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I Memoriali di Lorlh - Il Rito di Vodiak
I Memoriali di Lorlh - Il Rito di Vodiak
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E-book866 pagine13 ore

I Memoriali di Lorlh - Il Rito di Vodiak

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Info su questo ebook

Cinque anni dopo la Battaglia della Pianura Rossa, evento finale del secondo capitolo della saga, i protagonisti si troveranno alle prese con Vodiak, l'oscuro Signore delle Fiamme che brama di accedere al mondo mortale per mezzo di un macabro rituale. Sei speciali creature da salvare per impedire al servo del dio malvagio di spalancare un portale dimensionale. Tra inseguimenti, magie, viaggi e battaglie i personaggi si ritroveranno a gestire un colpo di scena finale che sconvolgerà le loro stesse esistenze.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2024
ISBN9791222740829
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    Anteprima del libro

    I Memoriali di Lorlh - Il Rito di Vodiak - Filippo Samorè

    Un’eco dal passato

    Anno 1811 dalla Caduta di Lorlh, terre di Dunval.

    Varn agitava le dita mentre l’ansia si faceva strada tra i suoi pensieri. Si trovava in una stanza della propria abitazione, illuminata da alcune candele poste sul tavolo. Gli occhi rimanevano fissi su di una figura incappucciata, legata ad una sedia. Il modo in cui l’intruso fosse penetrato all’interno della dimora rimaneva un mistero. Da qualche anno Varn aveva disseminato la proprietà di trappole, collegate a campanelli di allarme. Se non si fosse svegliato grazie al sonno leggero non si sarebbe accorto dell’estraneo all'interno della sua camera. La colluttazione era stata breve, con sorpresa del padrone di casa. Lo sconosciuto era stato imbavagliato e legato ad una sedia, poi trascinato nel salotto.

    Era la prima volta che Varn si ritrovava in una situazione del genere, si accorse suo malgrado di non sapere come agire. La vita del cacciatore di reperti non gli aveva mai regalato ingenti somme di denaro. Tutti nella zona sapevano che non disponeva di grandi ricchezze. Perciò le ragioni alla base di quell’effrazione rimanevano oscure.

    Il ladro era stato catturato, ma rimaneva comunque pericoloso: il suo comportamento appariva fin troppo tranquillo. Se ne stava immobile, sostenuto da un respiro lento, dava l'impressione di attendere l'attimo giusto per ribellarsi. Varn manteneva le dita sul mento privo di barba, le sue riflessioni quasi lo assordarono. Dopo alcuni giri di clessidra la mano si avvicinò al cappuccio poi, con uno scatto, lo rimosse. Il giovane rimase di sasso quando si accorse di avere innanzi una fanciulla. Il volto era fine, ciocche di capelli corvini si liberarono della costrizione di un laccio posto dietro alla nuca. Gli occhi erano di color azzurro chiaro, contornati da qualche lentiggine. Le labbra carnose si tesero dalla rabbia, l’espressione si accese di un inaspettato vigore.

    «Liberami subito!» gridò la sconosciuta nell’inutile tentativo di avere ragione delle corde.

    Varn non rispose, era basito. La bellezza della fanciulla agiva su di lui meglio di un veleno paralizzante. Solo dopo attimi di palese imbarazzo si riprese dallo smarrimento.

    «Stai…stai calma» replicò disorientato. Sarebbe rimasto a fissare quel viso per ore, come faceva con il panorama al tramonto dietro la sua abitazione. Lui stesso si accorse di quanto traballante risultasse quel monito.

    Nel frattempo la sconosciuta si dimenava con energia. Seguì un attimo di pausa durante il quale Varn tentò la via del dialogo.

    «Tu sei una ladra! Ti sei intrufolata nella mia proprietà, non ti muoverai fino a quando non mi avrai rivelato chi sei e che cosa vuoi!».

    Lei tacque, il suo atteggiamento rimaneva aggressivo. Varn camminò avanti e indietro, provò a sostenere lo sguardo magnetico dell'estranea, senza riuscirvi.

    «Fa pure la misteriosa quanto vuoi, non mi servono le tue parole per dedurre informazioni su di te». Con un cenno indicò verso il basso. «Le tue vesti sono logori, ciò significa che non appartieni a queste terre, sei giunta da lontano. Dalla quantità di fango penso tu abbia viaggiato per più di un giorno intero».

    La fanciulla rimase sorpresa.

    «Non è finita qui» proseguì Varn «Io non posseggo denaro in quantità, è risaputo, pertanto giudico improbabile che tu sia alla ricerca di monete d'oro. Le tue brame vertono su altro...».

    Il giovane si muoveva in maniera goffa, sorpreso a sua volta dell’efficacia della propria disanima. Decise di sfruttare quel particolare momento di agilità mentale. Si avvicinò alla figura legata, solo allora riuscì a fissarle gli occhi azzurri. Durante le ultime spedizioni archeologhe Varn si era impadronito di alcuni oggetti i quali, sebbene privi di valore commerciale, potevano attrarre cacciatori di reliquie. Era certo che quell’intrusione mirasse a tale ambito.

    L’espressione della fanciulla si fece ancora più dura, le sue parole schizzarono come dardi appuntiti.

    «Stento a credere che un reperto tanto importante giaccia nelle mani di un simile pusillanime».

    Varn si allontanò.

    «Questo pusillanime però ti ha immobilizzata ad una sedia» ribatté «Dimmi chi sei e a che reperto ti riferisci».

    Lei rilasciò un sospiro, lo stesso di chi non vedeva altra soluzione se non quella di parlare.

    «Mi chiamo Azarel Tor’Nadimor, sono la pronipote del bardo Ufradil Tor’Nadimor. Da anni sto cercando il suo diario, quello di cui tu ti sei illecitamente appropriato!». Gli occhi tornarono a sprizzare ostilità.

    Varn rimase a bocca aperta, rievocò le avventure fantastiche che aveva letto due anni prima. Il solo fatto di sentire pronunciare quel nome da una persona nel suo tempo gli pareva incredibile. In principio il giovane non fu in grado di rilasciare che un timido sorriso. Non si capacitava di avere innanzi una parente di colui che un millennio prima aveva testimoniato le gesta degli Eroi di Doral’Har. Era come se l’avventura più grande di tutti i tempi avesse fatto prepotentemente ingresso nella sua vita.

    «Co…come hai detto di chiamarti?» balbettò.

    Quella domanda mandò la giovane su tutte le furie.

    «Azarel Tor’Nadimor! Azarel Tor’Nadimor! Sono giunta fin qui per riprendermi ciò che appartiene di diritto alla mia famiglia!» gridò.

    «Io non ho rubato niente a nessuno!». Varn allargò le braccia. «Scovai quel tomo in una biblioteca celata sotto terra, nella Foresta di Fargast. Due anni fa ignoravo persino dell’esistenza di Ufradil, figuriamoci se pensavo che avesse ancora dei discendenti. Se per te quel diario ha un tale valore avresti semplicemente potuto chiedermelo, io non sono un ladro. Si tratta di un reperto storico, niente di più». In cuor suo Varn sapeva di aver mentito. La verità era che accarezzava la copertina del libro ogni notte prima di addormentarsi, nella speranza che il sonno lo conducesse là dove aveva sempre desiderato essere: assieme agli Eroi di Doral’Har. Si sorprese della facilità con la quale sosteneva di potersi separare dal diario, ma sentiva anche l’irresistibile impulso di rabbonire la fanciulla.

    Quell'ultima alzò lo sguardo verso il soffitto, non credeva ad una sola parola.

    «Non è un semplice documento storico…» sussurrò contrariata.

    Varn alzò un sopracciglio.

    «Che intendi dire?».

    «Il mio antenato cela ancora oggi dei segreti. Egli trascrisse avvenimenti rilevanti dell'epoca, come l'avvento del Grande Buio».

    Varn si volse di scatto. Erano anni ormai che tentava di scoprire le cause del vuoto storico avvenuto presumibilmente non molto tempo dopo la sconfitta di Karim. Nel tomo di Ufradil erano state riposte le speranze di pervenire a tali informazioni, invano. Il cantastorie aveva trascritto l’incredibile avventura vissuta dagli Eroi di Doral’Har, ma non era andato oltre. Tra le pagine ingiallite non era apparso alcun riferimento al Grande Buio. Varn aveva considerato quella mancanza l’unico fallimento della sua missione nella Foresta di Fargast. Purtroppo, nei cicli successivi alla sua scoperta, la biblioteca appartenuta al Regno di Karim era stata depredata. In molti si erano arricchiti senza mostrare il benché minimo rispetto nei confronti delle antichità che avevano tra le mani. Per certa gente l’oro valeva ben più delle ragioni che avevano scatenato la fine di un’epoca assai gloriosa. Il misterioso cataclisma aveva flagellato le terre emerse causando l’estinzione di quasi tutte le razze umanoidi. Solo gli umani sopravvissero fino al termine della minaccia, sebbene in numero esiguo. Da allora il continente aveva faticato a riprendersi. Il presente dimostrava quanto la vita fosse stata lambita dall’annientamento totale. Le lande del nord erano cupe, spopolate. La differenza con lo splendore passato era evidente, come per chi osservava due quadri identici ma uno dei due si presentava privo di tinte. Il Grande Buio covava da sempre misteri insondabili. Nel corso degli anni Varn aveva elaborato decine di teorie per spiegarne le cause, alcune credibili, altre molto meno.

    «Quindi stai affermando che Ufradil, dopo aver trascritto le gesta degli Eroi di Doral’Har, ha anche riportato gli eventi che causarono il Grande Buio?» domandò infine.

    Azarel rilasciò un cenno di assenso.

    «A quanto pareva il mio avo amava i propri scritti più della sua stessa vita, avrebbe fatto di tutto pur di proteggerli e tramandarli ai posteri. Egli era un individuo dalla mente sottile, amava fare uso di enigmi e indovinelli che solo l’acume della famiglia Nadimor poteva svelare. Ufradil ha dato il via ad una dinastia che è sopravvissuta al Grande Buio e, con lei, i suoi documenti hanno fatto altrettanto. Sono certa che essi siano custoditi da qualche parte nella magione dei Nadimor, tramandati di generazione in generazione. Tuttavia le mie conoscenze su Ufradil sono limitate, mi occorre la sua opera più importante per svelare i segreti che si è portato nella tomba».

    Varn ascoltò in silenzio. La descrizione del bardo appena udita combaciava con le informazioni in suo possesso. Ufradil si definiva abile nella risoluzione degli enigmi, aveva anche risolto la prova impostagli dalla Quercia dell'Etret. Se Azarel affermava il vero, cioè che egli avesse trascritto l’avvento del Grande Buio, era plausibile che avesse fatto di tutto pur di tramandare i suoi racconti. Del resto quella era la missione di ogni cantastorie.

    «Prima hai citato la magione della famiglia Nadimor, è da lì che vieni?» domandò il giovane ancora sospettoso.

    La fanciulla annuì.

    Varn si sedette quasi si trattasse di un anziano preda dell'affanno. Pensieri grondanti di avventure gli affollarono la mente. Quella volta non aveva a che fare con storie relegate a memorie sbiadite, bensì con una realtà che poteva riservargli mirabolanti scoperte. Quella sconosciuta, legata nel suo salotto, rappresentava forse la possibilità di compiere un qualcosa di memorabile.

    «Ti restituirò il tomo di Ufradil» sussurrò Varn «Ma ad una condizione, mi porterai con te e cercheremo questi scritti insieme».

    Azarel si rabbuiò. Non aveva alcuna intenzione di coinvolgere un estraneo nella sua ricerca, specie se si trattava di colui che si era appropriato di un suo cimelio di famiglia. Era pronta a declinare la proposta, quando un ragionamento successivo la indusse a trattenersi. La situazione in cui si trovava purtroppo non le permetteva scelta alcuna. Se voleva evitare di fare ritorno a mani vuote era costretta ad accettare la condizione imposta dal giovane. Mestamente annuì senza celare comunque il suo disappunto.

    «Molto bene. Abbiamo stretto un patto, vedi di rammentarlo» ribadì Varn sul punto di tagliare il cordame a polsi e caviglie.

    Una volta libera Azarel si alzò allontanandosi di qualche passo. Il suo aspetto era snello, non molto diverso dall'immagine che Varn si era fatto di Aerim.

    «Dov'è il tomo?» domandò lei, impaziente.

    «Al sicuro, durante il viaggio lo terrò con me, così non tenterai di seminarmi lungo il tragitto» precisò Varn.

    Il sole cominciò a sorgere mentre l’abitazione rimaneva avvolta dalle morenti ombre notturne.

    «Quanto è lunga la via che ci accingiamo a percorrere?» domandò Varn nell’atto di improntare i preparativi.

    «La magione dei Nadimor si trova nelle terre di Gamaron» rispose Azarel.

    Varn annuì. Gamaron era una insediamento di dimensioni inferiori rispetto a Dunval, a oltre due giorni di viaggio a piedi in direzione sud est. Un’area densamente alberata non distante dal punto in cui il fiume Lagrem compiva una brusca svolta verso nord. Molti tra i residenti di quella zona erano proprietari terrieri, appartenenti alla ricca borghesia della città. A quanto pareva i Nadimor erano una di quelle famiglie, il cui lustro aveva avuto origine dalla fama di Ufradil ed era addirittura sopravvissuto al Grande Buio. Di certo Gamaron era uno dei paesi più antichi di cui si avesse memoria, perciò altrettanto antica doveva essere la magione dei Nadimor. Una dimora dove le generazioni precedenti avevano custodito i preziosi scritti di Ufradil. I racconti di Azarel fino ad allora si erano dimostrati coerenti, tuttavia, Varn aveva l’impressione che ella gli stesse nascondendo qualcosa. Mosso dal desiderio di scoprirne di più il giovane esternò la propria curiosità.

    «Quanto è vasto il campo di ricerca?».

    «La dimora dei Nadimor è una grande costruzione, eretta secoli fa da coloro che scamparono al Grande Buio. La mia famiglia inoltre possiede una considerevole fetta di terreno attorno, al tempo del mio trisnonno le nostre proprietà si sono ampliate fino a comprendere parte della Foresta di Gherlet».

    Varn deglutì. Quella di Gherlet era una tra le più vaste aree del nord, i suoi confini settentrionali giungevano fino al luogo dove un tempo sorgeva Daren, la capitale del Regno di Karim. Quella rivelazione era di per sé sorprendente, ma al momento vi era altro a tenere banco nella mente del giovane, una domanda in particolare.

    «Se i tuoi avi hanno custodito gli scritti di Ufradil nel corso dei secoli, non pensi che i tuoi genitori siano a conoscenza di dove essi si trovino?».

    «In seguito al Grande Buio solo una parte dei discendenti di Ufradil perpetrò l’attività di cantastorie. Con il tempo gli affari dei Nadimor si diversificarono e la cultura degli scritti tramandati di generazione in generazione si perse nei secoli. Mio padre proviene da una famiglia di umili origini, io porto il nome della stirpe di mia madre. Egli è estraneo al retaggio dei Nadimor, è giunto addirittura a negare l’esistenza delle loro opere, inoltre, non approva il desiderio di rivangare il passato della mia famiglia. A parer suo in essa si annidano spettri da cui è meglio tenersi alla larga. Ma io so che nella magione si celano informazioni antiche, di immenso valore. E le scoverò».

    Varn si raccolse nelle proprie riflessioni. La situazione familiare di Azarel non era poi tanto diversa dalla sua. Anche lui aveva avuto a che fare con un padre che non condivideva il suo interesse nei confronti del passato. Per Bamop gli eventi che furono avevano la medesima futilità delle fiabe narrate dai burattinai nel centro di Dunval. Allo stesso modo la discendente di Ufradil bramava di riportare alla luce una testimonianza perduta, celata da qualche parte nella magione dei Nadimor.

    «Che cosa speri di rinvenire nel tomo degli Eroi di Doral’Har?» domandò ancora.

    «Un qualsiasi indizio che mi aiuti nella ricerca» rispose Azarel.

    Varn aveva letto più volte quel tomo nei cicli successivi al suo ritrovamento, tuttavia, non vi aveva mai individuato nulla di utile ai fini di quella ricerca. Ad ogni modo la sua attenzione non si era concentrata sull’individuazione di indizi celati tra le righe. Forse Ufradil aveva riportato nella storia un tipico trucco che utilizzava per custodire importanti documenti. Certo vi era che la sua opera andasse riesaminata pagina per pagina. Di tutta quella faccenda però vi era una questione per Varn ancora poco chiara. Lui nutriva una passione viscerale per gli eventi storici passati, tale era la vena che lo spingeva al ritrovamento di antichi reperti. Anche Azarel sembrava condividere il medesimo interesse, ma più che altro volto a scavare nella storia della sua famiglia. Quel desiderio l’aveva indotta a compiere un viaggio in solitaria, in terre tutt’altro che sicure. Perciò il giovane si domandava quale intento la spingesse a tal punto. Che cosa desiderava scoprire a proposito della sua famiglia? Varn si ritrovò eroso dalla curiosità, ma decise di trattenersi, almeno fino a quando non si fosse guadagnato la fiducia di Azarel.

    Infine vi fu la partenza.

    Verso mezzodì vennero definitivamente abbandonate le lande di Dunval. Il terreno rimaneva facilmente percorribile, benché il cielo si presentasse perturbato. Durante i Cicli di Ostrabant e Gormorant i territori dell’antico Regno di Karim erano freddi, sferzati dalle gelide correnti provenienti dal mare del nord. Varn era un attento scrutatore della volta celeste, riusciva talvolta a prevedere in anticipo i movimenti delle perturbazioni. Sperava di giungere a destinazione prima dell’imminente arrivo del maltempo. Davanti a lui Azarel procedeva spedita, non mostrava esitazione nell’affrontare il terreno accidentato. Varn la seguiva, talvolta rimanendo anche indietro.

    Quella notte si accamparono in un punto al riparo dal vento, dove le piogge della stagione fredda creavano un laghetto naturale. Diversi ruscelli vi riversavano l’acqua trasportando anche una buona quantità di pesci. Varn si offrì di pescare qualcosa per Azarel, la quale però preferì allontanarsi alla ricerca di un pasto alternativo. Mentre rimaneva immobile con una canna improvvisata stretta tra le mani, il giovane ripensava al viaggio che gli si prospettava all’orizzonte. Reputava ancora assurdo il fatto di aver incontrato la discendente di Ufradil Tor'Nadimor. Era come se i suoi sogni gli avessero bussato alla porta. Sentiva che quella era la volta buona in cui avrebbe dipanato il più grande mistero del suo tempo.

    Dopo alcuni giri di clessidra Azarel fu di ritorno con un sacchetto colmo di bacche. Sebbene Varn fosse ansioso di riprendere a conversare, la fanciulla si coricò al termine del proprio pasto.

    Il mattino successivo un forte vento sospingeva cumuli di nubi nei cieli del nord. L’aria umida era percepibile a distanza, non sarebbe trascorso molto tempo prima che la perturbazione riversasse sulla zona un’ingente quantità d’acqua. Per tutta la notte Varn aveva dormito con il tomo stretto tra le mani. Benché credesse alla buona fede di Azarel, non si fidava ancora del tutto.

    Le condizioni atmosferiche si fecero presto avverse, spinsero i giovani ad affrettare il passo per raggiungere la meta, ormai a meno di mezza giornata di viaggio. Per tutto il tempo non fu possibile estorcere una sola parola ad Azarel, la cui mente pareva avvolta da dubbi di cupa natura. Varn non aveva fatto altro che fissarle i capelli neri sobbalzare ad ogni passo. Di lei trovava tutto attraente, le forme dei fianchi, la finezza del visto. Ma non si trattava solo di un’infatuazione fisica, anche il modo stesso di muoversi appariva proprio di una grazia mai vista prima in una fanciulla. Varn si ritrovò a scuotere la testa, doveva rimanere concentrato sulla loro missione o quello spiraglio di magia si sarebbe estinto ancor prima di espandersi.

    Al tramonto le propaggini della Foresta di Gherlet fecero la loro comparsa all’orizzonte. Azarel spiegò che da quella posizione, in condizioni di buona visibilità, era possibile scorgere le montagne in lontananza, ad est. Prima di proseguire verso la tenuta dei Nadimor però la fanciulla parlò con aria poco amichevole.

    «Che sia chiaro, la tua presenza qui è solo in veste di ricercatore di reperti. Alla mia famiglia non sono mai andati a genio quelli come te, quindi non ti aspettare un’accoglienza calorosa. A scoperta effettuata farai ritorno nella terre di Dunval e lascerai il libro di Ufradil».

    Varn alzò una mano in segno di buona fede, stentava a capire il motivo di tanta diffidenza nei suoi confronti. Eppure Azarel era quasi una sua coetanea, con la quale condivideva un medesimo intento. Forse ella si sentiva a disagio per ciò che lui avrebbe visto all'interno della sua dimora. Evidentemente il retaggio dei Nadimor era stato incupito da una serenità ormai perduta.

    La Foresta di Gherlet non era molto diversa da quella di Fargast: distese di conifere ricoprivano un terreno ondulato, dove placidi ruscelli scrosciavano indisturbati. Sotto la luce fredda del crepuscolo i due si ritrovarono innanzi ad un cancello con le ante avvolte da piante rampicanti. Oltre alla soglia un sentiero ghiaioso si inoltrava nel parco interno della tenuta. L’attenzione di Varn non si lasciò catturare tanto dall’ampiezza degli spazi, quanto dall’aspetto trasandato della proprietà.

    In fondo al percorso si profilò la dimora dei Nadimor, un enorme edificio costruito in legno, nel cuore della Foresta di Gherlet. Era da tempo che Varn non vedeva una simile costruzione. In base ad una prima occhiata il perimetro esterno permetteva alla dimora di contenere un elevato numero di stanze, al pari di un castello. Successivamente però il giovane si accorse di come il buio contribuisse a nascondere i segni di un'inarrestabile decadenza. La facciata principale mostrava delle assi mancanti, alla base delle pareti grovigli di erbacce raggiungevano le finestre al pianterreno. Ovunque regnava un’atmosfera di abbandono generale, ben diversa dalle aspettative iniziali.

    Azarel schioccò le dita per attirare l'attenzione del proprio ospite, dopodiché gli fece cenno di seguirla. All’ingresso colpi di batacchio risuonarono all’interno, pochi istanti dopo un uomo scarno aprì il portone.

    «Signorina Azarel! Si è assentata più del dovuto, suo padre ha persino contattato la milizia di Gamaron» cominciò l’uomo unendo le mani davanti al petto.

    Lei gli mise una mano sulla spalla.

    «Non ti preoccupare Fergal, dì pure a mio padre che ho avuto un contrattempo e che sono tornata in compagnia di un esperto di reperti storici. Starà qui con noi per un po’».

    Il maggiordomo rilasciò un breve inchino.

    «Avvertirò subito padron Barnag e la servitù, signorina» concluse prima di allontanarsi.

    Varn aveva seguito poco la conversazione. Se all’esterno la tenuta lo aveva deluso in quanto a cura, l’arredamento interno invece era sfarzoso. In quel momento si trovavano nel salone di ingresso, sopra di loro un lampadario di vetro pendeva da un soffitto percorso da travi di legno. Sulla scala che conduceva al piano superiore si snodava un tappeto dai colori sbiaditi. L’ambiente era illuminato da un’infinita serie di torce, la loro gestione avrebbe richiesto da sola il lavoro giornaliero di un servo.

    Azarel esortò Varn a seguirla al primo piano, dove una porta di legno li attendeva in fondo ad un corridoio. Oltre la soglia comparve una stanza spartana, priva di ornamenti. Il tetto spiovente fungeva da aggancio per numerosi oggetti che pendevano dal soffitto. Il letto occupava un angolo accanto ad una finestra rivolta al giardino sottostante. Varn rimase stranito, non gli pareva la camera di una fanciulla. Si aspettava di trovarvi delle vesti, oltre che gli accessori tipici delle sue coetanee. Invece tutto appariva spento, impolverato. Quell'ambiente dava l'impressione di essere utilizzato di rado. Varn appoggiò i propri effetti personali sul pavimento, vide Azarel stendersi sul letto priva degli stivali infangati.

    «Da dove cominciamo?» le domandò.

    «La soffitta è colma di oggetti appartenuti ai nostri avi. Inizieremo le ricerche da lì, ma dobbiamo farlo di notte, mio padre ha severamente vietato l’ingresso a chiunque».

    Varn cominciò a temere il momento in cui avrebbe fatto la conoscenza del padrone della tenuta. A quanto ne aveva sentito parlare si trattava di un individuo autoritario, poco avvezzo all’ospitalità.

    «Pensi che lui ti ostacoli deliberatamente?» domandò subito dopo.

    Azarel si strinse nelle spalle.

    «Barnag vorrebbe che rivolgessi il mio sguardo agli anni a venire, non a quelli passati. Ogni volta che condivido con lui i miei propositi scorgo i suoi occhi grondare di lacrime invisibili» fece una pausa durante la quale si sistemò le ciocche di capelli corvini «Stanotte entreremo in soffitta e daremo un’occhiata».

    Varn annuì, poi appoggiò sulla scrivania il sacco contenente il tomo di Ufradil.

    «È tuo» sentenziò. La sua espressione era la stessa di chi abbandonava un vecchio amico.

    «Parlamene, chi erano gli Eroi di Doral’Har?» chiese Azarel, rapita dalla copertina lavorata.

    Varn le riassunse il contenuto del tomo.

    «Le tue conoscenze devono essere assai profonde se ti hanno permesso di scovare una biblioteca sotterranea nella Foresta di Fargast» continuò Azarel.

    «Anni fa, quando Dunval era ancora un placido paese di campagna, incontrai un mendicante nei pressi del Fiume Lagrem. Costui mi narrò la vicenda più incredibile che avessi mai udito prima di allora. Mi raccontò la storia di Urizen, un mezzosangue demoniaco che si lanciò con altri avventurieri alla ricerca di un tempio leggendario. Non so descrivere la sensazione che provai, ma l’accuratezza di quelle descrizioni mi fece sospettare che il mendicante stesso avesse preso parte a tali eventi. È arduo da credervi, non l’ho mai compreso nemmeno io. Resta il fatto che da quel giorno decisi di diventare un cacciatore di reperti. Giurai di essere il primo a svelare il mistero dietro l'avvento del Grande Buio. A lungo cercai in tutto il nord, senza mai riuscire a svelarne le cause. Due anni fa rinvenni la biblioteca sotterranea, contenente centinaia di volumi dell'epoca. Purtroppo a causa dell'intrusione di alcuni predoni dovetti fuggire. Il diario di Ufradil fu l'unico tomo che portai via con me. In esso appresi dell’altra incredibile avventura legata a coloro che popolavano i miei sogni, ma non individuai alcuna informazione circa il Grande Buio. Evidentemente il suo avvento vi fu in seguito alle vicende narrate nel tomo di Ufradil. Il suo sapere ora è il tuo».

    Azarel accennò un sorriso, il primo da quando i due si erano incontrati.

    La porta della stanza si spalancò di colpo, aperta da qualcuno che entrò senza neanche bussare. Era un uomo di mezz’età con indosso una veste bordeau, i modi di fare erano propri di una persona autoritaria, abituata a vedere i propri ordini eseguiti all’istante. Varn intuì che si trattava di Barnag e con un balzo si alzò in piedi per rendergli omaggio. Il padrone della tenuta non degnò l’ospite di alcun convenevole, rivolgeva occhiate adirate in direzione figlia. Quel risentimento era stato innescato dalla partenza di Azarel, avvenuta nel segreto più totale.

    «Che sia l’ultima volta che sparisci in questo modo! Altrimenti sarò costretto a porti sotto scorta e ti sarà proibito lasciare la tenuta! Sono stato chiaro?» tuonò.

    Varn sobbalzò, non si aspettava una simile perentorietà. Anche il vecchio Bamop in passato lo aveva ripreso per simili motivi, ma la sua ramanzina non era paragonabile a quell’autentica minaccia.

    Azarel abbassò lo sguardo, mostrava l’espressione di chi vedeva in quell'individuo un autentico carceriere. Se avesse rivelato in anticipo i propri intenti Barnag non le avrebbe mai permesso di partire. La fanciulla si limitò a rilasciare un cenno con il capo. Successivamente l’attenzione di tutti ricadde sull'ospite, prima che venisse interpellato circa la sua presenza, Azarel narrò le circostanze fasulle riguardo al loro incontro. Varn udì la discendente di Ufradil mentire spudoratamente. Si inventò di essere scivolata in un dirupo, e se non fosse stato per lui sarebbe caduta in lago sottostante. Per via di quel salvataggio lei si era sentita in obbligo di invitarlo nelle sue proprietà, per potersi sdebitare. L’uomo ascoltò, squadrò il giovane dalla testa i piedi. Notò gli stivali infangati e non ne fu contento.

    «Mi auguro che tu possa inculcare nella testa di questa spericolata che non è costume per una signorina di buona famiglia trascorrere le proprie giornate a scavare nel passato di queste terre» commentò, infine uscì dalla stanza.

    Rimasti soli Varn rilasciò un sospiro di sollievo, quella figura lo metteva in ansia. Il modo in cui lo guardava aveva il potere di metterlo a nudo. Seppur avvolti dal lusso non doveva essere facile vivere con un padre tanto autoritario. Varn si domandò dove si trovasse la madre di Azarel, ovvero colei che per prima avrebbe dovuto accertarsi del ritorno della figlia. Il fatto che non si fosse ancora presentata fece capire al giovane che la famiglia era andata incontro ad un grave lutto.

    Quella sera Varn e Azarel consumarono un rapido pasto nelle cucine, assistiti dai servi intenti a smaltire gli avanzi.

    «Dunque» esordì lei una volta fatto ritorno nella sua stanza «Attenderemo che le acque si calmino, poi agiremo. Il nostro obbiettivò è la soffitta. Ti avverto, è un ambiente vasto, occorreranno diverse notti per esplorarla».

    Varn annuì.

    «Cosa cerchiamo esattamente?».

    «Qualsiasi indizio utile» fu la risposta vaga «Quando arriveremo alla porta tu la scassinerai».

    Il giovane di Dunval alzò di scatto lo sguardo.

    «Cosa ti fa pensare che io sappia violare le serrature?».

    «Non saresti un vero cacciatore di reperti se non ne fossi in grado» rispose lei.

    Quella notte le tenebre apparvero più oscure del solito. La Foresta di Gherlet si tramutò in un muro nero capace di inghiottire ogni cosa. La tenuta sprofondò in un silenzio spettrale. Nessuno, neanche i servi, osavano abbandonare i sicuri confini dell’abitazione.

    Verso mezzanotte il bagliore di Talagrun illuminò il percorso di coloro che si muovevano furtivi tra i corridoi. Varn e Azarel comunicavano senza fare rumore, per mezzo di cenni appositamente studiati. La meta si presentò ben presto innanzi al loro cammino. La porta della soffitta era situata all’ultimo piano dell’edificio. Si trattava di un angolo buio, avvolto nell’oscurità. Durante il tragitto Varn si era guardato attorno, come se si aspettasse un qualche tipo di imprevisto. Quel luogo lo metteva in ansia più di quanto non vi riuscisse un maniero abbandonato. L’idea che gli antenati dei Nadimor avessero celato informazioni lì da qualche parte conferiva a quelle mura un’aura arcana, quasi mistica. L’intera tenuta trasudava di mistero, qualcosa di cui Varn amava nutrirsi.

    Nei pressi della soglia Azarel fece cenno di scassinare la serratura. Occorsero diversi istanti di lavoro per avere ragione del meccanismo, dopodiché gli intrusi si ritrovarono a percorrere un’angusta scalinata. In cima un passaggio squadrato li condusse all’interno di uno spazio del tutto buio. Varn si servì del proprio acciarino per dare vita ad una torcia che avevano portato per l’occasione. I passi di entrambi divennero rilassati, la distanza che li separava dalle stanze di Barnag rendeva innocui gli scricchiolii prodotti dal pavimento. Come anticipato l’ambiente era vasto, l’aria viziata creava una velata foschia. Sulle assi di legno si era addossato uno strato di polvere simile ad un inquietante manto nevoso. Dalle tenebre affiorarono cataste di oggetti ammassati alla rinfusa, oltre che scaffali contenenti tomi e vecchi fogli di pergamena. Azarel e Varn capirono che l’esplorazione di quel luogo avrebbe richiesto molto più tempo di quanto immaginavano. Entrambi si misero al lavoro affrontando la polvere che si era impossessata di ogni angolo. Varn scovò qualche libro interessante, ma niente che si potesse definire una scoperta eccezionale. Lo stesso accadde per Azarel. Ben presto i due improntarono un’efficace metodo di lavoro: di notte prelevavano il materiale più promettente, di giorno lo analizzavano rimanendo sempre alla larga dallo sguardo indagatore di Barnag. Al terzo tentativo Varn si apprestò a perlustrare uno scaffale soffocato da altre cianfrusaglie. L’unico modo per raggiungerlo era di scivolare tra il muro e una catasta di oggetti impolverati. Durante l'operazione tuttavia il giovane rimase impigliato in un’asse di legno che sporgeva dalla parete. L’eccessiva foga nel liberarsi causò la caduta di alcuni oggetti, con conseguenti tonfi e rumori metallici. Azarel udì movimenti frenetici provenire dal piano sottostante. Raggiunse Varn senza mancare di riservagli un'occhiata di ammonimento. Le voci di Barnag e di Fergal divennero riconoscibili attraverso il pavimento, percorrevano il corridoio al di sotto della soffitta. Per fortuna i loro passi, dapprima nervosi, divennero sempre più impercettibili, finché non si acquietarono.

    A quel punto ci fu un sussurro.

    «Sei maldestro! È già la seconda volta che rischi di farci scoprire».

    Non appena si volse Azarel notò che l’asse divelta dalla parete aveva lasciato una breccia nel muro. Qualcosa al suo interno luccicava alla luce prodotta dalle torce. I due si avvicinarono a quello che sembrava essere un involucro metallico. La fanciulla recuperò l’oggetto squadrato dietro lo sguardo eccitato di Varn.

    «È un contenitore di ferro! C’è qualcosa inciso sopra» sussurrò.

    «Al mio migliore amico devo questo onore. Il custode del mio cuore».

    Azarel alzò i lucenti occhi azzurri, lo scritto presentava la firma di Ufradil Tor’Nadimor.

    «Ce l’abbiamo fatta!» esplose in un sussulto trattenuto «Lo sapevo che c’era qualcosa, me lo sentivo! Pare che la tua disattenzione questa volta abbia pagato pegno alla fortuna».

    Varn fissava il ritrovato come fosse d’oro massiccio, non riusciva a credere che provenisse dall’epoca antecedente al Grande Buio. Con le dita sfiorò l'incisione ormai logora, il pensiero di toccare qualcosa maneggiato dal bardo stesso gli fece quasi perdere i sensi dalla gioia. Azarel passò ad analizzare il contenitore. Era robusto, i tratti estetici del metallo si erano corrosi con il passare dei secoli, ma tutto ciò non era bastato a minarne l’integrità. La serratura era in parte intasata dalla sporcizia, la forma che presentava la toppa non rassomigliava a niente di mai visto prima di allora.

    Varn esternò le proprie impressioni.

    «Quello che stringiamo tra le mani ha l’aria di essere un indovinello. La chiave è in mano al suo migliore amico…a questo punto dobbiamo solo scoprire di chi si tratti».

    Nei giorni successivi l'incisione venne studiata con lo scopo di carpirvi quanti più elementi possibili. Azarel e Varn trascorsero la maggior parte del tempo al di fuori dell’abitazione, immersi nel parco della tenuta. Avevano tentato di forzare l’apertura del contenitore, ma ogni tentativo era risultato vano. A nulla erano serviti i loro sforzi, chiunque avesse costruito quell’involucro sapeva il fatto suo. Non si poteva fare altro che scuoterlo tentando di capire cosa contenesse.

    «Chi può mai essere un amico tanto importante da ricevere in dono un oggetto così prezioso?» continuava a ripetersi Azarel, distesa sul manto erboso.

    Varn si trovava in difficoltà. Da una parte ignorava per davvero chi potesse essere il misterioso amico del bardo. Tutto ciò che sapeva a riguardo lo aveva appreso leggendo il suo tomo. In esso comparivano pochi riferimenti al passato del cantastorie e non era mai stata menzionata alcuna amicizia degna di nota. Dall’altra parte Varn faticava a concentrarsi ogni qual volta si trovava in presenza di Azarel. Era come se ella avesse il potere di annebbiargli la mente e catalizzare tutte le sue attenzioni. Ne risultava un desiderio fisiologico di osservarla. Dettagli all’apparenza insignificanti, cadenze vocali o posture del corpo erano divenuti linfa vitale per gli occhi del giovane. Fin dal principio Varn era divenuto abile nel soddisfare quel suo bisogno, distogliendo lo sguardo un attimo prima di essere scoperto. In particolare spiccava la domanda se tale infatuazione fosse dovuta alla bellezza della fanciulla oppure al fatto che ella vantasse un retaggio leggendario. La risposta tuttavia pareva scontata: entrambi i fattori fungevano da richiamo irresistibile.

    «Che ti prende? Se qui per darmi una mano, non per rimanere imbambolato come un fantoccio di pezza!» lo ammonì Azarel spazientita «Cerca di ricordare, basta un elemento, un indizio. Tu hai letto il suo diario, sai più cose di me, chi poteva essere il suo migliore amico? Di certo qualcuno da cui non si separava mai».

    Varn si ricompose, travolto dall’imbarazzo. Azarel aveva ragione, per quanto lui si sentisse attratto da lei non poteva perdere l’occasione di svelare quel mistero. Decise pertanto di concentrarsi sulla risoluzione dell’indovinello. Del resto le ultime parole pronunciate dalla fanciulla lo avevano ispirato.

    «Qualcuno da cui non si separava mai…qualcuno da cui non si separava mai» ripeté camminando avanti e indietro «Che sia…? No, non è possibile».

    «A chi ti riferisci?» lo incalzò Azarel.

    Lui attese prima di rispondere, temeva una reazione di scherno.

    «Non chi, ma...cosa. Per tutto questo tempo abbiamo supposto che il suo migliore amico fosse un individuo. E se invece si trattasse di un oggetto?».

    «Il mandolino!» lo anticipò lei «Ma certo! L’oggetto più prezioso per ogni cantastorie, il migliore amico da cui non si sarebbe mai separato!» esplose in un grido squillante.

    Azarel saltò al collo di Varn per la brillante intuizione che aveva avuto. In quegli istanti il giovane percepì i propri sensi sovraccaricati da un fiume di emozioni. Si sentiva al settimo cielo, ignorava se ciò fosse dovuto all'abbraccio o alla svolta nella loro indagine. L'entusiasmo iniziale tuttavia ebbe vita breve. Se da una parte l'identità del misterioso amico pareva essere svelata, i passaggi successivi presentavano ostacoli enormi. Come avrebbero proseguito nella ricerca se gli indizi avevano a che fare con il mandolino di Ufradil? Erano trascorsi mille anni da quei tempi, niente che non fosse fatto di metallo o che non fosse stato adeguatamente protetto avrebbe resistito tanto. Varn pensò di ritrovarsi innanzi al capolinea di quell'avventura. Temette di incrociare la stessa consapevolezza nel volto di Azarel, così non fu. Ella infatti non mostrava la benché minima preoccupazione, come se le bastasse svoltare l'angolo per ottenere ciò che cercavano. Quando Varn la interrogò sul da farsi lei rilasciò un sorriso di compiacimento.

    «Tra le tante tradizioni di famiglia tramandate nei secoli, ve n’è una in particolare che fa al caso nostro» rivelò.

    Varn spalancò gli occhi, incredulo.

    «I Nadimor, in quanto cantastorie e menestrelli, hanno lasciato ai discendenti i loro amati strumenti. Nella nostra dimora si cela una sala dei cimeli contenente i mandolini dei maggiori esponenti della nostra famiglia, Ufradil compreso».

    Varn boccheggiò, sembrava che qualcuno gli avesse sottratto l'aria dai polmoni. La sensazione provata al tocco dell'incisione sul contenitore si amplificò, impedendogli di parlare. Innanzi ai suoi occhi si profilò uno scenario al di fuori di ogni possibile immaginazione. La possibilità di vedere un oggetto maneggiato da colui che aveva scritto le gesta degli Eroi di Doral’Har. Un qualcosa che con ogni probabilità anche gli avventurieri stessi avevano toccato nel corso dell'avventura. Varn sghignazzò sopraffatto dall'euforia, più si inoltrava in quella ricerca, maggiori erano le svolte sensazionali che lo accompagnavano. Si chiese fin dove sarebbero arrivati tali colpi di scena e se, alla fine, gli avessero regalato la risposta alle loro domande. Azarel rimava seria, già focalizzata al problema successivo.

    «Mettere le mani sul mandolino purtroppo non sarà facile. All'interno di quella stanza sono stipate anche le riserve d'oro della nostra famiglia, ciò a cui mio padre tiene veramente. Egli custodisce la chiave personalmente, non l'abbandona mai neanche quando è assopito» spiegò «Ecco perché dovremo sottrargliela nel sonno» concluse.

    Varn sussultò, già immaginava la difficoltà dell’impresa. Barnag gli era parso un uomo severo, non aveva idea di come avrebbe reagito se li avesse scoperti.

    Quella sera gli occupanti della dimora si riunirono nella grande sala da pranzo. Si trattava di un ambiente spazioso, dominato al centro da un tavolo capace di ospitare commensali in quantità. Su di un lato un camino alto quattro braccia regalava ai presenti un velato torpore, mentre dal soffitto calava uno lampadario decorato. Varn non aveva mai visto posate dall’aspetto tanto lussuoso. Parevano in argento massiccio e ciò le rendeva di grande valore agli occhi di un potenziale ladro. Tutt’attorno la calda luce del fuoco vibrava nelle pareti scure, semi ricoperte dalla mobilia. I due giovani si trovavano uno fronte all’altro, a capo tavola Barnag scandiva il tempo con il quale venivano servite le portate. Se ad un primo impatto l’uomo aveva dato prova di essere alquanto rude, in quell’occasione si mostrò quasi ospitale. Non mancò di esternare il proprio compiacimento di fronte alla presenza dell'ospite, grazie al quale le fughe della figlia si erano interrotte.

    Sullo sfondo Fergal compariva sporadicamente da una porta comunicante con le cucine. Il servizio era impeccabile, l’abilità del servo nel trasportare i piatti, degna di un giocoliere. Sostenuta dal fuoco la conversazione tra i commensali durò fino a tardi. Barnag sfoggiò una buona conoscenza delle terre del nord sebbene, per sua stessa ammissione, si allontanasse di rado dalla tenuta. Varn ascoltava con interesse apparente, il pensiero di ciò che lo attendeva rendeva insipido il suo pasto.

    Al termine della cena i due si ritrovarono nella stanza della fanciulla, avvolta nel silenzio della sera. A notte fonda, quando ormai gli occupanti dell’abitazione si erano ritirati nelle proprie stanze, Azarel e Varn si attivarono come piccoli animali notturni. Insieme raggiunsero la camera da letto del signore della tenuta. Si fermarono innanzi ad una porta scura, inquietante. La soglia era socchiusa, i giovani si affacciarono all’interno di un ambiente avvolto dalle tenebre. L’unica fonte luminosa proveniva dalla vetrata posta su di un lato della stanza. All’esterno la notte aveva ovattato ogni rumore, perfino i canti dei gufi erano scomparsi. Ciò non fece altro che generare presentimenti nefasti nella mente di Varn, timoroso nel sottovalutare l'accortezza di Barnag.

    Al centro dello spazio si innalzava un letto a baldacchino. Il respiro dell’uomo era gutturale, pareva quello di un orso in letargo. A Varn venne affidato il compito di rimanere sulla soglia, Azarel si sarebbe inoltrata per appropriarsi delle chiavi. Ciò che si poteva distinguere dalla posizione di vedetta non era altro che una sagoma sottile avvicinarsi al centro della stanza. Varn apprezzò l'abilità della compagna nel muoversi silenziosamente, la sua furtività non aveva niente da invidiare a quella di un autentico ladro. Il loro obbiettivo si trovava sul comodino, a poca distanza da un paio di occhiali da lettura. La tensione aumentò con il trascorrere degli attimi. Quando la mano della fanciulla si trovò a poca distanza dalla chiave, Barnag emise un grugnito. Varn si allertò, per poco non rilasciò un sussulto. Per fortuna il signore della tenuta non si era destato, aveva solamente cambiato posizione. Azarel, rannicchiata ai piedi del letto, si tranquillizzò, poi afferrò l'oggetto e si allontanò. Varn lanciò occhiate al corridoio in entrambe le direzioni, aveva l’impressione che fosse infinito. Ad ogni modo nessuno oltre a loro percorreva quell’area della dimora.

    Una volta usciti i due si preoccuparono di lasciare la porta nella stessa posizione in cui l’avevano trovata, in modo da non destare sospetti. Fin dai primi passi Azarel apparve incontenibile. Il suo sorriso era pronunciato al punto da riflettere i raggi di Talagrun.

    «La stanza è nel seminterrato. Non appena avremo finito riporteremo la chiave al suo posto» sussurrò incapace di trattenere l’euforia.

    Le scale che conducevano nel sottosuolo erano strette. La temperatura si abbassò, gli scalini consumati dal tempo divennero sempre più umidi. Varn accese la torcia, una porta scura, caratterizzata dal disuso, comparve innanzi a loro. La chiave che Azarel brandiva al pari di una lama leggendaria era lunga, nella toppa arrugginita vedeva un’avversaria da non sottovalutare. Produrre rumori inconsulti avrebbe significato svegliare la servitù che riposava nel piano sovrastante. La fanciulla si volse in cerca di rassicurazioni, ma sul volto di Varn non lesse altro che sincera incredulità. Egli realizzò solo allora l'entità del passo che stavano per compiere. Un evento tanto eccezionale da imprimerselo per sempre nella mente. Azarel sbuffò, rilasciò una gomitata per destare il complice dallo smarrimento.

    «Non temere, conosco un trucco per limitare il rumore» si attivò Varn.

    Così dicendo strinse la chiave attorno al mantello in modo che la sola parte dentellata ne rimanesse scoperta. Successivamente armeggiò nella toppa dell’unico ostacolo che sbarrava loro la strada. Il polso ruotò con cautela, i rumori causati dall’ingranaggio vennero in parte attutiti dalla stoffa del mantello. Azarel osservò, vide la porta movimentarsi sui cardini logori.

    «Forse non sei poi così incapace» si complimentò a bassa voce.

    Le due figure sgattaiolarono all’interno del rifugio sotterraneo. Le pareti di pietra parevano spesse almeno un braccio, nessun rumore esterno aveva l’ardire di superare il loro sbarramento. L’aria era pesante, odorava di pura antichità. Al centro della stanza apparvero degli scrigni, probabilmente si trattava della riserva economica dei Nadimor. Lungo il perimetro la debole fonte luminosa rischiarò delle scaffalature. Nei ripiani erano posti dei sacchi con appresso una targhetta identificativa. Varn sudava freddo, un po' per il timore di essere sorpreso, un po' per l'eccitazione del momento. Vide Azarel scorrere le diciture, fino a fermarsi in un punto particolarmente angusto.

    «È questo» sussurrò lei.

    A quelle parole il giovane di Dunval trasalì. Stava per prendere visione di un oggetto antico di mille anni, imbracciato da uno dei cantastorie più famosi mai esistiti. Di certo avrebbe pianto dell’emozione, se fosse stato solo. Azarel movimentò il sacco con delicatezza, infine ne estrasse il contenuto. Varn sbatté gli occhi il meno possibile per massimizzare la capacità visiva. Davanti a lui si presentò una massa informe, consumata dallo scorrere dei secoli. Se ne avesse ignorata la natura non ne avrebbe riconosciuta la funzione. Dello strumento era rimasto solo il corpo centrale, la parte superiore era mancante, così come il cordame. Il mandolino rispecchiava il degrado tipico di un oggetto vissuto, che aveva superato chissà quali avventure. Se anche il tomo di Ufradil fosse stato esposto ad una tale usura, di certo non si sarebbe conservato così com’era stato rinvenuto.

    «Vediamo se le nostre deduzioni sono esatte». Azarel cominciò l'analisi, le sue labbra erano tese per la tensione. La mano si mosse lentamente, il legno che creava le forme tondeggianti era divenuto molle. Un urto non previsto poteva deturpare ancor di più la preziosa reliquia. Non sembrava esservi alcun punto dove cercare se non all'interno dell'apertura centrale. Quegli istanti di attesa per Varn furono snervanti. Notò una goccia di sudore serpeggiare lungo una ciocca di capelli di Azarel. I battiti del suo cuore acceleravano mentre il braccio della compagna si contorceva per raggiungere tutti i punti celati allo sguardo.

    Di colpo, il volto le si illuminò.

    «Ho toccato qualcosa!».

    Varn provò un tuffò al cuore alla vista di una minuscola chiave arrugginita fare la sua comparsa al bagliore della torcia. Ce l'avevano fatta. Per mille anni lo strumento di Ufradil aveva celato un segreto che valeva un'intera vita spesa alla sua ricerca. Varn faticava a realizzare quanto stesse accadendo. Prima l'arrivo di Azarel, poi la presenza della reliquia nelle terre di Gamaron. Quelle coincidenze non potevano essere casuali, l'universo pareva essersi allineato per concedergli un grande onore. Il Grande Buio era un evento oscuro, sfuggente, capace di mascherarsi tra le pagine dei pochi documenti storici sopravvissuti al disastro. Forse, non per molto ancora.

    In seguito ad un primo momento di euforia l'attenzione di entrambi tornò sull'insperato ritrovamento. Il metallo che formava la chiave era corroso, poteva non essere più in grado di azionare la serratura a cui era predisposta. Azarel e Varn riposero il mandolino così come l'avevano trovato, dopodiché riconsegnarono il rifugio al gelido abbraccio delle tenebre. Le menti di entrambi erano colme di eccitazione, non vi era spazio per altro che non fossero astruse fantasticherie. Varn fu il primo a recuperare una velata lucidità, dovevano ancora riporre la chiave del sotterraneo nella stanza di Barnag. L'inquietudine lo assalì, potevano ancora mandare tutto a monte, al pari di un corridore in fuga che inciampa a poche braccia dall'arrivo.

    Azarel impiegò il doppio del tempo per restituire il maltolto. Voleva accertarsi di non aver lasciato niente al caso. Nel frattempo Varn non aveva mai distolto lo sguardo dagli oggetti che stringeva quasi fossero fatti d'oro: il contenitore metallico da una parte e la chiavetta dall'altra. Si rese conto di sorreggere tra le mani un potere immenso, un qualcosa di infinitamente superiore a qualsiasi ricchezza materiale.

    Era l’alba quando i due si rinchiusero nella stanza di Azarel, pronti per aprire il cofanetto.

    «Sono troppo emozionata, fallo tu» propose lei.

    Varn non si oppose alla proposta. Del resto, dopo tutte le fatiche spese per ottenere quelle informazioni, quell’onore gli spettava di diritto. Prese in mano la chiavetta, la inserì nella toppa. La fronte era fradicia di sudore. Nonostante una resistenza iniziale, la serratura si aprì in seguito ad uno scatto. All'interno comparve un volume indefinito, oltre che un malloppo di pergamene in parte ammuffite. Fin da subito parve chiaro come quel contenuto vantasse un immenso valore. Occorreva prestare la massima attenzione nel movimentarlo, o tra le dita non sarebbe rimasto che polvere. Parte del materiale si mostrò illeggibile a causa del deterioramento dell'inchiostro. Le speranze si rivolsero ben presto ad un libricino ancora in buono stato. Azarel lo maneggiò con estrema cura. Rilasciò un sospiro non appena si accorse che il testo era ancora leggibile.

    «Penso sia stato scritto di pugno da Ufradil!» sbottò alla vista del nome riportato in fondo.

    Varn confermò quella ipotesi. Rammentava la calligrafica del cantastorie, tanto che avrebbe potuto replicarla fedelmente. Ormai non vi erano più dubbi, in mano sorreggevano un documento redatto dal bardo, con ogni probabilità creato in seguito alla guerra tra Damar e Karim.

    «Credo che qui ci sia qualcosa di interessante» avvertì la fanciulla, accanto le venne piazzata una candela per consentirle una lettura più agevole.

    …tredicesimo giorno della prima ventalba del Ciclo di Ostrabant, anno 782 dalla Caduta di Lorlh. Era una notte nebbiosa, chi poteva rimaneva accucciato al calore del proprio camino. Dopo anni di silenzi i Guardiani di Fune si risvegliarono, come spiriti inquieti. Due membri appartenenti all'ordine sono giunti alla porta della nostra abitazione di Salvas. Un’oscurità più tetra del solito faceva da sfondo ad espressioni inorridite. Loro intento era quello di avvisarci di una terribile realtà: un demone maggiore, devoto al Signore delle Fiamme Vodiak, aveva intrapreso il percorso lasciato incompiuto dallo sconfitto Argatros. Io e Monar rimanemmo esterrefatti. Incubi passati, ritenuti lontani, erano pronti ad inquinare ancora i nostri sogni. Lungi da noi sapere in che modo il signore oscuro avesse inviato un altro servo nel nostro mondo, quell'ultimo richiedeva ancora di essere salvato. Argatros aveva tentato in passato, si era alleato con il re di Karim per gettare l'ombra della guerra su tutto il nord. Gli Eroi di Doral’Har lo sconfissero, la Battaglia della Pianura Rossa seppellì la minaccia sotto un cumulo di morti e sangue....

    «Va più avanti!» anticipò Varn grazie ad una maggiore velocità nella lettura.

    ...per ottenere l'accesso al nostro mondo, e quindi la fuga dal Valgorn, Vodiak doveva sfruttare un portale generato dal potere di un rituale oscuro. Tale evento doveva essere svolto nel continente, prevedeva il prelievo del sangue di sei creature uniche nel loro genere, entro un tempo prestabilito. Il periodo utile per assolvere il compito era il Ciclo di Ostrabant. L'avvento dei Guardiani di Fune a Salvas era portatore di sventura, in quando la prima delle sei creature era già stata ghermita dal demone maggiore. Ne rimanevano cinque in vita, compito nostro sarebbe stato quello di scovarle e proteggerle….

    Al termine della lettura lo sguardo di Varn divenne vitreo.

    «Vodiak...» sussurrò.

    Azarel scosse il capo, non aveva idea di cosa stesse trattando la vicenda. A differenza del proprio ospite lei non nutriva un interesse specifico per il passato del continente. Ciò che le premeva era di scavare nelle origini della sua famiglia.

    …Monar riponeva la sua fiducia nei Guardiani di Fune. Già in passato il loro intervento era risultato fondamentale ai fini della vittoria, perciò non ebbe esitazione ad accettare. Per una tale missione ritenemmo indispensabile l’aiuto di Urizen, quindi ci recammo alla sua ricerca. Erano trascorsi cinque anni dalla sua partenza, volta alla ricerca di una pace interiore sfuggente quanto il più furtivo tra i nemici. Insieme ci recammo nel luogo dov'era avvenuto l’ultimo avvistamento del mezzodemone, a sud di Horn. Dopo giorni di ricerche tuttavia scovammo nient’altro che una catapecchia abbandonata. Di Urizen, nessuna traccia. Possibile che ci avesse abbandonati? Possibile che desiderasse perdersi al punto da non essere più trovato? I nostri quesiti rimasero irrisolti, così come anche le nostre paure. Avremmo voluto cercare aiuto, recarci nuovamente dai Guardiani di Fune, ma non ne avevamo il tempo. Io e Monar decidemmo di intraprendere la missione da soli….

    Azarel fece una pausa, l'espressione nel volto di Varn la preoccupava. Egli pareva già conoscere l'epilogo dello scritto.

    "…due ventalbe erano trascorse dal nostro incontro con i guardiani e la situazione volgeva al peggio: in tutti gli scontri il Servo di Vodiak ci aveva sconfitti grazie alla devastante magia di cui era proprio. La sua anima nera profondeva fiamme e oscurità, nel nostro terrore essa cresceva, imperava. Lo stesso Monar si era visto accarezzare dalla morte in più occasioni. Erano ormai cinque le creature cadute nelle mani del nemico. Fortunatamente scovammo per primi il Licantropo d’Argento il quale, comprese la situazione di pericolo, si decise a collaborare. A sud delle Terre di Nessuno cercammo di raggiungere il Prato dai Mille Colori, un luogo mistico situato in una dimensione parallela, l'ultima eredità lasciata da Pancor prima della sua morte. Tuttavia, durante il tragitto, venimmo intercettati dal Servo di Vodiak e costretti ad una dura lotta per la nostra sopravvivenza. Il Prato dai Mille Colori era vicino, nella concitazione della battaglia perdemmo di vista il licantropo che tentò la salvezza proseguendo da solo.

    Io e Monar riuscimmo a salvarci, ma la nostra protetta cadde nelle mani del demonio. A quel punto percepimmo il sole affievolirsi, la natura attorno, stringersi su di noi per soffocare i nostri ultimi lamenti. Alla mia anima era stata strappato il confortante alito della speranza...".

    Azarel si fermò. La tensione della lettura era divenuta insostenibile, puntò i luccicanti occhi azzurri verso l’alto per riprendersi da una fatica estenuante. Varn era proteso in avanti, finalmente sapeva che cosa era successo in seguito alla Battaglia della Pianura Rossa. In realtà non aveva alcun bisogno di proseguire nello scritto. Già prevedeva quale sarebbe stato l’esito della vicenda. Monar e Ufradil avevano fallito la missione, il demone maggiore era riuscito nel proprio intento. Ma se così fosse stato, come aveva fatto il bardo a salvarsi dall'annientamento? Quell'interrogativo divenne importante tanto quanto quello che da anni alimentava la curiosità degli studiosi del nord.

    «Posso continuare io, se vuoi» le propose.

    Azarel acconsentì.

    "…i miei occhi assistettero alla più grande delle disfatte. Il Servo di Vodiak si diresse nel profondo sud del continente, dove si trovava l’altare per compiere il rituale. In preda allo sconforto più totale io e Monar ci aggrappammo all’unica speranza di salvezza. L’avvento del Signore delle Fiamme avrebbe significato la morte per la maggior parte delle forme di vita presenti nel continente. Sarebbe stata la fine del mondo conosciuto. L’unica speranza di salvezza era rappresentata dal sangue di una settima creatura, pura nel corpo e nell’animo. Una vergine umana. Cospargersi con la sua linfa vitale ci avrebbe resi invisibili agli occhi dell’oscuro signore.

    Io e Monar eravamo allo stremo, annichiliti dallo sconforto. La moralità che alimentava le nostre azioni si spense come il lume di una candela esposto alla furia di una tempesta. Quando il nemico scomparve per raggiungere l’altare, non fummo neanche in grado di seguirlo. Fu allora che commettemmo l’atto irreparabile, quello per il quale la mia famiglia sarà dannata in eterno. Impiegammo alcuni giorni per scovare la vergine in una fattoria a sud del regno di Karim. Non vi è redenzione alcuna per il crimine che ho commesso…".

    Azarel non riuscì a trattenere le lacrime. Pensieri tremendi affollarono una mente già devastata dagli scenari apocalittici a cui il suo avo aveva fatto fronte. Quel passo non era altro che l’ammissione di un omicidio volontario, messo in pratica per sfuggire ad una macabra fine. Mai avrebbe pensato che il capostipite dei Nadimor si rivelasse un assassino, lo considerava un risvolto cupo come una volta celeste priva di stelle. Anche Varn percepì il peso di quelle rivelazioni. D’un tratto l’aria all’interno della stanza si era fatta viziata, la luce, affievolita dalla gravità del racconto. In quelle righe scritte in malo modo era evidente la disperazione al fronte di un atto estraneo alla natura del cantastorie. Era la prova che la paura, a volte, corrompeva anche la più innocua delle menti.

    «Ti prego, va avanti» lo esortò Azarel, singhiozzando.

    …al rintoccare del decimo giorno del nuovo anno si verificò un’esplosione catastrofica a sud! Un’onda nera si diffuse ovunque con la stessa velocità con la quale nuvole di tempesta inghiottono la luce del sole. Gli alberi erano strattonati in una danza di morte, il vento divenne feroce, privo di calore. Io stetti lì, sotto shock, il sangue del mio più grande peccato giaceva sulla mia pelle, concedendomi una salvezza immeritata. Non vi è redenzione alcuna per il crimine che ho commesso….

    Quelle ultime parole soffocarono il sussurro di Varn. Finalmente era chiaro cosa avesse scatenato il Grande Buio. Il giovane stringeva tra le mani un documento dal valore storico incommensurabile, ma quel pensiero giunse in ritardo nella sua mente. Anche solo il giorno prima nessuno avrebbe mai immaginato un simile epilogo: intere popolazioni distrutte dall’arrivo di una divinità malvagia. Vodiak, Signore delle Fiamme e vero padre di Urizen, era riuscito a fuggire dal Valgorn, la prigione in cui i suoi fratelli lo avevano relegato. In quel contesto catastrofico gli eroi di una vita avevano compiuto un atto infame pur di salvarsi la vita.

    Azarel continuava a piangere. Se avesse previsto un tale dolore di certo non si sarebbe impegnata tanto per riportare alla luce quella truce verità.

    «Non avrei mai creduto che fosse accaduta una tragedia del genere» commentò con la voce rotta dallo sconforto «Centinaia di migliaia di vite spezzate. Quale malvagità può realizzare tutto ciò…?» concluse.

    «Un’ira divina» replicò Varn, sopraffatto.

    Vodiak aveva concretizzato la propria vendetta ai danni dei fratelli che lo avevano recluso nel Valgorn. L'equilibrio era stato spezzato. L'odio del Signore delle Fiamme aveva imperversato per le terre emerse, condannando la vita senziente a secoli bui. Centinaia di anni erano occorsi agli umani, unici sopravvissuti tra le razze, per rialzarsi. Ciò aveva condotto ad un presente grigio, privo di alcuna serenità. Il continente era uscito martoriato dall'avvento di Vodiak. Dopo mille anni la popolazione risultava ancora decimata rispetto alle epoche d'oro vissute prima del disastro. Regni, grandi città, culture, tutto era stato spazzato via da un solo gesto, carico di risentimento per una reclusione millenaria. Cosa fosse accaduto al dio malvagio in seguito alla distruzione, non era dato sapere. L'unica certezza era che avesse condannato l'umanità del presente ad una vuota esistenza.

    La mente di Varn si appannò, sovraccarica di pensieri. Azarel scuoteva la testa come se si fosse fatta carico del fallimento del suo avo. Per quanto gravose fossero le risposte ottenute il giovane di Dunval ebbe l’impressione che il risultato di quella ricerca non fosse ciò a cui ambiva la compagna. Sebbene incupita dalla realtà di un passato catastrofico, la sua curiosità pareva ancora insoddisfatta.

    «Voglio scovare il covo dei Guardiani di Fune» rivelò lei di colpo.

    Varn credette di non aver udito bene. Riteneva che non vi fosse alcuna utilità nel tentare una simile impresa. I Guardiani di Fune rappresentavano l’élite dell’Ordine del Sapere Millenario di Torgabel. Si trattava di chierici e studiosi le cui conoscenze per la storia, i testi antichi e le arti arcane andavano oltre quella di qualsiasi altro individuo. La loro esistenza era segreta, così come l’ubicazione del loro covo. Forse il solo e unico estraneo a conoscerne la posizione era Karn Stobergal. Anche ammesso che tale luogo fosse scampato alla distruzione operata da Vodiak, rimaneva una meta introvabile, per quanto attraente dal punto di vista archeologico. Varn esternò la follia in seno a quegli intenti, con il dovuto tatto.

    «Siamo già a conoscenza di ciò che avvenne, inoltre non abbiamo la più pallida idea di dove cercare il covo, ammesso che ne sia rimasto qualcosa. Sarebbe fatica sprecata, per una causa ormai perduta».

    Azarel però lo zittì mostrandogli una delle poche pergamene ancora leggibili. Era un trattato sui Guardiani di Fune, con tanto di schema gerarchico interno e ubicazione della sede centrale.

    «Voglio fare un tentativo. Se avremo successo diverremo gli archeologi più famosi di tutto il nord» affermò con determinazione.

    Varn assottigliò lo sguardo, convinto che la fanciulla facesse leva sulle sue debolezze per indurlo ad accettare. In realtà la scoperta archeologica in sé non era l’obbiettivo principale per lei, vi era dell’altro. Il giovane prese visione di quella che sarebbe stata l'eventuale meta. La cartina che aveva sott’occhio era uguale a quella riportata nel diario di Ufradil, pertanto la conosceva alla perfezione. Il covo dei Guardiani di Fune figurava di un punto imprecisato, situato poco più a sud dell’area in cui sorgeva la città di Salvas, a ridosso del versante orientale dei Denti Aguzzi.

    «Quelle terre sono lontane e colme di insidie». Fu il primo commento.

    Azarel non se ne curò.

    «Possiamo giungervi?» domandò.

    Varn sospirò.

    «Con una buona scorta di viveri ed equipaggiamento di qualità è fattibile, anche se pericoloso».

    «Allora è deciso, partiremo appena pronti» sentenziò la fanciulla.

    Il giovane di Dunval rimase perplesso. Non capiva da dove giungesse tanta ostinazione. Era come se in quel luogo Azarel sperasse di scovare ciò a cui non era pervenuta nella scoperta appena effettuata. Per quanto Varn ambisse a rimanere accanto alla discendente di Ufradil, le implicazioni di un tale viaggio lo spaventavano. A differenza del passato, dove erranti, nomadi ed avventurieri solevano avventurarsi nel sud del continente, nel presente ciò non avveniva. Le popolazioni umane rimanevano strettamente confinate a nord. Giravano voci riguardo alle insidie che si annidavano nelle lande selvagge, storie che toglievano il sonno ai giovani che le udivano. Tuttavia, era anche lecito pensare che il covo dei Guardiani di Fune rappresentasse una scoperta archeologica realistica. Trattandosi di un covo segreto era stato probabilmente edificato sotto terra, ciò avrebbe aumentato le probabilità che scampasse alla furia devastatrice di Vodiak. Il solo pensiero delle informazioni contenute nelle biblioteche di quel sito causava giramenti di testa, in caso di successo si sarebbe trattato di una scoperta epocale.

    Di ritorno nella stanza degli ospiti Varn si distese nel suo giaciglio. Le notizie a cui era pervenuto erano troppo eclatanti per permettergli un sonno tranquillo. Ciò avrebbe cambiato per sempre la sua consapevolezza della storia. Per la prima volta gli Eroi di Doral’Har avevano agito in modo disunito e per la prima volta erano stati sconfitti. Ma dov'era finito Urizen? Egli più di tutti bramava la testa dei demoni maggiori legati a Vodiak. Avrebbe dovuto presentarsi in prima linea contro il nemico, invece era disperso nel continente. Varn si pose le mani dietro la nuca, il pensiero di essere l'unico a conoscenza di quanto accaduto mille anni prima non lo rallegrava. La cultura del suo tempo era cambiata rispetto a quella del

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