Lo sguardo sull’anima: Psicoterapia e spiritualità
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Anteprima del libro
Lo sguardo sull’anima - Hunter Beaumont
INTRODUZIONE
Forse dovreste sapere che tipo di libro avete per le mani. La mia intenzione iniziale non era di scrivere un libro, desideravo solo comunicare con persone che per lavoro si occupano dell’anima o hanno a che fare con essa: talvolta le cose divengono chiare solo parlandone. Per amore della chiarezza ho cercato il dialogo di cui avevo bisogno e che poteva aiutarmi a comprendere, con il cuore e con la mente.
Come psicoterapeuta ho avuto la possibilità di stare accanto a molte persone nel momento in cui esploravano temi molto intimi e cercavano (e a volte trovavano) una strada attraverso le grandi e piccole vicende della vita. Ho potuto partecipare alle loro gioie e delusioni, alle loro relazioni amorose, agli alti e ai bassi delle loro vite. Spesso non ho potuto far altro che stupirmi della creatività e del coraggio con i quali persone normalissime andavano incontro al loro destino, fornendomi esempi di vero eroismo quotidiano.
Come americano che da molti anni vive in Germania, i miei pazienti tedeschi mi hanno spesso colpito e scosso nel profondo. Grazie a loro ho lentamente compreso che cosa significhi davvero la guerra e come agisca sull’anima il crollo del mondo conosciuto. Questi rapporti intensi, talvolta sconvolgenti, mi hanno in un certo senso illuminato e, come ogni allievo, anche io sono in debito con tutti i miei insegnanti. La mia pratica spirituale è divenuta un incontro sincero con il quotidiano.
I temi discussi in questo libro sono quelli della vita. Non li ho scelti io: mi sono stati suggeriti dai miei pazienti. Domande sulla vita e sulla morte, sui rapporti e sulla solitudine, sulla malattia e sulla speranza. Volevo aiutarli, ma cosa può essere davvero d’aiuto?
A volte è stata grande la tentazione di nascondermi dietro la scienza
e di dare risposte e consigli ricavati dai libri, di dire ai pazienti che cosa dovessero fare, come se io sapessi che cosa fosse giusto o possibile per loro. Ho percorso questa strada per qualche anno e alcuni pazienti ne hanno anche tratto dei veri benefici, ma poco a poco ho sentito crescere una certa insoddisfazione dentro di me. Percepivo un’intima falsità, una perplessità e una disperazione che nascondevo dietro consigli e risposte rapide: meglio essere un’autorità che un’inerme persona comune. Avevo paura di prendere davvero sul serio le domande che mi venivano rivolte. Volevo evitare di scoprire com’è seria la vita e quanto poco io avessi in fondo da dire.
Un giorno una signora ultrasettantenne venne a chiedermi aiuto per elaborare il lutto per la morte del marito con cui era stata sposata per 45 anni. Ero convinto di sapere quali errori stesse facendo e come avrebbe dovuto comportarsi: io che a 35 anni non avevo mai veramente avuto un lutto. La signora fu molto paziente, anche perché credo provasse una certa simpatia per me. Lentamente iniziai davvero a sentire cosa significhi realmente perdere un compagno di vita dopo 45 anni passati insieme e vivere solo aspettando la morte. Quando finalmente mi concessi di sentire che cosa significasse davvero, capii quanto superficiali e di circostanza fossero stati i miei consigli. Provai vergogna e rimorso e le dissi che non sapevo se e come avrei potuto aiutarla.
La risposta fu che non dovevo fare nulla. L’avrebbe aiutata la mia presenza e il mio tentativo di comprendere ciò che provava aprendo il mio cuore, senza fare nulla. Disse di essere fiduciosa che il suo cuore potesse trovare da solo la strada: aveva solo bisogno di vicinanza. Ma pretese da me la cosa più difficile: che io aprissi il mio cuore a ciò che provava e rinunciassi al predominio. L’avrei aiutata solo riuscendo a riconoscere la mia impotenza.
Ci sono voluti molti anni prima che io riuscissi in qualche modo a dominare tutto ciò. Quando la signora morì, non dovetti fare nulla, se non amarla in modo semplice e puro.
Il lavoro terapeutico con lei e con molti altri è stato uno spartiacque nella mia vita. Non una svolta improvvisa, ma una linea che ha percorso tutta la mia vita e ha creato una netta separazione tra due opzioni: accontentarmi di un come se
oppure pormi davvero nei confronti di ciò che devo affrontare in una sorta di nudità spirituale. Solo così facendo ho capito veramente ciò che spesso avevo affermato: se si vuole lavorare in profondità con gli altri, si deve aprire l’accesso alla profondità in se stessi.
Alcuni di coloro che cercano un percorso psicoterapeutico hanno bisogno di suggerimenti chiari, metodi e tecniche per venire a capo dei loro problemi. Devono poter ricevere ciò di cui hanno bisogno. Per queste persone tornare al passato attraverso una psicoterapia rivelatrice è inutile: per loro sono più adatti metodi e tecniche come la terapia comportamentale o l’ipnosi. Altri necessitano invece di un approccio differente. Per loro il punto focale non sta nei metodi e nelle terapie, sebbene essi si rivelino occasionalmente utili. Le loro anime sanno già di volersi aprire e hanno bisogno solo di uno spazio
nel quale possa affiorare ciò che già sanno. Come l’anima della signora di cui ho parlato: i miei suggerimenti la infastidivano perché li percepiva come una violazione.
Tutti noi siamo colpiti da eventi che non abbiamo scelto e che non possiamo evitare. In momenti del genere, anche se non abbiamo la possibilità di controllare ciò che ci succede, possiamo scegliere di capire come servircene.
Gli interventi in pubblico raccolti in questo libro documentano in primo luogo il processo attraverso cui gli interessati cercavano di comprendere le vicende della loro vita. In questo senso intendo il mio compito come quello di un cronista che descrive al meglio ciò che è accaduto. Contemporaneamente, questi interventi illuminano anche il mio percorso personale: come si è sviluppata nel tempo la mia comprensione del concetto di anima, come questo concetto abbia arricchito e ampliato il mio lavoro e profondamente modificato la mia visione del mondo e la mia vita, e come mi abbia consentito di comprendere molto meglio i miei pazienti.
So bene che gran parte di ciò che ho scritto non è nuovo. Ho attinto alla letteratura spirituale esistente per poi riproporre in chiave più personale temi già noti. Nel rileggere questi testi, ho capito che cosa mancava in essi: l’aspetto terapeutico del lavoro sull’anima. Questa carenza mi tocca particolarmente, in quanto la sola strada che personalmente conosco passa attraverso il lavoro terapeutico con gli altri. La seconda cosa che ho notato nel rielaborare i miei pensieri è che spesso non li porto fino in fondo. Questo non è intenzionale, mostra solo i miei limiti. Li ho portati fin dove ho potuto e con questa pubblicazione intendo consegnare al lettore un’opera aperta ad ulteriori possibili sviluppi.
Poiché per lo più il mio lavoro si è svolto in modo informale, ho rinunciato a fornire indicazioni bibliografiche precise, ma ciò non significa che non abbia grande stima dei miei insegnanti. Alla fine del libro vi è un piccolo (ed incompleto) elenco bibliografico di autori che hanno molto segnato il mio percorso. Vorrei citare qui quelli che per me sono stati i più importanti.
Ho conosciuto il lavoro di Carl Gustav Jung, James Hillman, Joseph Campbell e degli altri grandi junghiani attraverso i miei genitori. Grazie a Jung, già da giovane compresi che psicoterapia e spiritualità si completano l’un l’altra e che la religione, a causa degli effetti che ha sull’anima, è qualcosa di essenziale nella vita dell’uomo. In Germania ho conosciuto poi il lavoro di Wolfgang Giegerich e di Jutta Voss: entrambi mi hanno dato molto. La terapia della Gestalt di Fritz Perl, Robert Resnick e Erv Polster ha avuto grande influenza sul mio lavoro: è soprattutto grazie a loro che ho compreso che la vita si svolge sempre nel presente. Anche dalla psicoanalisi ho appreso molto. Tra gli analisti sono divenuti miei intimi amici Margaret Mahler, Otto Kernberg, Heinz Kohut, Donald Winnicott, Mardi Horowitz. L’ipnositerapia di Milton Erickson e il lavoro sul corpo di Wilhelm Reich e di Mosche Feldenkrais sono stati per me decisivi. Conoscere il contributo sui traumi di Peter Levine ha ampliato i confini del mio lavoro. Allan Schore e Ernest Rossi mi hanno mostrato come le conoscenze della ricerca genetica e della neuropsicologia possano essere integrate nella pratica psicoterapeutica. La psicoterapia fenomenologica sistemica di Bert Hellinger e l’intensa collaborazione con lui mi hanno influenzato positivamente, anche se le nostre strade si sono poi separate. A.H. Almaas, che considera le tradizioni psicoterapeutiche e spirituali come un tutt’uno e ha creato un nesso tra di esse, ha enormemente influito sul mio lavoro e sulla mia vita. Gila Rogers è un’importante collaboratrice e ricercatrice. Queste persone, grazie al continuo dialogo interiore con tutte loro, mi accompagnano in tutti i miei interventi in pubblico.
Erhard e Anke Doubrawa mi hanno stimolato a raccogliere alcuni di questi interventi e a pubblicarli in un libro. Inizialmente ho esitato a estrapolarli dal loro contesto e a mettere per iscritto ciò che mi era stato confidato informalmente. Ma mi hanno incoraggiato tutti coloro che si sono sentiti ispirati da questi miei interventi. Erhard e Anke ne hanno elaborato uno per dimostrarmi che il progetto del libro era praticabile.
Rosi Graßl ha scrupolosamente trascritto le registrazioni. Ursula Eibl ha accettato il compito di trasformare il mio tedesco parlato e molto personale
in una forma scritta comprensibile, senza alterare la spontaneità e l’immediatezza dell’originale. Ma ancora più importante e difficile è stato individuare i punti in cui mancava qualcosa o qualcos’altro era superfluo. Abbiamo rinunciato a riformulare alcune espressioni che suonavano straniere: prego il lettore di non considerare questa scelta come una disattenzione verso la forma espressiva, ma come una sorta di dichiarazione d’amore nei suoi confronti. Christoph Wild ha messo a disposizione la sua grande competenza tecnica, la sua amicizia e la sua passione per il lavoro in modo davvero generoso. Senza il suo sostegno questo progetto non sarebbe stato realizzato. Infine Constanze Potschka-Lang ha rielaborato con me l’intero manoscritto parola per parola. Senza il suo aiuto questo libro non avrebbe visto la luce. Devo ringraziare Hartmut Bauer per l’elaborazione del capitolo Odio e spiritualità
. Dagmar Olzog, della casa editrice Kösel, ha seguito in modo magnifico l’intero progetto dandomi grande fiducia.
Tutti gli interventi sono stati tenuti in forma libera, alcuni perfino senza una scaletta scritta. Molto spesso è accaduto che subito dopo non riuscissi nemmeno più a ricordare cosa avevo detto. Era come se le parole fossero sorte spontanee per le persone presenti, generando risposte sia positive sia negative.
Ho preferito che questo libro mantenesse il carattere di una raccolta di interventi. Il lettore troverà quindi molte ripetizioni. Alcuni aneddoti sono stati ripetuti spesso, la descrizione del concetto di anima
è presente in più capitoli. Queste ripetizioni consentono però che ogni intervento sia indipendente dagli altri e possa essere letto autonomamente.
Il concetto di costellazione familiare
ricorre spesso e vorrei, perciò, parlarne brevemente. Nelle rappresentazioni di gruppo i partecipanti sono posizionati nello spazio a rappresentare personaggi importanti in una sorta di scultura familiare. A volte, se sono accuratamente disposti, i loro corpi e le loro anime iniziano a reagire spontaneamente. Le reazioni possono essere molto diverse fra loro: alcuni, durante certe rappresentazioni da me dirette, sono perfino caduti a terra privi di conoscenza. Non sappiamo perché ciò accada, ma, come mostra l’esperienza, se cerchiamo di comprenderle queste reazioni ci possono fornire indicazioni importanti e soluzioni sbalorditive. Esse rappresentano anche una fonte importante per vedere la realtà
dell’anima.
Mia moglie e i miei figli hanno condiviso con me questo viaggio nella realtà dell’anima. Senza di loro avrei vissuto una vita del tutto differente e sarei stato una persona diversa. E questo è reciproco. In questo senso siamo indivisibili e siamo coideatori e coautori di questo libro.
Se troverete utili le idee che con questo mio lavoro ho cercato di tradurre in parole, permetterete ai miei pazienti e a me di trasmettervi almeno un po’ di ciò che di prezioso abbiamo ricevuto. Ne saremmo davvero felici.
Hunter Beaumont
Monaco di Baviera, primavera 2008
1
IL RISCATTO DEL PADRE
Quando i figli sono oppressi dalla responsabilità di prendersi cura dei loro genitori, possono manifestarsi conseguenze negative sia per loro che per i genitori. Una volta diventati adulti, alcuni figli riescono a trovare una via d’uscita. Tento di seguito di descrivere questo processo, perché i figli, spesso, sono gli unici a poter aiutare i genitori.
Quest’intervento è dedicato ai padri. Innanzitutto perché nella letteratura psicoterapeutica si parla più spesso di madri e poi perché io stesso ho un interesse personale per quest’argomento, come padre e come figlio.
Un uomo frequentava con sua moglie un gruppo di terapia per coppie. Si sentiva responsabile per la sua compagna in modo esagerato e inopportuno, e ciò causava non poche frizioni nella loro relazione. Nel corso di uno degli incontri raccontò del rapporto con sua madre, che era molto bisognosa di contatto e quindi molto legata a lui. Da giovane (all’epoca dell’incontro aveva quasi 50 anni) l’uomo si era sentito responsabile per lei e aveva faticato a separarsene.
Un figlio che decide di prendersi cura della madre e si sente responsabile per la sua serenità interiore prende il posto del marito della donna, cioè del proprio padre. In una famiglia sana
questo compito spetta infatti al marito e non al figlio. Gli chiesi, perciò, del padre per capire perché egli non avesse assolto al suo compito. Ah!
, rispose l’uomo, mio padre era un debole, pensava solo a se stesso e per me non c’era mai. Mia madre gli dava ordini e lui non sapeva metterle un freno.
Gli chiesi allora che cosa significasse esattamente la frase per me non c’era mai
. È stato prigioniero di guerra e poi sempre malato
, raccontò l’uomo. Sollecitai altre spiegazioni. Dopo la guerra mio padre rimase sette anni prigioniero in Russia e poi si offrì di rimanere volontario per altri sei mesi.
Emerse che il padre era un sacerdote e che dopo tanti lunghi anni di prigionia era rimasto altri sei mesi per portare a termine l’assistenza spirituale ai compagni detenuti. Gli chiesi anche della malattia. Per quindici anni quest’uomo era stato affetto dal morbo di Parkinson e aveva sofferto dei postumi dei traumi della guerra, finché la sua vita non si concluse con una morte straziante. Nel corso di questa lunga agonia il figlio aveva vissuto la regressione infantile del padre e il suo graduale ma inesorabile indebolimento. Il suo evidente disprezzo nei confronti del padre nel corso del racconto si attenuò lievemente.
Messa in scena la sua costellazione familiare, gli chiesi di rivolgersi al padre con le parole: Sono contento di non aver dovuto patire ciò che hai sofferto tu.
Non appena l’uomo pronunciò questa frase si addolcì in modo evidente: l’esercizio stava funzionando, qualcosa in lui si era aperto. Il lavoro procedette. Nel punto della rappresentazione in cui gli fu chiesto di guardare il padre in punto di morte, si rifiutò di farlo e disse: Non voglio stargli così vicino perché non voglio ammalarmi anch’io di Parkinson.
Con l’aiuto mio e del gruppo pian piano riuscì a guardare il padre malato: era la prima volta che questo avveniva in vita sua, anche se solo nel corso di una rappresentazione. Alla fine affermò spontaneamente: Spero davvero di non dover mai provare ciò che hai provato tu.
Sopraggiunsero le lacrime, provò in tutto il corpo una sensazione di dolcezza e di apertura, poi ammise: Non avevo mai riconosciuto la forza di mio padre. Non credo che avrei potuto agire con altrettanto coraggio ed abnegazione.
A questo punto l’intero gruppo era molto coinvolto emotivamente, alcuni partecipanti cominciarono a piangere con lui.
Racconto questa storia come esempio tipico di ciò che accade quando cominciamo a vedere nostro padre non