Il vuoto: Spazio interiore e struttura dell'Io
Di A.H. Almaas
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Anteprima del libro
Il vuoto - A.H. Almaas
INTRODUZIONE
Uno dei maggiori compiti della moderna psicologia occidentale consiste nell’assimilare le profonde conoscenze umane e la libertà di spirito delle principali tradizioni religiose del mondo, e far sì che la psicologia non si riduca a terapia delle sofferenze terrene ma divenga uno strumento per assecondare la liberazione e la realizzazione dello spirito umano. È all’insegna di questo fine che A.H. Almaas ha impostato il lavoro di una vita, e Il vuoto rappresenta il risultato di un aspetto di tale ricerca da cui possiamo apprendere molto.
Il presente volume, così come gli altri saggi di Almaas (L’elisir dell’illuminazione, Essenza), possiede due caratteristiche che raramente troviamo insieme nella ricerca moderna: da una parte, una profonda comprensione teorica della mente e dello sviluppo mentale, e dall’altra il fertile background dell’autore che gli deriva dal lavoro compiuto coi suoi studenti, in privato o in gruppo. Attingendo ai concetti e alle esperienze della contemporanea teoria delle relazioni oggettuali e della psicologia dell’Io di ascendenza freudiana, nonché allo studio delle problematiche con cui è venuto in contatto nella sua pratica e agli insegnamenti dei massimi maestri del buddismo e di altre tradizioni orientali, Almaas ci incoraggia a guardare non soltanto alla personalità e al contenuto della mente ma pure all’essenza della sua natura.
Con un approccio chiaro e diretto, Almaas ci introduce allo spazio, o terreno della mente, entro il quale operano le strutture mentali. Ci mostra come la spaziosità interiore possa essere vissuta in forma somatica, psicologica e spirituale, ci descrive alcuni dei molti livelli dello spazio interiore e, cosa più importante, ci spiega in che modo l’esperienza dello spazio possa portare a una sostanziale guarigione e integrazione del nostro essere. Questa visione sperimentale della non-identificazione con i contenuti, che svela la struttura delle relazioni oggettuali e delle rappresentazioni del Sé intese come immagini elaborate dalla mente, è chiamata Superamento del Sé
, requisito fondamentale per la realizzazione della coscienza buddica. Dall’esperienza del terreno della Mente (il vuoto inerente alla mente e ai suoi oggetti), sorge spontaneo un senso liberatorio di pienezza, di vero benessere, nonché di forza e compassione, associato ad altre qualità naturali che Almaas chiama stati essenziali.
Ma, oltre a costituire un importante contributo all’interpretazione psicologica della mente, questo libro rappresenta anche un invito a superare la falsa separazione fra psicologia e vita spirituale. In un mondo in cui non ci occupiamo delle nostre negatività, in cui la spaccatura fra corpo e mente, luce e buio, persona e ombra ha condotto alla minacciosa devastazione della corsa agli armamenti nucleari, il solo mezzo che abbiamo per riaffermare la pienezza e il buonsenso consiste nel sanare tali fratture.
La profonda conoscenza spirituale e psicologica che Almaas riversa in questo lavoro lo colloca all’avanguardia di un nuovo movimento della psicologia che attinge, al contempo, alle pratiche e alle nozioni delle antiche tradizioni orientali e alle migliori correnti della psicologia occidentale contemporanea. Uno studioso serio di psicologia troverà molto da apprendere in questo lavoro, e senz’altro Almaas avrà ancora molto da offrirci in futuro.
Jack Kornfield
Fondazione Dharma
San Anselmo, California, 1985
Parte Prima
IL VUOTO E IL SÉ
1
LA MENTE
Nell’uso comune, la parola mente
indica l’insieme dei processi di pensiero. Ma esistono altri usi: in Oriente, per esempio, la mente
comprende qualcosa che trascende la sfera intellettuale. E spesso anche da noi, in Occidente, questa parola ha un significato più ampio. In effetti, la maggior parte delle psicologie del profondo e delle scienze sociali in generale utilizzano il vocabolo in riferimento a tutta l’esperienza interiore. La mente è allora il campo o la sfera dei nostri pensieri, delle nostre immagini, dei sentimenti, delle emozioni, delle sensazioni e delle percezioni, oltre che dell’apparato o agente che ha a che fare con tutte queste impressioni. La mente
così intesa è connessa non solo al cervello ma pure alla totalità del sistema nervoso.
Qui, utilizzeremo il termine mente
in questo senso più ampio e inclusivo. Saremo inoltre disponibili a eventuali modifiche o estensioni di tale definizione.
Sebbene in Oriente il vocabolo indichi una sfera dell’esperienza persino più ampia di quella che abbiamo descritto, la principale differenza tra l’idea occidentale di mente
e quella orientale consiste più che altro in una questione di accento. In Occidente, l’uso corrente del termine allude in genere al contenuto dell’esperienza, mentre in Oriente la parola sottolinea di solito il substrato o contenitore dell’esperienza. La mente
occidentale è la stessa esperienza: gli avvenimenti interiori, i pensieri, i sentimenti, le sensazioni, le percezioni. In Oriente, invece, la mente
è considerata come il terreno che fa da base all’esperienza. Questi due differenti modi di concepire la mente non sono che un esempio della tradizionale divergenza esistente tra il carattere orientale e quello occidentale, con i loro ideali, valori, filosofie, psicologie, religioni, e così via. Oggi, tuttavia, è sempre più evidente che tale divergenza non è basata su fattori geografici, quanto su differenze di accento, di punti di vista. La mente occidentale è sempre più diffusa in Oriente, e quella orientale in Occidente.
Qui, cercheremo di illustrare la relazione fra questi due punti di vista, e di dimostrare che è possibile passare dall’uno all’altro. Comprendere tale rapporto contribuirà ad eliminare la divergenza artificiale fra queste due prospettive e a liberare la capacità della nostra mente di pensare l’esperienza umana.
L’obiettivo di questo libro, tuttavia, è molto più ambizioso di quanto non sia comprendere e integrare questi due punti di vista riguardo alla mente. Nostro interesse è vedere in che modo tale comprensione ci consentirà di eliminare le contrapposizioni antitetiche – normalmente accettate – fra mente e spirito, psicologia e religione, interpretazione psicologica e sviluppo spirituale (essenziale).
Non intendiamo proporre una sintesi
fra interpretazione psicologica e sviluppo spirituale. Né pretendiamo di dimostrare che l’interpretazione psicologica sia uguale allo sviluppo spirituale (non è così). Mostreremo, piuttosto, in modo preciso e verificabile, che la distinzione fra via psicologica e via spirituale alla comprensione e allo sviluppo è il risultato di una distinzione artificiale. Quelli che di solito consideriamo due processi diversi sono in realtà un unico processo.
Negli ultimi decenni, sono stati compiuti molti tentativi per integrare e sintetizzare i punti di vista da cui l’Oriente e l’Occidente osservano la mente. È nostra convinzione che tali tentativi, per quanto risultino a volte utili, siano necessariamente parziali e incompleti, perché presuppongono generalmente che quella della psicologia e quella della spiritualità siano due sfere distinte.
2
LA PSICOLOGIA DEL PROFONDO E LA MENTE
In Occidente, la psicologia del profondo si è occupata della mente soprattutto in quanto contenuto dell’esperienza. È un punto di vista apprezzabile, che tuttavia occorre collocare nella sua giusta prospettiva. Nel secolo scorso, la psicoanalisi in particolare, a cominciare dalle monumentali scoperte e formulazioni di Sigmund Freud, ha offerto la prima fondamentale e utilissima interpretazione della mente umana. I contributi freudiani non solo hanno ampliato la nostra conoscenza della mente umana ma sono stati anche terreno di coltura di numerosi approcci psicoterapeutici che hanno contribuito ad alleviare le sofferenze di innumerevoli persone.
Freud e i suoi primi discepoli (alcuni dei quali, in seguito, hanno sviluppato sistemi propri) hanno studiato la mente come contenuto, proponendo la prima convincente formulazione atta a comprendere i contenuti psichici. Freud era interessato a studiare la mente in base alle sue funzioni, alle sue forze, ai suoi processi, ai suoi conflitti, eccetera. È un interesse che gli derivava non soltanto dal desiderio di aiutare i pazienti che soffrivano, ma pure dal suo profondo amore per la conoscenza e la verità. Il grande medico austriaco aspirava a comprendere la natura umana e in questo scopo è riuscito pienamente, lasciandoci in eredità una miriade di studi che non avevamo in precedenza e spianando la strada a un nuovo modo di considerare gli esseri umani.
Freud ha formulato una teoria di ampio respiro che cerca di spiegare la mente in base alle forze istintuali, ai conflitti interiori, alla coscienza e all’inconscio, e così via. La formulazione definitiva più importante del suo lavoro si trova in L’Io e l’Es. Egli vede la personalità (o, per usare un suo termine, la mente) come una struttura psichica costituita di tre unità: l’Es, l’Io e il Super-Io.
Un individuo è dunque per noi un Es psichico, ignoto e inconscio, sul cui strato più esterno poggia l’Io, che si sviluppa dal sistema percettivo come da un nucleo. Sforzandoci di fornirne una rappresentazione grafica, aggiungeremo che l’Io non avviluppa interamente l’Es, ma solo quel tanto che basta per far sì che il sistema percettivo formi la sua superficie [dell’Io], e cioè più o meno come il disco germinale poggia sull’uovo. L’Io non è nettamente separato dall’Es, ma sconfina verso il basso fino a confluire con esso. (Sigmund Freud, L’Io e l’Es, pag. 486.)
Se l’Io fosse soltanto la parte dell’Es modificata attraverso l’influenza del sistema percettivo, e il rappresentante del mondo esterno reale nella vita psichica, avremmo a che fare con una situazione di fatto assai semplice. Ma c’è dell’altro.
I motivi che ci hanno indotto ad ammettere una differenziazione all’interno dello stesso Io, a cui va data la denominazione di ideale dell’Io, o Super-io, sono stati esposti altrove. (Ibid., pag. 491.)
Per Freud, dunque, la psiche o mente è formata da una struttura composta di tre unità: l’Es, che è il serbatoio di tutte le forze ed energie istintuali, e si fonde con l’organismo fisico; l’Io, che forma principalmente il Sé funzionale, in diretto contatto col mondo esterno; e il Super-Io, che costituisce l’elemento morale ed etico dell’Io. Questa interpretazione della mente come struttura psichica tripartita è la più importante e utile formulazione della psicologia del profondo. Sta alla base della psicoanalisi e delle psicoterapie nate da quest’ultima o che ne mutuano i concetti.
Alcuni psicologi successivi, come Carl Gustav Jung, Wilhelm Reich e Fritz Perls, hanno sviluppato sistemi differenti, ma in generale il loro lavoro non è in contraddizione con la formulazione di base della struttura psichica offerta da Freud, e l’approccio fondamentale dell’Occidente alla mente si è mantenuto.
Insomma, il monumentale contributo freudiano, nonostante il suo grande valore teorico e pratico, si colloca entro la concezione occidentale della mente. La struttura psichica è semplicemente la struttura del contenuto dell’esperienza. È la forma assunta dal contenuto della mente e dell’esperienza.
3
LA PSICOLOGIA DELL’IO E LA MENTE
Freud, tuttavia, non ha analizzato in che modo si sviluppa tale struttura. Ha studiato la mente in termini di struttura psichica allo scopo di comprendere la rimozione e la nevrosi, e di capire il processo della psicoterapia. Ha compreso che la nevrosi e in generale i conflitti mentali sono il risultato dell’interazione dinamica fra le varie unità di questa struttura psichica.
Sono stati gli psicologi dell’Io a cimentarsi nello studio dettagliato di tale struttura e del suo sviluppo attraverso le esperienze dell’infanzia. La psicologia dell’Io si è andata affermando come branca della psicologia del profondo interessata allo sviluppo della struttura mentale, e in particolare dell’Io e del senso di identità o Sé.
Sono molti gli psicologi che hanno contribuito all’approfondimento della psicologia dell’età evolutiva: Heinz Hartmann, René Spitz, Edith Jacobson, Donald Woods Winnicott, Phyllis Greenacre, e molti altri. La formulazione del processo di sviluppo dell’Io più completa, e ampiamente utilizzata, è quella di Margaret S. Mahler, la cui opera descrive in modo dettagliato il processo di separazione-individuazione.
Tramite lo studio sistematico del comportamento dei bambini e dei loro genitori, grazie a un’osservazione psicanalitica aperta e a un modello sperimentale ben determinato, la Mahler ha descritto una complessa sequenza di sviluppo alla quale ha dato il nome di separazione-individuazione. Il suo lavoro conferma l’importanza delle esperienze infantili, riconosciuta da Freud, per lo sviluppo successivo dell’Io.
Il processo di separazione-individuazione comporta una progressione lungo due binari. La separazione si riferisce al distacco del bambino dalla fusione con la madre; l’individuazione consiste di quei passaggi che conducono allo sviluppo delle caratteristiche personali e uniche dell’individuo. Muovendo dall’autismo alla simbiosi, attraverso quattro sottofasi di separazione-individuazione (differenziazione, sperimentazione, riavvicinamento e una quarta sottofase destinata a durare nel tempo), il bambino procede poco alla volta verso una condizione che lo porterà a prendere atto della costanza dell’oggetto […], e questo rappresenta l’inizio del senso di un Sé separato dall’altro, costante nel tempo e nello spazio. Tale processo fa scaturire a sua volta una crescente capacità di conservare uno stabile senso di identità, a dispetto delle fluttuazioni emotive, delle sensazioni corporee e dell’ambiente esterno […]
Il buon superamento del processo di separazione-individuazione conduce alla nascita psicologica e contribuisce a promuovere la strutturazione dell’apparato mentale, lo sviluppo delle capacità adattative, l’acquisizione dell’identità e le risorse favorevoli alla reciprocità dei rapporti umani. (Joyce Edward, Separation-Individuation.)
Secondo la psicologia dell’Io, dunque, il senso di identità stabile o Sé non è qualcosa che l’essere umano si porta dentro dalla nascita, è piuttosto il risultato di un processo evolutivo, che Mahler chiama separazione-individuazione. Al momento della nascita, manca la consapevolezza di essere un’entità separata dall’ambiente. Un’identità psicologicamente separata si forma solo lentamente, man mano che il bambino interagisce con l’ambiente circostante, e specialmente con la madre.
L’identità e il suo apparato mentale (la struttura psichica) sono pertanto una costruzione della mente. La particolare struttura della mente, il particolare modellamento del contenuto della psiche (che alla fine sfocia nel senso di sé), è qualcosa che si sviluppa, che cresce. È quindi qualcosa che non appare bell’e pronta al momento della nascita fisica. Per questo la Mahler parla di una nascita psicologica
.
Apriamo una parentesi per sottolineare una fonte di confusione che grava sul termine Io
. I lettori che conoscono tanto la letteratura spirituale quanto quella psicologica noteranno che il termine viene utilizzato liberamente in entrambe queste tradizioni, senza tuttavia un accordo generale riguardo al suo significato. Tale ambiguità è spesso causa di confusione. La letteratura che si occupa dello sviluppo spirituale, dello sviluppo essenziale o interiore e di tutte le questioni di interesse religioso utilizza in genere il termine Io
per indicare qualcosa che è di ostacolo alla realizzazione spirituale. La letteratura della psicologia del profondo usa il termine in un’accezione molto differente. L’Io a cui fa riferimento Freud, e che studia la psicologia dell’Io, non è lo stesso che rappresenta un ostacolo allo sviluppo spirituale. I