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La perla senza prezzo: La nascita dell'essenza personale
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E-book273 pagine3 ore

La perla senza prezzo: La nascita dell'essenza personale

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Info su questo ebook

“Chi sono io?” È questa l’inquietante domanda con cui tutti noi ci troviamo inevitabilmente confrontati e a cui troviamo così difficile dare una risposta convincente. La questione dell’identità personale occupa un posto centrale nell’esistenza umana e alla sua esplorazione è dedicata questa fondamentale opera di Almaas. In essa egli spiega con chiarezza i principali concetti della psicologia dell’io e della teoria delle relazioni oggettuali e come essi siano rilevanti non solo per la vita personale, ma anche per quella spirituale dell’individuo. 

Secondo la teoria delle relazioni oggettuali il processo di sviluppo dell’io può considerarsi concluso con successo quando intorno ai tre anni nel bambino nasce la consapevolezza di possedere un io stabile in grado di interagire con
l’ambiente esterno. Almaas suggerisce, invece, che il processo di sviluppo dell’io non si arresti a tal punto, ma possa continuare
nella dimensione spirituale, nella quale l’io affronta i suoi conflitti e impara a liberarsi delle sue difese. Questo processo di purificazione si conclude con la nascita di quella che Almaas chiama l’Essenza Personale, l’uomo completo, che ha sviluppato in pieno tutte le sue potenzialitàe in cui la fusione fra anima e personalità si è finalmente compiuta. 

Quest’opera è la prima esposizione completa del rapporto tra la dimensione spirituale dell’uomo e le scoperte empiriche della psicologia evolutiva. Le teorie della psicoterapia contemporanea sono riviste e inquadrate in un contesto più profondo, offrendoci una prospettiva del tutto nuova dalla quale si possono vedere i meriti, ma anche i limiti, insiti nella psicologia contemporanea.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mar 2019
ISBN9788871835532
La perla senza prezzo: La nascita dell'essenza personale

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    Anteprima del libro

    La perla senza prezzo - A.H. Almaas

    Prima Parte

    L’ESSENZA PERSONALE

    1

    L’UOMO SPIRITUALE E L’UOMO DEL MONDO

    A una certa età, molto presto nella vita, ognuno di noi prende coscienza di sé in quanto essere che cammina, parla, pensa e prova emozioni; in breve, come persona viva. È una scoperta luminosa, ma ben presto l’abitudine prende il sopravvento e la consapevolezza di chi siamo comincia rapidamente ad offuscarsi. Così continuiamo a vivere pensando di sapere che cosa significhi essere umani, convinti che maturare voglia dire soltanto diventare più di quanto riteniamo già di essere. Il mistero scompare, e la vita si fa noiosa, ripetitiva.

    In questo libro vogliamo sollevare il velo dell’abitudine, indagare sul mistero di cosa significhi essere uomini, persone; esplorare le nostre potenzialità. Quanto ampie sono queste potenzialità? Cosa occorre per essere persone veramente mature e complete? In che modo fanno esperienza di sé e del mondo persone del genere, e quale tipo di vita conducono?

    Cominciamo la nostra indagine mettendo a confronto due poli dell’esperienza umana. Da una parte, c’è quella di colui che definiamo l’uomo del mondo, l’individuo che si dedica alla vita personale, tenta di realizzarsi, lavora per crescere, consolidarsi ed espandersi. Nella maggior parte delle società, perseguire la felicità personale, l’autonomia e l’autorealizzazione è un obbiettivo accettato e approvato, purché non danneggi gli altri. Questa è diventata la concezione prevalente nella società moderna. L’esistenza personale rappresenta il nucleo di gran parte delle attività umane; ciò che definiamo vita pubblica è pur sempre parte della vita individuale, riguarda la persona. Nella nostra indagine esamineremo in una nuova luce la convinzione che l’esistenza basata sulla persona possiede uno scopo ed un valore in sé e per sé.

    In contrasto con questa concezione c’è quella del cosiddetto uomo dello spirito, che ritiene che il vero centro di un’autentica vita umana sia una più elevata realtà spirituale. Gli insegnamenti più profondi, quelli degli uomini più realizzati ed emancipati, dei fondatori delle principali religioni, dei maggiori movimenti spirituali e sistemi filosofici, ci chiedono in modo chiaro e inequivocabile di arrenderci a una realtà superiore, vivendo una vita altruistica e disinteressata. Tutti i maestri, le grandi religioni, le filosofie morali celebrano la vita dello spirito come l’unica vera e l’unica possibile per l’uomo, la più alta, raffinata e compiuta, subordinando quella personale a una realtà più elevata. Ed esortano l’umanità a tendere verso un’esistenza personale governata dai valori spirituali, abbracciando le verità universali e impersonali che trascendono l’io e l’individualità.

    La principale differenza tra la prospettiva dell’uomo mondano e quella dell’uomo spirituale sta nel fatto che la prima considera il sé separato e personale come il cuore della vita, e ritiene che la personalità possegga un valore e un fine suoi propri; mentre la seconda mette al centro di tutto una realtà superiore, e crede che l’esistenza personale debba essere subordinata a questa più elevata realtà. In Luca 9:23, Gesù afferma: Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; e chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

    Nell’Islam, il Corano rivendica un atteggiamento analogo. Nel seguente brano, per esempio, si afferma che morire per Dio è la condotta giusta, intendendo così che la vita personale non è importante:

    E non parlate di coloro che sono stati uccisi sulla via di Allah come se fossero morti; ché, invece, sono vivi e non ve ne accorgete.

    Coloro che, colti da disgrazia, dicono sicuramente noi siamo di Allah e a Lui ritorniamo, quelli riceveranno benedizioni e compassione dal loro Signore e saranno i seguaci della retta via.¹

    Le tradizioni spirituali dell’Estremo Oriente si spingono ancora oltre rispetto ai profeti, nel negare l’importanza della vita personale. Nel Dhammapada, uno dei principali canoni buddisti, il Buddha dichiara:

    Nessuno è più in alto di colui che

    non si farà ingannare, conosce l’essenza,

    ha abbandonato il desiderio, rinunciato al mondo,

    e vive indifferente al fluire del tempo.

    [Dhammapada, la via del Buddha, a cura di G. Pecunia]

    Eppure, nonostante tutto, l’uomo del mondo basa per lo più la sua vita sulla realizzazione dei desideri personali, ritiene che il sé individuale sia una realtà separata, e non solo gli dà valore, ma ne dà per scontata l’esistenza come entità reale. È su di esso che, in Occidente, vertono gli studi della psicologia del profondo, dell’io, dello sviluppo e la teoria delle relazioni oggettuali. In una monografia dedicata all’argomento un illustre psicologo sostiene:

    Anche se nessuno concorda su cosa sia precisamente il sé, da adulti ne percepiamo molto chiaramente la presenza, che pervade le quotidiane esperienze sociali. Esso si presenta sotto varie forme. C’è il sé legato al proprio corpo, distinto e integrato; c’è quello che agisce e che fa esperienza dei sentimenti; c’è l’artefice delle intenzioni, l’ideatore dei progetti, e quello che traduce le esperienze in linguaggio, il comunicatore che condivide la conoscenza personale.

    [D.N. Stern, Il mondo interpersonale del bambino]

    La psicologia occidentale è pervasa dalla comune prospettiva culturale che considera il sé come l’asse centrale della vita. Questa concezione può essere vista come espressione cristallizzata della visione che ha l’uomo del mondo, espressa in un linguaggio scientifico. Essa ritiene che la salute mentale sia espressione di un sé forte e coeso, dotato di un senso separato dell’identità. Così spiega il fondatore della psicologia del sé:

    Gli analisti, in sintonia con le osservazioni attribuite a Freud (Erickson, 1950), definiscono spesso la salute mentale, in modo piuttosto vago e ascientifico, come la capacità di amare e lavorare. Nell’ambito della psicologia del sé, noi definiamo la salute mentale non solo come la libertà dai sintomi nevrotici e dalle inibizioni che interferiscono con le funzioni di un apparato mentale coinvolto nell’amore e nel lavoro, ma anche come la capacità, da parte di un sé forte e coeso, di avvalersi delle doti e delle competenze che l’individuo ha a sua disposizione, mettendolo in grado di amare e lavorare con successo.

    [H. Kohut, La guarigione del sé]

    Con le seguenti parole, James Masterson illustra bene quanto importante per la comprensione della psicopatologia sia il sé nella teoria delle relazioni oggettuali:

    Tuttavia, questa dimensione aggiuntiva, che si focalizza sul sé (definito come entità intrapsichica), considerata insieme alle altre prospettive della teoria evolutiva delle relazioni oggettuali, può condurre a un concetto più ampio, esauriente e comprensivo dei disturbi narcisistici e borderline intesi quali disturbi del sé.

    [J.F. Masterson, Il sé reale]

    Gran parte della nostra indagine in questo libro ha lo scopo di analizzare dettagliatamente le scoperte della psicologia del profondo, specialmente quelle della teoria delle relazioni oggettuali, mettendole in relazione con la prospettiva dell’uomo spirituale. In effetti, tali scoperte ci aiuteranno molto a capire i diversi livelli della visione spirituale dell’uomo, come vedremo nei prossimi capitoli. In questo illustreremo la prospettiva dell’uomo spirituale, perché è meno nota e compresa. Nel prossimo ci concentreremo su quella dell’uomo mondano e sul suo nucleo, il sé personale, spiegando come lo intende la teoria delle relazioni oggettuali.

    L’uomo dello spirito non si limita a subordinare il sé a una realtà superiore, ma talora si spinge perfino a negarne l’esistenza. Per esempio, nel buddismo la realizzazione più elevata si raggiunge quando si cessa di essere una persona separata, indipendente e con una propria esistenza. Il Buddha lo ribadiva continuamente, come in questo brano del Sutra del Diamante: Questo perché nessun Bodhisattva che sia un vero Bodhisattva coltiva l’idea di un io, di una personalità, di un essere o di un’individualità separati.

    Lao Tzu, leggendario fondatore del taoismo in Cina, illustre autore del Tao Tê Ching, attribuisce i problemi umani alla convinzione che esista un sé individuale; in uno dei primi paragrafi, osserva:

    La gente è oppressa da grandi problemi perché

    asserisce che esiste un sé individuale.

    Se non prende nulla personalmente,

    di cosa potrà mai lamentarsi?

    [Ni Hua-Ching (trad. di), Complete Works of Lao Tzu]

    Questi due modi di interpretare la vita umana sono del tutto opposti. Le più note dottrine sulla natura profonda dell’uomo indicano una certa strada, mentre gli esseri umani s’indirizzano altrove, o almeno così pare.

    La contraddizione fra queste prospettive non è semplice apparenza, ma una realtà che produce conseguenze di grande portata per la vita e l’andamento dell’evoluzione umana. Si tratta di sentieri divergenti, ognuno dei quali ha valori, obiettivi ed effetti propri.

    Si potrebbe credere che gli insegnamenti spirituali siano soltanto opinioni o convinzioni di individui e sistemi religiosi, non applicabili a tutte le persone, ma questo non è vero. Tutte le principali dottrine spirituali esaltano l’impersonalità, l’universalità, l’altruismo e il disinteresse, e screditano l’aspetto personale. È vero che le varie tradizioni differiscono nell’enfasi e nell’atteggiamento che hanno verso questa visione; tutte, però, mettono in risalto la rinuncia all’io e al sé, e la resa della vita personale a una realtà superiore. Quelle dell’Estremo Oriente ritengono, in genere, che la suprema natura umana sia impersonale e universale. L’uomo può raggiungere l’illuminazione e, quindi, la liberazione e la felicità, solo quando si rende finalmente conto che il concetto d’individuo è illusorio, e che la verità ultima va ricercata nelle profondità dell’Essere, sia questo Dio (nell’Induismo), il Tao (nel Taoismo) o il Vuoto (nel Buddismo).

    Le tradizioni delle religioni profetiche (Giudaismo, Cristianesimo, Islamismo) intendono l’essere umano come un’anima individuale, che deve arrendersi alla volontà divina, vivendo una vita di virtù, altruismo e sacrificio di sé. La ricompensa, beninteso, arriverà in un’altra vita. Nel Sermone della Montagna, Gesù lo dice chiaramente:

    Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande sarà la vostra ricompensa nei Cieli.

    [Matteo 5, 11-12]

    Tuttavia, la componente mistica delle tradizioni profetiche appare più vicina alla visione orientale della non-esistenza ultima della persona. I mistici cristiani concepiscono Dio come ultimo approdo ed essenza dell’individuo, come il seguente passo esprime con chiarezza:

    Egli è il tuo essere, e in Lui sei ciò che sei, non solo perché Egli è la causa e l’essere di tutto quanto esiste, ma perché è la tua causa e il nucleo profondo del tuo essere…

    Così, Egli è anche uno con tutte le cose, e tutte le cose sono uno in Lui. Perciò, lo ripeto: tutte le cose esistono in Lui, che è l’essere di ogni cosa.

    [W. Johnston (a cura di), The Cloud of Unknowing]

    Questa visione secondo cui la realtà è unitaria e vive in Dio indica che il sé personale non ha un’esistenza propria e che la salvezza consiste nel comprendere come tutto sia una cosa sola. Ibn’ Arabi, il grande sufi, si spinge ancor più in là e afferma che non esiste null’altro al di fuori di Dio:

    E per questo il profeta (sia pace a lui) ha detto: Chi conosce se stesso conosce il suo Signore. E ha detto (sia pace a lui): Conosco il mio Signore attraverso il mio Signore. Il profeta (sia pace a lui) vuole così indicare che tu non sei tu: tu sei Lui, senza te; non che Egli entra in te, né che tu entri in Lui, né che Egli promana da te, o che tu promani da Lui. E con ciò non s’intende che tu sia alcunché che esiste o che esistono i tuoi attributi, ma s’intende che non sei mai stato né sarai mai, né in te o attraverso Lui, né in Lui o insieme a Lui. Non cesserai mai di essere né esisterai ancora. Tu sei Lui, senza alcuno di questi limiti. Allora, se conosci quest’esistenza siffatta, conoscerai Dio; in caso contrario, no.

    [Ibn ’Arabi, Whoso Knoweth Himself]

    Come si vede, questi insegnamenti indicano unanimemente che la vita personale è meno importante dei regni superiori. Ma, allora, che vuol dire tutto questo? Forse la maggioranza dell’umanità è completamente fuori strada, sbaglia in modo così grossolano ed è tanto ignorante e lontana dalla propria natura da prendere la direzione opposta a quella che dovrebbe imboccare?

    Ovviamente, molta gente ritiene che la vita del mondo sia in antitesi con la vita dello spirito e con la verità, e tanti maestri hanno affermato che non è quella vera o quella religiosa. Ma non tiriamo conclusioni affrettate.

    Certo, è possibile che la maggior parte dell’umanità sia sviata e abbia preso una strada sbagliata che non porta alla realizzazione, ma questo non spiega perché tutti imboccano proprio questa strada! Come mai tutti gli uomini inseguono la felicità personale, vogliono avere una vita individuale in cui il sé e la personalità siano esaltati e apprezzati? In altre parole, se il fine supremo dell’essere umano sono le verità impersonali e universali dello Spirito, perché tutti gli uomini sviluppano un sé, un io e un’individualità? Si tratta solo di un errore, benché colossale? E se fosse così, come mai è così universale?

    In questo libro il nostro intento è capire con chiarezza la natura dell’essere umano, per dare un senso all’esperienza ordinaria di tanti individui, pur tenendo conto delle intuizioni più profonde rivelate dalle maggiori scoperte spirituali dell’umanità. Cercheremo di comprendere la natura umana contrapponendo la concezione dell’uomo del mondo, e cioè la prospettiva che considera la persona e la sua vita al centro della natura e delle preoccupazioni umane, alla concezione dell’uomo spirituale, cioè la prospettiva di gran parte delle religioni. Secondo questa prospettiva, la natura dell’uomo è fondamentalmente spirituale e la sua vita deve essere basata sul sacrificio di sé. Nella sua versione più radicale, questo punto di vista afferma che il sé e l’individualità non possiedono una reale, concreta esistenza. Quest’idea, sebbene non sia condivisa da diversi gruppi spirituali, resta comunque una fondamentale convinzione per la maggior parte degli insegnamenti più avanzati di quasi tutte le tradizioni spirituali, soprattutto quelle mistiche. In particolare, metteremo a confronto l’esperienza di coloro che pensano di essere individui separati, entità a se stanti e autosufficienti, con diverse tradizioni spirituali, per le quali vi è una sola realtà ultima e tutto ciò che esiste è collegato, e ne analizzeremo il rapporto.

    Siamo consapevoli che non tutte le persone interessate alla vita spirituale credono nell’unità della realtà ultima. La prospettiva spirituale copre uno spettro ampio, da quella religiosa, di una vita in accordo con i comandamenti divini, a quella spirituale, che cerca di connettersi con una realtà più alta, fino alla visione mistica dell’unione con Dio, dell’unità dell’esistenza.

    In questo studio ci concentreremo sulla seconda e sulla terza visione come le più pure espressioni dell’uomo spirituale, contrapponendole a quella dell’uomo del mondo. Quale delle due useremo, emergerà facilmente dal contesto, anche quando non lo diremo esplicitamente. Perciò, sviluppando via via la comprensione di quel che significa essere un essere umano completo, confronteremo questi opposti punti di vista: quello dell’uomo del mondo, che crede nella realtà e centralità del sé personale, e quella dell’uomo spirituale, convinto che esso non abbia valore o realtà definitivi.

    Alcuni potrebbero credere che le due prospettive non siano antitetiche; che sia possibile essere un sé e una persona e vivere la propria vita personale in modo spirituale e universale. Questa è effettivamente l’ottica o di chi si trova all’inizio del cammino interiore, o di chi fa parte dei tanti che si considerano persone religiose. Qui il termine religioso è usato in contrapposizione a spirituale, e viene visto come l’ideale sociale di quasi tutte le società umane. A prescindere, però, dal merito o dalla verità di questi punti di vista, non è questa la visione degli insegnamenti più avanzati. Essi, infatti, affermano in modo molto chiaro che per condurre una vita genuinamente spirituale bisogna rinunciare del tutto a se stessi. Anzi, molti insistono nel dire che non esiste alcun sé reale. È il caso delle dottrine buddiste. Il Dalai Lama, capo del buddismo tibetano, scrive:

    Come non mi stanco mai di ripetere, gli insegnamenti riguardanti l’anima senza sé sono sostenuti da tutte le scuole del pensiero buddista, dal momento che tutte, allo stesso modo, riconoscono la visione dell’atman secondo cui l’esistenza di un’entità-anima permanente è la radice di ogni problema.

    [Il XIV Dalai Lama, L’apertura dell’occhio della saggezza]

    Altri potrebbero concludere che forse è possibile condurre una vita personale senza alcun sé; essere, cioè, individui che hanno un’esistenza personale di lavoro, amore e conoscenza, ma senza un sé. Eppure, anche questa speranza si rivela vana quando esploriamo attentamente gli insegnamenti più profondi. Assenza del sé vuol dire assenza dell’io e, cioè, assenza della persona. Il compianto Nisargadatta Maharaj, uno dei maggiori maestri del Vedanta induista, si esprimeva così:

    L’individuo, in quanto tale, non esiste. Ci sono solo limiti e restrizioni, la cui somma totale la definisce. […] L’individuo è una semplice apparenza, al pari dello spazio dentro una pentola, che sembra avere la forma, il volume e l’odore della pentola.

    [Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello]

    Queste dottrine affermano inequivocabilmente che la verità universale o lo spirito impersonale è proprio così: non c’è un sé e non c’è una persona. Non dicono necessariamente che la vita personale sia un male, ma dichiarano qualcosa di molto più fondamentale e, cioè, che non esistono né la persona né il sé, negando così l’esistenza di un’autonoma individualità. La vita personale, quindi, è falsa, irreale, illusoria. Raggiungere l’illuminazione, perciò, significa vedere oltre

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