Dalla malasanità alla sanità: Un progetto a misura di Calabria
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Anteprima del libro
Dalla malasanità alla sanità - Mario Bozzo
Parte prima: l’analisi dei problemi
1. Premessa
«I creditori hanno miglior memoria dei debitori»
(Benjamin Franklin)
Per ricordare
La rete ospedaliera realizzata in Calabria negli anni 60 è stata in grado di offrire, fino al 2010, un’assistenza sanitaria adeguata ai bisogni dei cittadini.
Come in altre regioni d’Italia, si distinguevano tre tipi di ospedali: regionali, provinciali e zonali. Questi ultimi comprendevano i reparti di medicina, chirurgia, ginecologia-maternità ed i servizi di laboratorio analisi e radiologia.
Si potrebbe dire che fu realizzata un’assistenza ospedaliera di base che si affiancava alla medicina territoriale di base rappresentata dalla rete dei medici di famiglia, attenuando il gap strutturale con le regioni meglio organizzate del Paese.
Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel 1978 in Italia si è passati da un Servizio Sanitario basato sul lavoratore, con le varie mutue di categoria, ad uno basato sul cittadino.
Successivi provvedimenti, a partire dalla seconda riforma del 1992, per tenere conto della necessità di contenimento della spesa, hanno trasformato le USL (UNITA’ SANITARIE LOCALI) in ASL, Aziende Sanitarie, con logiche gestionali. Iniziava così a venir meno l’ambiente protetto dei servizi sanitari, aprendoli verso logiche di competizione e di mercato e avvicinandoli al mondo delle imprese private.
Nel 1998 (D.Lgs 127) le funzioni e i compiti amministrativi in materia di sanità furono conferiti alle Regioni. Nel 2001 venne modificato il Titolo V della Costituzione. Nel 2009 vennero attivati i Piani di Rientro, accordi Stato-Regioni per il rientro dai disavanzi economico-finanziari.
In tutte queste trasformazioni, il cittadino è rimasto formalmente al centro del Servizio Sanitario secondo il principio sancito dall’art. 32 della Costituzione, ma solo sulla carta. A poco a poco la salute, come diritto fondamentale e interesse della collettività, ha ceduto il passo alle logiche di riduzione del disavanzo finanziario. Questo è accaduto in particolare in Calabria.
Con i Piani di Rientro, i commissariamenti e i decreti Calabria, l’unico principio regolatore della sanità in questa Regione è stato il taglio indiscriminato della spesa, accompagnato dalla desertificazione sanitaria di interi territori. Con clamorose contraddizioni dei diritti costituzionali.
La legge regionale n. 9 del 2007 aveva già accorpato le 11 ASL in 5 ASP (Aziende Sanitarie Provinciali), tra cui quella di Cosenza, organizzata in 6 distretti territoriali¹. Questi gestiscono anche 13 presìdi ospedalieri², ai quali si affianca un’azienda ospedaliera³ (vedi figura 1, pag. 66).
Nel 2009 viene stipulato il Piano di rientro per la riduzione del debito, sul finire della legislatura a presidenza Loiero, e inizia l’era commissariale, tuttora in corso. Il primo incarico fu affidato all’allora Presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti. Da subito cominciò lo smantellamento della rete ospedaliera esistente.
La maggior parte degli ospedali da allora sono stati eliminati (in Calabria 18 ospedali chiusi, più altri non costruiti o non finiti di costruire), ma questi veri e propri nodi della vecchia rete ospedaliera, che teneva conto della densità di popolazione, della natura orografica del territorio e delle vie di comunicazione, esistono tuttora, anche se non dotati dei servizi propri di un presidio ospedaliero.
Sanità a gestione limitata e Covid-19
L’emergenza coronavirus ha messo in luce tutte le carenze della sanità calabrese, la cui criticità, nella cosiddetta seconda ondata in cui il virus ha investito anche la Calabria, ha determinato l’inclusione di tutto il territorio regionale tra le zone rosse a più alto rischio fin dalla prima individuazione del DPCM novembre 2020, sebbene i dati epidemiologici, di per sé, non fossero a quella data tanto gravi da giustificare il provvedimento più severo.
Una sanità inadatta a reggere un benché minimo impatto emergenziale, dunque. Una sanità troppo stressata: dai debiti, da decenni di malasanità e, soprattutto, da più di un decennio di commissariamento che non ha avuto effetto né sugli uni né sull’altra. Al contrario, il debito, unico motivo del commissariamento, è notevolmente aumentato e lo scioglimento per mafia di varie aziende sanitarie ha fatto il suo ingresso sulla scena politica e giudiziaria regionale. Nello stesso lasso di tempo la sanità è stata tolta alla gestione istituzionale, il servizio pubblico è stato desertificato, la cattiva gestione della sanità da episodica è diventata normale.
Nel novembre 2020, periodo di massimo aggravamento della crisi, sanitaria e gestionale, nell’arco di pochi giorni si sono avvicendate le designazioni di ben tre diversi Commissari, tutte venute meno e in maniera addirittura beffarda; solo a distanza di molti altri giorni è stata effettuata la nomina risultata poi definitiva.
Un vero e proprio balletto, che non ha mancato di essere ridicolizzato a livello nazionale, e che ha mostrato plasticamente in tutta la sua impotenza la cosiddetta gestione manageriale della sanità in Calabria, nonché la sua avocazione da parte dello Stato, in tutta la sua inutilità, di recente confermata dalla stessa Corte Costituzionale (come sotto riportato).
Aggiungiamo solo un’osservazione. Dall’inizio del commissariamento la Calabria è sottoposta periodicamente all’esame congiunto del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza.
Del Tavolo fanno parte rappresentanti delle Amministrazioni centrali (Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero della salute), dell’Agenzia nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, del Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei Ministri e rappresentanti delle Regioni. Puntualmente vengono rilevati ritardi, o addirittura mancati adempimenti, e allo stesso tempo il mancato raggiungimento della soglia LEA.
Quest’ultimo sembrerebbe la logica conseguenza dei primi, sicuramente dovuti a imperdonabile inerzia della burocrazia regionale. Ma, nonostante ciò, pare difficile che gli adempimenti conseguenti al Piano di rientro possano promuovere il rispetto dei LEA, che richiederebbe un investimento per invertire la tendenza in corso. Anzi sembra quasi un ossimoro che in uno stesso tavolo si vogliano esaminare lo stato debitorio e la capacità di salvaguardare la salute dei cittadini.
Un commissariamento irragionevole
Con delibera di Giunta Regionale n. 845 del 16 dicembre 2009 è approvato il Piano di rientro dai disavanzi finanziari della sanità in Calabria.
Il 17 dicembre 2009 viene sottoscritto un Accordo di programma tra il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro della Salute e il Presidente della Giunta Regionale per l’attuazione del Piano di Rientro.
Con deliberazione del 30 luglio 2010 del Consiglio dei ministri viene nominato il primo Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi sanitari in Calabria nella persona del Presidente della Giunta Regionale.
Il commissariamento è stato rinnovato ad ogni scadenza dei successivi commissari, passando di mano attraverso vari funzionari dello Stato. È tuttora in vita: anche se di recente è tornato in capo al Presidente della Giunta Regionale.
Con decreto n.18 del 22 ottobre 2010 del primo Commissario ad acta sono stati dismessi o depotenziati gli Ospedali di Acri, Cariati, Lungro, Mormanno, Praia a Mare, Rogliano, S. Giovanni in Fiore, S. Marco Argentano e Trebisacce, in provincia di Cosenza (vedi figura 2, pag. 67); Soriano e Nicotera, in quella di Vibo; Chiaravalle Centrale, in quella di