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Lo sguardo del sopravvissuto
Lo sguardo del sopravvissuto
Lo sguardo del sopravvissuto
E-book96 pagine41 minuti

Lo sguardo del sopravvissuto

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Info su questo ebook

Il tema fondamentale di questa raccolta poetica è la solitudine umana e la ricerca costante di Dio. Tale ricerca risulta in gran parte inappagata, ma rimane pur sempre l'unico motivo per dare un senso alla vita. La solitudine pesa; di essa si chiede conto a Dio, non trovando in se stessi nessuna possibile giustificazione alla sciagura dell'esser soli. La figura femminile rappresenta quasi l'emblema della presenza del divino tra gli esseri umani, ma risulta sempre inarrivabile. Anche la terra natia, ormai lontana, simboleggia un irraggiungibile porto di pace. Il titolo dell'opera allude a un vedere le vicende del mondo con occhi scampati alla morte. E la meditazione sulla morte rappresenta, appunto, assieme alla constatazione del fluire inesorabile del tempo, l'altro filo conduttore della raccolta. Anche il ricordo di vicende del passato si rivela solo parzialmente consolatorio, in quanto prevale sempre l'amarezza per ciò che è definitivamente perduto.
LinguaItaliano
Data di uscita22 apr 2019
ISBN9788831616737
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    Anteprima del libro

    Lo sguardo del sopravvissuto - Roberto Delfino

    633/1941.

    POETA OGGI

    Qui, dove non giunge l’orda di vane

    candele, che si disfano se il sole

    più cuoce, in questo tempo di pavoni,

    l’onda irosa del balbettio continuo

    sbatte forte contro l’esiguo e liso

    bastione di difesa. Basta il fiato

    a provocare il crollo d’una terra:

    l’invasione non conosce più bighe

    e l’archibugio nuovo è l’apparire.

    Issata è la palma, l’alloro è a terra.

    La sabbia assai lucente s’assottiglia,

    all’erosione cede i suoi granelli.

    Oltre un canneto fitto e la sterpaglia

    l’integro suolo accetta le ciurmaglie

    sdraiate all’ombra cupa del nonsenso,

    per tutte le conchiglie omologante,

    e filtra un fioco raggio tra i palmizi

    godibile per chi vive per poco.

    Caduta ormai è l’esatta architettura,

    la baia briosa giace già nel fondo,

    mentre il mio piede, sopra brevi lingue,

    non cerca vie di fuga verso i lidi

    tranquilli del banale, e più non trema

    per l’ultimo, imminente smottamento. 

    LINK

    La pioggia sferza la terra. Guardavo,

    scostata la tenda, scorrere l’acqua

    nella discesa e volgere ciottoli

    verso tombini. Ritorna il sereno.

    Volavano uccelli sopra le case

    fumanti, mentre gocce in disarmo

    crollavano a tuffo dentro ai barili.

    Non ha più fiori la casa frontale

    e il tempo ha scorticato la facciata.

    Splendevano i balconi a primavera

    e la fanciulla allegra consegnava

    al vento azzurro e chiaro i suoi sorrisi,

    molliche e sguardi intensi a piccionaie.

    S’ode quest’oggi stridore di freni

    d’una macchina scura. Se n’andava,

    seguito poi dal pianto dei rimasti,

    un altro dei fantocci terraioli,

    tolto alla fila e messo nel drappello

    di chi silente sta se il caro chiede,

    lumaca senza bava a lasciar traccia,

    né memore di porte un po’ socchiuse.

    Vivo il presente ed altre primavere,

    dell’inverno che viene già conosco

    il volto: soli e piogge, neve e vento,

    qualche sorriso breve come rosa

    e il solito viaggio di qualcuno

    verso il cipresso e l’ultima carraia. 

    VIA

    Urlavano i fili del bucato,

    le antenne tremolavano sul mare

    dei tetti inumiditi,

    beccheggiavano luci sulle vie

    tracciate dagli scafi. 

    Era calda la stanza, nostro guscio

    nelle sere di dicembre. Il camino,

    in ardore per vederci su poltrone accanto,

    vomitava sagome di fumo

    nel cielo a tratti inciso da saette.

    A volte qualche parvenza

    a lato ci giungeva,

    spinta da un vento ch’eludeva

    le cigolanti movenze del cappello.

    E risucchiata fosti tu per sempre

    dopo la canna fumaria

    del reparto.

    Anch’io partii lontano,

    ma dicono tra i vivi

    gli assurdi documenti dei comuni,

    seppur non visto tra le gambe

    dei passanti in mezzo ai corsi.

    Rimasero i ceppi nel capanno;

    sono anch’io la cenere non raccolta

    dell’ultima accensione.

    Ruota nel cielo un rombo e scuote vetri:

    il silenzio non ha squarcio d’altre voci.

    Si muovono nel vano solitario

    le lingue di fuoco della vita

    andata, impressa sui muri

    brevemente e spenta,

    riflesso che s’acquatta

    con l’allargarsi nero sul tizzone,

    ed è un camino

    l’abitacolo che ingloba il respiro

    affannoso del ceppo

    memore di fronde.

    La casa adesso è vuota

    all’altro capo del binario.

    I MIEI POVERI VECCHI

    Fermi sulle panche, con i calzoni

    alzati a metà del polpaccio;

    si muovono, invece, in alto,

    nel cielo sorridente del bel giorno,

    le chiome arcuate delle palme.

    Un rimuginare continuo d’altri tempi

    vaga tra volti e menti,

    tra la striscia del cappello spodestato.

    Età che segno più marcato pose

    nella calotta d’un animo d’illuso!

    È alta la fronda della palma;

    ora più alta nel cielo senza nubi.

    L’ombra si sposta sul sedile a fianco:

    l’esodo dei vecchi si

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