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Uno, nessuno e centomila e Quaderni di Serafino Gubbio operatore
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Uno, nessuno e centomila e Quaderni di Serafino Gubbio operatore
E-book513 pagine7 ore

Uno, nessuno e centomila e Quaderni di Serafino Gubbio operatore

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Info su questo ebook

A cura di Sergio Campailla
Edizioni integrali

Uno, nessuno e centomila segna l’altissimo epilogo della tensione narrativa di Pirandello e costituisce uno degli esiti più nuovi della letteratura del Novecento. All’interno dell’accidentata geografia di naufragi esistenziali di cui è percorsa l’opera pirandelliana, il lucidissimo Vitangelo Moscarda approda alla conquista di quella sofferta accettazione dell’incompletezza di se stessi che passa attraverso la via della rinuncia e della solitudine. La stessa che vuole seguire Serafino Gubbio, eliminando tutte le maschere, aspirando a quell’impassibilità che è disponibilità assoluta, regredendo fino a diventare uno spazio bianco. La crisi dell’io che si frantuma nel moltiplicarsi di prospettive e punti di riferimento conduce i protagonisti di questi due romanzi all’abbandono definitivo di ogni legame con la realtà.

«Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch’io faccia: la certezza che capiscano ciò che fanno.»


Luigi Pirandello

nato ad Agrigento nel 1867, si laureò a Bonn in filologia nel 1891, rientrò in Italia e nel 1892 si trasferì a Roma, dove, introdotto da Capuana, iniziò la sua attività letteraria e teatrale. Nel 1903, l’improvviso crac finanziario della famiglia distrusse l’equilibrio mentale già fragile della moglie e ridusse lui a pensare al suicidio; si risollevò poi grazie al suo lavoro d’insegnante e dedicandosi sempre più intensamente alla scrittura. Nel 1934 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma nel 1936. Di Luigi Pirandello la Newton Compton ha pubblicato Sei personaggi in cerca d’autore; L’umorismo; L’esclusa; Il fu Mattia Pascal; Uno, nessuno e centomila e Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo, oltre al volume singolo I romanzi, le novelle e il teatro.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854126213
Uno, nessuno e centomila e Quaderni di Serafino Gubbio operatore
Autore

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello (1867-1936) was an Italian playwright, novelist, and poet. Born to a wealthy Sicilian family in the village of Cobh, Pirandello was raised in a household dedicated to the Garibaldian cause of Risorgimento. Educated at home as a child, he wrote his first tragedy at twelve before entering high school in Palermo, where he excelled in his studies and read the poets of nineteenth century Italy. After a tumultuous period at the University of Rome, Pirandello transferred to Bonn, where he immersed himself in the works of the German romantics. He began publishing his poems, plays, novels, and stories in earnest, appearing in some of Italy’s leading literary magazines and having his works staged in Rome. Six Characters in Search of an Author (1921), an experimental absurdist drama, was viciously opposed by an outraged audience on its opening night, but has since been recognized as an essential text of Italian modernist literature. During this time, Pirandello was struggling to care for his wife Antonietta, whose deteriorating mental health forced him to place her in an asylum by 1919. In 1924, Pirandello joined the National Fascist Party, and was soon aided by Mussolini in becoming the owner and director of the Teatro d’Arte di Roma. Although his identity as a Fascist was always tenuous, he never outright abandoned the party. Despite this, he maintained the admiration of readers and critics worldwide, and was awarded the 1934 Nobel Prize for Literature.

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    Uno, nessuno e centomila e Quaderni di Serafino Gubbio operatore - Luigi Pirandello

    66

    Prima edizione ebook: marzo 2011

    © 1993,2006 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-541-2621-3

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Luigi Pirandello

    Uno, nessuno e centomila

    Quaderni di Serafino Gubbio operatore

    A cura di Sergio Campailla

    Newton Compton editori

    Pirandello romanziere

    L'opera di Pirandello è quanto mai vasta, pervasiva, labirintica. Un cantiere sempre aperto, secondo la definizione di Giovanni Macchia. Questo vuol dire che disegnare una mappa per l'orientamento, stabilire degli itinerari e delle linee di confine, incasellare i singoli testi nella disciplina formale dei generi letterari è un lavoro di approssimazione, che non può non risultare insoddisfacente. Semmai da tenere presente, da seguire come un filo rosso, è il dinamismo complessivo: dentro migliaia e migliaia di pagine circola un'energia inesausta, una corrente costruttiva e distruttiva, si fa sentire una voce implacabile, attraverso una polifonia drammatica. Questa è la vocazione dello scrittore, di questo particolare scrittore. Ed è un mistero, che sta all'origine, e poi si diffonde ovunque, lungo stagioni successive, sino alla fine. Un mistero per cui si possono trovare molte spiegazioni parziali che, sommate, lasciano tuttavia un residuo.

    Il fenomeno Pirandello si rende possibile in Sicilia, a ridosso dell'unificazione nazionale, e reclama numerose fortuità e infelicità. A differenza di un Verga e di un Capuana, che si scoprono nella posizione di capostipiti, e invece a somiglianza di De Roberto, Pirandello ha alle sue spalle una generazione di modelli, assurti a notorietà oltre i confini dell'isola e degni di ammirazione e di emulazione. Ma mentre De Roberto fa le sue prove a Catania, miracolata capitale letteraria del Sud, a stretto e forse troppo stretto contatto con i maestri, Pirandello si forma a Girgenti. È una differenza rilevante, che spesso critici attestati esclusivamente su una dimensione cartacea non riescono a percepire come dato fondamentale.

    Catania è un nucleo urbano, circondato dalla campagna, sotto il presidio dell'Etna. È una città di mare, con un'antica tradizione culturale, percorsa da vene illuministiche. Girgenti è periferia della periferia, geograficamente remota e quasi irraggiungibile. È greca e araba, scissa nella sua anima, come è separata e quasi contrapposta tra l'acropoli abbarbicata sulla collina e la linea maestosa dei templi dorici in rovina.

    Girgenti è arcaica, ma appunto, collegata con l' arké. Il tempo è fermo, ancor più che altrove nell'isola ma se ne sente l'antichità e il respiro. La gloria vi è prestigiosa, e sfatta.

    Pirandello compare quando l'eternità comincia a sembrare insidiata dai primi e ritardati sussulti del moderno, laddove la promessa di liberazione può generare un sospetto di tradimento. Nel latifondo medievale si scavano le miniere di zolfo. Fuoco nel fuoco, ma fuoco infero, contro natura, demoniaco. L'universo dei contadini e dei pescatori viene contaminato da una razza intrusa, quella dei minatori e degli operai. Sul piano personale, Pirandello si trova in vantaggio e in difficoltà: è figlio del padrone, ma non un aristocratico, fa esperienza nel costeggiare le verità del burrone, per osservare in un brivido esistenziale la violenza della storia e del lavoro, che però è funzionale al suo progresso, alla sua crescita individuale. Alla sua fuoriuscita.

    Come tutti i suoi predecessori e sodali, deve portarsi il fardello dell'emigrante, in un mondo in cui ogni viaggio, quale che ne sia la traiettoria, è un'emigrazione. Prima a Palermo, poi a Roma, per un incidente universitario, che però è già l'indizio di una personalità e di un destino, a Bonn.

    Qui, in terra tedesca, avviene una sorta di rivoluzione: il ridimensionamento e insieme la rivalorizzazione del passato. Pirandello si laurea, a differenza dei suoi corregionali. Si laurea con una tesi in lingua tedesca, ma sul dialetto di Girgenti. Una tesi di filologia romanza, per un giovane che si costruisce a fatica una cultura umanistica e che scrive versi. E versi mediocri. Pirandello a questo punto potrebbe diventare come uno degli intellettuali eclettici siciliani, Giuseppe Aurelio Costanzo, Giovanni Alfredo Cesareo, che troverà nei cenacoli letterari romani e che gli daranno ospitalità nell'Istituto Superiore di Magistero.

    Invece si cimenta in una prova decisiva. Stimolato dal trascinatore Capuana, tenta un romanzo. Ha ventisei anni, pochi obiettivamente, ma che pesano, secondo i parametri dell'epoca, e che soprattutto pesano a lui, immune da indulgenza con se stesso.

    L'esclusa è il frutto di un vigoroso talento, che raccoglie un'eredità culturale, quella del verismo italiano, e cerca uno spazio di originalità. È un esordio con protagonista al femminile, dunque con una delega autobiografica meno vincolata, secondo la tradizione dei maestri, il Verga della Storia di una Capinera e della Lupa, il Capuana di Le Appassionate e di Le Paesane, il De Roberto dell' Illusione. Pirandello in quest'area già gremita introduce una variazione forte: a Catania domina, sino a irradiarsi come stereotipo etnico nel territorio nazionale, la problematica della triangolazione amorosa e del delitto d'onore. Ad Agrigento, a date ulteriori ma in una società ancor più arretrata, l'imminenza della colpa è un incubo senza risarcimento erotico.

    Come Maria la Capinera, Marta Ajala, protagonista dell'opera, è una peccatrice innocente, già impigliata nella rete paradossale dell'ossimoro. Ma a differenza della Capinera, essa è colpevolizzata, anzi ultracolpevolizzata. Prima dal marito, Rocco Pentagora. È bastata la lettera di uno spasimante, trovatale incautamente in mano, per scatenare la punizione. È pochissimo, ed è insufficiente, ma per il tabù di una cultura è troppo. Verrebbe da pensare che la colpa sta proprio nella lettera, cioè capacità di leggerla da parte della donna, nella sua avvenuta alfabetizzazione. Il padre di Rocco, Antonio Pentagora, il primo personaggio in assoluto a entrare in scena, saluta nella disgrazia del figlio la conferma di una legge: lui stesso ne ha fatto esperienza, e addirittura il proprio genitore. Tre generazioni convergono nella disfatta per dimostrare questa fatalità, ormai largamente prevista. La donna, e figuriamoci la moglie, è sinonimo di male; e l'infamia delle corna non lascia scampo. Il tono è quello di una disperazione entusiasta.

    Colpisce, all'esordio di Pirandello romanziere, un'atmosfera da caccia alle streghe, in questa Salem siciliana, e ci affrettiamo a registrarla come segno della sua identità, come impronta caratterizzante del suo bagaglio culturale.

    Sin qui il marito Rocco, che è figlio e nipote, portatore delle corna come un reale «stemma di famiglia» e coatto nella sua reazione. Ma il padre di Marta, che fa? Invece di difendere la figlia, come sarebbe naturale, per legame di sangue, non foss'altro per ragioni di convenienza sociale, si contorce nella medesima ossessione e punisce la figlia con una condanna che vale come una prova certa e un modello comportamentale per la collettività, per la tribù compatta nella persecuzione. Questo padre supera persino il consuocero e, prontissimo a cogliere il pretesto di questa maledizione dell'onore, per la vergogna si autocastiga a sua volta, si barrica nel buio della sua stanza, da cui non vorrà uscire mai più, sino a quando sarà stroncato da un infarto. La mossa di questo padre è devastante, ma la falsa coscienza del villaggio ne ha altra idea. Di lui dicono con rimpianto: «Non ne vengono più al mondo galantuomini come quello!».

    Questo è l'exploit del giovane Pirandello. Ad autoescludersi, prima ancora di Marta, è Francesco Ajala, suo padre. Marta è esclusa di conseguenza, in maniera inesorabile, attorno hanno fatto a gara per scavarle la fossa, dove è praticamente inevitabile che finirà per precipitare. Nella serratezza del racconto naturalistico si intravedono i fantasmi di una società: il nodo oscuro del rapporto tra padri e figli e la negatività connessa alla figura della donna.

    Il romanzo è costruito per intero al femminile: accanto a Marta stanno la sorella Maria e la madre Agata, accomunate nella sorte di sacrificio. Il personaggio di Anna Veronica, con nome quanto mai simbolico, è l'unico che a Girgenti osi violare il blocco dell'isolamento, e lo fa per istruzione di un'esperienza parallela. Alla fine della vicenda, la suocera di Marta, Fana, avrà diritto al suo momento di luce, quando morrà abbandonata da tutti, tranne appunto che da Marta, la quale vedrà in lei un triste precedente. Questo episodio tardivo della povera Fana invalida e in qualche modo ridicolizza il furore di Antonio Pentagora, quasi metafisicamente orgoglioso delle sue corna. Tanto rumore per nulla.

    Lo scrittore procede nella sua dimostrazione non esente da accumulo di coincidenze. Marta viene ripudiata proprio mentre è incinta, e il ripudio contribuisce alla morte del bambino. La morte di suo padre avviene in contemporanea alla morte del figlio, «un mostriciattolo quasi informe». Nello stesso giorno, mentre arriva il viatico per Francesco Ajala, annunciato dal campanello e dalle preghiere del rosario, si odono le grida e gli applausi per la proclamazione dell'Alvignani a deputato. Ben tre avvenimenti straordinari quindi convergono a determinare il corto circuito. Trasferitasi Marta a Palermo, proprio la prima volta che un uomo, sia pure quell'orrore di Matteo Falcone, la accompagna per strada, la sorprende il marito, appena arrivato apposta da Girgenti per verificare la fondatezza delle chiacchiere che circolano su di lei. Infine, Rocco viene a perdonare la moglie proprio quando lei è ormai una femmina perduta per davvero, cioè incinta, ma di un altro, quell'amante che le avevano attribuito a torto, e alle cui braccia hanno finito per consegnarla, per impraticabilità di ogni altra opzione. E ancora non basta: Rocco è pronto a perdonare la moglie, davanti al cadavere della madre. Situazione che è parzialmente speculare all'altra, del padre di Marta che muore mentre la figlia partorisce.

    Da questa tramatura e da queste corrispondenze si desume l'estrema tensione sentimentale dell'opera. Se l'esordio narrativo costituiva anche la verifica di una vocazione letteraria, Pirandello senza dubbio supera la prova di iniziazione e ha motivo di ritenere di aver trovato la sua strada. È l'accredito di questo romanzo energico, che tuttavia, mentre esclude la protagonista, include il suo autore in un gruppo e in una corrente letteraria. Mentre la sua spinta interna tende già a portarlo fuori, e oltre. Lo schema ossimorico della peccatrice innocente si prolunga e si esalta in quella che è la vera trovata del romanzo: Marta, condannata dalla società, viene perdonata quando si macchia effettivamente della colpa. Lo scialbo personaggio del deputato Alvignani, lo spasimante che le scriveva lettere iperboliche, è responsabile del traghettarla da una condizione all'altra.

    Come si tirerà fuori la donna dal vicolo cieco in cui è chiusa? Come si indirizza la rivolta? In zona di conclusioni, permane una significativa ambiguità. Marta dichiara di volersi dare la morte. Suicida dunque, come una Karenina. Lo dichiara più volte, ma Pirandello evita, per eccessivo riserbo, di rappresentare quella morte, come ha evitato, pur dopo tanto preambolo, di raccontare la brevissima storia d'amore con l'Alvignani. E anche allora, Marta giura di non aver mai amato non solo il marito, ma nemmeno l'amante.

    La temperatura è furiosa e insieme fredda. A dispetto delle apparenze, è il caso di dirlo, si capisce come la vicenda di questo personaggio, un prototipo pirandelliano, sia non già passionale, ma sociale. E il principale titolo di nobiltà del romanzo è quel rovesciamento, che capovolge il corso degli avvenimenti. L'esclusa fu composta nel 1893, ma esclusa intanto dagli editori. Pubblicata a puntate sulla «Tribuna», soltanto nel 1901. Nell'edizione in volume, presso Treves, del 1908, Pirandello conferma la lettera dedicatoria al Capuana, dove esprime pubblicamente la sua gratitudine, ma per ribadire orgoglioso, insieme al debito, la sua precoce originalità, retrospettivamente identificata nel «fondo essenzialmente umoristico» dell'opera, testimoniato da quel rovesciamento: non generico meccanismo di suspence, ma elemento o almeno indizio di poetica, il requisito necessario per recuperare quel primo lavoro e proiettarlo verso il futuro.

    L'anno successivo, nel 1894, Pirandello sposa Maria Antonietta Portulano, figlia di un socio in affari del padre e specchio di quella Sicilia profonda rappresentata nell'Esclusa. È un evento capitale, che appartiene alla biografia, ma che ha conseguenze incalcolabili nello svolgimento dell'opera. La dote di Maria Antonietta verrà investita nello sfruttamento di una miniera di zolfo presso Aragona intrapreso da Stefano, il padre di Luigi. Viene da chiedersi: quale la dote portata da Pirandello? Lo scrittore Pirandello porta la sua personalità, che non potrebbe essere più complessa e impegnativa.

    Un primo assaggio? Nel 1895 Luigi scrive II turno e lo dedica alla moglie, con queste parole: «Buona siesta, Nietta mia!». Sin qui, niente di più naturale. Ma che cosa le dedica?

    Il turno sembra «gajo, se non lieto», a detta dell'autore. Ma è una gaiezza alquanto dubbia. Un vecchio, don Marcantonio Ravì, si è messo in testa di dare la propria figlia in sposa a un altro vecchio, don Diego Alcozèr; per interessi economici. È un ragionatore cioè sragiona, e vuole convincere tutti. Persino cerca di convincere il nobile e squattrinato Pepè Alletto ad aspettare il suo turno: infatti il rivale Alcozèr ha settantadue anni e, al massimo potrà vivere ancora poco. Questa la previsione. Ma non convince la figlia Stellina che per protesta si chiude in camera, e non apre a nessuno. Quando finalmente cederà, si chiuderà di nuovo in camera, per non far entrare lo stagionatissimo sposo. Il matrimonio va subito in malora. Non questo solo: il cognato di don Pepè, Ciro Coppa, tiene la moglie sequestrata in casa, non le consente nemmeno di affacciarsi alla finestra. È terribilmente geloso, anche se non ne ha alcun motivo, anche se la moglie, poveretta, è in realtà moribonda e, fra poco, toglierà il disturbo. Il romanzo si sviluppa nel senso del fallimento di tutte le previsioni. Il vecchiaccio, che già ha sotterrato quattro mogli, non muore mai, e anzi si sposa di nuovo, dopo che è riuscito a sbarazzarsi della pestifera consorte. La morale è questa: la vita non è programmabile, l'ingranaggio rugginoso del caso impera e si fa gioco, un gioco crudele, delle intenzioni umane.

    Ma non è chi non veda che in questa fase genetica dell'opera pirandelliana c'è sempre qualcuno che chiude una porta, e non vuole più uscire o far uscire. La porta chiusa, simbolo della mancanza di comunicazione, dell'interruzione delle comunicazioni. Questo è un universo in cui i genitori prendono decisioni che procurano l'infelicità ai figli, i quali si rivoltano; e i mariti e le mogli sono assorbiti da una rissa insanabile, dunque perpetua. Ad uscire vincitore nella tenzone, in un certo senso, è il vegliardo don Diego Alcozèr, l'ammazzamogli.

    Dicevo del matrimonio di Luigi e di Maria Antonietta. Il biografo Gaspare Giudice racconta delle abitudini di casa Portulano: di Maria Antonietta che nasce orfana perché suo padre si è rifiutato di far assistere la moglie durante il parto. E poi sta addosso alla figlia come un guardiano feroce, impedisce che le si avvicini qualsiasi rappresentante del sesso maschile, la autorizza a uscire di casa solo per farla andare in chiesa, a sentir messa e a confessarsi. Ad ascoltare recenti episodi di cronaca contemporanea, c'è forse da mettere nel conto non solo la sessuofobia della morale cattolica, ma anche il lascito della tradizione musulmana in Sicilia.

    Insomma, Pirandello è servito: si trova in casa una dolce metà che è esattamente quello che ha sin qui rappresentato nel paese con la sua indagine accusatoria. Quando nel 1903 la zolfara si allaga e la famiglia è minacciata dal dissesto economico, Maria Antonietta, sensibilissima e fragilissima, accusa segni di squilibrio mentale, che si aggraveranno rapidamente, su base anche ereditaria, sino a smarrirla nel buio della pazzia.

    La pazzia della moglie gelosa: è un tema celebre in area pirandelliana, tutt'altro che un volgare pettegolezzo, a cui infatti lo stesso scrittore, per inaudita sofferenza, ha dato il massimo di pubblicità, in interviste, dichiarazioni e soprattutto ricavandone continua ispirazione per la sua opera. Di più: la moglie, a un certo punto immobile come una statua, è stata un maestro di vita e di pensiero, una scorciatoia dolorosa per lo studio degli abissi della personalità, a cui era così predisposto.

    Si potrebbe proporre un'antinomia: Pirandello scriveva così perché aveva una moglie pazza. Oppure, l'opposto: la moglie di Pirandello era pazza perché Pirandello era e scriveva così. Non è un calembour. Mi limito alla provocazione, ma è chiaro che questo rapporto uomo-donna è l'arco di volta di una cultura, di cui Pirandello è un drammatico interprete tra Otto e Novecento. Lettore attento delle Altérations de la personnalité di Binet, di Séailles e di altri psichiatri del tempo, rimarrà sempre estraneo alla rivoluzione della psicanalisi di Freud. Il che, tenuto conto delle contiguità, è sorprendente solo in apparenza. Per Sciascia fu una fortuna. Ma sotto questa fortuna, c'è un persistente equivoco.

    Siamo a II fu Mattia Pascal, che segna uno spartiacque nella produzione dell'autore, un'autentica visualizzazione dualistica del rapporto tra passato e futuro, tra un prima e un dopo, tra naturalismo e avanguardia. E, se si presta attenzione, il primo romanzo in cui lo scrittore abbandona la falsa obiettività della terza persona e prende a raccontare in prima persona. Qual è il fatto saliente che capita al protagonista, assegnandogli una condizione di eccezionalità? Questi è sprofondato nella palude dei rapporti sociali e affettivi, come i suoi predecessori: ha una moglie che lo rende infelice, e una suocera strega. Ma gli succede un caso straordinario: mentre ha lasciato Miragno, sotto i veli l'eterna Girgenti, per andare a dimenticare le sue frustrazioni nel Nord, a Montecarlo, dove vince una considerevole somma al Casinò, trovano al suo paese il cadavere di un suicida, in cui moglie e suocera si affrettano a identificare proprio il congiunto, di cui si vogliono liberare. L'interessato coglie a sua volta la palla al balzo e decide di rifarsi una nuova vita. Deposto l'antico fardello, spiccherà il volo, con il nome di Adriano Meis.

    Le premesse del mio discorso aiutano a chiarire il senso di questa nuova trovata, che procurerà massima notorietà a Pirandello. Una trovata che però non è affatto artificiale come potrebbe sembrare, e in effetti sembrò a Benedetto Croce, e affonda invece radici nella psiche dello scrittore. In sostanza, chiudono la porta alle spalle del personaggio, augurandosi che il fantasma non debba più tornare. L'escluso, perché di questo si tratta, di una Marta Ajala al maschile, ne approfitta per chiuderla lui, quella porta, per impedire che possa mai più essere aperta. Non è un divorzio, per via di avvocati. È una morte e rinascita, per finzione anagrafica. A realizzarla un tale che ha nome Mattia Pascal. Mattia come variante di matto, secondo un'accusa che infatti nel corso del romanzo qualcuno, il fratello che lo conosce bene, inevitabilmente gli muove con enfasi, al momento decisivo dell'agnizione, tanto la congruenza è palese. Col che diventa ufficiale che il viaggiatore, l'esploratore in libertà, il narratore sperimentale ha una patente, un salvacondotto speciale. Pascal come lo scrittore delle Pensées, il matematico della scommessa sull'immortalità; oppure, il teosofo, Théophile Pascal, meno conosciuto ma coautore nascosto di cui però viene esplicitamente citato Le Pian Astrai. Un matto e filosofo, un'endiadi.

    È il nuovo corso della narrativa pirandelliana. Mattia Pascal rappresenta il dramma di una creatura alienata e alla fine aliena. Un uomo nudo, che si libera del peso dell'identità anagrafica e guarda all'esistenza come da un altro mondo. Il suo occhio storto è il particolare anatomico che esprime simbolicamente la sua prospettiva straniante e inattuale. Ma la vita, come una foresta, lo avvince di nuovo con i suoi lacci e compromessi. Sinché il personaggio sconfitto, attraverso la ripetizione di un finto suicidio, sceglie di ritornare al precedente stato sociale. Morte e resurrezione, ma senza catarsi.

    Il fu Mattia Pascal si può considerare il romanzo forse più riuscito e vitale dell'intera produzione pirandelliana. Nella sua struttura dualistica e nel suo progetto inventivo presenta numerosi focolai ancora accesi: come, ad esempio, lo scenario della Roma umbertina in difficile confronto con la modernità; il fascio di pagine sulla lanterninosofia, cioè il tentativo disperato di ascoltare le voci dell'oltre; una riflessione sulla tragedia antica e moderna, e sul cielo di carta strappato. Ma in primo luogo, è un'opera che rompe con la tradizione chiusa dell'Ottocento e affronta in maniera originale un tema decisivo della nostra epoca, quello del rapporto tra verità e finzione e, in subordine, tra verità e verisimiglianza. L'appendice dell'Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, con la segnalazione di un episodio di cronaca a favore della tesi che la vita imita l'arte, attesta la diffidenza del pubblico e le difficoltà della critica e il puntiglioso fervore dimostrativo dell'autore.

    Il viaggio di Mattia Pascal e la pubblicazione del saggio sull'Umorismo, solo esternamente favorito dalle esigenze accademiche, reclamano un impegno di coerenza e di sviluppo rispetto ai risultati conseguiti e alla nuova immagine pubblica. Per questo Suo marito segna invece un passo indietro, il momento più stanco dell'attività romanzesca pirandelliana. Oggetto immediato della narrazione è l'ambiente dei letterati. Protagonista la scrittrice Silvia Roncella, per la quale in parte Pirandello si è ispirato alla figura di Grazia Deledda; come già per l'Esclusa molto probabilmente si era riferito alla vicenda di Giselda Fojanesi, l'amante di Verga ripudiata dallo sposo tradito, il fragoroso poeta Rapisardi. Ma a sorpresa, il vero protagonista risulta chi ne ha scarsi requisiti, il marito della scrittrice Giustino Boggiolo, del tutto sprovvisto di interessi artistici e invece determinatissimo nel perseguire quelli economici. L'accanimento di Pirandello contro questo personaggio di per sé laterale è sproporzionato e persino sospetto. Viene da chiedersi se il segreto di questo risentimento non sia l'effetto di un transfert. Non a caso, delle opere come La nuova colonia e Se non così, attribuite alla Roncella egli, scoprendo l'identificazione, si riappropria più tardi; non a caso, per ragioni contrarie di mimetismo, si affaticherà insoddisfatto su questo romanzo cambiandone il titolo e arrivando a riscriverne la prima metà, sino alla vigilia della morte. All'origine infatti, a mio giudizio, sta non Suo marito, il marito cioè di una scrittrice, ma piuttosto, in una situazione speculare, ancora e sempre, Sua moglie, la moglie cioè dello scrittore, Pirandello stesso, specialista notorio in rovesciamenti. A conti fatti, il bersaglio è il partner di chi scrive, sia donna, nella finzione, per copertura e depistamento, o uomo nella realtà. Che è quanto indirettamente, per un riequilibrio, gli rinfaccerà come persona bene informata dei fatti l'allievo Rosso di San Secondo, vendicandosi del personale debito di gratitudine e mettendo in scena nell'atto unico Inaugurazione una donna non identificata ma senza dubbio Maria Antonietta Portulano, che in chiusura di una cerimonia solenne in cui si è inaugurato il busto in marmo del marito celebre e defunto, gli spacca sulla testa l'ombrellino.

    I vecchi e i giovani sono, lungo questo itinerario, il lavoro più attardato e meno remunerativo, per l'impianto ottocentesco e pesantemente realistico, per l'adozione di un io narrante onnisciente, per le fonti che riemergono come in un palinsesto, a connotare il romanzo storico, sulla traccia dei Viceré di De Roberto e dei maestri del genere. Né mancano concessioni alle tesi naturalistiche sull'ereditarietà. Rispetto all'interiorità psicologica e antropologica dell'Esclusa il quadro adesso è più largo e politico, con una profondità generazionale, sul collasso del regime borbonico, sui conflitti di classe, le prime rivolte operaie e rivendicazioni sindacali. Inutile precisare che il valore documentario è alto, per la testimonianza di prim'ordine su un periodo decisivo della nostra storia nazionale. Pirandello costruisce una macchina narrativa poderosa, ma il fatto è che, a questa data, egli ha ormai una vocazione non a montarla ma a smontarla, quella macchina.

    È quanto accade, in diversa misura, con gli ultimi due romanzi. I Quaderni di Serafino Gubbio operatore, pubblicati nel 1915 col titolo Si gira, mostrano la sensibilità dello scrittore ai nuovi linguaggi, non soltanto il teatro, ma ormai anche e soprattutto il cinema. La sensibilità e anche la resistenza. Gli attori, secondo questo Pirandello sempre più intellettuale e affascinato dalla teoria, dinanzi alla cinepresa si trovano separati dal pubblico e dall'azione viva del palcoscenico, condannati all'esilio. La materia del racconto si fa faticosa e si assottiglia, infuocata a intermittenza dal motivo della gelosia, con palesi riaffioramenti autobiografici. Nella trappola tra cronaca e finzione, una trama che oggi definiremmo in stile reality show, con la programmata uccisione di una tigre in diretta, viene filtrata attraverso una visione da lontano, sino alla disumanizzazione dello strumento anonimo, alla reificazione integrale.

    Uno, nessuno e centomila è l'incredibile epilogo di un grande interprete della crisi epistemologica novecentesca, insieme a un Joyce, a un Proust, a uno Svevo. La prima puntata esce sulla «Fiera letteraria» nel 1925, ma la sua gestazione data a partire almeno dal 1909. Un tormento creativo infinito, e insieme una exacerbatio cerebri. Nella prefazione il figlio Stefano assicura incauto che dietro ci sta sempre il dramma della moglie pazza. Osservandosi in uno specchio, Vitangelo Moscarda scopre di avere un difettuccio, il naso che pende da una parte. Quanto basta. Non è più tempo di estetismi alla Dorian Gray. La bottega delle illusioni non ha più nulla da offrire, la personalità si scompone, si disintegra, come i mille frammenti di un vetro. Pirandello muovendo dall'arcaicità brucia una dopo l'altra le tappe dell'avanguardia, sino a pervenire a un punto di non ritorno. E diviene un'icona internazionale della negatività e del relativismo contemporanei.

    SERGIO CAMPAILLA

    Luigi Pirandello, la vita e l'opera

    Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867, nei pressi di Girgenti (Agrigento)> nella tenuta paterna denominata Caos. Il padre Stefano appartiene a una ricca famiglia di commercianti di zolfo, la madre Caterina Ricci-Gramitto a una famiglia della borghesia girgentana. In entrambi i rami, intensa è la memoria antiborbonica e risorgimentale.

    Riceve l'istruzione elementare in casa e qui ascolta affascinato le favole e le leggende che gli racconta la vecchia serva Maria Stella. A soli dodici anni scrive la prima tragedia, andata perduta. Il padre vuole che si iscriva alle scuole tecniche ma poi Luigi, attratto dagli studi umanistici ottiene di frequentare il ginnasio.

    Nel 1880 la famiglia si trasferisce a Palermo; qui Luigi compie gli studi liceali, compone le prime poesie e s'innamora della cugina Lina. Mentre il rapporto con il padre va logorandosi, la famiglia di Lina per avallare le nozze pretende che Luigi lasci gli studi e si dedichi al commercio dello zolfo. Per questo motivo nel 1886, durante le vacanze, Luigi segue il padre nelle zolfare. Il matrimonio tuttavia viene rimandato e Pirandello può iscriversi all'università di Palermo, alle Facoltà di Legge e di Lettere. L'ateneo palermitano vede in quegli anni il sorgere del movimento che sfocerà nei Fasci siciliani; Pirandello non vi partecipa attivamente ma è in rapporti di amicizia con alcuni dei futuri dirigenti.

    Nel 1887 sceglie definitivamente la Facoltà di Lettere e per continuare gli studi si trasferisce a Roma. La decadenza degli ideali risorgimentali che sperimenta in questa città gli detta i versi amari della prima raccolta di poesie, Mal giocondo (1889). Per un contrasto con un professore di latino, è costretto a lasciare l'università di Roma e si reca a Bonn, dove rimarrà due anni (1889-1891), di fervida vita culturale. Nel marzo del 1891 si laurea in Filologia romanza con una tesi sul dialetto di Girgenti: Suoni e sviluppi di suono della parlata di Girgenti.

    Nella primavera del 1891 torna in Italia e a Milano pubblica il poemetto Pasqua di Gea, dedicato a Jenny Schulz-Lander, una ragazza tedesca con la quale a Bonn ha intrecciato una relazione.

    Dopo un breve soggiorno in Sicilia, durante il quale il matrimonio con la cugina già seriamente compromesso va a monte, ritorna a Roma, dove stringe amicizia con un folto gruppo di scrittori e giornalisti. Fondamentale l'incontro con Luigi Capuana, che lo spinge a dedicarsi alla narrativa. Scrive nel 1893 Marta Ajala, che pubblicherà nel 1901 con il titolo L'esclusa. Nello stesso anno detta all'amico Pio Spezi un Frammento d'autobiografia che sarà poi pubblicato nel 1933. Nel 1894 pubblica la prima raccolta di novelle, Amori senza amore. Il 1894 è anche l'anno del matrimonio: sposa una ragazza timida e chiusa, di buona famiglia girgentana, Maria Antonietta Portulano. Sin dall'inizio la donna mostra di non comprendere la vocazione artistica del marito, ma i primi anni di convivenza sono comunque abbastanza sereni: nel 1895 nasce Stefano, nel 1897 Lietta, nel 1899 Fausto. Pirandello intensifica intanto la collaborazione a giornali e a riviste, come «La Critica» e la « Tavola rotonda» su cui pubblica nel 1895 la prima parte dei Dialoghi tra il Gran Me e il piccolo me. Nel 1897 accetta l'incarico di insegnante di lingua italiana all'Istituto Superiore di Magistero di Roma, e sul «Marzocco», con cui ha iniziato a collaborare nel 1896, pubblica qualche altra pagina dei Dialoghi. Nel 1898 con Italo Carlo Falbo e Ugo Fleres fonda il settimanale «Ariel» su cui pubblica l'atto unico L'epilogo (poi intitolato La morsa) e alcune novelle (La scelta, Se...). Nel 1900 pubblica sul «Marzocco» alcune delle novelle più celebri (Lumie di Sicilia, La paura del sonno), nel 1901 la raccolta di poesie Zampogna e a puntate sulla «Tribuna», il romanzo L'esclusa. Nel 1902 raccoglie in volume alcune novelle già apparse in riviste e giornali: esce la prima serie di Beffe della morte e della vita (la seconda serie uscirà nel 1903) e Quando ero matto... Sempre nel 1902 è pubblicato il secondo romanzo, Il turno.

    Nel 1903, alla notizia dell'allagamento della miniera di Aragona, nella quale il padre Stefano ha investito anche la dote di Maria Antonietta, questa rimane semiparalizzata e il suo equilibrio ne rimarrà profondamente e irrimediabilmente alterato. Pirandello, per quanto scosso, si preoccupa di porre riparo alla difficile situazione: impartisce lezioni d'italiano e di tedesco e chiede alle riviste alle quali prima ha ceduto gratuitamente i suoi scritti il compenso per la propria collaborazione. Sulla «Nuova Antologia» diretta da G. Cena appare nel 1904 a puntate il romanzo che Pirandello va scrivendo nottetempo, mentre veglia la moglie malata, dopo una giornata di lavoro: Il fu Mattia Pascal. Da subito un grande successo, è tradotto nel 1905 in tedesco, e apre a Pirandello la strada della notorietà, consentendogli di cambiare casa editrice. Presso Treves nel 1906 escono le novelle della raccolta Erma bifronte. Nel 1908 pubblica un volume di saggi intitolato Arte e scienza e l'importante saggio L'umorismo. Nel 1909 viene pubblicata a puntate la prima parte del romanzo I vecchi e i giovani che ripercorre la storia del fallimento e della repressione dei Fasci siciliani. Sempre nel 1909, inizia la collaborazione con un giornale prestigioso come il «Corriere della Sera» (vi scriverà fino all'8 dicembre 1936), su cui pubblica le novelle Mondo di carta, La giara e, nel 1910, Non è una cosa seria e Pensaci, Giacomino!. Lo scrittore è ormai famoso, ma la sua vita privata è avvelenata dai sospetti di Antonietta che, guarita dalla paresi, lo ossessiona con la sua gelosia.

    Nel 1910 Pirandello, che a causa di dilazioni e promesse non mantenute di attori e capocomici circa la rappresentazione dell'atto unico L'epilogo (scritto nel 1892 e pubblicato nel 1898) ha allentato i suoi rapporti con il mondo del teatro, si lascia convincere da Nino Martoglio, attore e regista suo conterraneo, a trarre un atto unico dalla novella Lumie di Sicilia che lo stesso Martoglio recita per il Teatro minimo insieme con il «disgraziato» L'epilogo, diventato ora La morsa.

    Nel 1911, mentre continua la pubblicazione di novelle (La patente, La tragedia di un personaggio), esce il quarto romanzo, Suo marito, ripubblicato postumo nel 1941, completamente rivisto nei primi quattro capitoli, con il titolo Giustino Roncella nato Boggiòlo. L'autore durante la sua vita non ripubblicherà questo romanzo per motivi di riservatezza: nell'opera, infatti, c'è un implicito riferimento alla scrittrice Grazia Deledda. Nel 1912 stampa il suo ultimo volume di versi Fuori di chiave. Il lavoro che in questi anni lo assorbe maggiormente è quello di prosatore: tra il '13 e il '14 sono pubblicate, tra le altre, le novelle La vendetta del cane, Quando s'è capito il giuoco, Il treno ha fischiato, Filo d'aria, Berecche e la guerra.

    Nel 1915 escono le raccolte di novelle La trappola e Erba del nostro orto. Sempre nel '15 sulla «Nuova Antologia» è pubblicato a puntate il romanzo Si gira..., poi ripubblicato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore.

    Nel 1916 l'attore Angelo Musco recita con successo la commedia in tre atti che lo scrittore ha ricavato dalla novella Pensaci, Giacomino! (nel testo siciliano) e la commedia «campestre» Liolà («l'opera mia più fresca e viva») pure in siciliano. Nel 1917 esce la raccolta di novelle E domani lunedì, ma l'anno è contrassegnato soprattutto da importanti rappresentazioni teatrali: Così è (se vi pare), 'A birritta cu' i ciancianeddi e II piacere dell'onestà. Il lavoro teatrale, pur non soffocando del tutto la produzione di novelle (nel 1918 è pubblicata la raccolta Un cavallo nella luna), assorbe sempre di più lo scrittore: sono messe in scena nel '18 le commedie Ma non è una cosa seria e II giuoco delle parti.

    Nel 1919 Maria Antonietta viene fatta internare in una clinica sulla via Nomentana: non ne uscirà più.

    Il 1920 è l'anno di commedie come Tutto per bene; Come prima, meglio di prima; La signora Morii, una e due. Sempre in questo anno l'autore abbandona la casa Treves e affida all'editore Bemporad la pubblicazione delle sue opere. Nel 1921 la Compagnia di Dario Niccodemi mette in scena al Valle di Roma Sei personaggi in cerca d'autore. È un insuccesso clamoroso: l'autore che è presente alla rappresentazione deve imboccare un'uscita laterale per fuggire le grida e l'ira della folla ostile. Lo stesso dramma, però, a Milano ottiene un grandissimo consenso. Nel '22 sempre a Milano viene rappresentato l'Enrico IV interpretato da Ruggero Ruggeri: è un trionfale successo. Ormai la fama dello scrittore varca i confini dell'Italia: i Sei personaggi sono rappresentati in lingua inglese a Londra e a New York. Ma le rappresentazioni continuano anche in Italia: a Roma si mette in scena Vestire gli ignudi. Sempre nel '22 Pirandello lascia l'insegnamento. Nel '23 trae dalla novella La morte addosso l'atto unico L'uomo dal fiore in bocca, che è messo in scena da Anton Giulio Bragaglia. Dopo una strepitosa prima a Parigi, il «dramma da fare» è rappresentato nelle maggiori città d'Europa.

    Nel 1924 viene rappresentato il secondo dei «drammi da fare», Ciascuno a suo modo, che ripropone la storia della donna fatale, presente nel romanzo Si gira... Nel '25 Pirandello ha l'occasione di compiere un 'esperienza diretta del mondo teatrale, assumendo la direzione artistica del Teatro d'Arte di Roma, fondato dal Gruppo degli Undici, tra cui figurano O. Vergani, M. Bontempelli e il figlio dello scrittore Stefano. La prima attrice della compagnia è la giovane Marta Abba, che sarà amata da Pirandello, divenendo la sua ispiratrice. Le tournées toccano le più importanti città d'Europa rendendo sempre più noto il repertorio pirandelliano. Tra il '25 e il '26 esce a puntate sulla «Fiera letteraria» l'ultimo romanzo Uno, nessuno e centomila, che è stato a lungo sulla scrivania dello scrittore. Per la musa vivente Marta Abba lo scrittore compone: Diana e la Tuda (1926), L'amica delle mogli (1927), Come tu mi vuoi (1929) e infine Trovarsi (1932).

    La Compagnia del Teatro d'Arte, ritornata in Italia dopo una tournée in Argentina e in Brasile (1927), mette in scena il «mito» in tre atti La nuova colonia (1928), che appariva come dramma scritto da Silvia Roncella nel romanzo Suo marito. Nell'agosto la compagnia si scioglie e Pirandello si reca in «esilio» a Berlino; qui segue con interesse (ma non condivide del tutto) le proposte dei registi espressionisti come Max Reinhardt, Erwin Piscator e Leopold Jessner. Nasce allora, basato sui rapporti tra opera scritta e realtà teatrale, il terzo «dramma da fare» Questa sera si recita a soggetto. Quando la commedia viene rappresentata a Berlino (1930), al terzo atto gli spettatori insorgono trasformando il teatro in una vera e propria bolgia.

    Intanto nel 1929 è nominato Accademico d'Italia (aveva chiesto l'iscrizione al partito fascista nel '24); sempre nel '29 è rappresentato il secondo «mito» Lazzaro ed è pubblicato l'atto unico Sogno (ma forse no). In questo anno lo scrittore lascia Bemporad e affida la pubblicazione delle sue opere a Mondadori, suo definitivo editore. Nel 1931 pubblica la novella Soffio e, con il titolo I fantasmi, il primo atto del terzo e ultimo «mito» I giganti della montagna, che rimarrà incompiuto (lo scrittore si fermerà al secondo atto, 1934).

    Nel 1934 scrive il dramma Non si sa come; sotto la sua regia, viene messa in scena al Teatro Argentina di Roma La figlia di Iorio di D'Annunzio. Sempre nel '34 gli viene conferito il premio Nobel.

    In questi ultimi anni della sua vita Pirandello ritorna al silenzioso spazio della narrativa, scrivendo alcune suggestive novelle: Di sera, un geranio (1934), Il chiodo e Una giornata (1936). Pirandello non ha ancora ultimato il mito-testamento I

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