Musa plebea. Fuga dagli estetismi Poesie, disegni, scritti e una intervista a Tonino Guerra
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Nicola Filazzola, Basilicata, vive e lavora a Matera con studio negli antichi rioni Sassi della città. Agli inizi degli anni ’70 l’attività artistica incrocia la passione politica e l’impegno civile. Risale a quell’epoca l’incontro con gli artisti Ennio Calabria e Vittorio Basaglia, esponenti di rilievo della , con i quali stabilisce saldi legami di amicizia. Ha tenuto mostre personali nelle maggiori città italiane ed estere. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private. Tra le personalità che hanno scritto di Filazzola si ricordano Ernesto Treccani, Tonino Guerra, Leonardo Sinisgalli, Giorgio Celli, Antonello Trombadori, Arcangelo Leone de Castris, Giorgio Seveso, Duilio Morosini, Dario Micacchi, Francesco Vincitorio, Ennio Calabria, Vittorio Basaglia, Toni Toniato, Raffaele Nigro. Della sua grafica si segnala la cartella di acqueforti-acquetinte del 1978: . Così come da ricordare sono i ritratti di don Abbondio, padre Pirrone, don Trajella raccolti nel quaderno , una riflessione crudele sui rapporti tra clero e potere. Nel 1988 pubblica , opera grafica e ragionata nata dalla lettura dei monumenti di guerra della Basilicata. Nel 2004 nella Sala Museale del Baraccano di Bologna, espone il ciclo pittorico dedicato alle trasformazioni della campagna meridionale. Nel 2018 il Comune di Napoli gli organizza una grande mostra nelle sale di Castel dell’Ovo. Da alcuni anni, negli ipogei del suo studio, promuove interessanti incontri culturali, ultimi, quelli con le opere di Tonino Guerra e Natale Addamiano.
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Anteprima del libro
Musa plebea. Fuga dagli estetismi Poesie, disegni, scritti e una intervista a Tonino Guerra - Nicola Filazzola
Prefazione
Musa plebea di Nicola Filazzola è un’opera che tiene insieme diverse forme estetiche con una forte coerenza interna. A prevalere, nel lavoro di Filazzola è il rapporto tra natura e cultura, un rapporto che sta alla base di ogni civiltà. La cultura, in particolare, è quella antropologica ovvero quella che in ciascuno spazio e tempo caratterizza le società in base a come esse intervengono nella natura, modificandola, manipolandola, adattandosi o stravolgendola. Per questo, nella cultura rientra il modo specifico col quale gli uomini organizzano lo spazio in cui vivono.
I diversi modi, le diverse culture, non sono però neutrali. Il loro modo di formarsi, infatti, oltre a essere caratterizzato dalla natura in sé (cioè dal territorio, dal clima, ecc.) è condizionato dai rapporti sociali ed economici che si instaurano fra persone e che sono sempre rapporti di forza e di potere. Sono rapporti, per essere chiari, asimmetrici, verticali, nei quali una piccola minoranza sta in alto e gode della ricchezza di una grande maggioranza che sta in basso.
Si tratta, come si intuisce, di una lettura debitrice del materialismo storico alla quale va aggiunta un’altra componente al significato di cultura ovvero quella di ideologia. La cultura, in questa accezione, è cultura dominante, o meglio cultura delle classi dominanti che elaborano sistemi di pensiero per giustificare come storicamente necessario, giusto, «naturale», il proprio dominio. Non solo, esse col loro dominio influenzano gran parte delle opere intellettuali, creative, artistiche, d’ingegno, facendo sì che esse diventino organiche alla propria classe.
L’opera artistica di Filazzola è di segno opposto. Essa cioè si configura come un’arte anti-ideologica e contro il potere, un’arte, cioè, delle classi subalterne che mette al centro queste ultime. L’autore parte dalla città in cui vive, Matera, e dai suoi meravigliosi, e struggenti, Sassi. Essi, da un lato, rappresentano una sintesi incredibile di natura e cultura, quasi una sua fusione, in una continuità storica molto rara. Ma, dall’altro lato, sono anche lo specchio che riflette le dure condizioni di vita dei contadini nel Mezzogiorno, il ritardo nella modernizzazione, lo sfruttamento e la miseria.
Di fronte a queste enormi diseguaglianze, Filazzola sente il bisogno di prendere parte a un conflitto per il riscatto, e lo fa scegliendo una militanza artistica, intellettuale e politica che lo porta a iscriversi, giovanissimo, nel Pci e a prendere a cuore la causa meridionalista.
In questo percorso, appassionato e disinteressato, si trova su posizioni quasi «eretiche» rispetto al Partito comunista. Egli, infatti, valorizza le interpretazioni del mondo contadino di due grandi intellettuali come Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini, spesso al centro di aspre critiche provenienti dal partito, tendenzialmente incline a considerare i braccianti meridionali come una «classe» poco adatta a rivoluzionare il presente, in un certo senso reazionaria, mai sintonizzata con la modernizzazione.
Filazzola, invece, cerca di dimostrare - ricordando, per esempio, le prime occupazioni delle terre del 1949 contro il latifondo - come vi sia, in realtà, un grande potenziale conflittuale e una intrinseca solidarietà tra i braccianti. Inoltre, riflettendo sul «ritardo» nella modernizzazione spiega come esso avrebbe potuto costituire non tanto un esempio di arretratezza quanto un punto di resistenza alla modernizzazione consumistica e mercificante del neocapitalismo italiano, quello del Boom. Per questa ragione, quel mondo contadino avrebbe potuto tentare un’altra modernizzazione possibile, orientata al progresso più che allo sviluppo, per usare l’efficace distinzione di Pasolini.
Ciò, purtroppo, non è avvenuto e oggi tutto è diventato preda di consumo. Come molte delle manifestazioni artistiche e culturali che accompagnano la vita di Matera, della Lucania e del Mezzogiorno, che appaiano a Filazzola come piegate a una logica commerciale, massmediatica, omologante, stereotipata. Insomma, dominante. Da qui la sua «fuga dagli estetismi» e la ferma volontà di utilizzare la sua arte come un’arma per una critica del potere.
L’autore, grazie a questa consapevolezza, acquisita già negli anni di formazione, riesce a comprendere, con netto anticipo, l’importanza di alcune tematiche, come l’ambiente e l’immigrazione, oggi di stridente attualità. Ma, forse l’aspetto più importante di questa testimonianza artistica è la volontà di non arrendersi e di cercare, con perseveranza, vie nuove per creare un rapporto diverso tra natura e cultura.
Francesco Marchianò
A Vanina e alle sue ragazze
Sofia e Greta.
A Francesca e alla sua bambina
Giorgia.
«A furia di frivolezze
siamo usciti di senno».
Osip Mandel’stam
Poesie
IN FUGA
Il bacio sul selcio
del piede in fuga
dell’innamorata.
COME RICORDO
Come ricordo
infilato
nelle ciglia
UGGIANO
Le more colte tra i rovi
sulle pendici
della collina di Uggiano.
La bianca polvere
e il profumo
dei fiori d’origano.
Le bestemmie ad alta voce,
il suono delle cicale
in cima alle canne.
Poche acque
sono così profonde
come queste dure argille.
Qui affondarono
pareti corrose dallo scirocco,
le disgrazie dei ricchi.
Qui si dispersero
le biblioteche dei conventi,
il senno dei poveri.
A questo mare
torna l’onda
che si perse tra rive spoglie.
Come l’archeologo,
si immerge e conta,
asciuga e canta.
VIAGGI LIETI
Furono viaggi lieti
quelli di Federico e Pier delle Vigne
tra Castel del Monte e Venosa.
Sulla via che portò l’Imperatore
a incontrare i luoghi del fanciullo Orazio
si può attendere la morte,
accanto a un cespo di ginestra,
all’ombra del sogno ottagonale.
Questa morte che ci sorprende
in luoghi oscuri - altri principi
si muovono tra Matera e Potenza -
in compagnia dell’erpivoro
con gli eredi dei fratelli Morra.
COME SEDUTI
Come seduti sull’ultimo piolo
di lunghe fragili scale
e la vita l’avessero
tutta quanta adempiuta
dentro un otre di vento:
Craco, Noepoli, Armento.
Alla noia solfurea (le nude campane),
eterna alleata di questi tristi incanti,
il riflesso del lampo
sul muso di una inquieta capretta
nell’ozio dei tornanti.
VENTO A SATRIANO
Io non so
se di primavera
è il vento
che agita la siepe,
batte su le ciglia
gialle della sera,
porta le foglie
alla follia.
IL COLORE DEL CRANIO
Non tutte le valli
sono verdi,
quelle che si estendono
da Uggiano a San Mauro
hanno il colore del cranio.
Le percorro
con l’impeto della corsa,
seguendo vie
disegnate da inondazioni.
Nessuna voce
si leva da queste terre,
un sorso d’acqua
ha il suono d’alluminio.
A MIO PADRE
Su le pagine
intonse del Vico
alzano cieli-sbadiglio,
costruiscono vertebre
privi del centimetro.
FILI NERI
Sul ventre arso
della gravina la gazza
arrotola fili neri.
IL FUNZIONARIO DI PARTITO
Nessun’alba è nuova,
nessun tempo è vecchio.
L’omino che bucava le suole
nei sottani del Castello del Malconsiglio
ha fatto carriera. Ma l’opportunista
che si affaccia sul Basento,
rotola per gli anfratti, non ha
come il barone del biscotto
la bella di Donnafugata.
Nel suo nido giace un corvo,
un tarlo, orto desolato
dentro l’ombra della notte.
IL VESCOVO VA VIA
Il vescovo va via.
Caduto da cavallo
il giorno della Bruna
è stato chiamato a reggere
la diocesi di Napoli.
Il principe che si lascia
portare al suolo
dal brocco materano
potrà resistere agli strattoni
dei purosangue partenopei?
CARDI
Crescono robusti i cardi sotto
i muraglioni, letamai del paese.
Ogni rione aveva il proprio precipizio
di feci e di urine. Noi del centro
scendevamo nel nostro a cercare,
tra i cespugli cresciuti su quelle creste
arse dal sole, le foglie più tenere.
I figli dei contadini abitavano
ai piedi del paese; dalle porte
dei loro tuguri saltavano scalzi
su gli alti ciuffi. Stavano come di casa
tra le spine e gli escrementi dei muli.
Al primo spegnersi del giorno risalivano,
dall’orrido pendio, panciuti,
neri, rigati di sangue. Anche il freddo
pungeva su quello squallido petto;
e il grido disperato delle madri,
che ne invocava il rientro,
si perdeva nel cielo gelido della sera.
1966
L’OMBELICO DELLA PORTA
Si è aggiustato il tempo,
non piove più,
c’è solo un po’ di vento.
Era il bollettino del nonno,
scrutava il cielo
dall’ombelico della porta.
L’AGRI SPLENDEVA
L’Agri splendeva
come un cristallo
dopo giorni di bufera,
lo sfottò degli scolaretti
faceva da passe-partout,
per un giorno di lutto
era quasi una festa.
DOPO L’ULTIMO ADDIO
Dopo l’ultimo addio
il freddo è tornato
a mordere la memoria,
gli spigoli delle parole.
SENZA IL TUO CHIASSO
Senza il tuo chiasso
è costruire salamelecchi,
inconsulte vergogne.
Oltre la gialla cordigliera
si sporcano le nubi.
POMERIGGIO A MONTEMURRO
Gli occhi rotolarono
sulle antiche concerie,
sopra le foto di famiglia,
sull’ultimo bizzarro agosto.
IN CIMA ALLA VIA
In cima alla via
l’ultima confessione:
«Ogni volta che ragazzo
tornavo al paese,
le case si abbassavano
ed io salivo in alto».
CONFIDENZA A N.L.
Non era un notabile di paese,
un potente di città, un faccendiere.
Non era neppure un saggio, un filantropo.
Chi ho per l’ultima volta
salutato - mio dolce amico -
era l’orto più ricco di Basilicata,
dove si andava a rubare le primizie,
a sognare Lilja Brik forcipe tra le Muse.
Quante notti nella piazzetta di Agna
- allucinante le ore calde d’estate -
passate a scrutare le narici di un cavolo,
a pesare un accento, una pausa,
come una zucca, un fiore di rapa.
LA NOSTRA AMICIZIA
Né lunga né breve
fu la nostra amicizia.
Né largo né corto
è il giorno nella tundra.
RECLUSO
Il tardo rumore
di un’officina lontana
mi sorprese recluso
dentro il chiasso cospiratore
de L’età della luna.
POETA DELLE POVERE COSE
È forse povero
il tavolo del sarto
di rue La Condamine:
ultimo disordinato guerriero?
IL VECCHIO NON MENTIVA
Il Vecchio non mentiva
quando urlava:
«Lì ci stanno solo i morti!».
Decrepito orizzonte.
Si svuotano i paesi,
di riporto è la collina.
Un tempo si correva
ai canneti a cercare la pace,
a seppellire nel tizzo di paglia
le bianche gambe di zia d’America,
foglie di lattuga sopra il pitale.
L’ARGINE E LA PIENA
Eri l’argine e la piena.
Per il ragazzo
cresciuto all’ombra
di una pancia d’asino
l’alternativa all’ufficio,
al foro, al politicante:
il parvenu di Roccaldelci.
CERCAVI L’APPIGLIO
Cercavi l’appiglio, i piedi sudici,
le Mosche in bottiglia,
per ricordarci: «L’uomo
del Sud non matura.
Stenta a uscire dall’infanzia.
Quando non è più bambino
è già vecchio».
COME MARMOCCHI
Distribuivi fantasmi
come i marmocchi
le bestemmie.
GEOMETRIE IN AMORE
Dalle lumache ai quanti,
dal filo a piombo
alle geometrie in amore,
un inguaribile mungere parole.
NESSUNA DIFFICOLTÀ
Nessuna difficoltà.
Non ci sono
neppure i manichini
delle stirerie di De Chirico.
Allo scenario
si è sostituito il vuoto:
non c’è più posto
per i professorini.
MATERA
Sopra dissestati terrazzi
penzola la sera.
INTERNO
La notte è entrata
nella stanza, si è seduta
accanto al divano tra
il giocattolo di Vanina
e il profilo di Lorca.
LE PRIME PERLE
Furono i confetti
le mie prime perle,
li tolsi alla bimba
che non seppe resistere
ai colpi di sole.
IL SOGNO DELLA TARTARUGA
Sul ventre d’alluminio
la tartaruga sogna
albe a cinque piani.
BREVE RIMANE LA MEMORIA
Breve rimane la memoria,
la ferita al polpastrello
di bimba all’uncinetto.
EPIGRAMMA PER L’ERUDITO
L’ ombra serena del topo
che sculetta sugli armadi.
Come il fagotto
le note
sotto un cielo d’imbrici.
ALITO D’INCHIOSTRO
L’alito d’inchiostro
non turba
la povera città
che s’addormenta pigra
nei giorni di festa
lungo una leggera striscia
di malve sigillate.
FINESTRA ROSSA
Il giorno si fa sordo
come il vento tra i capelli
e il tuo grembo d’estate.
Finestra rossa
sul morto abitato
addio.
LA MOSCA VERDE
Il colore nero delle gramaglie,
la mosca verde sopra il naso.
Il sorriso di anguria dell’impiegato
ci osservava pietosamente
dalle foglie gialle di un geranio.
IL MIO SEGNO SPETTINATO
Il mio segno spettinato
è la mia vita e la tua.
Il giorno galoppo le rane
la sera
il ricordo di una lunga corsa.
COME SI FA A RACCONTARE
Come si fa a raccontare
Io che ho imparato
solo ad ascoltare
il ronzio dei paesi,
criniere luminose la sera.
UN ALTRO UOMO
A mano a mano
che il treno si srotola
tra le rupi e le spine dei cardi
sento dal chiuso del cuore
un altro uomo rimbalzare.
VENTO PIGRO
Un vento pigro
accarezza le spighe
severe. Lenta
la sera viene
su dalla terra
e mi pare
di vivere i giorni
e le curve
della fanciullezza.
LA CAROGNA CALCIATA IN FRETTA
La carogna calciata in fretta,
le ciglia al vaglio,
i pensieri senili viaggiano
con l’uomo del