatto in modo di ottenere da lei una casa più grande, arredata con mobili antichi. Tante maldicenze nonostante fosse consapevole che di fatto costui ne beneficiava essendo l’unico lontano parente della stessa. Ma Rosa non sopportava una tale fortuna capitata ad un’altra persona e non a lei che abitava in un modestissimo appartamento, con pochi vecchi arredi e si era indebitata per acquistare elettrodomestici. Era stata invidiosa, ma non era sicura di avere peccato, si giustificava ripetendo a se stessa che quel poco avuto dalla vita se l’era sudato, lo aveva ottenuto con grandi sacrifici e non riteneva giusta la fortuna di altri. Si guardava in giro, fissava il volto dei partecipanti alla funzione, e a Rosa sembrava che anche quelli pretendessero qualcosa pregando; in quel momento erano diventati suoi concorrenti, si chiedeva quale dei desideri nascosti sarebbero stati esauditi, ma era sicura che Dio avrebbe ascoltato lei, soltanto lei avrebbe meritato di ottenere ciò che chiedeva. Diceva a sé stessa che era stata sempre presente in chiesa, non aveva perduto mai una messa la domenica e in tutte le altre feste religiose, che era una fervente cattolica, si era confessata, aveva fatto sempre la comunione. Si, era vero, non aveva riferito al confessore tutti i peccati, soprattutto quelli che riguardavano l’eredità ed il vicino di casa. Li aveva relegati nei meandri più nascosti della propria mente, se li era quasi dimenticati, si convinceva di non averli mai commessi; e poi lei aveva sofferto tanto, ciò prevaleva su tutto, compensava abbondantemente quanto aveva dovuto sopportare nel corso della propria vita. Dio l’avrebbe ascoltata, suo figlio avrebbe vinto il concorso, si sarebbe finalmente sistemato, lo vedeva già in ufficio seduto dietro una scrivania: a lui avrebbero sicuramente dato un incarico importante, la sua carriera sarebbe stata brillante. Soddisfatta Rosa non vedeva l’ora di tornare a casa, non soltanto per preparare la valigia di suo figlio che sarebbe dovuto partire nella tarda mattinata, ma, soprattutto, per rincuorarlo, per dirgli che tutto sarebbe andato bene.

    Soltanto lui avrebbe avuto un aiuto risolutivo, se lo meritava, perché sua madre era una raccomandata del Signore, dal quale era sicura di avere avuto segnali di benevolenza. Pensava che finita la funzione si sarebbe affrettata ad uscire dalla chiesa, con passi spediti avrebbe percorso il breve tratto che la separava dalla propria abitazione; si vedeva ansimante ma nello stesso tempo felice e con una leggiadria che non le apparteneva le sembrava di sfiorare la strada con i propri passi evitando di incrociare i conoscenti incontrati per caso che le avrebbero fatto perdere tempo, come erano soliti

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