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LE CRONACHE DEL VENTO - Tramontana e Levante
LE CRONACHE DEL VENTO - Tramontana e Levante
LE CRONACHE DEL VENTO - Tramontana e Levante
E-book448 pagine6 ore

LE CRONACHE DEL VENTO - Tramontana e Levante

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Info su questo ebook

Un oscuro potere minaccia la vita di Henna, amata imperatrice.

Per evitare il disastro, l'unica possibilità rimasta è che quattro giovani guerriere riescano nella difficile missione a loro affidata: ritrovare Tramontana, l'elemento mancante della leggendaria Rosa dei Venti, perduto da tempo immemore.

Nel corso di questa pericolosa missione, emergeranno dal passato misteriosi dettagli sul passato di una di loro: la giovane Zaira.

La minaccia alla vita dell’Imperatrice apre dunque scenari imprevedibili che condurranno le guerriere alla scoperta di luoghi ritenuti inaccessibili, a scontrarsi con popoli che si credevano ormai dimenticati nella polvere del tempo passato e a compiere incontri inaspettati.

Nulla è da ritenersi scontato nel tempo di Erach: il mistero è solo all’inizio.
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2018
ISBN9788827848340
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    Anteprima del libro

    LE CRONACHE DEL VENTO - Tramontana e Levante - Tea Molki

    Youcanprint.it

    Introduzione alle Ere

    ARTAS: prende il nome di Artas la prima Era, chiamata così in quanto ogni cosa era ancora avvolta nel caos. L’intero mondo era dominato unicamente da rocce e deserti. 

    DUEM: prende il nome di Duem la seconda Era, durante la quale comparve la prima Imperatrice del Vento, che sedò gli elementi. Durante l’era di Duem nacque l’immensa Foresta Millenaria. 

    Duem ospitò il regno di quindici Imperatrici. 

    TYNAR: prende il nome di Tynar la terza Era, detta la Cruenta. Violente lotte per il possesso dei territori minarono per lungo tempo la pace in tutto il mondo conosciuto. 

    Tynar ospitò il regno di nove Imperatrici. 

    INEORT: prende il nome di Ineort la quarta Era, durante la quale furono spartiti i territori: al demone spettò il dominio assoluto sulla Foresta, agli Ediacariani fu affidata la giurisdizione del Lago, i Gaedi si isolarono sulle montagne ed Henna espanse il suo dominio fino alle rive sabbiose del Grande Lago. Durante l’era di Ineort venne visto per l’ultima volta il Popolo Ombra. 

    Ineort ospitò il regno di cinque Imperatrici. 

    NIESS: prende il nome di Niess la quinta Era, chiamata la Verdeggiante. Ospitò il regno di ben diciotto Imperatrici ed ancora oggi viene ricordata come l’epoca d’oro delle Confederazioni. 

    OBANI: prende il nome di Obani la quinta Era. La più breve che sia mai esistita. 

    Durante Obani regnò un’unica Imperatrice, che visse fino all’età di centottant’anni. 

    RILTIA: prende il nome di Riltia la sesta Era, detta La Feconda. Durante Riltia vennero scritte e pubblicate più di duemila opere, tra prosa e poesia. Fu l’epoca dei racconti e dei grandi cantori. 

    Durante Riltia regnarono tre Imperatrici. 

    ERACH: prende il nome di Erach la settima era. Erach, chiamata la Giovane Era, corrisponde all’attuale periodo di regno dell’Imperatrice Henna. 

    La Rosa dei Venti

    VOL I Tramontana

    PERSONAGGI

    PROTAGONISTI

    CORA: (Erach, mese III, giorno XII) Prima Guardiana, nata e cresciuta a Lalonit dove frequenta il penultimo anno di Accademia Militare. 

    ZAIRA: (Erach, mese V, giorno XX) Seconda Guardiana. Orfana di entrambi i genitori, fu affidata al Tong di Lalonit. Cresciuta nell’Accademia Militare di Lalonit ne frequenta il penultimo anno insieme a Cora. 

    ALMA: (Erach, mese VI, giorno XIX) Figlia del Tong di Lalonit, sorella adottiva di Zaira e terza Guardiana. 

    ALTEA: (Erach, mese I, giorno IV) Neo diplomata con Encomio Speciale all’Accademia Militare di Lalonit dove vive con i genitori, entrambi Archeologi Imperiali. Quarta Guardiana. 

    ARCADI: (Erach, mese XII, giorno VII) Neo diplomato con Encomio Speciale all’Accademia Militare di Alorat, dove ha vinto il titolo come Miglior Arciere per otto anni consecutivi. 

    G: asino di grande coraggio. Allevato da Alma e Zaira nelle stalle dell’Accademia. 

    HENNA: cinquantaduesima Imperatrice del Vento. Detentrice del potere dell’aria. 

    PORFIRIA: conosciuta come Grande Madre. Madre del maestro Lorcan. 

    LORCAN: maestro e guida dei Gaedi, detiene il potere di controllare tre dei quattro elementi fondamentali: acqua, terra, fuoco. 

    UNA: figlia della defunta sorella di Porfiria, cugina di Lorcan. 

    SILAS: centesimo demone della Foresta Millenaria.

    PERSONAGGI SECONDARI

    AVA: cittadina di Miriad. Prima Musa, rappresenta la grazia. 

    EBE: cittadina di Chermon (piccolo villaggio sotto la giurisdizione di Lalonit). Seconda Musa, rappresenta l’onestà. 

    EGLE: figlia del Tong di Lalonit e sorella di Alma. Terza Musa, rappresenta la temperanza.

    FEDOR: segretario personale del Tong di Lalonit. 

    AMDIR: spirito della Foresta Millenaria, al servizio del demone Silas. 

    VECCHIO JOSHUA: antico sughero, spirito portavoce della Foresta Millenaria. 

    BARUJ: Tong della città di Lalonit, padre naturale di Alma ed Egle, padre adottivo di Zaira. 

    ADUST: Tong della città di Alorat. 

    EUDALD: Tong della città di Miriad.

    Prologo

    Henna è il firmamento, Henna è l’atmosfera, Henna è la madre, il padre ed il figlio. Henna è tutti gli Dei. Henna è le tre razze degli uomini.Henna è ciò che è già nato, Henna è ciò che deve ancora nascere

    Nell’era chiamata Erach, in un mondo attraversato da verdi prati e dolci colline, si trovavano Lalonit, Alorat e Miriad, tre villaggi governati pacificamente da funzionari imperiali detti Tong. 

    Ognuno dei villaggi aveva l’onore di ospitare un’Accademia Militare i cui allievi erano animati dalla speranza di poter diventare, un giorno, membri della Guardia Reale e poter difendere, anche a costo di sacrificare la propria vita, l’Imperatrice del Vento: l’unica signora che regnava su quella porzione di mondo. 

    Questo territorio era protetto da una corona di alte montagne, picchi che raggiungevano grandi altezze e restavano innevati tutto l’anno. I pochi che vi si erano avventurati raccontavano che da lassù era possibile accarezzare le nuvole e dominare l’intera Confederazione, che si dispiegava ai loro piedi in un’ampia distesa verdeggiante. 

    Arrampicata sul monte Ida, che sporgeva massiccio al centro della catena montuosa, nel corso dei secoli si era insediata la comunità dei Gaedi. Costoro erano studiosi schivi e misteriosi governati dal più potente fra loro: un sapiente sovrano che aveva la capacità di piegare al suo volere la forza degli elementi naturali eccetto quello dell’aria, il quale era controllato unicamente dall’Imperatrice. 

    Sul versante opposto alle montagne campeggiava la Foresta Millenaria, un vasto polmone verde caratterizzato da alberi alti e possenti. La Foresta era popolata da creature arboree dagli occhi fiammanti le quali, amanti della libertà, ne proteggevano la sacralità con feroce determinazione. 

    Solamente una creatura vi si aggirava senza alcun timore: un demone che nasceva dalle lacrime di un sughero, detto il vecchio Joshua, la cui supremazia all’interno della Foresta era assoluta. 

    Dal lontano monte Lonkon sorgeva un solitario corso d’acqua che si snodava e procedeva per tutta la Confederazione, costeggiando la Strada (l’unica via lastricata che congiungeva fra loro paesi e territori) per terminare la sua corsa nel Grande Lago, sulle cui rive sorgeva il villaggio di Miriad. 

    Gli abitanti di Miriad erano per lo più pescatori ed agricoltori, gente semplice che storse decisamente il naso quando, nel suo novantaseiesimo anno di regno, l’ottava Imperatrice decise di istituirvi l’ultima delle Accademie Militari. Il Tong non tardò a ricordare loro che gli ordini dell’Imperatrice del Vento non erano mai stati messi in discussione e quella brava gente non si discostò dalle tradizioni: così, nell’estate di quell’anno, fu posata la prima pietra della terza ed ultima Accademia Militare. 

    Il Grande Lago era un bacino scuro e profondo, abitato da bellicose creature marine dalla voce suadente, nel cui centro sorgeva un’isola.

    Su quest’isola brillava un castello circondato da un magnifico giardino, progettato dal famoso botanico Imperiale del V Regno, Mystrel De Bois, che tanto impegno dedicò alla realizzazione della sua opera da lasciar scritto nel testamento, come ultima volontà, di esservi seppellito. 

    La leggenda narra che il castello comparve il giorno in cui venne alla luce la prima Imperatrice: Henna era il suo nome e tale rimase nel corso dei secoli. Queste sovrane, dotate di eterea bellezza, erano accompagnate lungo il corso della loro vita da tre creature chiamate Muse poiché ognuna di loro rappresentava una delle tre virtù che Henna incarnava: onestà, grazia e temperanza. 

    Non si poteva prevedere in quale villaggio della Confederazione sarebbero nate le Muse: l’unica certezza era data dal fatto che venivano alla luce nello stesso istante in cui l’Imperatrice emetteva il primo vagito. All’apparenza erano neonate come tutte le altre, ma nei primi mesi di vita spuntava loro sulla schiena un sottile paio di ali. 

    L’Imperatrice del Vento e le Muse costituivano un’unica entità: ciò che feriva la sovrana colpiva anche loro, di riflesso. 

    All’interno della reggia si trovava inoltre una stanza nella quale era custodito un oggetto di inestimabile valore: la Rosa dei Venti. 

    Ogni Imperatrice ne possedeva una e da questa traeva la sua forza vitale: nel momento stesso in cui la Rosa avesse cessato di girare, la vita dell’Imperatrice e delle Muse si sarebbe irrimediabilmente spenta. 

    La Rocca

    1

    Oltre lo spesso vetro smerigliato la pioggia scrosciava incessante, producendo un fragore simile a quello di un martello intento a forgiare il metallo. Ogni goccia risuonava sull’acciottolato del piazzale arroccato contro il fianco della montagna ed affacciato sul nulla, sciogliendo la coltre di neve che lo ricopriva come un morbido tappeto.

    Erano trascorsi poco più di trenta inverni da quando era venuto al mondo, eppure negli ultimi tempi sentiva di essere invecchiato; percepiva il lento ma inesorabile declino del suo spirito ed i precoci fili argentei comparsi a macchiare la sua barba ramata non facevano altro che rafforzare i suoi timori.

    Lorcan osservava la pioggia bagnare i tetti spioventi delle case del villaggio, i comignoli che sputavano sottili baffi di fumo verso il cielo plumbeo. Una coltre di nubi grigie, dense e pastose, popolava l’orizzonte impedendo alla vista di spaziare.

    Lorcan fece scorrere le dita sulla copertina consunta del volume che stringeva fra le mani, socchiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalla musica.

    «Qualcosa ti turba, cugino?»

    Una smise di pizzicare le corde dell’arpa e l’intera Rocca risuonò dell’eco del silenzio. 

    «Il tempo…» mormorò Lorcan, voltandosi. 

    Una puntò su di lui i grandi occhi verdi e l’ovale diafano del suo viso si rabbuiò.

    «Un tempo credevo di poter vivere in eterno... poi, improvvisamente, è sopraggiunto lo spettro della morte.»

    «Sei ancora troppo giovane per pensare a queste cose» lo rassicurò Una, facendo ondeggiare la folta chioma i cui riflessi si accendevano illuminati dal bagliore del fuoco che ardeva nel camino. Alzandosi dallo sgabello gli andò incontro, facendogli allentare la presa sul libro. 

    Lorcan scosse il capo in segno di diniego.

    «L’età si riscontra nello spirito. Se l’animo è malato anche il corpo si ammala, di conseguenza. Mi sento vecchio, e temo l’inesorabile scorrere del tempo. C’è una cosa però che rifuggo ancor più della morte stessa: l’oblio. Essere dimenticati, come se il passaggio su queste terre non avesse avuto nessun significato. Tornare ad essere null’altro che polvere, senza che nessuno serbi nella memoria anche solo una lieve traccia del mio operato.» 

    Poi tacque ed entrambi rimasero ad ascoltare l’acqua picchiare contro la finestra.

    «Ho paura di essere dimenticato… e purtroppo non vi è cura per questa malattia.»

    Una lesse con inquietudine la stanchezza farsi strada nello sguardo di Lorcan.

    «Dici questo solamente a causa dell’elemento…»

    «È tutta colpa di quello stupido vecchio» sibilò Lorcan fra i denti, reprimendo a stento un gesto di stizza.

    «A quest’ora Levante avrebbe già dovuto essere mio. Ho impiegato anni a trovare il libro Mastro» disse, indicando il volume liso e sgualcito che Una teneva fra le mani, «Ho impiegato anni per interpretare le formule trascritte da Gaël e, quando finalmente la mia opera era sul punto di cogliere il primo vero frutto, quel dannato vecchio ha rovinato ogni cosa!» 

    In preda alla rabbia e alla frustrazione, Lorcan serrò i pugni e appoggiò la fronte contro il vetro.

    «Stai mentendo a te stesso» intervenne Una. Poggiando il libro sul tavolo gli si accostò cingendogli la vita con un braccio. «L’Imperatrice è allo stremo delle forze, il suo elemento è ormai fuori controllo. Abbiamo lottato per arrivare a questo punto, è questa l’opera che ci renderà grandi agli occhi di tutti e tu…» disse, guardandolo fisso negli occhi, «diverrai immortale. Il tuo nome sarà ricordato per sempre come il degno successore di Gaël: colui che riporterà gloria alla sua stirpe.»

    Una scintilla si accese negli occhi di Lorcan, che si voltò verso di lei sollevandole il mento con delicatezza.

    «Non è dunque questo il momento per essere deboli…» mormorò, rivolto più a se stesso che ad altri.

    Una annuì.

    «Questo non è altro che un insignificante intoppo...» lo rassicurò, stringendosi a lui.

    «Null’altro che un insignificante intoppo sul nostro glorioso cammino» proseguì Lorcan appoggiando il mento sulla fronte di Una e, chiudendo gli occhi, aspirò profondamente il profumo dei suoi capelli.

    «Andrà tutto bene» ripeté poi, come a voler sfidare il destino con quella semplice affermazione.

    In quell’istante un falco squarciò la coltre di nubi, proseguendo il suo volo in direzione della Rocca. 

    «Stanno arrivando…» sussurrò Lorcan. 

    Senza esitazione spalancò la finestra ed il rapace planò dolcemente verso di loro, atterrando al centro della stanza. 

    Una sorrise compiaciuta.

    «Sì» disse, «i Guardiani stanno per arrivare…».

    2

    Tutto tempo sprecato! stava pensando Altea caricando l’ultimo borsone sull’asino. 

    «È tutto tempo sprecato, avete capito voi due?» 

    Immobile, con le braccia incrociate ed il broncio, Altea era la persona meno amichevole nel raggio di chilometri in quella assolata mattina estiva. Il cielo era terso: non si scorgeva nemmeno una nuvola all’orizzonte ed il vento soffiava leggero, smuovendo le fronde degli alberi tutt’intorno. 

    «Basta, mi sono stancata di aspettare: se tra un minuto non si presenta giuro che partiamo senza di lei!» 

    Altea, in qualità di neo diplomata all’Accademia Militare del villaggio di Lalonit, stava per intraprendere la sua prima missione ufficiale per conto del Consiglio dei Tong e la persona che stava aspettando, mentre guardava in cagnesco Alma e Zaira, era Cora. 

    «Ragazze, eccomi ci sono! Aspettate!» 

    Ansimando, Cora sbucò all’angolo della strada trascinandosi dietro un enorme borsone. 

    «E questo cosa sarebbe?» chiese Altea pungolando con la punta dello stivale il bagaglio che Cora aveva depositato ai suoi piedi. 

    Lo sguardo di Cora passò dal suo borsone al viso inviperito di Altea, le cui guance erano ora di un colore rosso vivo. 

    «Beh, credo sia evidente... è il mio borsone. Avevi detto tu che dovevamo viaggiare leggere!» 

    «Appunto: leggere!» tuonò Altea dall’alto del suo metro e ottanta. «Mi spieghi come può farcela il povero G con tutto questo peso sulla groppa?» 

    E si voltò ad indicare l’asino che, incurante di tutto, continuava a mangiare alcuni resti di ortaggi recuperati per terra. 

    «Su ragazze non litighiamo. Cora?» 

    «È lei che ha cominciato Alma, non è colpa mia!» piagnucolò, nell’evidente tentativo di discolparsi. 

    «Come sarebbe che non è colpa tua?» riprese Altea, che poco tollerava i ritardatari ed ancor meno le loro inevitabili giustificazioni. 

    Cora, Alma e Zaira si fecero piccole piccole davanti all’ira di Altea, che troneggiava su di loro come un Leviatano. 

    «E di chi sarebbe la colpa? Di sicuro non mia! Io sono la più brillante neo diplomata dell’Accademia, premiata con un encomio speciale dal Tong in persona. E tu...» balbettò in preda allo sconcerto, «tu sei semplicemente l’alunna più disastrosa che la scuola di questo villaggio ha il dispiacere di ospitare da decenni! Ma che dico: secoli!» 

    Dopo che ebbe ripreso fiato puntò un dito indice assai minaccioso contro il petto della ragazza, «Non solo sei in ritardo di quasi un’ora, non solo devo scarrozzare te e la tua degna compare in questa missione» ululò spostando l’indice contro Zaira, che la guardava con occhi sgranati, «ma come se non bastasse ti sei trascinata dietro il guardaroba di un intero reggimento e, nonostante tutto, mi tocca ammettere che la tua sfacciataggine ha un che di notevole visto che hai anche il coraggio di replicare!» 

    Poi annuì soddisfatta, gustandosi lo sgomento derivato dalla sfuriata, certa di aver chiarito come stavano le cose. Passò dunque ad armeggiare con le corde e fissò il borsone di Cora sulla groppa di G. 

    In ultimo si girò e fulminò la combriccola con lo sguardo. 

    «Bene. Ora, se non avete altro da aggiungere, possiamo partire.»

    3

    Nell’era chiamata Erach quattro ragazze procedevano spedite in direzione del villaggio di Alorat. La Strada si apriva davanti a loro, man mano che uscivano dal borgo. Tre camminavano una a fianco all’altra mentre la quarta viaggiava in groppa ad un asino, tutte inconsapevoli del loro destino.

    «Penso che dovremmo fare il punto della situazione, che ne pensate?» 

    Dopo aver camminato per più di una mezz’ora in religioso silenzio Altea iniziava ad annoiarsi e, mentre borbottava a proposito della pusillanimità di alcuni elementi del gruppo, scivolò agilmente accanto ad Alma, che la guardò insospettita. 

    «Vuoi sgridare anche me?» le chiese, spostandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. 

    «Davvero divertente...» rispose Altea a mezza voce, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni una minuscola agenda rivestita in pelle nera alla quale era fissato il mozzicone di una matita. 

    «Ancora peggio: vuoi prendere appunti. Altea ti prego...» sospirò Alma, «dimmi che stai scherzando.» 

    «Affatto. Mai stata più seria in vita mia: ritengo necessario conoscere le abilità di ognuna di noi in modo da essere preparate nel caso in cui fossimo costrette a combattere.» 

    Alma non poté fare altro che sospirare e voltarsi ad osservare Cora e Zaira, le quali camminavano guardandosi attorno, ignorando completamente la richiesta di Altea. Oltrepassate le mura di Lalonit il paesaggio presentava a perdita d’occhio ampi campi coltivati ai quali si alternavano appezzamenti lasciati a maggese. Grandi balle di fieno, tonde e dorate come il sole, riposavano sull’erba tagliata da poco, il cui profumo si spandeva nell’aria. 

    «Io non ho nessuna abilità speciale» sbottò Cora tutto ad un tratto, «non so fare niente di particolare.» 

    «Già, nemmeno io...» aggiunse Zaira meditabonda, mentre si chinava a raccogliere un lungo filo d’erba, provando a fischiarci attraverso. 

    «Non avevo dubbi» disse Altea scribacchiando due zeri sul suo taccuino, in corrispondenza dei nomi di Cora e Zaira. Poi prese a grattarsi la nuca con la matita, persuasa che il suo primo incarico ufficiale si sarebbe dimostrato un fallimento. Scuotendo la testa Alma prese ad accarezzare le orecchie di G, che trottava al suo fianco agitando le orecchie di tanto in tanto. 

    «Ad ogni modo» intervenne Alma schiarendosi la voce, «io ho già sviluppato la mia abilità speciale. Potresti iniziare a segnare questo sui tuoi appunti». 

    D’un tratto tutto attorno divenne buio pesto, nonostante fosse pieno giorno. 

    L’urlo di Cora risuonò improvvisamente nell’aria, mettendo in allarme tutti i cani della zona, che iniziarono a latrare producendo il tipico effetto a catena. 

    «Aiuto! Cosa succede? Sono troppo giovane per morire!» 

    «Cora piantala! Piantala di tirarmi pugni sul naso!» 

    Nel trambusto che si era generato si sentivano svariate imprecazioni e Zaira, che cercava di divincolarsi dalla gragnuola di pugni di Cora, brontolò massaggiandosi il naso. 

    Poco dopo, accompagnato da un leggero schiocco di dita, il sole tornò ad illuminare la strada e con esso tornò il silenzio. La prima cosa che Zaira riuscì a notare, oltre a una narice lievemente tumefatta, fu il sorriso di Alma che la osservava con le mani appoggiate sui fianchi, ferma in mezzo alla strada. 

    «Ecco qua!» disse, «La mia abilità speciale consiste nell’assorbire la luce, riuscendo a far scendere un cono d’ombra attorno a me. Non è ancora perfetto, ma ci sto lavorando.» ammise con una nota di orgoglio nella voce. 

    «Wow!» esclamò Cora, saltando entusiasta attorno alla sua amica. «Pensavo di essere diventata cieca!» ammise ammirata. 

    «Me ne sono accorta, dato che con un pugno mi hai quasi rotto il naso!» puntualizzò Zaira, mentre continuava a massaggiarsi il viso. 

    Altea invece non sembrava entusiasta della situazione, continuava a scribacchiare sulla sua agenda, masticando i resti di quella che un tempo era stata una matita. 

    «Davvero meraviglioso Alma» disse sputacchiando frammenti di grafite. 

    «La mia abilità speciale invece» proseguì dopo essersi ricomposta, «è questa!»

    In men che non si dica furono circondate dal silenzio: nemmeno un rumore turbava il paesaggio, l’aria sembrava essersi rarefatta ed ogni cosa era immersa in uno stato di immobilità. 

    Dopo qualche tempo, in seguito ad un leggero schiocco, tornarono i suoni, e la voce di Altea che prese a lodarsi come un pavone che fa la ruota. 

    «Ho sviluppato la mia abilità all’età di otto anni, allenandomi con costanza e determinazione ad assorbire ogni più insignificante rumore, ridurre tutto e tutti al silenzio. Fai attenzione tu» disse poi con fare minaccioso rivolgendosi a Cora, «potrei usare la mia abilità su di te quando meno te lo aspetti!» 

    Cora le rispose alzando gli occhi al cielo. Zaira invece si incurvò fin quasi a scomparire sotto la sua spessa coltre di capelli. 

    «Io non ho ancora sviluppato la mia abilità e non credo nemmeno di possederne una» ammise avvilita, «sono una frana. Probabilmente non avevi tutti i torti» confessò rivolta ad Altea, «siamo un peso inutile. Tu ed Alma siete pronte e ben addestrate. Se doveste combattere sicuramente ve la cavereste... io e Cora invece non siamo in grado di fare niente. Non capisco nemmeno perché il Tong ci abbia obbligate a venire con voi, a parte il fatto che dobbiamo recuperare punti per ottenere il titolo di cadetto.» 

    Detto ciò si voltò indietro, come pensando che tornare a Lalonit fosse per lei la soluzione migliore. 

    Zaira era da sempre stata una ragazza indipendente e non amava essere di peso alle altre persone. Questo lato del suo carattere, che l’aveva portata spesso negli anni addietro ad isolarsi, derivava probabilmente dal fatto che era cresciuta in Accademia, circondata sì da persone che le volevano bene, ma senza l’appoggio dei genitori, di cui non si era mai saputo nulla. Tutto quello che realmente desiderava era riuscire a reggersi sulle proprie gambe senza zavorrare chi le stava attorno. 

    Come sempre fu Cora a distoglierla dall’intricato labirinto nel quale si perdevano i suoi pensieri malinconici. 

    «Probabilmente il Tong spera che ci eliminino prima della fine dell’estate, così a scuola non dovranno sopportarci per tutto il prossimo anno. Non credi?» disse, scambiando con l’amica un’occhiata complice e colpevole, anche se a Cora in realtà scappava da ridere. 

    «Mamma mia, che noia!» Altea si rimise in tasca l’agenda e spinse Zaira, intimandole di camminare. 

    «Abilità o meno, il Tong ha deciso che dovevate venire con noi e tanto basta. Anche se devo ammettere che l’idea non mi piace affatto…» confermò guardandole entrambe negli occhi, «non sopporto gli incapaci e ancora meno gli inutili piagnistei, d’accordo?» 

    Procedevano senza sosta ormai da parecchie ore: il sole era alto nel cielo e la fame iniziava a farsi sentire, così decisero di sostare in una piccola radura. Altea, scaricando i bagagli, parlottava a bassa voce con G (il quale ovviamente non poteva risponderle) mentre Alma distribuiva pane, formaggio e borracce piene d’acqua. Attese che tutte si fossero sedute e avessero addentato il primo boccone del pranzo per prendere in mano la situazione, ritenendo che con l’umore così a terra non sarebbero andate da nessuna parte. 

    «Ragazze devo dirvi una cosa. Ascolta anche tu, Altea» disse inseguendola con lo sguardo avendo notato che la ragazza, guardinga, cercava di svignarsela nel sottobosco. Zaira e Cora posarono il cibo e si misero in attesa. 

    «Dovete sapere» attaccò Alma, «che ognuna di noi possiede una abilità speciale: è un dono fondamentale per essere ammessi all’Accademia Militare. Quando ha accettato la vostra iscrizione la Commissione ha sicuramente visto in voi delle ottime potenzialità per esprimere il dono. Non ha importanza se io ed Altea lo abbiamo sviluppato da tempo.» Si fermò cercando le parole adatte. «Arriva per tutti il momento in cui l’abilità si manifesta, il vostro semplicemente non è ancora arrivato.»

    «E potrebbe non arrivare mai» sogghignò Altea, appoggiandosi contro il tronco di una quercia, aspettando che la frase colpisse nel segno. 

    «Basta,ora stai esagerando!» sbottò Alma, che stava perdendo la sua proverbiale pazienza, «Diciamo piuttosto che nessuno si è dato la pena di spiegarvi davvero che cosa stiamo facendo o che cosa stiamo cercando.» 

    «Mi dispiace deluderti, ma io lo so benissimo» riprese lei, punta sul vivo, «è il mio primo incarico ufficiale e come tale deve essere svolto nel migliore dei modi!» 

    «Dispiace di doverti deludere, ma questo non è il tuo incarico ufficiale. Si da il caso che sia il nostro e che non si tratti semplicemente di un banale incarico di primo livello, come forse ti hanno fatto credere.» 

    A sentire la piega che stava prendendo la discussione Cora alzò gli occhi dal cibo e li puntò su Altea, che nel frattempo si era avvicinata ad Alma. 

    «Mio padre mi ha chiesto esplicitamente di parlarvene solo quando saremmo state sufficientemente lontane, in modo tale che a nessuno» disse guardando Cora e Zaira, «venisse in mente di squagliarsela. Questo incarico ufficiale, come lo chiami tu» e questa volta fissò Altea, «è estremamente importante, tant’è che non ci è permesso fallire: è in gioco la serenità del nostro villaggio, anzi del nostro mondo.» 

    Alma fece un breve pausa e guardò le compagne e, constatando che nessuna di loro faceva domande, proseguì. 

    «L’Imperatrice Henna è in pericolo: sta morendo.» 

    Pronunciò la frase con impeto, quasi senza accorgersene. Dopo di che si immobilizzò, come se il solo fatto di aver dato voce a quelle parole rendesse il fatto ancor più terribile di quanto già non fosse di per sé. Cora, Zaira e anche Altea spalancarono gli occhi, sconvolte. 

    Poi, prima di procedere nella spiegazione, Alma sentì il bisogno di sedersi. 

    «Una forza oscura minaccia queste terre. Essa ci circonda: è ovunque. Anche adesso, qui fra noi» sussurrò, guardandosi intorno. 

    Cora percepì distintamente un brivido ghiacciato correrle lungo la schiena. 

    «Qualcuno o qualcosa sta generando questo male oscuro, che sta uccidendo l’Imperatrice. Ormai Henna riesce a stento a controllare il vento e la sua Rosa si sta fermando. Se ciò dovesse accadere sarà la fine per Lei… e per tutti noi.» 

    «Non è possibile» replicò Zaira, «anche se Henna dovesse morire, un’altra Imperatrice le succederà, così come è sempre stato!» 

    «Non è facile come sembra» riprese Alma, sporgendosi in avanti, «dall’ultimo Consiglio dei Tong la situazione è peggiorata. Mio padre mi ha spiegato che non è mai successo che una Rosa dei Venti si fermasse prima del tempo: ora è troppo presto! Ciò che sta uccidendo l’Imperatrice non è normale, non coincide con il corso degli eventi. Non è mai accaduto prima d’ora, capisci?» 

    «Se un male esterno colpisce il cuore del nostro mondo, sarà il caos. Una nuova era potrebbe aprirsi: una nuova Artas.» La voce di Altea risuonò cupa nella radura. Per un attimo il sole fu oscurato da una nuvola e su di loro cadde un’ombra scura e G prese a ragliare, spaventato. 

    «È terribile» mugugnò Cora, che prese a spostarsi sempre più vicino a Zaira. Il suo pranzo giaceva poco distante, dimenticato. 

    «Inoltre è proprio dal Castello che arrivano le notizie» Alma spezzò quel silenzio glaciale e anche l’ombra si dileguò, rapida. «Mia sorella è una Musa, credo lo sappiate...» aggiunse senza guardarle. Poi, con un lieve tremore nella voce proseguì. «Mio padre è in contatto con lei quotidianamente e purtroppo le notizie non sono confortanti: le Muse sono sempre più deboli e l’Imperatrice domina a stento l’elemento dell’aria: il Consiglio dei Tong teme che se Henna dovesse indebolirsi ulteriormente il suo stesso potere potrebbe travolgerla. Ogni rimedio finora tentato si è rivelato inefficace. Sono stati consultati i più illustri medici del regno, ma nessuna cura pare essere efficace: nella teca in cui è custodita la Rosa il vento non è ormai che una lieve brezza.» 

    «Quindi è come se la sua stessa essenza stesse progressivamente abbandonando il suo corpo…» commentò Altea, «l’energia la sta abbandonando e ciò che resta del suo potere potrebbe travolgerla, uccidendola.» 

    «Esatto» confermò Alma, prendendo la mano di Cora, che la guardava atterrita e con gli occhi sbarrati. 

    «E noi cosa dovremmo fare?» le chiese poi, in preda all’agitazione. 

    «Individuare la fonte di questo male, è chiaro» rispose Altea, la cui voce non tradiva alcuna emozione, «e riattivare la Rosa dei Venti: è necessario che il vento torni a soffiare e per la sua legittima padrona.» 

    «E come pensi di fare?» mugolò Cora. 

    «Dobbiamo trovare il quarto elemento.» asserì Zaira, inserendosi nella conversazione. 

    «Il cosa?» 

    «Il quarto elemento!» sbottò Altea, che prese ad intrecciarsi i capelli nervosamente, come se non sopportasse l’inerzia a cui la costringeva la situazione. 

    «All’interno della teca in cui è custodita la Rosa dei Venti soffiano i quattro venti portanti: Zefiro, Ostro, Levante e Tramontana. Il libro Mastro racconta che un tempo queste terre non erano altro che lande desolate, deserti in cui nulla poteva crescere: vi erano solo sabbia e roccia, nient’altro. Poi, un giorno, dalle montagne scese una bambina. Quando la piccola toccò la sabbia rovente del deserto dominato dall’Ostro, il vento divenne parte di lei e l’erba crebbe ai suoi piedi. Fu così con i restanti elementi e, dalla loro unione, nacque la prima Rosa dei Venti: un oggetto di rara bellezza, quasi magico. Nato dalla rena rossa, modellato dall’animo stesso di quella bambina: ovunque Henna passava appariva l’acqua, la terra diveniva fertile ed in queste valli nacque la vita. Fu così che il mondo vide la fine dell’era chiamata Artas.» 

    «Durante il trentesimo anno di regno della prima Imperatrice» proseguì Zaira, alzandosi e mettendosi a camminare in cerchio, «a corte si presentò un uomo che disse di essere un artigiano, desideroso di mettere a disposizione dell’Imperatrice la sua arte: il suo nome era Gaël. Egli raccontò di aver costruito un oggetto nel quale conservare la Rosa dei Venti... quando Henna lo vide e lo toccò ne rimase stregata: quella piccola teca con la sua perfezione si dimostrò più potente di un sortilegio, come se fosse in grado di dominare sulla sua volontà. Fu allora che Gaël chiese all’Imperatrice di soffiarvici dentro.» 

    «Esatto» riprese Altea, leggermente infastidita dalla interruzione. «Purtroppo l’uomo non era chi diceva di essere: con intento malvagio aveva realizzato quella teca così armoniosa, così bella e lucente. Henna pose la sua Rosa all’interno della teca e si fece persuadere a soffiarvi dentro il suo potere: il potere dei quattro venti.» 

    «Ma nell’attimo in cui si stava accingendo a soffiare, ebbe paura…» disse Alma, rivolta a Cora, «Henna percepì un’ombra scura attraversare lo sguardo di Gaël: fu solo un attimo, ma esitò.» 

    «Decise allora» Altea si reinserì nella conversazione, sempre più infastidita dalle continue interruzioni, «di soffiare parte di ogni vento dentro altrettante sfere. Ne diede una ad ogni Tong, poiché la sua forza fosse custodita e distribuita equamente. Ne conservò solamente una per sé: Tramontana, essendo il più pericoloso tra i venti, l’unico capace di distruggere, con la sua gelida violenza, tutto ciò che incontra. Nascose quindi la sfera in un luogo che solo lei conosceva. Dopo di che trasferì la Rosa dei Venti all’interno della teca... e solo allora Henna si pentì per ciò che aveva fatto.» 

    «Aveva allontanato il potere dal suo corpo, chiudendolo in gabbia...» sussurrò Zaira, che continuava ad andare avanti e indietro, gesticolando. 

    «Gaël l’aveva ingannata: quell’oggetto non era un dono bensì una prigione.» 

    «Fu così» disse Altea, ormai al limite della sopportazione, «che iniziò la Prima Guerra: Gaël tentò di rubare la teca e il quarto elemento, per impossessarsi del potere dell’aria, e l’Imperatrice fu costretta ad ucciderlo.» 

    «Ma…» provò ad obiettare Zaira, che la storia se la ricordava molto più articolata.

    «Come stavo dicendo, prima di essere nuovamente interrotta» proseguì Altea piccata, «Henna ordinò ai Tong di custodire le sfere, proibendo loro di utilizzarle. Avrebbero dovuto liberare i venti solo nel caso in cui la Rosa avesse smesso di girare. Ma dal momento che il suo potere era ormai legato ad un oggetto che chiunque avrebbe potuto cercare di sottrarre era necessario mantenere il segreto più assoluto.» 

    «Nessuno sa dove si trovi il quarto elemento, la sfera di Tramontana» disse Zaira d’un fiato. 

    «Ma si narra» concluse Altea fulminandola con gli occhi, «che quando si sarà ricongiunto con gli altri, la Rosa dei Venti tornerà a girare con rinnovato vigore. Ad ogni modo lo sapevano tutti» confermò, con uno sguardo tra l’allibito e l’irritato. 

    «Si può sapere che cosa facevi durante le lezioni di Storia Antica?» 

    Cora, che aveva seguito la spiegazione con tanto d’occhi, si portò una mano alla bocca e proruppe in un gridolino terrorizzato. 

    «Ma è davvero una cosa terribile!» disse, prendendo Zaira per un braccio e, slegando G, gli saltò in groppa. Poi si voltò a guardare Alma ed Altea, che non si erano mosse e la fissavano sconcertate. 

    «Si può sapere ora che stai facendo?» le domandò Altea, che non sapeva più che cosa aspettarsi. 

    «Vado. Vi sembra il caso di starvene lì imbambolate, quando la situazione è così disperata?» 

    «In effetti, non ha tutti i torti» disse Alma rivolta ad Altea, che accennò un’alzata di spalle. 

    E così, senza nemmeno aver lasciato loro il tempo di replicare, Cora si riportò sul sentiero. 

    Il sole era ormai tramontato oltre le valli quando le quattro ragazze e l’asino arrivarono alle porte del villaggio di Alorat e si accinsero ad attraversare il ponte che collegava l’insediamento abitato alla Strada. La serata era afosa e, nel silenzio che le circondava, era possibile distinguere nitidamente il suono di ogni passo sulle lunghe assi di legno. Giunte davanti al portone d’ingresso due guardie armate chiesero loro di identificarsi. Quando Alma si presentò come figlia del Tong di Lalonit, mostrando loro un salvacondotto firmato da suo padre, i due uomini chinarono leggermente il capo e alzarono la sbarra consentendo

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