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La Ragnatela e il Teschio Muto
La Ragnatela e il Teschio Muto
La Ragnatela e il Teschio Muto
E-book691 pagine10 ore

La Ragnatela e il Teschio Muto

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Info su questo ebook

In un mondo antico, costantemente minacciato da nuovi invasori, la magia della Dea rimane confinata nel regno incantato di Montaurato. A Erthalan, un complotto contro l'erede designato al trono, vincolato da legami di sangue e amore al popolo antico dei Dha’lan, si sviluppa mentre la rinascita di un culto proibito minaccia la fragile pace tra i Dha’lan e gli invasori Akreni. Un sacerdote corrotto intrappola il giovane Re Roxander attraverso un’intricata ragnatela di inganni proprio nel momento in cui le sue nozze con Iriel, dama di Montaurato, sembrano destinare a una pace duratura tra i due popoli.
Tradito dal fratello gemello Roldavis e da feudatari corrotti, Roxander dovrà lottare per la propria vita, imparare a gestire il potere divino dei Dha’lan e combattere per riottenere il diritto al trono di Erthalan.
"La Ragnatela e il Teschio Muto" è un'opera che raccoglie la dilogia del ciclo dei Mistilw'aram in un solo volume autoconclusivo.


L'AUTRICE
Adriana Comaschi è nata a Venezia. Ha studiato fino a conseguire la maturità classica e la laurea in Scienze Sociali e ha lavorato per molti anni nei Servizi Sociali del Comune; contemporaneamente, ha insegnato per alcuni anni come docente teorico e pratico nei corsi universitari della sua facoltà.
Appassionata lettrice, è stata presto attratta dalla scrittura ed è riuscita a pubblicare un paio di romanzi, racconti e poesie su una fanzine, vincendo segnalazioni e premi, tra cui il Premio Italia 1989 per racconto Italiano su pubblicazione amatoriale con "Il Maligno", e il Premio Italia nella categoria romanzo fantasy di autore italiano nel 2015 per "L'artiglio di fuoco" (ciclo del Duca di Norlandia).
Ha pubblicato le sue opere con Edizioni Domino, I doni delle Muse, Solfanelli e Tabula Fati.
Con Collana Milos è stato pubblicato il primo volume della Saga del Duca di Norlandia, "Il Condottiero delle Isole".
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita19 feb 2024
ISBN9791254585139
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    Anteprima del libro

    La Ragnatela e il Teschio Muto - ADRIANA COMASCHI

    Collana Milos

    ADRIANA COMASCHI

    LA RAGNATELA E IL TESCHIO MUTO

    Il Ciclo dei Mistilw’aram

    Pubblicato da ©Pubme |Collana Milos

    Prima edizione febbraio 2024

    |La Ragnatela e il Teschio muto | Adriana Comaschi | Tutti i diritti riservati

    ISBN:

    Editing a cura di Solange Mela

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da considerarsi puramente casuale.

    Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’autore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941)

    Parte Prima

    LA RAGNATELA

    Mappa delle terre di Erthalan, Lal’ab Kelaf e Rabhal

    Premessa

    Erthalan è una terra retta dalla dinastia dei Mistilw’aram, che vi si sono affermati dopo una dura lotta contro i sette Signori del Paese, che regnavano in altrettante province.

    Prima ancora di loro, ad Erthalan viveva una razza diversa, chiamata poi l’Antico Popolo, gente pacifica, che rifuggiva dalla violenza e dalle armi ed era portata solo alla cura della terra ed alle arti, nelle quali eccellevano. Avevano poteri soprannaturali, ma anche questi utilizzati solo per guarire e accrescere, non per dominare e che comunque andarono affievolendosi con il passare dei secoli, fino a diventare solo una particolare abilità per le arti e la musica, oppure una speciale capacità per ottenere il meglio da una terra e una grande facilità a comunicare con gli animali o, infine, una singolare perizia nella cura dei malati e dei feriti.

    Tuttavia talvolta in qualcuno di loro, e segnatamente nelle donne, tornavano i tratti salienti degli antichi poteri; costoro venivano chiamati gli Eletti e avevano una posizione di rilievo tra la loro gente.

    Furono le loro stesse caratteristiche, unite alle ricchezze di Erthalan, che finirono con l’attirare popoli meno raffinati e mansueti che si impadronirono del territorio, cacciando l’Antico Popolo nei boschi e sulle montagne. Là la loro fulgida civiltà si spense e divennero un popolo boschivo, dedito alla pastorizia e all’agricoltura, noto per la bravura nel canto e per la bellezza e delle loro donne, che erano anche abili guaritrici e spesso dotate di un latente potere magico.

    I conquistatori di Erthalan, che chiamarono se stessi Erthani, subito dopo essersi impadroniti del territorio, si misero a lottare tra di loro, finché rimasero solo in sette, chiamati i Signori della Terra,i quali divisero il paese in altrettanti piccoli regni.

    Fin dall’inizio l’Antico Popolo (che chiama se stesso Dha’lan) venne visto dai conquistatori con disprezzo e timore, il che alle volte dette origine a vere e proprie persecuzioni o a limitazioni dei loro diritti, ma nonostante ciò il loro potere, la maestria nelle arti, il fascino innato di cui sono dotati portò molto spesso a superare ogni diffidenza, tanto che ci furono molte unioni tra le due razze, con il risultato che la magia dei Dha’lan cominciò a serpeggiare, magari debole e contraffatta, anche nel sangue dei nuovi venuti.

    Alcuni di questi mezzo sangue finirono con il diventare potenti tra la loro gente, vuoi per la magia ereditata dall’Antico Popolo, vuoi, forse, per l’aiuto che quest’ultimo dava loro segretamente, e, con il passare degli anni, attorno a loro si formò una classe sacerdotale, detta i Custodi.  

    Tre secoli dopo uno Signore della Terra, Rovlad di Mistil, che assommava in sé l’eredità di due Signori della Terra e che era nato da una donna dell’Antico Popolo, riaccese la lotta, rivendicando per sé e per la sua stirpe tutta Erthalan, forte della magia che aveva ereditato dalla madre, il w’aram.  Nella madre esso era stato debole, ma in Rovlad, aiutato anche dagli Eletti dell’Antico Popolo e dai Custodi della sua gente, crebbe fino a farlo diventare un mago di grande potere, capace anche di sentire la sua terra e di interagire con lei. In breve, visto che era anche un abile condottiero e un valoroso guerriero, riuscì a coronare il suo sogno e fu incoronato re di Erthalan, con il nome di Rovlad Mistilw’aram, nome che tramandò ai suoi discendenti.

    Il w’aram era stato l’elemento che aveva determinato la sua ascesa e i Signori dei Domini si erano piegati a lui soltanto perché l’avevano riconosciuto detentore di un potere soprannaturale, visto come segno di predilezione da parte degli dei, pertanto solo il Mistilw’aram che avesse quel potere nel suo sangue era considerato degno di regnare. Gli eredi dei cinque Signori della Terra, da quel momento chiamati conti, infatti giuravano in questi termini durante ogni incoronazione, e solo a un re dotato di w’aram prestavano obbedienza.

    Intanto i Custodi cominciarono a guardare con invidia e sospetto i poteri e il prestigio di cui godevano gli Eletti e, nel corso di un centinaio di anni, riuscirono ad allontanarli dalla corte e dal re, di cui divennero i principali consiglieri, nonché gli unici cui competeva stabilire la presenza del w’aram.  

    I due gemelli

    Sebbene la metà del pomeriggio fosse già passata, il sole ancora alto nel cielo limpido faceva risplendere le massicce pietre chiare del castello di Mistil, indorandone l’alto mastio, il torrione d’ingresso, gli spalti sui quali vigilavano sentinelle armate e i grandi cortili dove si affollavano cortigiani, servitori, ma anche contadini e artigiani che avevano là le loro abitazioni e le loro officine.

    Nella corte d’onore, l’ampio spazio che dava ingresso al palazzo dei Mistilw’aram, Signori del castello e sovrani di Erthalan, pavimentata con larghi macigni bianchi e ornata con bassorilievi, due giovani stavano duellando. I raggi del sole traevano barbagli bronzei dai lunghi capelli biondo scuro del più alto dei due e illuminavano i corti ricci bruni che scendevano disordinatamente sulla fronte dell’altro.

    Dal suo seggio di legno dorato, reso più comodo da cuscini variopinti, e posto all’ombra di un piccolo chiosco sulle cui colonne si avviticchiavano edere e gelsomini, li stava osservando con uno sguardo compiaciuto ma un poco distratto il Re Childavir.

    Terzo del suo nome, era detto il Prudente per il suo carattere riflessivo e cauto, tanto diverso da quello irruente e precipitoso che la tradizione attribuiva a tutti i Mistilw’aram. Ma del resto, mormoravano a voce bassissima quei cortigiani che non apprezzavano né il carattere né la politica del Prudente, con i secoli il sangue ardente dei loro Signori si era raffreddato, visto che era stato annacquato più volte con quello dei Dha’lan, l’Antico Popolo.

    Costoro avevano regnato su quella terra per secoli, finché i bellicosi Akreni non l’avevano invasa e conquistata, costringendo gli sconfitti a vivere nel cerchio dei Monti Grigi e di Montaurato, sottomessi ai loro vincitori. I Dha’lan, però, sprezzantemente considerati degli imbelli, buoni solo per rovinarsi gli occhi sulle carte e per strimpellare, avevano una bellezza alla quale i vincitori difficilmente riuscivano a resistere. Così, molte volte i Mistilw’aram avevano preso in moglie donne Dha’lan, e Childavir non faceva eccezione, anche se sua moglie Hellean era Dha’lan solo per parte materna. Suo padre, infatti, era stato il Conte di Faervej, uno dei Signori dei Domini, i grandi feudatari, diretti discendenti dei conquistatori che si erano spartiti Erthalan e vi avevano regnato, finché Rovlad Mistilw’aram non li aveva obbligati a riconoscersi suoi vassalli.

    Tuttavia, a parte l’ascendenza materna, non si poteva dire nulla contro la Regina, che si era sempre mostrata degna di quel titolo e che aveva dato al marito tre figli: due maschi, i gemelli Roxander e Roldavis, che appunto stavano battendosi sotto gli occhi del padre, e parecchi anni dopo una femmina, Mireanna.

    Il Re sospirò. Già, due gemelli, completamente dissimili tra di loro nel fisico e per temperamento, ma ambedue teoricamente atti a regnare. Un bel dilemma… e a lui non piacevano i dilemmi e le scelte precipitose, tanto che alle sollecitazioni dei Signori dei Cinque Domini, suoi feudatari, dei sacerdoti e della moglie perché designasse il suo successore, aveva sempre risposto: Diamo tempo al tempo.

    In tutta la sua lunga vita, Childavir aveva sempre cercato di sfuggire a decisioni precipitose e irrevocabili, mantenendo il più possibile un atteggiamento neutrale davanti ai problemi che si era trovato davanti.

    Non aveva mai preso apertamente posizione sulle contrastanti pretese di molti nobili Erthani e degli Eletti, i principi dei Dha’lan, ma aveva sempre cercato una via per rappacificare, se non per unire, le due razze. In questo aveva sempre avuto l’appoggio non solo della moglie, ma anche quello di Roxander, che mostrava simpatia per il popolo di sua madre, presso il quale si era recato più volte a studiare. 

    Il Re era riuscito anche a mantenersi in equilibrio fra le diverse fazioni che periodicamente sorgevano in seno alla potentissima casta sacerdotale, l’Ordine dei Custodi, fino a imporre il suo candidato, il saggio Lorel, come Gran Maestro, carica che costui ricopriva ormai da quasi vent’anni. Insieme, avevano mantenuto una relativa pace tra i Custodi, che da sempre si dividevano, con diverse sfumature, tra chi ammirava l’Antico Popolo e i suoi magici poteri e chi invece dell’Antico Popolo rifiutava tutto, magia, costumi, civiltà, predicando la superiorità degli Akreni sui vinti.    

    Ultimamente, però, la diatriba tra le due diverse razze e i loro sostenitori s’era fatta più aspra, e talvolta Childavir pensava che la relativa tranquillità goduta fino a pochi mesi prima fosse dovuta, più che ai suoi sforzi, ai due tentativi di invasione da parte dei Rabhaliti, sostenuti dai loro feroci pirati, che avevano in un certo senso funzionato da collante, obbligando tutta Erthalan a restare unita per respingerli.

    Suo figlio Roldavis, messo a capo dell’esercito, aveva respinto l’invasore assieme al Conte Darkal D’Anghiaris, uno dei Signori dei Domini, meritandosi l’appellativo di Duralama per il valore e l’inflessibilità dimostrati,e ponendo una pesante ipoteca sul suo diritto di succedere al padre. La sua popolarità era alle stelle e i suoi sostenitori osavano pretendere apertamente dal Re una decisione in favore del loro eroe, ma Childavir non si decideva ancora, perché apprezzava anche le qualità meno appariscenti di Roxander.

    Un po’ più piccolo di statura del gemello, emeno resistente alle fatiche, il giovane era più portato allo studio e alle arti, piuttosto che alla spada e alle arti belliche, in cui il suo gemello eccelleva, ma era anche un abile diplomatico, in grado di capire e di gestire le diversità del suo popolo.

    Il Re si era distratto ripensando ai trent’anni del suo non facile regno, ma fu immediatamente richiamato alla realtà dalla voce risonante di Roldavis, che per la terza volta aveva strappato la spada dalle mani del fratello, dopo averlo costretto contro il muro con una serie impressionante di finte e di affondi, a stento parati dal suo avversario. 

    «Dai, Roxander! Puoi fare meglio di così… non tenere il braccio rigido, e qualche volta attacca, invece di difenderti sempre! Guarda…»

    Ma con una risata il giovane bruno alzò le mani in segno di resa.

    «Niente da fare, fratello: non sono un guerriero e temo che non lo sarò mai» sempre ridendo afferrò il telo umido che uno scudiero gli porgeva, passandolo sul viso sudato e sui ricci bruni. «Per fortuna ci sei tu, Duralama, e la spada dei Mistilw’aram non conoscerà sconfitte, finché tu l’impugnerai!»

    Un sorriso compiaciuto si dipinse sul volto dell’altro principe, che, mormorando una risposta assai poco sentita, si diresse a lunghi passi verso il padre, per sentire anche le sue lodi.

    Roldavis Mistilw’aram aveva tutto ciò che un popolo poteva pretendere dal suo re.

    Aveva capelli di un bel biondo scuro, con caldi riflessi bronzei, che si arricciavano ordinatamente sulle ampie spalle, e un viso attraente, con una fronte ampia e un’energica mascella, dominato da due occhi scuri che sapevano sorridere e allettare, ma che potevano diventare due laghi di bronzo, quando la situazione lo richiedeva, così come la bocca colorita, contornata da una corta barba bionda, sapeva ridere, svelando i robusti denti bianchi, ma anche serrarsi in una linea sottile e minacciosa davanti a un ostacolo.

    Alto di statura e aitante, era a ragione considerato uno dei primi guerrieri del regno e un abile condottiero, ma non per questo aveva trascurato le altre discipline: conosceva, infatti, le lettere, i numeri, la musica e aveva una voce robusta ma piacevole; la storia del suo paese, le sue risorse, le sue debolezze, i suoi nemici e i suoi alleati non avevano segreti per lui.

    Sì, Roldavis Mistilw’aram aveva tutto ciò che un Re doveva avere, ma la sua successione al padre era tutt’altro che certa, perché doveva fare i conti con il suo gemello, Roxander. Pensando al fratello, Roldavis si fermò in mezzo al cortile, mentre il sorriso gli si pietrifica sul viso.

    Roxander! Alto anche lui, ma di costituzione più snella, con mani delicate, fatte per suonare, scrivere o dipingere, non certo per reggere una spada… o il pesante scettro di un regno! Sotto la corta chioma bruna, ricciuta, il suo volto sottile, illuminato da due grandi occhi grigi, aveva lineamenti delicati, più adatti a un poeta o a un saggio che al sovrano di un grande popolo, e quella faccia rifletteva il suo animo, ben poco portato a quella durezza, a quella severità che, secondo Roldavis, erano corollari necessari alla regalità. Certo, in cambio il suo sapere e le sue conoscenze erano vaste come, e forse più, quelle di un vero Custode… D’altra parte, era logico fosse così, visto il tempo che passava in loro compagnia, mentre lui, invece, pattugliava i malcerti confini di Erthalan, o faceva passare la voglia di ribellarsi ai cinque Signori del regno e ai loro vassalli, o si scontrava con gli invasori Rabhaliti, già due volte messi in fuga dal suo valore!

    I suoi partigiani, e soprattutto il Conte di Planghares, suo compagno nelle guerre rabhalite, non si stancavano di ripetergli che la scelta tra loro due era soltanto una formalità, rimandata dal Re per quel carattere che gli aveva valso il suo soprannome, e forse anche per non dispiacere alla Regina che probabilmente avrebbe preferito Roxander, più simile ai Dha’lan del battagliero gemello.

    Ma Roldavis non si sentiva sicuro: qualcosa dentro di lui gli ripeteva che lui aveva tutte le qualità richieste a un re, salvo la prerogativa essenziale e irrinunciabile di tutti i sovrani d’Erthalan, il segno indiscutibile della regalità… il w’aram

    E, senza il w’aram, poteva dire addio al trono.

    Intanto aveva raggiunto il padre, e nell’inchinarsi davanti a lui con uno smagliante sorriso, gettò un’occhiata al gemello, che stava a sua volta avvicinandosi con maggiore lentezza, allacciandosi il farsetto che un premuroso scudiero gli aveva porto, il petto ancora un poco ansante per lo sforzo del duello. E se fosse stato lui, il fratello più debole, il sognatore, colui che gli dei avevano scelto per succedere a Childavir?

    Sentì un impeto di collera all’idea di dover un giorno piegare il ginocchio davanti a lui e le sue guance arrossirono, mentre rispondeva automaticamente con qualche parola gentile agli elogi del re, ma quando Roxander li raggiunse, ancora affannato per il duello, i folti capelli ricci aggrovigliati sulla fronte a nascondere a mezzo gli occhi grigi, si vergognò dei suoi pensieri e lo abbracciò con forza, sgridandolo scherzosamente.

    «Sei pigro, Roxander, e hai approfittato della mia assenza per trascurare di allenarti.  Ma adesso che sono tornato…»

    «… sfogherai su di me tutta l’energia che hai profuso sul tuo ex nemico Haimed ber Rabhal, lo so! Ma lo sopporterò volentieri, per la gioia di riaverti al mio fianco, sano, salvo e vincitore, fratello!»

    Li interruppe il cerimoniere di corte.

    «Il Gran Maestro dei Custodi, il nobile Loren, chiede di essere ammesso all’augusta presenza di Sua Altezza Reale» annunciò pomposamente, mascherando con un sorrisetto stentato la sua disapprovazione per quell’arrivo inaspettato.

    Avrebbe potuto risparmiarsi tutto il pistolotto, perché già alle sue prime parole la faccia del sacerdote, alto e magro, aveva fatto capolino sopra la sua testa, e subito Childavir gli aveva fatto cenno di venire avanti, alzandosi addirittura in piedi.    

    Si abbracciarono: parenti, erano cresciuti assieme e da sempre il sacerdote era stato il più valido consigliere del re, oltre che uno dei suoi pochi amici e suo compagno d’armi nell’unica campagna militare che aveva intrapreso, più di vent’anni prima, contro i barbari Exocu che avevano violato i confini di Erthalan, razziando e uccidendo.

    Le visite di Loren erano sempre le benvenute, ma questa volta Childavir, guardando l’amico, si rannuvolò: lo conosceva da troppi anni per non capire con una sola occhiata che il motivo di quella inaspettata visita era grave, mentre lui si sentiva già stanco, molto più disposto a una bella partita a scacchi con lui, condita con una serie di piacevoli ricordi, che a una seria discussione sui problemi dell’Ordine dei Custodi.

    La sua scomoda sensazione trovò subito conferma perché, passati i primi momenti nei convenevoli d’uso, Lorel chiese e ottenne di parlargli in privato, e non appena il Re ebbe congedato i giovani principi, si lanciò in una furiosa diatriba sulle difficoltà che in quel momento il suo Ordine stava attraversando.

    «Tu lo sai, Childavir! Diventano Custodi soltanto coloro ai quali la benevolenza del Dio del Fuoco e del Tuono ha concesso l’attitudine alla magia, cosa che ci conferisce poteri particolari: la capacità di curare, talvolta una forma di preveggenza, tal altra…»

    Il Re annuì e sospirò. Aveva capito, e tagliò corto.

    «… e la capacità di accertare se un futuro sovrano abbia il w’aram, la mistica unione con la sua terra, cosa fondamentale per Erthalan e per la mia dinastia, visto che solo il Mistilw’aram che abbia quel potere nel suo sangue è considerato degno di regnare dai Signori dei Domini. Fin qui ci siamo, vecchio amico, ma certamente non sei venuto dal tuo Re per ripetergli quel che ogni bambino di Erthalan sa. Vieni al dunque!» Nonostante il tono scherzoso, la faccia di Childavir era seria, e aggiunse con voce più sommessa. «Non sono più giovane, lo so, e i miei due maschi sono gemelli. È questo che ti preoccupa? Stai pensando a quella vecchia profezia?»

    Il viso magro e intelligente del Custode arrossì lievemente, mentre l’uomo abbozzava un gesto di scongiuro, serrando tra le mani le tre rune di rame, di bronzo e d’oro, simbolo dei Custodi.

    Erano vecchie, quelle mani, e le lunghe dita erano deformate dall’artrite. Lorel aveva appena qualche anno più del re. Childavir sospirò di nuovo, ma intanto il sacerdote aveva ripreso il suo discorso.

    «Anche, amico mio» annuì gravemente, e ricominciò a parlare chiamando a testimone il primo degli antichi Dei Akreni, che non veniva mai invocato con il suo nome, ma con degli appellativi. «Il Signore del Fulmine e del Tuono ti tenga in vita ancora per lunghi anni, ma comunque prima o poi l’Ordine dovrà indicare chi dei tuoi figli è destinato a succederti, e in quel momento i Custodi dovrebbero pronunciarsi udendo soltanto la voce degli Dei…»

    «Cosa vuoi dire?»

    Lorel si agitò, a disagio. Detestava le parole che stava per dire, ma sapeva anche che doveva parlare al Re, subito, prima che il problema diventasse insolubile.

    «Tu conosci Damoril» cominciò.

    «Certamente!» annuì subito il re. «La conosco e la stimo. Conto molto su di lei, sull’influenza che ha sui Custodi e sul mio popolo per riuscire finalmente a colmare il divario che ancora esiste tra Dha’lan e Akreni. Voglia il Dio del Fulmine e del Tuono che, prima di morire, io possa vedere queste due razze, queste due civiltà fuse in una sola!»

    «T’ascolti il Dio! Ma io invece temo che questo momento si stia allontanando. Vedi, Damoril, che tutti indicavano come il mio successore, ha ora un rivale, Bal’lkis.»

    «Bal’lkis? Ma…»

    «Sì. È vero che ha chiesto di entrare tra i custodi quando già non era più giovane, contrariamente all’uso, ma il suo potenziale magico era tale che non mi è stato possibile opporgli un rifiuto. L’avrei fatto di buon grado, perché fin da allora il suo atteggiamento rigido verso l’Antico Popolo mi aveva impressionato negativamente» sospirò e allargò le braccia, concludendo con voce sorda. «Non l’ho fatto e ho trascurato anche di sorvegliarlo, dicendomi che i miei sospetti verso un confratello erano indegni, e ora Bal’lkis è a capo di un gruppetto di custodi che si rifanno agli antichi costumi e alle leggi dei primi conquistatori Akreni.» 

    «Un gruppetto…» il Re accentuò il diminutivo, speranzoso, ma l’altro scosse deciso la testa.

    «Un gruppo, Childavir, che continua a crescere in maniera preoccupante. Bal’lkis è dotato di carisma, e le sue parole sanno lusingare e suggerire. Anche se non lo dichiara apertamente, è chiaro il suo astio verso tutti i Dha’lan e soprattutto verso i loro capi, gli Eletti e la loro magia.»

    Il Re sussultò, allarmato.

    «Ma la magia dei Dha’lan è dono della Dea Madre, la Terra… per il fuoco del Dio! Qui stiamo ritornando indietro di centinaia di anni!»

    «Esatto. Per la precisione, di trecento cinquantasei anni, quando, dopo una guerra civile durata quasi cinquant’anni, fu convocata la Grande Adunanza della Pace. Allora gli Eletti, i Custodi, le Velate e i Signori dei Cinque Domini, sotto la guida di Wollander Mistilw’aram, dettarono regole chiare di convivenza e la Dea Madre fu onorata assieme al Dio del Tuono e del Fuoco, come due aspetti della stessa divinità.»

    «Non vorrai dirmi che un pretuncolo di basse origini osa mettere in discussione ciò che, con la benedizione degli Dei, è stato dibattuto e risolto secoli fa da uomini ben più saggi e potenti di lui!»

    «Quel pretuncolo di basse origini è riuscito a diventare il fulcro di tutti i Custodi mal contenti della mia reggenza, e del tuo governo. E forse non solo dei Custodi!»

    A queste parole il Re si alzò a mezzo dal suo seggio e afferrò il magro braccio dell’amico.

    «Cosa vuoi dire? Spiegati!»

    «Sai meglio di me che non tutti i nobili erthani sono contenti della tua politica accomodante verso i Dha’lan e verso gli Eletti. C’è chi preferirebbe vederli segregati, spogliati dei loro diritti o addirittura cacciati da Erthalan. Il potere e il prestigio degli Eletti, poi, suscitano invidie tra i nobili e i Custodi.»

    «Ma se sono stati allontanati dal governo dal mio bisavolo! Non hanno più alcun potere, se non fra il loro popolo, che è comunque soggetto alle mie leggi, alle leggi di Erthalan!»

    «Già. Ma questo non basta ancora a quell’impudente di Bal’lkis! E osa anche porre la sua candidatura a Gran Maestro dei Custodi, contro i miei desideri! No, bisogna stroncare le sue velleità adesso, finché siamo ancora in tempo, a costo di…»

    «Calmati, calmati, vecchio amico!» lo interruppe Childavir che, oltre a non essere portato alla collera e alle decisioni rapide, detestava vederle anche negli altri. «Calma, e ragioniamo. Uhm… forse sarebbe opportuno sentire direttamente sia Damoril che Bal’lkis, tuttavia…»

    Prima che finisse, Lorel balzò in piedi, annuendo.

    «Proprio così! E ci ho già pensato io: sono tutti e due in anticamera, ma li faccio venire subito qua.»

    «Aspetta un momento! Non essere precipitoso, forse…»

    Ammutolì, perché dall’atrio si erano levate le voci rabbiose di due persone che stavano litigando. Lanciò un’occhiata all’amico che sospirò.

    «Sì, sono loro, Damoril e Bal’lkis. Hai ragione, se pensi che il primo problema sia la mia incapacità di farmi obbedire da quei due. Che vuoi farci! Sono vecchio.»

    Il Re sospirò di nuovo, ma annuì.

    «Falli entrare, allora, e vediamo se almeno il loro vecchio Re» e calcò la parola «riesce ancora a farsi ascoltare.»

    Sollevato, il Maestro dei Custodi si avvicinò alla porta e fece cenno ai due in attesa di avvicinarsi al re. Questa volta fu prontamente obbedito e pochi secondi dopo i due custodi si stavano inchinando a Childavir.

    Sebbene tentassero di darsi un contegno, recavano ancora evidenti sul volto i segni del loro rabbioso litigio: il chiaro viso, forte e regolare, di Damoril era arrossato, la fronte aggrottata e le mascelle quadrate serrate, mentre dal cappuccio uscivano scomposti gli indisciplinati ricci di un vivido castano rossiccio, e gli occhi, appena un po’ più scuri dei capelli, scintillavano ancora furiosi.

    Bal’lkis, da parte sua, celava meglio il proprio turbamento dietro la barba nera, ma lo tradivano gli sguardi rabbiosi che i suoi occhi giallastri gettavano alla compagna, e le robuste mani serrate a pugno. 

    Il Re li osservò per qualche momento, poi, mentre Lorel si metteva alla sua destra, prese la parola con la voce pacata che era solito usare quando voleva dirimere un contrasto.

    «Il Gran Maestro mi ha messo al corrente del vostro disaccordo, che lo preoccupa non poco. Io sono certo che tra di voi non ci sia nulla che non possa essere superato con un tranquillo confronto, e per questo vi ho chiamato qui, per discuterne. Spiegatevi, il vostro Re vi ascolta.»

    A quelle parole, sul lungo viso pallido di Bal’lkis si dipinse un sorriso, mentre le palpebre si abbassavano a celare lo sguardo di quegli inquietanti occhi giallastri e l’uomo abbozzava un inchino, ma Damoril, impulsiva e intransigente come era sempre, attaccò subito con foga, quasi soffocandosi con le parole.

    «Subito e con piacere, Altezza Reale! Costui è un sobillatore, indegno del nome e della veste di Custode, e con la pretesa di succedere un giorno a Lorel.  A posto, saremmo allora! Odio invece di amore, fanatismo invece di fede, avidità invece di umiltà: ecco il suo credo.»

    «Non ti sembra, cara sorella, di esagerare un poco? Se fossi quel miserabile che descrivi, come l’Ordine avrebbe potuto accogliermi?» la interruppe Bal’lkis, controllando la voce metallica, ma digrignando i denti.

    Damoril aprì e chiuse la bocca, interdetta, e il Re intervenne in fretta, per evitare un’altra esplosione.

    «Calma, calma, venerabili fratelli! Sono certo che entrambi abbiate le doti e le virtù che la vostra veste richiede, e che solo la collera abbia messo parole dure sulle vostre labbra. Collera che, a quanto mi dice il mio amico Lorel, ha delle cause ben precise…»

    Tacque e li guardò interrogativo.

    «I Dha’lan, prima di tutto!» gridarono i due a una voce, e poi si guardarono in cagnesco.

    «L’odio che lui prova per i Dha’lan, voglio dire, la rabbia che lo rode nel vedere gli Eletti più dotati di lui…» cominciò Damoril, che aveva sempre la parola pronta, ma anche quella volta l’uomo la interruppe.

    «Io non odio nessuno, naturalmente! Come potrei, essendo un Custode? Ma questo non mi impedisce di vedere e capire quando la magia che gli Dei hanno donato per il bene del popolo è usata in maniera impropria, fuorviante e pericolosa.»

    «Di’ piuttosto, quando dimostra che i poteri degli Eletti sono superiori ai tuoi, e ai miei; quando dimostra che i Dha’lan, tutti, hanno un potenziale magico superiore agli Akreni e…»

    Con un grido, Bal’lkis alzò le braccia al cielo, poi si coprì gli orecchi in maniera teatrale.

    «Zitta!» urlò, e alzò ancora di più la voce per coprire quella di Damoril. «È questo tuo disprezzo per la nostra razza che non riesco a tollerare! Se è una colpa amare la propria gente e la propria cultura, e rispettare la sua civiltà, allora io sono il primo ad accusarmene!»

    «Nessun disprezzo! Ma amare la propria gente non significa voler schiavizzare tutte le altre!» gridò in contemporanea la sacerdotessa, strillando con tutta la forza dei suoi capaci polmoni.

    «Ecco, li senti, Childavir?  E va avanti così, o peggio, da mesi! Discussioni, baruffe, urla. Io non ne posso più!» sbraitò Lorel, finché una serie di colpi di tosse non lo ammutolì.

    «Tranquillo, Lorel! Non perdere la calma anche tu, e voi…»

    Ma i due continuavano ad altercare a voce sempre più alta e le parole del Re si spersero in quel rabbioso vociare.

    *

    Sotto il porticato che fiancheggiava la facciata del palazzo, Lukern Valmoriel, il più giovane capitano della Guardia Reale, si staccò dalla colonna che lo aveva nascosto fino a quel momento con un sorrisetto divertito sulle labbra.

    Da un bel pezzo nel castello, nel borgo vicino e probabilmente in tutta Erthalan si parlava, o meglio si sparlava, del dissidio che divideva la temuta casta dei Custodi, ma fino a quel momento lui non aveva mai personalmente assistito a uno scontro fra i due capi delle fazioni in lotta.

    Povero Lorel! Era chiaro che quei due stavano affilando le armi per succedergli… già, si diceva che fosse malato…

    Il prestigioso ruolo di Gran Maestro, con le sue prerogative e la sua autorità, faceva certamente gola a tutti e due. E poi, c’era la prova del w’aram, alla quale prima o poi il Re avrebbe dovuto ricorrere per decidere quale dei gemelli gli sarebbe succeduto.

    Lukern si concesse una smorfia, continuando intanto ad allungare il collo verso la scala esterna che portava all’appartamento della principessa Mireanna, sperando di vederla apparire.

    Già, il w’aram. Qualsiasi cosa fosse, inganno, illusione o vero portento, erano i Custodi che stabilivano se la prova a cui il candidato al trono doveva sottostare aveva avuto successo, e certo il parere del Gran Maestro doveva avere un peso notevole.

    Il cigolio di una porta, seguito subito dopo dal suono della voce dolce e bassa di Mireanna gli fece dimenticare tutto, salvo che stava per vedere la principessa e che l’amava. Si rizzò in tutta la sua considerevole statura, macchinalmente passò la mano sui capelli neri, lucidi e ben pettinati, poi sui baffi e si assicurò che la tunica ricamata che portava sopra la cotta di maglia fosse impeccabile e gli stivali ben lustrati. Un’occhiata alla spada e ai due pugnali, poi girò il collo per controllare l’arco e la faretra, ma in quel momento risuonò una risata lieve e armoniosa.

    «Lukern! Stai guardando se non ti siano spuntate le ali?!»

    Rosea e ridente, Mireanna si sporgeva dall’alto della scala, i riccioli bruni sciolti sulle spalle, gli occhi chiari luminosi e allegri.

    «No! No…io…»

    Ma prima che il guerriero riuscisse a trovare una risposta adeguata, la principessa aveva già sceso agilmente i gradini che li separavano e gli aveva teso una mano, che il giovane si affrettò a baciare. Rimasero a guardarsi, senza parlare, mentre il sorriso di Mireanna diventava più splendente e gli occhi di Lukern più teneri e appassionati.

    Si conoscevano fin da bambini, da quando Lukern, fanciullo, era arrivato, spaurito e spaesato, al castello, quale pegno dell’obbedienza del padre, un vassallo minore che aveva osato opporsi al Mistilw’aram. Mireanna l’aveva subito preso sotto la sua protezione, imponendolo anche ai fratelli e agli altri ragazzi, e lui l’aveva immediatamente adorata. Con il passare degli anni il loro rapporto si era mutato in qualcosa di diverso, che, se esaltava Valmoriel, turbava e preoccupava la più assennata Mireanna… cosa però che non le impediva di concedere più che volentieri al giovane tutti quei colloqui privati che le sue moine riuscivano a strappare alla sua antica balia, promossa con il passar degli anni a cane da guardia.

    Ora, seduti vicini, rannicchiati all’ombra discreta del porticato, si stavano scambiando tenere parole e promesse, intervallate dai baci che Lukern riusciva a rubare alla sua innamorata, schiva ma non troppo.                                        

    Cominciò a narrarle del colloquio a cui aveva in parte assistito, ma quando la ragazza parlò delle voci che correvano circa il possibile matrimonio tra suo fratello Roldavis e la principessa Tamiri ber Rabhal, sorella di quell’Haimad che aveva tentato l’invasione di Erthalan, ma che poi, sconfitto dal giovane principe, ne era diventato ammiratore e amico, il viso avvenente del capitano si allungò, mentre la sua agile lingua ammutoliva.

    «Che cos’hai, adesso?» si meravigliò la principessa, guardandolo con occhi stupiti… troppo stupiti, e Lukern ritrovò subito la parola.

    «Lo sai! Le voci corrono per tutta la Corte: Roldavis sposerà Tamiri e tu…e tu…» quel nome non voleva uscirgli di bocca, e fu la giovane a completare la frase.

    «… Haimad. Già, si dice anche questo.»

    «Non lo sopporto, non posso! Se tu mi amassi…» purpureo in faccia, Lukern era balzato in piedi e declamava a voce altissima.

    Rapida, Mireanna gli chiuse la bocca con la mano.

    «Ti amo» sibilò alzandosi, in un tono secco del tutto diverso da quello con il quale gli aveva parlato fino a quel momento, «ma sono una Mistilw’aram, la figlia del re. Questo, non te lo devi dimenticare mai.»

    «Non me lo permetti di certo!» ribatté Valmoriel, amaro. «Ma io, allora, cosa sono per te? Un gingillo? Il tuo cagnolino da compagnia?! Sono un uomo, per tutti gli Dei, e un soldato, e sono anche un nobile! Non sopporterò…»

    «Basta» la voce di Mireanna, gelida e distaccata, l’ammutolì, mentre la giovane continuava, raccogliendo il ricco strascico con la mano e cominciando a risalire la scala. «Sono io che non intendo sopportare un minuto di più le tue scenate. Io, la figlia dei tuoi sovrani. Posso non essere felice delle scelte di mio padre… scelte non ancora sicure, tra l’altro!... però so qual è il mio dovere. Dovere, bada, non piacere! Ma ho abbastanza senso dell’onore per non mancarvi.»

    Girò le spalle all’innamorato che la stava seguendo, supplicandola, e sparì nel suo appartamento. 

    Subito dopo sull’uscio si affacciò la faccia disapprovante della balia, che, fatta una smorfia all’afflitto Lukern, chiuse la porta, avendo cura di farla sbattere ben bene.

    Il capitano ridiscese la scaletta strascicando i piedi, il viso immusonito verso terra e gli occhi lucidi e, appena tornato nel cortile, sfogò la sua rabbia prendendo a calci un sasso rotondo, il quale finì sui piedi di Roldavis, che si stava dirigendo verso gli alloggiamenti dei militari.

    «Capitano!» protestò subito, palleggiando tra le mani il sasso che aveva raccolto, e lottando con la tentazione di rimandarlo al mittente.

    «Altezza, perdonate! Ero… sì, ero sovrappensiero e…»

    «Mireanna, eh?» rise Roldavis, che come quasi tutti al castello, salvo il Re, sapeva dell’infatuazione del giovane, spesso oggetto di scherzi e di ironie.

    Ma quel giorno Lukern non aveva nessuna voglia di sentirsi preso in giro, ragion per cui cercò di sviare la sua attenzione su altri argomenti, ispirandosi al colloquio cui aveva assistito.

    «Sua Altezza Reale la principessa? No, no, certo! Io… ecco, io ero preoccupato per qualche parola che ho inteso… Sapete, il Re Childavir sta parlando con il Gran Maestro dei Custodi e con un paio dei suoi accoliti. Credo che stiano discutendo del… sì, del w’aram e… della successione…»

    Quelle parole risuonarono come uno squillo di guerra negli orecchi di Roldavis, che, dopo un paio di energiche bestemmie esclamò:

    «La successione al trono? La prova del w’aram? Ah! Nessuno mi ha detto niente! Evidentemente, io sono buono solo per rischiare la pelle! Ma adesso mi sentiranno!»            

    Con un’altra bordata di maledizioni, in erthano e in rabhalita… la guerra era servita pur a qualcosa… girò le spalle al capitano e si precipitò a lunghi passi verso il chiosco, continuando ad agitare le mani nell’aria.

    Soddisfatto per essere stato dimenticato, Lukern mandò un pensiero pieno di comprensione al suo Re e andò a nascondere la sua infelicità nel proprio alloggio.

    Mireanna intanto, sempre scortata dal suo fedele cane da guardia aveva raggiunto le sue due dame d’onore, sistemandosi al fianco della più anziana, davanti al telaio dove stavano tessendo un arazzo che celebrava le vittorie di Roldavis sugli aggressori Rabhaliti.

    Il lavoro, già per di sé complicato, era stato reso anche più arduo dalla… politica. Infatti, man mano che i rapporti tra le due nazioni miglioravano, il disgraziato disegno aveva dovuto essere disfatto e rifatto diversamente, in modo che, pur senza dimenticare la vittoria del principe di Erthalan, non urtasse i sentimenti di Haimad ber Rabhal.

    Al momento, l’arazzo mostrava il campo dell’ultima battaglia, con i corpi dei morti e dei feriti, e, sullo sfondo, le bandiere e gli eserciti di ambedue le nazioni che, riposte le armi, si fronteggiavano come in attesa. In primo piano Roldavis, i capelli biondi al vento, che ringuainava la spada e di fronte a lui Haimad che gli tendeva la mano. In precedenza, il sultano rabhalita era stato raffigurato in ginocchio, mentre porgeva la spada al suo vincitore e ancora prima prostrato per terra, disarmato, mentre il suo esercito era in rotta.

    «Se non va bene neppure questa volta, l’arazzo possono tesserlo mio padre e mio fratello Roldavis, con rispetto parlando» brontolò Mireanna, passando e ripassando la spola.

    «Altezza!»

    «Principessa!»

    «Ma, agnellino mio!» esclamarono a una voce le tre donne, scandalizzate, e la giovane ribatté, tirando malamente il filo, con il risultato di storcere la faccia del loro nemico.

    «Ho detto con rispetto parlando. Cosa volete di più? Che me ne stia sempre zitta e buona a fare e disfare questa maledetta stoffa, dicendo sì e no a comando? Sono proprio stanca di…»

    Ammutolì di colpo perché aveva sottolineato la sua irritazione con ampi gesti delle mani, con il risultato di gettare telaio e arazzo a terra con un gran tonfo.

    Le esclamazioni di disappunto delle sue donne si confusero con il rumore di una porta che si apriva e sulla soglia apparve la piccola e sottile figura della Regina, elegantissima come sempre in un lussuoso abito verde e oro, i capelli puntati alti sulla testa          

    «Cosa succede qui?» chiese, e c’era un’indubbia autorità nella sua voce bassa e armoniosa. «Mireanna!»

    «Madre, perdonate: è mia la colpa.»

    Rossa in viso la principessa si liberò di matasse e spola e corse a baciare la mano della madre, che l’osservò per qualche istante con attenzione.

    «Allora, figlia mia, dì alle tue donne di ritirarsi, e parliamone tra di noi.»

    Molto contente di essersela cavata così, le tre si inchinarono e sparirono in una stanza interna, mentre Hellean si sedeva con grazia sulla panca accostata al caminetto, accennando alla figlia di sedersi accanto a lei con un gesto elegante della piccola mano.

    Tutto in lei, dalla pelle chiarissima, quasi luminosa, ai capelli biondi che l’età aveva appena striato d’argento, fino agli occhi chiari, parlava della sua discendenza Dha’lan, ma più ancora la ricordava la grazia innata, naturale dei suoi gesti, l’eleganza discreta e disinvolta con cui portava il lussuoso abito e l’armoniosa esilità della sua figura.

    «Tu sei turbata, figliola. Non è da te perdere così la calma.»

    «È quel maledetto arazzo, madre! Non mi è mai piaciuto tessere, ma fare e disfare in continuazione, poi…»

    «No, cara» la morbida mano si posò un attimo sulle sue labbra, azzittendola. «O almeno, non solo.»

    Due occhi grigi e incredibilmente profondi, occhi di Dha’lan, si fissarono nei suoi e Mireanna, timorosa che vi leggessero il nome di Lukern, si affrettò a rispondere.

    «Non solo, sì, hai ragione. È che a Mistilw’aram stanno succedendo cose molto gravi, dalle quali io sono regolarmente esclusa. Ma se si pretende che io mi comporti da principessa reale, che anteponga l’interesse del regno al mio interesse, allora sarebbe giusto che fossi almeno informata di quanto sta succedendo!»

    «Stai parlando di Haimad ber Rabhal?»

    Dentro di sé la giovane maledisse le intuizioni materne, ma scosse con energia la testa.

    «No» si affrettò a dire e poi, sotto quello sguardo indagatore, aggiunse con altrettanta premura: «Cioè, non solo. È della successione al trono che mio padre sta discutendo con il Gran Maestro, e né voi, né io siamo state non dico interpellate, ma neppure informate.»

    Le sopracciglia della Regina si inarcarono graziosamente, mentre la donna gettava uno sguardo dalla finestra, cercando di placare la figlia.

    «Cara, non dubito che a tempo debito…» la frase morì in un piccolo grido di sdegno e Hellean, lasciata la panca, si affacciò dalla finestra, si sporse e, quando si girò di nuovo verso la figlia, aveva le gote rosse e lo sguardo scintillante e duro come il diamante.

    Mireanna si alzò in piedi, improvvisamente consapevole di aver scatenato un uragano.

    «Madre mia, non dare alle mie parole un peso che non hanno!» supplicò. «Sono di cattivo umore e…»

    «No» la negazione della Regina suonò netta, decisa. «C’è anche Roldavis con loro, e questo non è giusto. La Dea Madre sa che amo ugualmente i miei figli, ma proprio per questo non voglio che a uno di loro sia fatto torto. Va da Roxander, Mireanna, e digli che l’aspetto nel chiosco del cortile, ma immediatamente! Che corra!»

    Subito dopo, reggendo con grazia lo strascico, la donna spalancò la porta e prese a scendere i gradini, armoniosa ed elegante anche nella collera, ma prima di allontanarsi lanciò un ultimo ammonimento alla figlia.

    «Dopo averlo avvisato, torna nelle tue stanze. Ci penserò io a informarti di quanto è giusto che tu sappia. Sono stata chiara?»

    Mireanna sospirò. Si era chiesta più volte come sarebbe stata Erthalan se a regnare fosse stata sua madre anziché suo padre, ma forse era meglio che non cercasse di rispondersi.

    «Sì, madre» disse semplicemente, abbassando la testa, e la guardò sparire, agile come una ragazzina e insieme maestosa come la Regina che era, giurandosi che avrebbe saputo imitarla, qualunque fosse il destino che il Re aveva preparato per lei.

    Roxander, frettolosamente avvertito dalla sorella, arrivò al chiosco quando la discussione era ormai diventata una rabbiosa baruffa.

    Se Damoril e Bal’lkis, ignorando i rabbuffi dell’ormai afono Lorel, continuavano ad accapigliarsi sulle differenze razziali e culturali dei Dha’lan e degli Akreni, nonché su astrusi problemi teologici a queste connesse, senza dimenticare qualche insulto personale, Childavir, ristretto sul suo seggio, era bersagliato dalla voce morbida ma inesorabile della sua consorte, alla quale riusciva a ribattere solo a tratti, ma in cambio con un tono molto più alto del consueto.

    Però, più di tutti, si faceva sentire Roldavis. Il giovane principe, l’energica faccia abbronzata arrossita per la collera, piantato a gambe larghe davanti allo scranno del padre, predicava rabbiosamente, non mancando di sottolineare le sue proteste con ampi gesti delle braccia robuste e delle grandi mani.

    «Ma certo! Mentre io mi rompevo le ossa per scacciare i Rabhaliti, il mio mansueto fratellino ti ha rintronato la testa fino a rimbecillirti!» Ammutolì la protesta del Re con un movimento così violento della destra, che il sovrano si affrettò a stringersi maggiormente allo schienale, chiudendo immediatamente la bocca, mentre il giovane continuava, furioso. «Volete mettermi da parte? Benissimo! Sentiamo allora cosa avranno da dire in proposito i Signori dei Cinque Domini, sentiamo Lord Darkal D’Anghiaris, che ha combattuto con me!»

    Alla minaccia, appena velata, di cercare l’appoggio dei cinque grandi feudatari del regno, e in particolare del potente Conte di Planarghes, Lord Darkal, Childavir sussultò e abbozzò un gesto di protesta, ma la sua voce fu soffocata da quella del figlio.

    «Eh, no, padre! Ora stai a sentire anche me, non solo mio fratello! E anche tu, madre mia» questo per Hellean, che si era bruscamente girata verso di lui. «Non m’incanti! So da sempre che Roxander è il tuo preferito, ma i miei diritti sono pari ai suoi.»

    Tacque un momento e osservò soddisfatto che la sua veemente reazione aveva avuto l’effetto di ammutolire, oltre ai suoi genitori, anche gli altri contendenti. Avanzò ancora di un passo e continuò impetuosamente a inveire.

    «Chi è riuscito, con le buone o con le cattive, a convincere i Signori dei Cinque Domini ad appoggiare con le armi la tua campagna contro i Rabhaliti? Chi si è messo a capo dell’esercito e per due volte ha sconfitto Haimad? Io, sempre io, mentre il vostro Roxander se ne stava a casa, attaccato alle gonne della mamma!»

    «Roxander… Che cosa?!»

    L’altro principe, avvisato da Mireanna, era arrivato di corsa nel chiosco, sommariamente vestito, la tunica ancora slacciata sul petto, i capelli ricciuti spettinati che gli ricadevano sulla fronte, e si piazzò con faccia combattiva di fianco al fratello, davanti al padre.

    Childavir sospirò.

    «Ripetimelo in faccia, se ne hai il coraggio!» gridò al gemello, fissandolo negli occhi.

    «Oh, non è certo del mio coraggio che si sta discutendo adesso!» rise sarcasticamente Roldavis, mentre il fratello impallidiva per l’implicita offesa.

    «Adesso basta, figli miei! Calmatevi, tutti e due» tentò, poco convinto, il Re con voce flebile, mentre sua moglie li pregava con tutta la dolcezza che, quando voleva, sapeva mettere nelle sue parole.

    «Figli miei, no! Non lasciate che la collera vi accechi…»

    Ma, come pungolati dalla piega che il litigio aveva preso, i due sacerdoti ritrovarono immediatamente la parola, mentre Lorel, tossendo e ansimando, si allontanava di qualche passo, andando a sedersi vicino alla fontana, desolato.

    «Perdonate, mia Signora, ma, al di là della violenza, della deprecabile violenza, che questa discussione ha preso, non si può negare che l’argomento sia di grande importanza, e forse non sarebbe sbagliato cercare di venirne a capo una volta per tutte» cominciò Bal’lkis con voce melliflua, inchinandosi a Hellean, ma Damoril, i capelli rossicci ormai liberi dal cappuccio giù per le spalle, gli tolse le parole di bocca.

    «Ma come osi, miscredente! Il w’aram, il sacro w’aram solo può decidere tra questi due principi!»

    «Dici bene, saggia Damoril!» intervenne subito Roxander. «E io sono pronto ad affrontare la prova, anche subito, e pronto a inchinarmi a mio fratello, se il prescelto risulterà lui.»

    «Ecco!» La sacerdotessa sorrise, raggiante, al suo prediletto. «Puoi dire altrettanto, Roldavis?»

    Di malumore, il principe biondo strusciò i piedi a terra. Da molto tempo aveva il sospetto che quel magico potere, segno dell’unione del Re con la propria terra, che sanciva il diritto a regnare dei Mistilw’aram gli mancasse, mentre il suo gemello forse… Lanciò un’occhiata di sbieco a Roxander che, con le braccia conserte sul petto e la testa alta lo fissava a sua volta, del tutto ignaro dell’inconsapevole eleganza del suo atteggiamento. Già, rifletté scontento Roldavis, il sangue Dha’lan era certo più forte nel gemello che in lui, e la magia era un appannaggio dei Dha’lan, e il w’aram era una forma di magia…

    Strusciò ancora i piedi per terra, conscio che tutti lo stavano guardando e si decise infine a brontolare.

    «Certo… Certo, anch’io…»

    «Bene! Molto bene!» si affrettò ad approvare il Re, reprimendo a stento un sospiro di sollievo, e fece il gesto di alzarsi in piedi, per dare il segnale che il colloquio era finito, ma Hellean, che con i suoi chiari occhi grigi, identici a quelli di Roxander, aveva continuato scrutare i due figli lo prevenne.

    «Ma? Ma, Roldavis?»

    «Non ho detto alcun ma, madre» bofonchiò ancora il giovane, chinando gli occhi.

    «Però c’era, nel tuo pensiero. Spiegati, parla adesso che siamo ancora in tempo a… a evitare…» impallidì e tacque bruscamente, portandosi la mano alle labbra, colta da un’improvvisa premonizione, spaventosa anche se ancora indistinta.

    Se ne accorsero solo Roxander e Damoril, che le si avvicinarono, e forse anche Bal’lkis, che però fece un passo verso Roldavis e si chinò su di lui, incoraggiandolo sottovoce.

    «Parlate, mio principe. Nulla ancora è stato deciso: il w’aram non ha parlato. Se l’erede… Se uno dei presunti eredi del nostro sovrano ritiene di dover intervenire sulla gestione del regno con i suoi consigli, con i suoi pareri, è certamente bene che lo faccia.»

    Gli occhi bruni del giovane si fissarono in quelli giallastri del sacerdote come se vi leggesse molto più di quanto l’uomo aveva detto, e se ne distolse a fatica, annuendo, mentre Childavir riusciva finalmente a prendere in mano le redini della discussione.

    «Ritengo che ci sia stato un malinteso. Figli miei, nessuno ha cominciato a discutere della successione senza di voi. Non l’avrei permesso. Se si è parlato del w’aram, è stato solo in riferimento ai poteri dei Dha’lan, ecco tutto.»

    «Già, i Dha’lan!» Nuovamente battagliera, Damoril si volse a Bal’lkis. «Sto ancora aspettando che tu mi spieghi come concili il tuo disprezzo verso di loro con la tua asserita fede nella Dea Madre.»

    Con un’occhiata piena di disagio alla Regina, il cui sangue Dha’lan era ben evidente, Bal’lkis si schiarì la voce.

    «Non ho parlato di sprezzo, ho solo sottolineato le differenze tra noi e loro.»

    «Differenze, sì» intervenne inaspettato Roxander, mentre i suoi lineamenti armoniosi si animavano, «non inferiorità! Damoril, ancora una volta hai dimostrato di essere la migliore di tutti, la più sensibile e giusta! Certo, i Dha’lan in genere sono fisicamente meno forti degli Akreni, e meno versati nell’uso delle armi. Ma in quante altre cose ci superano! Le arti, la conoscenza delle leggi della natura, i poteri magici stessi… per non parlare della loro bellezza, di quella leggiadria che da sola è già un dono supremo.»    

    Il giovane tacque bruscamente, conscio d’improvviso che il suo viso era arrossito e fece finta di non sentire la rabbiosa risposta del fratello.

    «Che vengano allora a batterci sul campo di battaglia con la musica e la bellezza!»

    Ma Bal’lkis, al quale non era sfuggito il rossore e la confusione di Roxander, punto dalla chiara preferenza dimostrata dal giovane per la sua rivale, intervenne ancora, con un sorrisetto maligno.

    «Quanto fervore, mio principe! Chissà se i Dha’lan sanno di avere un tale difensore nel figlio del loro Re akreno! E se lo sanno i loro capi, i cosiddetti Eletti… e la bella principessa di Montaurato…»

    «Cosa… cosa stai insinuando?»

    L’imbarazzo di Roxander era ormai evidente a tutti e sua madre, lo sguardo improvvisamente attento, si avvicinò a lui, mentre il Re, preferendo ignorare le parole di Bal’lkis, si girava verso Lorel, che si era rimesso in piedi e gli era tornato vicino.

    Roldavis, invece, ammutolì di colpo, scrutando il fratello, una ruga sulla fronte.

    «Nulla» rispose intanto soavemente il sacerdote, «Non sto insinuando nulla. Come potrei? Sono solo un umile Custode! Ricordo soltanto che, alcuni mesi or sono, foste proprio voi, principe Roxander, a scortare a corte la bellissima Iriel» e pesò con la voce sull’aggettivo, «in occasione dei festeggiamenti per la vittoria sui Rabhaliti, e pensavo che in quell’occasione aveste parlato con lei dei problemi del suo popolo. Mi sono sbagliato? Me ne scuso umilmente.»

    E si inchinò, allargando le braccia in un gesto teatrale.

    Damoril lo guardò, spiazzata, e la Regina posò una mano sul braccio di Roxander, come a invitarlo a tacere. Ma non ce n’era bisogno: improvvisamente conscio dello sguardo del fratello, il giovane si era girato a guardarlo e ora tutti e due si scrutavano, la fronte aggrottata l’uno e il viso rannuvolato l’altro.

    Approfittando di quel momento di benedetto silenzio, il Re si alzò in piedi, deciso.

    «È stata una discussione molto interessante, degna di essere ripresa e approfondita» sentenziò. «Non oggi, in ogni modo. Vi farò sapere io stesso quando sarà il momento di rivederci.  Si è fatto tardi, è ora di rientrare.»

    E, dopo gli inchini e i saluti di prammatica, abbracciato Lorel, che appariva molto preoccupato, si avviò verso il suo palazzo, la Regina al braccio e i figli, che continuavano a lanciarsi occhiate di sottecchi, alle sue spalle, mentre il gruppetto dei sacerdoti si allontanava.        

    Iriel di Montaurato

    Il viaggio da Mistil a Montaurato poteva essere molto lungo o abbastanza corto, rifletté Roxander, seguendo la sua guida Dha’lan, a seconda della via scelta. Infatti il percorso abituale, quello conosciuto da tutti gli Akreni, poteva durare un paio di settimane, se avevi un buon cavallo e conoscevi bene la strada, mentre attraverso la via segreta dei Dha’lan, la Forra, si arrivava a Val Armone, la sede della principessa, in meno di cinque giorni.

    E quello era stato il percorso che mesi prima aveva scelto per raggiungere Iriel di Montaurato e scortarla poi fino a Mistil, dove si attendeva l’arrivo dei Rabhaliti, in onore dei quali erano stati preparati festeggiamenti e banchetti, per siglare solennemente la pace.

    Ben pochi però tra gli Akreni avrebbero osato mettersi su quella via, sulla quale fiorivano leggende paurose, e meno ancora avrebbero avuto il coraggio di farlo senza una guida e senza il permesso della principessa.

    Roxander sorrise tra sé e sé, scostando con delicatezza il ramo fiorito che gli impediva il passo. Era stata proprio lei, la sua splendida Iriel, la prima guida che aveva avuto, durante il suo soggiorno a Montaurato, e da allora aveva attraversato la forra più volte, assieme a lei o a qualche altro Eletto, ma anche da solo.

    Niente di male gli era mai successo, e niente avrebbe potuto succedergli, aveva commentato la sua principessa, perché nessuna colpa gravava su di lui e non c’era malizia nella sua mente.

    «Perché, altrimenti?» le aveva chiesto, per provocarla, ma la bellissima creatura gli aveva sorriso, posandogli la lunga mano esile sulle labbra, come per azzittirlo, e lui aveva baciato quelle fragili dita, subito dimentico della sua curiosità.

    «Qui la via abbandona la luce del sole e scende sotto terra, mio Signore» la voce della sua guida, un Eletto di primo rango, interruppe il filo delle sue

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