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A luci spente
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A luci spente
E-book609 pagine9 ore

A luci spente

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Info su questo ebook

Noemi Tarasco torna con il seguito del suo primo libro Luce Verde. Lo fa con un romanzo dai toni accesi e dal ritmo incalzante come base su cui costruisce una vicenda articolata e ricca di sfumature, fatta di molte voci, di personaggi diversi tra loro, che si incontrano e scontrano nel tempo, di misteri non sempre risolvibili e di tante sfaccettature che catturano il lettore fin dalla prima pagina. A luci spente è un romanzo a tratti oscuro e capace di costruire un’intensa suspense attorno a eventi quotidiani e a storie sepolte nel passato che riaffiorano senza lasciare spazio a ulteriori titubanze.

Noemi Tarasco è nata il 26 ottobre 2000 a Genova. Ha frequentato il liceo linguistico e attualmente studia Scienze della Comunicazione a Savona. A luci spente è il suo secondo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830677050
A luci spente

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    Anteprima del libro

    A luci spente - Noemi Tarasco

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    Noemi Tarasco

    A luci spente

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7122-5

    I edizione novembre 2022

    Finito di stampare nel mese di novembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    A luci spente

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    A Cristina, mia mamma, idem

    Prologo

    Si dice che le tempeste possano tornare.

    Dei nuvoloni scuri avevano risucchiato il cielo azzurro durante le prime ore del pomeriggio e, all’improvviso, la pioggia aveva cominciato a scendere fitta.

    Enormi goccioloni avevano messo in fuga i bambini dai parchi, le donne erano rincasate trascinando pesanti buste della spesa, mentre i lavoratori del centro si erano riparati nei portoni degli slanciati grattacieli.

    Prince Hill si era svegliata in un giorno di fine estate e niente sarebbe più stato lo stesso.

    Dei timidi raggi di sole avevano accompagnato la cena, illuminando le sontuose vetrate delle ville di Fountain Avenue e scintillando sui riflessi delle posate d’argento e di antichi lampadari.

    La pioggia era tornata dopo lo scoccare delle nove, e la temperatura a Gridiron si era fatta autunnale, laggiù nel quartiere più freddo della città.

    Il vento soffiava tra la fitta vegetazione, i rami si piegavano rendendo la strada sempre più stretta, le curve abbandonate tra le pozzanghere.

    La maggior parte dei cittadini si teneva ben lontana da quei tornanti, data la cattiva reputazione del luogo.

    Come spesso le avevano ripetuto i suoi genitori, quella strada aveva solo due uscite ed entrambe ti trascinavano nel buio.

    Ogni fine settimana, i giovani passavano le ore notturne a bere alcolici a poco prezzo in una baracca di legno, utilizzata per la caccia, nascosta tra una parete rocciosa e uno sprazzo d’erba secca.

    Altri si divertivano a sgommare nel parcheggio deserto del cimitero, tentando più volte di scavalcare il cancello nella notte di Halloween.

    Solitamente, la polizia li lasciava godersi la gioventù, intervenendo solo in casi di estrema necessità.

    Quella notte però, un’altra auto era parcheggiata parallela al cartello sbiadito che indicava l’arrivo al carcere di Prince Hill.

    Chi l’avrebbe mai detto ridacchiò il passeggero rimettendosi la cintura ed allacciandosi il bottone dei pantaloni.

    Non fare quella faccia, che non diventi un’abitudine.

    Questa è la mia faccia, quella che hai avuto davanti per l’ultima mezz’ora mentre facevamo del gran sesso sulla tua macchina.

    Non sei spiritoso, sai?

    Succederà di nuovo? domandò l’uomo speranzoso, lisciandosi intanto la camicia e finendo di vestirsi mentre osservava il suo riflesso nello specchietto.

    Davvero Hank?

    Erano solo i preliminari, andiamo, non fare la santarellina. Ho avuto per tutto il tempo il tuo freno a mano piantato nelle costole, me lo devi.

    La mora sospirò sistemandosi i capelli mentre la pioggia non aveva smesso di picchiettare sul tettuccio, lasciando scivolare a zig e zag le goccioline sul parabrezza.

    Entrambi si lasciarono andare contro i sedili e per qualche secondo, in quel silenzio surreale, si sentirono di nuovo giovani.

    L’uomo si allungò ad accendere la radio, lasciandosi trasportare da una vecchia hit di Chris Brown mentre tamburellava le dita sulla portiera, senza conoscere il ritmo.

    Fu nuovamente lui a spezzare in due il ritornello, riprendendo il discorso.

    Hai fatto sesso per rabbia?

    Che ne vuoi sapere tu? borbottò nervosa.

    Io niente, perché mai dovrei essere arrabbiato?

    Hai superato la soglia dei trenta da un bel po’ e vivi ancora con tua madre, dovresti essere tu quello frustrato.

    Lui alzò gli occhi al cielo prima di tornare serio.

    È successo qualcosa? Sono bello, ma non sono un cretino, c’è qualcosa che non va. Sei spenta.

    La mora esitò, insicura se confessare i propri pensieri ad un semi sconosciuto oppure lasciar perdere e tornare a fingere come aveva sempre saputo fare.

    Conoscevi Cole Dubois?

    Sii più precisa.

    Un ragazzino che ha passato cinque anni qua dentro, uno che non passa inosservato. Una bellezza rara e delicata.

    Hank annuì sempre più convinto ad ogni informazione e poi si illuminò.

    Sì, me lo ricordo; cioccolato bianco. Ho fatto qualche partita a poker con lui durante la ronda notturna, uno in gamba ma dall’indole un po’ scalmanata e testarda.

    Già, beh sono passati due anni dalla sua morte...

    È morto?

    Quasi due anni e tre mesi per essere precisi.

    Wow... sussurrò facendo cadere lo sguardo sulle gocce di pioggia. Aveva ingoiato la notizia tutta d’un fiato, un boccone amaro lasciato scendere alla velocità di un treno in corsa.

    Santo cielo, ma non li segui i notiziari?

    No, o non riuscirei più a fare questo lavoro.

    La mora lo osservò in silenzio; lo conosceva poco ma sapeva quanto fosse dedito al suo ruolo di agente di polizia penitenziaria.

    Io non credo di aver superato la sua morte, ho delle colpe che mi porterò dentro fino alla fine dei miei giorni. Le abbiamo tutti. Abbiamo sempre pensato che Gridiron fosse la rovina di questa città, guardavamo quelli come Cole Dubois e vedevamo solo feccia. Eravamo estremamente convinti che le nostre vite dipendessero dalla periferia, come se la carriera di un aspirante impiegato potesse essere compromessa da una zona di spaccio grande quanto una piscina per bambini. Quando poi un ragazzo di ventidue anni è finito sotto terra e i nostri problemi non sono terminati, abbiamo aperto gli occhi. Gli unici mostri in grado di rovinarci la vita eravamo noi.

    Hank si voltò confuso e le accarezzò istintivamente la guancia quando le vide gli occhi lucidi. La mora si ritrasse di scatto e scese dall’auto, lasciando che la pioggia si confondesse con le sue lacrime.

    Non ti seguo, non riesco a capire.

    Devi tornare dentro, Hank. Ti stanno chiamando mormorò indicando la radiolina tentando di allontanarlo e rimanendo appoggiata al cofano.

    È per questo che sei qui? Hai accettato il lavoro per Cole Dubois?

    Non è per lui...

    Non mentirmi, odio le bugie.

    Come puoi essere così sicuro che ti sto mentendo? Non sai nemmeno chi sono, sei praticamente un estraneo con il quale ho appena fatto sesso!

    Perché solo uno stupido lascerebbe correre, perché sarò anche uno sconosciuto con cui hai appena fatto sesso, ma non per questo smetterò di notare quanto è spento il tuo sguardo. Ne ho viste di donne fragili, ma è la prima volta che una mi sfila la cintura con una simile decisione e questo si chiama fare sesso per rabbia. Tamara, che succede?

    Raquel è tornata in città.

    Un giorno qualcuno le aveva detto che le persone riescono a riconoscere il profumo delle case altrui, ma non della propria. Non ci aveva mai creduto, semplicemente perché per lei la parola casa andava ben oltre all’odore che ti assale mentre pulisci le suole sullo zerbino. O forse, non ci aveva mai riflettuto a sufficienza, perché non aveva mai avuto il bisogno di andarsene per così tanto tempo.

    Prince Hill non era cambiata, era rimasta immobile, addormentata nel paesaggio, circondata da quella natura ostile, dall’aperta campagna.

    Eppure l’aria che tirava era diversa, come se le novità fossero nascoste nell’oscillare delle foglie, dietro ai muretti in mattone sbiaditi dal sole, insieme alla polvere sotto i tappeti persiani, rinchiuse nelle cantine con le collezioni di vini pregiati.

    L’aveva percepito appena scesa dal treno, trasportando le valigie pesanti e respirando l’odore di pioggia.

    La banchina della stazione si era svuotata quasi subito, tutti erano saliti in fretta sulle auto salutando le famiglie o gli amici che erano passati a prenderli. Raquel era rimasta seduta a fumare una sigaretta dopo aver inviato un messaggio all’unica persona su cui sperava di poter ancora contare.

    Ci erano voluti circa quaranta giri d’orologio prima di capire che quella persona non si sarebbe presentata.

    Nel frattempo un timido raggio di sole era trapelato dai noccioli che circondavano il parcheggio ed i mozziconi delle sue sigarette galleggiavano come barchette nelle pozzanghere.

    Era ormai ora di cena quando si era decisa a tentare un’ultima mossa disperata e aveva lasciato un messaggio in segreteria alla donna che mai avrebbe pensato di contattare.

    Aveva mollato le valigie in un angolo, facendo avanti e indietro sul marciapiede e osservando il parcheggio semi deserto.

    Il proprietario del baracchino accanto ai binari aveva avuto più volte la chance di lasciar andare lo sguardo sul suo fondoschiena e di dare inizio alle sue fantasticherie da uomo di mezza età.

    Raquel aveva atteso da brava donna calcolatrice, la sua pazienza di fronte al comportamento disprezzante aveva dato i suoi frutti; infatti, proprio quando era calato il buio e la pioggia aveva ripreso a scendere, l’ambulante aveva fatto la sua mossa.

    Non hai cenato bellezza, ti va un panino?

    Sto bene così, la ringrazio.

    Sto per grigliare degli spiedini per me, guarda che la gente fa la fila per questo ben di Dio.

    Allora buon appetito.

    Raquel gli rivolse un sorriso beffardo per poi sedersi sulla sua valigia e sbuffare stanca riparandosi dal temporale sotto la tettoia della stazione.

    Chi stai aspettando? Ho l’impressione che il tuo ragazzo ti abbia dato buca. Io sono diretto in città, sei una da quartieri alti eh? Posso portarti, conosco la strada.

    Tentò di non darci troppo peso e lo lasciò parlottare mentre l’odore ripugnante della griglia le fece venire il voltastomaco. Dopo due anni si era abituata agli uomini europei, al loro atteggiamento galante e lusinghiero, a quel simpatico accento francese. Aveva incontrato anche uomini più furbi e approfittatori, ma mai troppo espliciti o volgari.

    Le sue chiacchiere vennero smorzate dall’avvicinarsi di due fari e un vecchio pick up accostò proprio di fronte a Raquel.

    Allora Seymour, hai finito di infastidire le ragazze? Nessuna donna ti darebbe una chance conciato così, nemmeno se avessi la decenza di tenere chiusa quella tua boccaccia insolente. Vieni Raquel, sali pure. Oh Seymour, ricordati, alla fiera d’autunno i tuoi spiedini mi hanno fatta correre in ospedale per una lavanda gastrica.

    La donna risalì chiudendo la portiera e lasciò l’uomo ammutolito sotto la pioggia.

    Deve smetterla di importunare ogni donna di Prince Hill. L’anno scorso ha cercato di toccare il fondoschiena a mia figlia mentre era in coda al supermercato, un vero animale. Mi dispiace non essere potuta venire prima, con questo temporale abbiamo avuto problemi con la linea telefonica.

    Non fa niente, è già un miracolo che lei sia qui, non so come ringraziarla. Avevo mandato un messaggio a Tamara, ma non ha risposto.

    Tamara Graves? La dottoressa Tamara Graves?

    Sì, proprio lei, è l’ex compagna di Percy. La conosce?

    No, probabilmente mi confondo con qualcun’altra mormorò lasciando cadere la conversazione.

    Yvonne aveva perso completamente il suo charme da signora altolocata e sembrava essere appena uscita da una rivista sulle mogli dei contadini degli stati del centro America.

    Nel quartiere avevano sempre decantato la sua vita ricca di piaceri e lussurie, ma ora, tutto ciò sembrava solo un ricordo lontano.

    Il pick up puzzava di umido ed i tappetini erano sporchi di fango. Alla radio le canzoni saltavano per via del temporale che stava picchiando senza sosta sulla cittadina, e così, mentre percorrevano le strade alberate, la donna allungò la mano per spegnerla.

    Raquel si rese conto che probabilmente aveva tante domande che le passavano per la testa, ma che forse non trovava il coraggio di porre.

    Ebbe il tempo di osservarla meglio quando girò il capo ad una rotonda per controllare che non arrivassero altre auto. Il suo abbigliamento non rispecchiava un ex abitante di Fountain Avenue: indossava una camicetta stropicciata che lasciava intravedere il seno prosperoso e la pelle poco curata. Un golfino rosa scuro le copriva le spalle e nascondeva i rotolini sui fianchi. Aveva messo su un paio di chili da quel maledetto giorno.

    Non seppe dire se i suoi capelli fossero sempre così crespi, oppure fosse dovuto alla pioggia.

    E così, mio figlio si era invaghito di te. Non aveva tutti i torti, sei proprio una bella ragazza.

    Raquel sussultò, non pensando che volesse puntare proprio a quell’argomento, ma annuì leggermente.

    La ringrazio.

    Dimmi, sei tornata per restare o...?

    Credo che sarà questione di un paio di settimane e poi tornerò in Francia. La mia vita è là ormai.

    È un peccato.

    La mora alzò lo sguardo rimanendo in silenzio per poi concentrarsi sulla strada buia.

    I rami dei pini oscillavano prepotenti e quella notte le sembrò più scura di tante altre.

    Il buio venne smorzato dalle luci lontane della città.

    Voglio dire, è un peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio.

    Beh, sarò qui per qualche settimana...

    Una persona non si conosce in un mese. Ci vuole tempo.

    Capì subito che non si stava affatto riferendo a loro due, ma a lei e Cole.

    Si erano conosciuti in un lampo ed erano finiti a letto ancor prima di stringersi la mano, era stata un’attrazione fuori dal comune.

    Incassò il colpo senza replicare e si stropicciò gli occhi stanca.

    Puoi dormire un po’ se vuoi, basta solo che tu mi dica dove siamo diretti.

    Oh no, stia tranquilla. Ho prenotato una stanza all’hotel in centro, quello vicino alla piazza.

    Non vai a casa?

    No, la mia casa... non so se ricorda...

    Yvonne la guardò confusa ma poi sembrò venirle in mente tutto. Nonostante vivesse fuori città, si ricordava ancora di quel che era accaduto la stessa sera di quel giorno di giugno. Le notizie erano giunte oltre il confine.

    Sai, ti ospiterei volentieri, ma la stanza degli ospiti è occupata e la nostra casa è un disastro con i ragazzi.

    Ci mancherebbe, non è il caso.

    Rimasero in silenzio fino all’arrivo all’hotel.

    Raquel fu invasa da una serie di ricordi, ogni strada, ogni angolo la trasportavano indietro nel tempo. Erano passati due anni, eppure le sembrava di essere stata via molto di più.

    Vuoi che venga con te?

    Vado da sola, la ringrazio per tutto rispose cordiale e facendo per scendere dall’auto.

    Posso farti una domanda?

    Yvonne la bloccò senza toccarla, solo con il tono della voce.

    Avrebbe pieno diritto a farne anche due.

    Allora credo proprio che ne approfitterò. Ti manca?

    Non spesso quanto dovrebbe.

    La risposta svanì in un sussurro e si perse sotto il rombo di un tuono.

    Si sentì in colpa per averlo ammesso ad alta voce dopo due anni di silenzio; ma quel che più la sorprese fu che Yvonne non ebbe alcuna reazione.

    Sapeva quanto fosse una buona madre: aveva dedicato una vita intera alla famiglia, ospitando bambini in affidamento e concretizzando le pratiche per l’adozione di altri ragazzini. Quando si ritrovavano di fronte lei e Robert capivano finalmente cosa significasse essere amati.

    Era certa che Cole fosse stato grato di essere stato adottato da due persone così, semplicemente non gliel’aveva mai detto.

    La donna annuì e si strinse addosso il golfino, come dopo una folata di vento.

    Come se la temperatura si fosse abbassata improvvisamente.

    Sotto zero.

    E ti capita... ti capita mai di vederlo?

    Beh, diciamo che a Parigi...

    Perché io lo vedo ovunque.

    Quelle parole pacate si trasformarono in un singhiozzo e per la prima volta Raquel trovò il coraggio di guardarla negli occhi.

    Era la seconda volta che si ritrovava a confortare una madre che aveva seppellito il proprio figlio, ma non ne era in grado, perché nessuno era riuscito prima a trovare una parola di conforto per lei.

    No, non mi capita. In Francia sono molto occupata, anche alla sera quando è più probabile essere tristi o malinconici, cerco di avere sempre qualcosa da fare.

    Yvonne si asciugò gli occhi lucidi sistemandosi gli occhiali sulla nuca.

    Come mai proprio Parigi? È così lontana...

    A volte non c’è un perché, signora Dubois. Questo me l’ha insegnato lui. Anche Cole avrebbe voluto lasciare questa città.

    No, non è così. A lui piaceva il Michigan.

    Si sbaglia...

    Raquel, ti assicuro che mio figlio non se ne sarebbe mai andato.

    Lui non vedeva l’ora di andarsene!

    Questo è quello che raccontava a voi...

    Cole odiava Prince Hill. Odiava tutto di questo maledetto paese! Lo so, lo conoscevo bene e so cosa...

    Era mio figlio, Raquel!

    Alzò la voce, ponendo fine a quel botta e risposta.

    Lui era mio figlio. Sei proprio sicura che non fosse tutta una tua fantasia? Lui non voleva un’altra città, desiderava solo una vita diversa. Una vita semplice e stabile, proprio come la tua.

    Mi sta dando della viziata? Lui mi diceva sempre che mi avrebbe raggiunta là e avremmo fatto tutto quello che... che ci eravamo promessi.

    In una coppia si chiama scendere a compromessi, Raquel. Lui ti avrebbe seguita ovunque, gli bastava averti accanto.

    Sotto la pioggia battente, Raquel entrò nell’hotel lasciandosi l’auto di Yvonne alle spalle. La hall era vuota, l’odore della moquette si mischiava all’umidità impregnata nelle pareti.

    I suoi capelli sgocciolarono come un ombrello aperto e si diresse decisa verso la reception, trascinando la valigia.

    Il ragazzo dietro al bancone non aveva un viso famigliare, doveva essere stato assunto da poco. Era tardi, ma il suo sguardo sembrava brillante e sveglio, forse a causa dell’enorme quantità di caffeina, visto le tazze vuote sulla scrivania.

    Appena la vide, scattò in piedi come un soldatino, presentandosi e omaggiando i servizi forniti dall’hotel mentre cercava le chiavi.

    Ecco a lei, e lasci che l’aiuti con i bagagli...

    No aspetti, questa non è la chiave giusta.

    Sembrò coglierlo alla sprovvista e rimase impalato a fissarla.

    Lo è, mi creda.

    No, no, mi scusi ma avevo richiesto un’altra stanza...

    Lo vide mettersi a sfogliare il registro e poi alzare lo sguardo confuso, spostandolo costantemente tra lei e il muro pieno di chiavi.

    Beh, la stanza è quella.

    Ho richiesto esplicitamente la 103.

    Oh, mi dispiace deluderla, ma è già occupata da altri ospiti. Non sarà libera prima della settimana prossima. La prego, mi segua pure...

    Non ci siamo capiti ragazzino, ho chiesto la 103 e alloggerò solamente in quella stanza.

    La sua schiettezza lo fece sudare freddo e attirò l’attenzione di altri lavoratori. Il vecchio addetto alla reception si avvicinò.

    Cosa succede qui? Cos’è questo trambusto?

    La signora vorrebbe la 103, ma le ho spiegato che non è possibile, è già occupata.

    La signora... Oh signorina Loper, mi scusi, deve perdonarlo, è nuovo e non conosce ancora bene le dinamiche. Phill, la signorina avrà la stanza 103 e gli altri signori li sposteremo nel corridoio accanto all’ascensore.

    La ringrazio, è importante per me.

    Lo sappiamo signorina, lo sappiamo.

    Si diresse verso l’ascensore mentre il ragazzino cercava di farsi perdonare trasportando la sua valigia per le scale.

    Sentì addosso gli sguardi di tutti i dipendenti dell’hotel che conoscevano la sua storia, che avevano visto lei e Cole sgattaiolare fuori dall’edificio come ladri per mesi interi. Gli stessi che avevano letto i necrologi un giorno qualsiasi di giugno e avevano a stento riconosciuto il nome del ragazzo.

    Uno dei cuochi uscì dalla cucina appena in tempo per vedere le porte dell’ascensore chiudersi.

    Sentiremo urlare stasera.

    Un po’ di rispetto, chef. Quel povero ragazzo è morto e lei ha scelto la stessa stanza.

    Appunto, sentiremo le urla fino in cucina.

    L’alba squarciava in due il cielo.

    La città si animava lentamente e ogni giorno riprendeva il suo lento corso. E magari, siamo tutti sotto lo stesso cielo in qualsiasi parte del mondo, ma quello che ricopriva Prince Hill le sembrava dannatamente diverso.

    Quei colori brulicanti mischiati al fumo delle fabbriche ed ai fari ancora accesi delle automobili, quelle luci che mostravano la strada verso casa.

    Nelle foto ancora faticava a distinguere l’alba dal tramonto, eppure ne aveva visti tanti anche dai tetti parigini.

    Dalla terrazza dell’hotel osservava i primi raggi giocare a nascondino tra i riflessi dei grattacieli del centro mentre il fumo della sigaretta sporcava l’aria.

    Era tornata a casa, eppure si sentiva più sola che mai.

    Era nata in una cittadina che alle prime luci dell’alba stentava a riconoscere: i profumi, i suoni, le vie, i quartieri, non erano più gli stessi. Prince Hill era rimasta immutata, ma il suo sguardo osservava oltre i luoghi che l’avevano vista crescere.

    Speravo avessi smesso di fumare.

    Non lo sentì salire le scale ed aprire la porta che conduceva fino alla terrazza. Sobbalzò colta alla sprovvista e quasi non fece cadere la sigaretta al di sotto del cornicione.

    No, purtroppo il vizio è rimasto papà.

    Lewis si avvicinò e si sedette sul bordo del muretto, dando la schiena alle luci diurne.

    Non si vedevano da due anni e le telefonate dopo i primi mesi si erano accorciate sempre più fino a diventare rare e schive.

    Lewis le aveva lasciato il suo spazio, permettendole di vivere quella vita diversa, tanto sognata e desiderata, e facendo scorrere il tempo affinché aiutasse a chiudere le ferite.

    Nonostante ciò, non era passato giorno senza che il padre non controllasse più volte il registro delle chiamate.

    Puoi spegnere la sigaretta?

    Raquel scosse la testa tenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte.

    Non amo vederti fumare.

    Dovresti essere abituato.

    Raquel.

    Papà.

    I loro sguardi si scontrarono per qualche secondo prima di separarsi ancora.

    Lewis si sistemò la camicia spiegazzata e sospirò osservando la terrazza. I tavoli e le sedie erano stati legati e coperti con un telone di plastica per evitare le intemperie invernali e alcune gocce di pioggia scivolavano dritte a terra reduci dal temporale notturno.

    Come stai?

    La mora sembrò infastidita da quella domanda, suo padre aveva sempre tenuto quel genere di argomenti lontani da ogni conversazione.

    In Francia sembrava tutto più semplice.

    Non tornavi qui da due anni.

    Ho una nuova vita, ed è molto diversa.

    Quando perdiamo le persone care, tutto sembra diverso, anche casa...

    Ti prego...

    Raquel si scostò bruscamente come se l’uomo avesse cercato di sfiorarla, e lasciò cadere la cenere sul suolo umido.

    So che non ti piace parlarne. So che è difficile farlo e di certo sarò l’ultima persona che te lo chiederà. Però tenersi tutto dentro è lacerante.

    Non c’è niente di cui parlare, muoiono tante persone ogni giorno, il mondo va così.

    Perdere Cole e tua madre ad un mese di distanza non è normalità, Raquel.

    La donna si sedette accanto a lui lasciando che il fumo sorvolasse la conversazione.

    Come stai tu, papà?

    Non è cambiato molto. Lei è ancora qui, è sempre con me. Magari non la posso vedere, ma la sento vicina. Ho sicuramente più tempo libero sai? ridacchiò spezzando la tensione.

    Lavori troppo, dovresti deciderti a lasciare l’attività a qualcuno più giovane e goderti...

    Non lascerò l’attività. Mi tiene impegnato per qualche ora durante la giornata e mi lascia il tempo per il giardinaggio e il volontariato. Sai che lei ha sempre tenuto a queste cose. Inoltre la vado a trovare tutte le domeniche dopo la messa.

    Raquel si chiuse in uno dei suoi silenzi lasciando cadere anche il mozzicone ai suoi piedi.

    E così vai a messa? Devo essermi persa qualcosa...

    Katherine non era credente, e per questo abbiamo rinunciato al funerale, sarebbe stato solo un raduno di ex colleghi e zitelle chiacchierone. Non l’avrei mai permesso, sarebbe stato umiliante e mai metterò tua madre in tali condizioni. Sai anche bene però, che la fede non mi è mai mancata nonostante abbia dovuto reprimerla nel mio matrimonio.

    Hai ritrovato Dio? Com’è? Funziona?

    Lewis abbozzò un sorriso a quella domanda ingenua, proprio mentre i raggi del sole gli scaldavano la schiena e disegnavano il suo viso nelle pozzanghere.

    Non è una pozione magica, non esiste medicina alla perdita di una persona cara. Esistono rimedi temporanei, e per quanto mi riguarda, mi basta credere di averla sempre vicino, anche se non posso vederla, toccarla o sentirla. Ora sei un’adulta Raquel, e possiamo parlare liberamente, non devo più nasconderti dalle sofferenze di questo mondo. Qual è il tuo rimedio?

    Lewis sembrava essersi trasformato dopo la morte della moglie. Per troppo tempo l’aveva lasciata cadere nei suoi silenzi, l’aveva capita senza dire una parola riuscendo a farla stare meglio rimanendo seduto accanto a lei. E così aveva sempre fatto Cole, erano state due persone che si capivano a sguardi.

    Ora tutto sembrava diverso. Forse perché Lewis aveva voglia di parlare, di dire la sua dopo aver passato anni a non ricevere risposte dalla donna che aveva amato più della sua stessa vita.

    Raquel scosse la testa cominciando a camminare tra i teloni della terrazza.

    Il tempo è l’unico rimedio.

    Vorrei poter dire che è così. Poco fa, quando sono entrato nella tua camera e non ti ho trovata, ho subito capito che dovevi essere quassù, da piccola amavi vedere l’alba. Ci mettevamo seduti in veranda con una spremuta tra le mani e nonostante i tuoi occhi fossero sul punto di chiudersi da un momento all’altro, ti illuminavi quando i primi raggi filtravano tra le piantagioni dei vicini. Sapevo che ti avrei trovata qui da sola anche stamattina.

    Dove vuoi arrivare papà?

    Il bagno della camera era ridotto un disastro.

    Perché ho già vomitato tre volte.

    Vuoi una mano a pulire?

    No, è per questo che pagano le donne di servizio. Questo posto è pieno di scansafatiche.

    Quanto hai bevuto ieri sera?

    La donna si voltò sorpresa e si ricordò di quanto suo padre fosse un acuto osservatore, non gli era mai sfuggito nulla.

    Quel che basta. Madeleine mi aveva avvertita che sarebbe potuto succedere la prima notte qui.

    Madeleine?

    Non ha importanza.

    Raquel abbassò lo sguardo sedendosi sul cornicione opposto, accanto alla porticina della terrazza. La colazione era appena stata servita, un profumo di caffè amaro e di bacon croccante risaliva le grondaie.

    Il padre osservò l’orologio e si alzò avvicinandosi a lei.

    Quando sarai pronta a parlarne, o anche solo provarci, io ci sarò. Sei mia figlia e non credere che mollerò la presa così facilmente. E non m’importa quante sigarette fumi, quante bottiglie lasci sul pavimento o chi diavolo decidi di portarti a letto...

    Io non ho portato...

    Non m’importa, Raquel. Sono tuo padre e non smetterò mai di esserlo. Non sarò mai come Robert Dubois, non mi arrenderò davanti a niente. Per quanto frustrante, sbagliato e ingiusto potrà essere il tuo comportamento, io non troverò scuse. Tutte le persone possono essere salvate.

    Capitolo uno

    Dev’essere stato il vento

    La giornata era trascorsa lenta, scandita dal lavoro e dal ritorno di un sole estivo, forse uno degli ultimi prima dell’arrivo dei venti autunnali.

    Thad aveva passato il pomeriggio sulla sdraio in giardino e più di uno sguardo indiscreto era caduto sul suo petto robusto quando si era tolto la canottiera. Ma d’altronde si sapeva quanto le casalinghe di Prince Hill attendessero con ansia che l’imprenditore tornasse dai suoi viaggi di lavoro per trascorrere un po’ di tempo in famiglia.

    Era ormai il tramonto quando le ultime luci diurne vennero coperte da un’ombra, costringendo così l’uomo a levarsi gli occhiali da sole.

    Mi togli gli ultimi raggi così.

    È pronta la cena mormorò Elphie facendogli spostare le gambe e sedendosi sul bordo della sdraio. Il suo sguardo sembrava immerso dietro al verde delle colline. Le sue dita gli accarezzarono le caviglie fino ad arrivare al tessuto dei pantaloncini verde fluo che il marito stentava a buttare. Li trovava orrendi anche per essere utilizzati nella corsa mattutina.

    Thad si godette quelle timide attenzioni e sorrise rimettendosi gli occhiali e rilassandosi contro lo schienale.

    Era stata una lunga estate e finalmente tutto sembrava essere terminato.

    Le ondine della piscina si muovevano a ritmo sulle sfumature d’arancio riflesse sull’acqua. Oscar si era dimenticato di rimettere a posto i materassini, i quali vagavano come marinai dispersi da giorni nell’oceano.

    Avevano trascorso i mesi estivi a Fountain Avenue, e avevano deciso di non viaggiare, nemmeno per la solita visita ai parenti. Thad aveva recuperato del lavoro arretrato, rimanendo chiuso nel suo studio e uscendo solamente verso sera. Si faceva preparare un panino al burro d’arachidi, si sdraiava a prendere il sole e malediceva i colleghi fannulloni in vacanza in qualche meta tropicale.

    Elphie non aveva organizzato nemmeno una delle sue feste a tema e aveva lasciato che il caldo portasse con sé i dispiaceri di quell’anno.

    Solo Oscar era stato contento di non doversi spostare in un paese dove non conosceva lingua e cultura. Si era appassionato ai fumetti e alle figurine, e aveva fondato un club esclusivo con i suoi migliori amici. Ogni settimana si incontravano a casa di qualcuno ed il piano era sempre lo stesso: la madre preparava la merenda, durante la quale si scambiavano le figurine mancanti e in seguito avrebbero guardato un film horror.

    Elphie continuò con le carezze mentre gli dava le spalle, fino a quando la sua mano non si fermò alla caviglia.

    Credo che dovremmo parlare di quello che è successo.

    A cosa ti stai riferendo? Perché ne sono successe di cose.

    Lo sai.

    La sua presa divenne più salda e lo costrinse a scostare la gamba per poi mettersi seduto accanto a lei.

    Non era ancora riuscita a voltarsi per guardarlo negli occhi, o quanto meno nel riflesso dei suoi occhiali scuri.

    Non penso sia il momento adatto. È pronta la cena, no? Allora andiamo a mangiare mormorò afferrandole la mano, pronto per alzarsi.

    La donna rimase immobile, come se nemmeno la stesse sfiorando.

    Per te non sarà mai il momento adatto.

    Già, non lo sarà mai, ed ora vieni a cenare, Oscar è già seduto.

    Quei tre mesi avevano sfruttato al meglio il loro giardino, e così anche quella sera di settembre si erano ritrovati a mangiare fuori.

    Il tavolo e le sedie in legno potevano essere cigolanti e colme di schegge, ma le luci a neon appese attorno ai rami degli alberi e le melodie della natura erano impagabili.

    Anche Thad sembrava essere contento di cenare all’aperto, nonostante non fosse fan di campeggi e gruppi scout.

    Il moro si era seduto per primo, lasciando il posto a capo tavola alla moglie.

    Elphie aveva recuperato il suo sorriso smagliante davanti al figlio e si era seduta facendo cenno alla domestica di portare la cena in tavola.

    Dopo giugno avevano deciso di assumere Ondine Lafayette, una donna di colore che si superava in cucina, manteneva in ordine la villa e si occupava di Oscar quando i genitori erano troppo impegnati.

    Allora, com’è andata a scuola questa settimana? domandò Thad versandosi un goccio di vino.

    Quel ragazzo più grande continua a spingermi contro gli armadietti, dice che la mia testa è più grossa di un pallone.

    Non ha tutti i torti.

    Thad! mormorò scioccata la bionda tirandogli una gomitata.

    Voglio dire, perché non gli hai tirato un pugno?

    La vuoi smettere?

    Insomma, sua madre è talmente grassa che la sua nuca sembra un hot dog.

    Oscar ridacchiò divertito e lui si voltò verso la moglie con fare innocente, d’altronde era innegabile quanto Thad cercasse di essere un buon padre in quell’ultimo periodo.

    Sembrava essersi ridimensionato e in fondo stava seguendo alla lettera tutto ciò che Elphie gli aveva sempre chiesto.

    Magari agiva di testa sua e non sempre si atteneva alle buone maniere, ma rimaneva sempre un padre.

    La domestica trasportò con fatica la pentola e riempì abbondantemente i loro piatti, regalando un sorriso genuino all’ometto di casa mentre aggiungeva una polpetta in più alla sua porzione.

    Proprio quando Thad aveva già la forchetta che sfiorava le labbra, Elphie allungò le mani verso di loro.

    In questa casa si prega sempre prima di mangiare. Forza, datemi la mano.

    Papà non se lo ricorda mai.

    Già, non me lo ricordo mai mormorò a denti stretti mentre il suo stomaco brontolava.

    A sua volta, Oscar afferrò la mano della madre, ma Thad rimase con la mano destra a mezz’aria.

    Il tavolo era stato apparecchiato per quattro persone, ed il posto accanto all’uomo era vacante.

    I due adulti si scambiarono uno sguardo repentino e la bionda pregò che non tirasse fuori l’argomento. Ma Thad Douglas non era ancora pronto a seppellire il passato alle spalle.

    Oh guarda tesoro, non possiamo fare la preghiera. Sto allungando la mano, ma nessuno me la stringe mormorò con una vocina irritante e sottile.

    Non importa, faremo la preghiera solo in tre.

    Beh certamente, proprio come una vera famiglia continuò a denti stretti, consolidando la presa sulla mano della moglie.

    Elphie sospirò sconsolata e lanciò uno sguardo d’aiuto verso Ondine, la quale era rimasta in piedi sullo stipite della porta sul retro.

    Mi dispiace signora Douglas, il telefono di casa non ha squillato.

    Come mai non sono sorpreso? domandò retorico il moro infilzando con forza gli spaghetti per poi riempirsi la bocca di sugo.

    Il figlio sgranò gli occhi, a lui non era mai stato permesso di mangiare senza aver recitato la preghiera.

    Non guardarmi in quel modo, mangia ragazzino.

    Oscar ubbidì prontamente senza cercare il consenso della madre, era chiaro a tutti chi deteneva il comando in casa Douglas.

    Elphie sembrò perdere la pazienza e fece segno alla domestica.

    Ondine, la prego si sieda con noi, quanto meno non ci sarà alcun posto vacante ringhiò verso il marito.

    Ondine, resta esattamente dove sei. E questa pasta con le polpette... Da chi diavolo hai imparato a farla?

    La domestica non si scompose e si avvicinò alla sua sedia con cura sentendosi tirata in causa.

    Ho lavorato come cuoca a New York in un ristorante a Soho. Sono di suo gradimento?

    Oscar alzò lo sguardo verso il padre con la bocca piena e le labbra sporche, amava succhiare gli spaghetti nonostante non fosse buona educazione.

    È molto buona sentenziò facendo tirare un sospiro di sollievo ai presenti.

    Elphie recitò una preghiera veloce tra sé e sé, stringendo la croce d’oro che portava al collo prima di riuscire a godersi quel che restava della cena.

    Oscar aveva ancora la bocca sporca di sugo quando era stato chiamato dalla domestica per mettere in ordine la stanza e prepararsi per andare a letto. Ondine aveva poi cominciato a sparecchiare la tavola, e Thad le aveva stretto il polso quando era arrivato il turno del suo piatto.

    Non ho finito mormorò scontroso per poi frugare nella tasca dei pantaloncini alla ricerca di un accendino.

    Elphie aveva chiuso gli occhi tentando di non scatenare un putiferio e la domestica si era dileguata in fretta lasciando la coppia da sola.

    Rimasero sotto il bagliore di una timida luna, nascosta tra i primi nuvoloni scuri, le luci delle case di Fountain Avenue assomigliavano a tante piccole lucciole e le cicale ancora cantavano nell’aperta campagna.

    Una nube di nicotina falciò l’aria e Thad fece cadere la cenere nel piatto sporco.

    Aveva perso il conto delle volte in cui aveva cercato un confronto con lui, e ad ogni tentativo riusciva a tirare fuori una scusa valida.

    C’è qualcosa che vuoi dirmi?

    Nulla di particolare, no.

    Io sì invece mormorò attirando la sua attenzione.

    Il moro le fece segno di continuare mentre all’interno, in cucina, Ondine sfregava con forza il fondo della pentola non riuscendo a togliere le macchie di sugo.

    Vorrei che tu smettessi di sminuirmi davanti a nostro figlio.

    Non l’ho fatto.

    Lo fai in continuazione, sempre. Ogni cosa che dico sembra non contare nulla per te, come pensi che mi senta? Devi sempre mettermi a tacere in questo modo?

    Thad buttò giù un altro sorso di vino e sospirò lasciandosi andare contro lo schienale.

    Prima di parlare, alzò lo sguardo notando Oscar che osservava la scena dalla finestra della sua cameretta e con un richiamo secco fece segno a Ondine di lasciar perdere la pentola e salire al piano superiore.

    Fu pressoché inutile dato che il bambino era filato sotto le coperte dopo lo sguardo del padre.

    Perché lo fai Thad?

    È tutto nella tua testa, non faccio niente.

    Non provare a rigirare questa conversazione. Tu sei capace di schiacciarmi in qualsiasi momento, ogni volta che ne hai bisogno. È questo che sei ed è questo quello che fai, tu mi umili per sentirti meglio con te stesso.

    Credi davvero che uno come me abbia bisogno di sentirsi meglio con se stesso?

    Probabilmente sì.

    Elphie lo osservò giocando nervosamente con la catenina attorno al collo, rischiando di romperla per il nervosismo.

    I problemi del loro matrimonio erano iniziati così, proprio perché nessuno di loro ne

    aveva mai parlato a sufficienza.

    Conosco le persone come te, mio padre era la tua fotocopia, non riusciva ad affrontare i problemi. Perché se non se ne parla è come se non esistessero, no? Non è così Thad?

    Abbassa la voce, ci stanno sentendo tutti.

    In quella serata d’autunno, non era più Oscar il solo ad essersi affacciato alla finestra. Fountain Avenue viveva di pettegolezzi, respirava gossip e si nutriva di famiglie di cristallo.

    Rispondi, rispondi!

    A volte mi sembra di parlarne fin troppo. Ti sei mai ascoltata? È una domanda seria Elphie. Se solo lo facessi capiresti quanto è difficile per me stare dietro alle tue pretese, parli così tanto da farmi sanguinare le orecchie.

    La donna rimase incredula, come se il marito fosse riuscito a toglierle tutte le parole di bocca, per sua felicità.

    Fu il tempo di un altro tiro, e quando la cenere cadde di nuovo, ad Elphie non importò più che tutta Prince Hill fosse all’ascolto.

    Dovevi solo dire una cazzo di preghiera, una sola! Dovevi solo fingere che per una sera fossi contento di cenare con la tua famiglia e di chiacchierare con tuo figlio! Dovevi ringraziare Ondine quando ti ha riempito il piatto e lasciarla sparecchiare la tavola in pace! Dovevi solo essere mio marito per almeno una cazzo di sera!

    Le urla non rimasero nascoste nella penombra del giardino.

    Dicono che ci sia un momento in ogni litigata, un esatto istante, dove gli estranei smettono di fingere e cominciano ad ascoltare con attenzione. Dopo aver rimboccato le coperte al bambino, udì la loro litigata accendersi di colpo proprio mentre scendeva le scale. Si precipitò quindi in cucina dove le urla si trasformavano in parole ben scandite grazie alla finestra semi aperta che dava sul giardino.

    Si mise ad ascoltare attentamente, ricordandosi dove fosse il telefono di casa Douglas. Aveva lavorato per altre coppie prima di loro e le era già capitato di telefonare prontamente al 9-1-1 prima che la situazione potesse degenerare.

    Inaspettatamente però, la rabbia cieca di Thad non si scatenò come al solito. Si alzò strusciando la sedia sul pavimento in pietra e spense il mozzicone sul fondo del piatto.

    Credo che tu abbia perso il diritto di essere trattata da moglie tanto tempo fa. Volevi parlarne? Eccoci qua Elphie.

    Non attese una risposta e rientrò in casa chiudendosi nel suo studio senza degnare di uno sguardo le due donne.

    Elphie rimase immobile con gli occhi lucidi e la croce d’oro stretta tra le mani.

    Le finestre di Fountain Avenue quella sera erano tutte spalancate e il litigio era giunto a orecchie indiscrete.

    Elphie alzò lo sguardo verso la casa dei vicini e fulminò la signora che fingeva di parlare al telefono appoggiata al cornicione.

    Cosa avete da guardare, eh? Andate a chiedere a vostro marito con chi ha passato la scorsa notte invece di preoccuparvi dei matrimoni degli altri! Sì signora Deeks parlo anche per lei, sento il suo compagno masturbarsi ogni sera e non credo che sia lei a presentarsi in cucina vestita da pantera! Buon Signore, almeno gli dica di fare più piano! Non posso raccontare a mio figlio che il vostro cane ha perennemente un virus intestinale, non ci crederà ancora per molto! Per non parlare di lei, signora Davis, lei che ha una vita sentimentale meno movimentata di una suora di clausura, con un marito che scenderebbe a compromessi anche con uno dei tre porcellini pur di fare del benedetto sesso!

    E così, le vicine rincasarono veloci, alcune non riuscendo a smettere di ridere, altre con le guance in fiamme.

    Ondine accennò un breve sorriso finendo di sparecchiare il tavolo e diede un’occhiata alla padrona di casa.

    Ho fatto male?

    Ha fatto benissimo signora, mia madre mi ripeteva sempre di risolvere prima i problemi in casa e poi di giudicare quelli al di fuori.

    Già. Non hai mai lavorato come cuoca vero?

    La domestica si fermò con le posate tra le mani e sorrise scuotendo la testa.

    È una vecchia ricetta di mia nonna, lei sì che sapeva cucinare.

    Per questo a Thad sono piaciute le polpette.

    Bugie solo a fin di bene signora. E se posso permettermi, quella camicetta le sta molto bene, ma è un peccato indossarla in casa. Deve uscire stasera?

    Elphie si alzò dalla sedia e l’aiutò a portare tutto in cucina.

    Sì, ma non ti preoccupare, tu vai pure a casa. Ho l’impressione che farò un salto in chiesa mormorò una volta terminato di sistemare, allungandole la paga giornaliera.

    La nera recuperò la sua giacca e si assicurò per l’ennesima volta che fosse tutto in ordine.

    Mia madre diceva sempre Se una persona dice di amare Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.

    Le parole della bionda la bloccarono sullo stipite della porta.

    Mi perdoni signora Douglas, non conosco bene il Vangelo.

    Prima lettera di Giovanni 4,20. Lo ripeteva ogni volta che io e Jude litigavamo, era uno dei suoi versetti preferiti.

    Ondine si avvicinò appoggiandosi alla penisola della cucina. Le luci del giardino erano spente e il prato era calato nel buio, le ombre danzavano dietro ai finestroni delle ville.

    Era una notte come tante.

    Se le serve qualcosa, sa che numero chiamare.

    Perché ha scelto di venire a lavorare qui?

    La paga è ottima, e anche se non mi conviene ammetterlo ad alta voce, è nettamente superiore a quella offerta dal suo vicinato. Se mi posso permettere, signora...

    Tutto quello che vuoi Ondine.

    Mia madre diceva anche che non esiste cosa più importante della famiglia mormorò indicando il posto che era rimasto vuoto durante la cena.

    Elphie rimase a fissare il tavolo in giardino prima di essere risvegliata dai suoi pensieri da una violenta folata di vento che fece tremare la finestra ancora aperta.

    Ho lasciato una porzione di spaghetti nel microonde, mi saluti il signorino quando avrà piacere di tornare.

    Sto solo facendo un favore ad un’amica. Sai che non sei costretta a chiamarlo così vero? sussurrò ridacchiando.

    Dio sarà pronto ad accogliere i suoi pensieri anche domani. Non si faccia ingannare dalle temperature estive, si abbasseranno di nuovo in nottata.

    Ondine lasciò casa Douglas tirandosi su il colletto della giacca, ma non prima di aver lasciato, sul tavolo della cucina, le chiavi dell’automobile famigliare.

    Attese di sentire la porta di casa sbattere due volte prima di uscire dal suo studio.

    Ormai era calato il buio e la sua ombra si allungava dritta nel corridoio, illuminato dal bagliore freddo della lampada.

    Aveva avuto tutto il tempo di cambiarsi e di prepararsi per andare a letto, senza neanche domandarsi dove la moglie fosse diretta. Forse perché sotto sotto già lo sapeva, o magari perché non gli importava abbastanza.

    Si fermò sullo stipite della porta ed osservò Oscar dormire. Non erano tanti i weekend in cui gli capitava di vederlo lì, immerso in quelli che sperava fossero solamente sogni.

    Aveva cominciato a lavorare più a Prince Hill, cercando di spostarsi il meno possibile, ma quando il lavoro si era presentato, non si era mai tirato indietro.

    Si era sempre sentito abbastanza come padre, ed era convinto che quelli di Fountain Avenue si assomigliassero tutti.

    Non era stato il più presente, magari nemmeno il più puntuale o giocoso, ma non aveva mai mentito nei suoi confronti. Amava Oscar dal primo momento in cui si erano incontrati, da quella frenetica notte in ospedale, quando la moglie aveva dato spettacolo con le sue urla in sala parto e aveva quasi fatto piangere l’ostetrica a suon di insulti durante le doglie.

    Thad non aveva mai dato per scontato il suo amore, semplicemente aveva faticato il doppio degli altri per dimostrarlo, e proprio per questo la moglie non era riuscita a coglierlo in tempo.

    Rimase a fissarlo per un paio di minuti mentre la casa si faceva silenziosa, e solo il vento disturbò quell’atmosfera magica.

    Magica, perché così l’avrebbe definita. Lui ed Oscar insieme, l’unica persona per cui avrebbe dato

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