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KRUGÄN - Il segreto della magia
KRUGÄN - Il segreto della magia
KRUGÄN - Il segreto della magia
E-book437 pagine6 ore

KRUGÄN - Il segreto della magia

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Info su questo ebook

Secondo volume della trilogia del KRUGÄN

Quattrocentonavantadue anni prima della Guerra delle Razze, Enan ricompare dopo un anno di esilio sancito dall’Ordine di Lärurîth.
All'alba di una nuova era per i giovani popoli di Arset, voci di una possente armata di creature sconosciute, invincibili e inarrestabili rimbalzano di bocca in bocca.
Un ragazzo senza nome e senza memoria si trova nel mezzo di una guerra che apparentemente non gli appartiene, ma non sempre le cose sono come sembrano, e un legame indissolubile lo unisce a Enan.
Tutto è già stato scritto o ognuno può ancora decidere il proprio destino?
È appena iniziata una storia che avrà fine più di duemila anni dopo.
http://www.krugan.org
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2013
ISBN9788867555789
KRUGÄN - Il segreto della magia

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    Anteprima del libro

    KRUGÄN - Il segreto della magia - L. A. Beaver

    dopo.

    CAPITOLO 1°

    L’INVASIONE

    Era una calda sera della Terza Luna di Primo, una leggera brezza giocava con le foglie degli alberi accompagnando il canto dei grilli che dominava tutta la campagna. Grandi bracieri erano stati disposti a intervalli regolari intorno alle mura di Meltar, per aumentare la visibilità notturna. Dai territori vicini le notizie giungevano di rado, spesso incomplete, ma di recente erano aumentate, e c’era sempre un termine ricorrente: invasione. Chi fossero gli invasori non era chiaro, diverse erano le versioni, più o meno credibili, più o meno fantasiose, ma per non sottovalutare la situazione, il re di Meltar aveva decretato il massimo livello di allerta.

    «Hai mai visto un elfo?» chiese Jirian al compagno.

    «Certo che non hai argomenti migliori per una discussione?»

    «Non t’incuriosisce un po’? Insomma, uomini che hanno il corpo modificato in modo bizzarro… ne parlano tutti in città, come fai a non esserne interessato?»

    «Popoli lontani, civiltà esotiche… non metto in dubbio che potrebbe essere interessante conoscerle, e non parlarne a vanvera, tantomeno durante un turno di guardia! Il posto giusto è in una taverna, davanti a un boccale di birra!» ridacchiò.

    «Mio caro Naban, fai bene a mantenere sempre un atteggiamento serio in questi momenti, altrimenti verresti sicuramente sorpreso a combattere con un boccale di birra in mano!» disse Jirian scoppiando in una risata.

    «Ragazzi, di che si parla?» intervenne un altro avvicinandosi.

    «Vannel, tu hai mai visto un elfo?» gli chiese Jirian.

    «Io? Sicuro!» gli occhi degli altri due erano stupefatti.

    «Nooo, stai scherzando…»

    «Ti dico che è vero! Certo non l’ho visto bene da vicino, ma era proprio un elfo!»

    «E dove l’hai visto?»

    «Sarà stato una settimana fa, era arrivata in città una delegazione di stranieri…»

    «Sì, me lo ricordo.»

    «Ecco, io ero stato inserito nel servizio d’ordine delle sale interne, che per l’occasione era stato incrementato, e ho potuto vedere che uno di questi aveva le orecchie a punta e uno sguardo affilato come una lama!»

    «È proprio così! Si dice che abbiano tutte le parti del corpo a punta, e gli arti allungati e sottili come stecchi…»

    «Niente a che vedere con i nani!»

    «Sì, quelli sono tutto il contrario: sono tutti piccoli e tondi, così pieni di peli che di qualcuno non si vede neanche la faccia…»

    «E che non si riescono a distinguere i maschi dalle femmine!» scoppiarono entrambi in una risata.

    Naban, invece, si allontanò, annoiato dal mucchio di fesserie che stavano dicendo, e si sporse appena dalla cinta di mura. Davanti a lui, a livello della strada, la linea di bracieri infuocati illuminava l’oscurità fino a quasi un centinaio di passi dalle mura. Accanto ad ognuna di quelle pire, due guardie provvedevano a mantenerle vive.

    Naban scrutò più lontano, cercando di penetrare il buio della pianura che si estendeva davanti alla città, con l’aiuto della luna quasi piena.

    – Sembra tutto tranquillo – pensò – speriamo sia lo stesso dall’altra parte – e si girò verso la città in direzione delle montagne – lì la foresta è molto più vicina.

    Il profilo nero delle vette incombeva pesantemente sul suo animo, e il suo volto divenne cupo.

    – Quelle montagne – pensò, poi si avvicinò agli altri due, che stavano ancora versando parole sui buffi vestiti degli gnomi o su come si potesse distinguere le femmine dai maschi dei nani.

    «Occhi gialli, zanne affilate e sporgenti, il loro sangue è nero, sembrano uomini, ma sono anche bestie, divorano i cadaveri dei loro nemici, e gli staccano la testa per esporla come trofeo…»

    I due lo guardarono inorriditi.

    «A queste creature dovremmo pensare, non agli elfi o ai nani, ma a queste creature!»

    «Che cosa stai dicendo, Naban?» chiese Jirian.

    «La scorsa settimana mentre ero a caccia sulle montagne ho incontrato un uomo sfinito e in stato confusionale…» fece una pausa «aveva attraversato le montagne a piedi per fuggire dall’inferno che sta regnando dall’altra parte di queste vette. Lì, le città stanno cadendo una dopo l’altra, i loro eserciti distrutti da un’armata tanto possente quanto irresistibile, composta da queste creature, forse demoni! Questo mi ha raccontato prima di morire…»

    «Non ce l’avevi detto…» disse Vannel.

    «Lo hai riferito ai superiori?» aggiunse Jirian, Naban annuì.

    «Sono stati loro a impormi il silenzio, avrei solo creato del panico.»

    Gli altri due non dissero nulla.

    «Ma ho pensato che voi lo avreste dovuto sapere… in fondo siamo soldati, è il nostro lavoro… dovremmo essere abituati a queste cose!»

    «Già, dovremmo…» Jirian rabbrividì «anche se non è proprio il nostro lavoro combattere con i demoni!»

    «Meglio sapere con chi avremo a che fare… ma sei convinto che arriveranno anche qui?»

    «Sfortunatamente sì… ho visto il terrore negli occhi di quell’uomo, un terrore da cui non puoi scappare. Queste creature invaderanno tutte le terre fino all’estremo Nord, e poi passeranno alle terre oltre il mare. Toccherà ai nani, e toccherà agli elfi.»

    «Così però esageri!» lo interruppe Jirian.

    Naban parve come destarsi e scosse la testa. «Sì… sì… scusate, non so che mi è preso… un senso di angoscia mi ha assalito tutto d’un tratto…» fece un profondo respiro cercando di scacciare le sue paure.

    «Ehi, guardate… sta calando la nebbia!» disse Vannel.

    I tre si affacciarono dalle mura, e videro un enorme banco di nebbia bianco lattiginoso avanzare nell’oscurità, reso ben evidente dalla luce lunare.

    «Strano…» disse Naban. «Un attimo fa, la pianura era tutta sgombra…»

    «Al buio avrai visto male… più che altro non è il tempo delle nebbie, questo.»

    «Io vi dico che non c’era, con la luna si sarebbe vista subito una cosa del genere…»

    Rimasero a osservare la nebbia in silenzio, fino a che, albero dopo albero, cespuglio dopo cespuglio, attraversando prati e tagliando strade, non raggiunse la linea dei fuochi proprio sotto di loro.

    «Si è fermata…»

    «Non poteva fare altro vicino al fuoco!»

    La nebbia sembrò esitare, poi si fermò del tutto, era innaturalmente statica, immobile. Da qualche parte in mezzo a quel mare bianco opaco iniziarono a sentire dei colpi possenti rimbombare verso di loro.

    «Li sentite anche voi?»

    «Che cosa sono?» chiese Vannel.

    «Tamburi… grandi tamburi: a decine!» rispose Naban.

    I colpi aumentarono di potenza e il ritmo divenne sempre più incalzante.

    «Chi si diverte a suonare i tamburi di notte?» fece Jirian «non sono neanche granché bravi!»

    «Già, il motivetto è un po’ troppo ripetitivo!»

    «Non sono venuti a divertirsi… o forse sì, ma lo faranno a spese nostre!»

    E come fosse stata una sentenza, non appena ebbe finito di parlare, la nebbia vomitò una miriade di strane e aggressive creature. Come uno sciame di vespe, si abbatterono sulle poche guardie attorno ai fuochi, spazzandole via.

    «Dannazione, ci stanno attaccando! Jirian non stare lì impalato, corri a suonare la campana!» urlò Naban sguainando la spada.

    Vannel e altri lungo le mura imbracciarono archi e frecce e iniziarono a bersagliare i nemici che stavano raggiungendo le mura. In lontananza si iniziarono a sentire i rintocchi impazziti della campana, alla quale fecero eco subito dopo quelle presenti nelle altre torri, diffondendo all’istante l’allarme a tutta la città.

    «Naban! Le scale!» urlò un soldato.

    Naban prese una lunga asta con l’estremità biforcuta.

    «Vannel, centra il piolo e spingi, svelto!»

    Entrambi spinsero con tutta la forza che avevano, riuscendo ad allontanare la scala, che cadde all’indietro fra le urla di quelle creature che stavano salendo.

    «Arcieri!» gridò Jirian tornando dalla torre a tutti quelli che potevano sentirlo, quindi si riparò dietro i merli aspettando che si abbattesse la raffica di frecce.

    «Perché ancora non scattano i sistemi di difesa?»

    «Le postazioni sono ancora vuote» rispose l’altro indicando le torrette vicine.

    «Allora occupatene tu!»

    «Io non so usare nessuno di quei trabiccoli!»

    «È più semplice di quello che pensi, metti un otre di pece nel cestello, dai fuoco allo straccio legato e fai scattare il meccanismo… c’è una leva da qualche parte. Io mi occupo di quell’altra!»

    Jirian corse di nuovo sulla torre, gli mancava il fiato, ma l’adrenalina non gli faceva sentire la stanchezza. Trovò un gruppo di orci accumulati da una parte, ne prese uno. A fatica lo sistemò nel cestello della piccola catapulta, e diede fuoco allo straccio che faceva anche da tappo.

    – Sarà questa… – pensò e, con tutta la forza che aveva, tirò una leva posta a lato della macchina, che vibrò tesa dopo lo scatto, e l’otre era già a parecchia distanza dalle mura. S’infranse in mezzo ai nemici, spargendo il contenuto tutt’intorno e incendiandolo all’istante.

    «Facile!» commentò Jirian.

    Naban aveva fatto lo stesso, dall’altra torre, preparando già il lancio successivo. Sotto di loro le grida di dolore giungevano nitide in mezzo alla confusione dell’assedio in corso.

    L’attacco incendiario creò confusione tra i soldati di quelle strane creature, che dimostrarono poca disciplina, fu però una cosa momentanea, le truppe infatti si ricomposero con la stessa velocità con cui si erano disperse.

    Jirian prese un altro otre, ma si fermò a metà strada accorgendosi di non poterlo mettere nel cestello della catapulta. – E ora come si fa a rimetterla come prima? Questo non me l’ha spiegato – Diede uno sguardo all’altra postazione, dove Naban aveva fatto partire il secondo colpo, e ora stava ricaricando il suo meccanismo.

    «È troppo lontano, non capisco come fa» borbottò, e proprio allora vide l’estremità di una scala aggrapparsi al bordo degli spalti davanti a lui. Lasciò l’otre di pece per terra e si affacciò dalle mura: vide una fila di soldati nemici che si arrampicavano sulla scala come formiche.

    Jirian non ci pensò due volte: prese l’otre da terra, incendiò lo straccio e lo lasciò cadere dal bordo delle mura, proprio sulla testa dei nemici che stavano salendo la scala. L’otre si spaccò a metà sull’elmo del primo della fila che fu avvolto dalle fiamme, e cadde contorcendosi dal dolore; su quelli sotto di lui si abbatté una pioggia di fuoco, e tutta la scala avvampò incendiandosi.

    «Soldato, torna alla tua postazione, qui ci pensiamo noi!»

    Jirian si girò. «Finalmente siete arrivati!» disse. «Il trabiccolo è tutto vostro…» e corse via.

    Le scale che approdavano alle mura aumentavano di numero, sotto di esse una moltitudine di nemici scalpitava per riuscire a salire, e sempre più spesso qualcuna di quelle creature riusciva a raggiungere gli spalti. E ciò che ci si trovava di fronte era difficile da catalogare come un vero e proprio soldato: piuttosto basso e mingherlino, era sostanzialmente uguale a un essere umano, ma aveva la pelle rugosa e bitorzoluta, di colore grigiastro tendente al giallo. Di una serie di pezzi di metallo tenuti insieme da lacci di cuoio ne facevano una rozza armatura, e in mano brandivano spade corte e pugnali che sembravano più strumenti di macelleria che vere e proprie armi. Un paio di piccoli occhi poco intelligenti e un largo ghigno di follia si nascondevano dietro a un semplice scudo di legno ornato da ossa di animali e simboli tribali rossi e neri. Erano combattenti mediocri, goffi e avventati, ma l’enorme numero e la totale mancanza di prudenza ne facevano una buona risorsa in battaglia.

    Dopo che tutte le truppe regolari ebbero preso posizione sulle mura, gli assalti vennero respinti uno dopo l’altro fino a che nessun soldato nemico riuscì più a mettere piede sugli spalti. I sistemi di difesa entrati in funzione avevano reso difficile e pericoloso il solo avvicinarsi alle mura: le massicce raffiche di frecce e gli orci incendiari erano portatori di morte sicura, e presto il campo davanti alle mura fu riempito di cadaveri e fiamme. I nemici si diedero a una fuga disordinata, e i soldati sulle mura esultarono per la vittoria.

    «Naban, non erano poi un granché questi guerrieri, se si possono definire tali…» disse Jirian.

    «Occhi gialli? Zanne affilate e sporgenti? Esercito inarrestabile?» aggiunse Vannel con una punta di sarcasmo.

    «Dite pure quello che vi pare, voi non avete letto l’orrore negli occhi di quell’uomo!» rispose stizzito. «Magari l’esercito a cui si riferiva era un altro…»

    «Sempre che quello che ci ha attaccato si possa considerare un esercito!» lo interruppe Jirian.

    «Già, quegli strani omuncoli sembravano avere pentole e padelle al posto di un’armatura!» disse Vannel ridacchiando. «Non capisco come abbiano potuto pensare di attaccare una città conciati in quel modo! Una qualunque di quelle creature ha sì e no la forza di un ragazzo di quattordici anni…»

    «Sono pure abbastanza facili da uccidere, gesticolano con quelle piccole spade in modo tanto ridicolo quanto inefficace!»

    «È vero, certe volte sembra che le loro teste si spacchino da sole!»

    «Ascoltate!» disse Naban zittendoli. «Hanno ricominciato a picchiare i tamburi!»

    «Non avranno intenzione di riprovarci…»

    «Se sono così stupidi peggio per loro!»

    «Gubal…»

    «Cosa?»

    «Gubal,» ripeté Jirian «nel paese di mia nonna usavano questo termine per indicare una persona pazza o stupida, senza cervello!»

    «Un esercito di gubal… il nome gli si addice!» disse Vannel.

    «Strano…» disse Naban.

    «Cosa, il nome?»

    «Il nome? Quale nome?»

    «Gubal… lascia perdere, cosa stavi dicendo?»

    «Ormai è un po’ che si sentono i tamburi, ma ancora non si vede nessuno…»

    «Appunto… gubal!»

    I tamburi risuonarono tutta la notte, tenendo sveglia la città assediata, i soldati arrivarono a vedere le prime luci dell’alba senza aver chiuso occhio, con nervi e muscoli tesi, aspettando pronti a un probabile attacco. Ma l’esercito nemico non si fece vedere per tutta la mattina, rimanendo nascosto in quella nebbia innaturale che circondava la città: quella snervante attesa avrebbe lavorato a suo favore, logorando gli animi delle truppe in difesa di Meltar.

    Nonostante fosse una calda giornata, fu solo quando il sole raggiunse il punto più alto nel cielo, che la nebbia si diradò rivelando il campo nemico davanti alla città. A migliaia si stavano radunando per sferrare l’attacco, e questa volta non si trattava solo di gubal: tra le fila nemiche, ordinati in reparti compatti e ben disciplinati, erano presenti guerrieri più alti e robusti, alcuni dei quali superavano le dimensioni di un normale essere umano. Quella massa caotica di gubal che aveva attaccato la sera precedente non era che l’avanguardia dell’esercito invasore. Migliaia e migliaia di lame brillavano al sole di luce sinistra, pronte a tingersi di rosso. Migliaia e migliaia di lame che ora stavano puntando tutte verso la stessa direzione.

    «Occhi gialli, zanne affilate e sporgenti, il loro sangue è nero, sembrano uomini, ma sono anche bestie…» disse Naban tra un urlo e l’altro sulle mura, guardando l’esercito in avvicinamento «che vi avevo detto?»

    «Ora… ora posso capire il terrore negli occhi di quell’uomo…» disse Jirian, mentre una goccia di sudore, partendo dalla fronte, gli rigò la guancia.

    Qualche freccia iniziò a sibilare intorno a loro, poi aumentarono di frequenza, come in un inizio di temporale estivo.

    «Preparatevi al peggio!» disse Naban agli altri due.

    I nemici arrivarono alle mura, decine di scale e rampini vi si aggrapparono, spuntarono le prime macchine: catapulte, onagri e trabucchi presero posizione alle dovute distanze, mentre arieti venivano portati alle porte della città per cercare di sfondarle.

    Da questo momento iniziò il vero assedio.

    Anche i sistemi di difesa della città entrarono in funzione: massi, orci di pece infuocati, e ogni genere di cose veniva proiettato sulle truppe nemiche con catapulte e baliste, olio bollente veniva versato su chi provava a scalare le mura, e gli arcieri rispondevano freccia con freccia, freccia su freccia, e il cielo divenne scuro per la quantità di proiettili di vario tipo che le due parti si lanciavano contro, seminando morte e distruzione.

    Tutto era reso più difficile e faticoso dalla calura estiva, sudore e polvere formavano un velo appiccicaticcio sotto l’armatura e i paramenti.

    «Jirian, Vannel, venite! Hanno preso la torre!» gridò Naban vedendo che la postazione di difesa alla loro destra era stata invasa da gubal e alcune delle altre creature. Altri soldati seguirono i tre per ricacciare i nemici oltre le mura, e altri ancora giunsero dall’altro lato della torre, mentre un gruppo di arcieri concentrò i loro attacchi in quella zona. I gubal furono i primi a lanciarsi all’attacco, e anche i primi a soccombere, mentre con le altre creature si ingaggiò un feroce corpo a corpo per il controllo della torre. Se questa fosse rimasta in mano nemica sarebbe stata un punto di accesso per gli attaccanti, una falla che i difensori non potevano permettersi.

    Le scale che avevano raggiunto la torre vennero divorate dal fuoco, schiantate a terra sotto il peso di grossi massi lasciati cadere dalle mura, e senza il flusso di nemici che giungevano, la torre fu riconquistata in poco tempo. Gli ultimi gubal rimasti vennero spinti oltre le mura dalla pressione dei difensori, e precipitarono sui loro compagni che stavano cercando di innalzare nuove scale.

    «CATAPULTEEE!» urlò qualcuno in lontananza.

    Naban alzò lo sguardo e vide grosse palle di metallo accartocciato volare verso di loro. Alcune si abbatterono sulle mura, atre superarono la cinta muraria e colpirono gli edifici subito dietro. Una colpì la torre su cui stavano, che sembrò scossa da un terremoto.

    «Vannel!» gridò Jirian.

    Il pavimento della torre aveva ceduto proprio sotto i piedi del compagno, che vide scivolare giù, insieme alle pietre e alle macerie. I suoi occhi terrorizzati lo fissavano gridando una disperata richiesta d’aiuto mentre cadeva nel vuoto.

    Dalla parte distrutta della torre venne fuori una grande sfera di metallo scuro dalla forma irregolare, piena di punte sporgenti. Sotto gli occhi increduli dei soldati, la sfera si mosse da sola, e aprendosi, spuntarono due braccia, due gambe e una testa. Naban si sporse velocemente dalle mura, e vide che anche le altre sfere si stavano muovendo, addirittura quelle che si erano schiantate sulla parete delle mura lo stavano scalando a bracciate.

    «Quella cosa che hanno lanciato con la catapulta è viva!» esclamò Naban.

    «Quella cosa è un horikan dentro un’armatura massiccia!»

    «Un ori-che?»

    «Un horikan, così ho chiamato l’altro tipo di guerriero nemico» rispose Jirian.

    «Qualunque cosa significhi nel dialetto di tua nonna, mi basta sapere che quella è una cosa che si può uccidere!»

    In quello stesso momento l’horikan emise un urlo incomprensibile di sfida e si gettò sui primi soldati che aveva a tiro. Grossi e spessi artigli di metallo scuro spuntarono dai guanti dell’armatura, che quindi usava sia come scudo sia come arma, e presto si ricoprì di sangue.

    Jirian e Naban si gettarono nella mischia, menando fendenti e affondi a ripetizione, ma quel metallo scuro sembrava più resistente delle loro spade, cosicché ogni attacco risultava vano, al contrario di quelli che portava l’horikan, che gustava la facilità con la quale abbatteva gli avversari. Si poteva intravedere un ghigno sadico stampato sul suo muso animalesco, incastonato nell’elmo dell’armatura.

    Jirian si allontanò di corsa, raccolse un arco da terra e incoccò una freccia. Con calma e pazienza prese la mira, seguì nella mischia i movimenti del nemico, poi lasciò partire il colpo. La freccia rimbalzò sull’armatura a un palmo dal collo, facendo innervosire l’horikan. Jirian, contrariato, strappò una freccia da un cadavere che aveva a fianco, e tornò a prender e la mira. Ora la corda tesa era resa scivolosa dal sudore, poteva sentire il suo minimo movimento sulle due dita.

    – Forza – pensò – come nelle gare… – d’istinto lasciò andare la corda, e la freccia tracciò una linea invisibile tra l’arco di Jirian e il collo dell’horikan. La punta della freccia s’infilò nella giuntura tra il pettorale e l’elmo, penetrando nelle carni.

    «LE GIUNTURE!» urlò «COLPITELO ALLE GIUNTURE!»

    Naban raccolse il messaggio e dopo aver aggirato il nemico che stava barcollando per il colpo ricevuto, gli saltò addosso, infilzando la sua lama sempre nella giuntura del collo, ma dal lato opposto. L’horikan stramazzò a terra, i soldati esultarono e tornarono ai combattimenti. Jirian raggiunse Naban, puntò la sua lama tra l’elmo e il pettorale, ora lordi di sangue nerastro, e fece leva. Con un colpo l’elmo saltò via, mostrando il volto del nemico: simile a quello di un gubal, ma più massiccio, denti sporgenti e aguzzi, un naso grosso e schiacciato.

    «Vedi? Horikan: uomo-bestia!» disse Jirian a Naban.

    «È stata dura abbatterlo! Per fortuna non sono tutti così!» disse l’altro. «Non oso pensare a cosa sta succedendo dove sono atterrati gli altri…»

    «Non è il momento di pensare, l’assedio non si è mica fermato!» urlò indicando tre horikan ordinari e cinque gubal, che erano riusciti a salire sugli spalti alla loro sinistra.

    «CATAPULTEEE!» gridarono da un’altra torre, e un’altra serie di horikan d’assalto venne lanciata in aria dalle fila nemiche.

    Un fulmine ne colpì uno in pieno, e diramandosi ne prese altri due. Il primo esplose con un boato, gli altri precipitarono a terra, roventi e fumanti.

    «Il vecchio!» mormorò Jirian che si era fermato per il fragore del fulmine.

    Dalla torre da cui era partito l’attacco magico, si ergeva una persona anziana, minuta e visibilmente sciupata dagli anni, ma che nel contempo esprimeva potenza e incuteva timore. Il vecchio era vestito con pochi e semplici panni color sabbia, che gli fasciavano il corpo a strati stretti e larghi, intorno a lui l’energia magica era visibile, leggera e azzurrina.

    «Finalmente si è deciso a intervenire!» disse Naban.

    «Beh, per come sono stati trattati lui e i suoi seguaci, il suo intervento era del tutto improbabile!»

    «In effetti, chissà cosa gli ha fatto cambiare idea…»

    Jirian gli piombò addosso, e spingendo via il compagno, sfondò il cranio di un gubal che stava attaccando Naban alle spalle.

    «Non abbassare la guardia!»

    Proprio allora i tamburi da guerra, che avevano riempito l’aria, scandendo la battaglia, si fermarono. Poi iniziò un basso rollio continuo, s’intravide del movimento tra le fila nemiche, appena fuori della portata degli arcieri. Una specie di ronzio anticipò cinque colonne di fuoco, che colpirono le mura in diversi punti, e tutta una serie di attacchi magici di vario tipo continuarono ad essere sparati senza sosta da un gruppetto di una ventina di horikan privi di armatura e ricoperti di rune tatuate su tutto il corpo.

    Le mura iniziavano a subire gravi danni, e i combattimenti erano precipitati nel caos, poiché gli attacchi stavano colpendo indiscriminatamente i soldati di entrambe le parti, e molte delle truppe assedianti si ritirarono per non essere coinvolte.

    Comparvero altre figure accanto al vecchio, vestite allo stesso modo. Alzarono le braccia al cielo, con i palmi rivolti verso l’alto, e dopo qualche istante un’enorme barriera energetica venne giù come una saracinesca, sottile e trasparente, s’illuminava crepitando leggermente quando intercettava gli attacchi magici del gruppo di horikan, che si fermarono, irritati da quella risposta. A questo punto l’esercito tornò all’attacco, ma ebbe un’amara sorpresa quando le prime file caddero folgorate al contatto con la barriera. I gubal e gli horikan iniziarono a muoversi nervosamente avanti e indietro, lungo la linea della barriera, senza poter avanzare di un passo, mentre i loro compagni, che erano rimasti all’interno, continuarono a combattere, diminuendo sempre più velocemente di numero.

    Al suono di corni rauchi, le schiere si aprirono a metà, lasciando passare un uomo a cavallo avvolto in un mantello nero, il cappuccio gli nascondeva il volto. Si fermò al limitare della barriera, sembrò esitare un momento, poi continuò ad avanzare. Un forte crepitio, come di tante piccole scosse elettriche, si scatenò quando quell’uomo attraversò la barriera forzandola.

    Né lui né il suo cavallo subirono alcun danno.

    Essendo entrato nel raggio d’azione degli arcieri, una nuvola di frecce si sollevò dalle mura come uno stormo d’uccelli migratori, descrisse un breve arco in aria, poi calò su di lui. Ma neanche una freccia lo colpì: più di un centinaio si piantarono intorno a lui, era come se quelle che avrebbero dovuto colpirlo si fossero volatilizzate.

    Quell’uomo continuò tranquillamente ad avanzare fino a una trentina di passi dalle mura, proprio sotto la torre in cui aveva preso posizione il vecchio.

    «Chi sei tu che sfidi così impunemente la mia barriera?» gli chiese il vecchio.

    «Il mio nome è Enan…» disse l’altro, la sua voce era particolare, quasi femminile, penetrante «e sono venuto a dirvi di posare le armi e di arrendervi…» fece una pausa «prenderò possesso di questa città, ne sarò il signore e padrone, e voi mi adorerete come un dio!»

    «Sei solo un folle!» gridò il vecchio «Glaleslethr hempo!» e una grande sfera di fuoco precipitò addosso a Enan, e dopo di essa altre, lanciate dai suoi seguaci.

    «Ulÿon glalesmyrä hempo» pronunciò poi il vecchio per cinque volte, e dalle sue dita si materializzarono cinque sfere lucenti, grosse quanto un melone, che il vecchio posizionò in punti precisi intorno all’avversario, avvolto ancora da fiamme ed esplosioni. Poi il vecchio continuò: «Nathïlmyrä hempo, ellûn ganâth!» le cinque sfere si collegarono formando una stella, tra le cui punte comparvero, a due a due, dieci rune luminose che si diressero repentinamente verso Enan, scomparendo sotto di lui come risucchiate nel terreno «Nathïlnyden hempo, ellûn ganâth!» di lì a poco, decine di grosse liane rampicanti germogliarono avvinghiandosi prima al cavallo, che nitrì impaurito, cercando di scalciarle via, poi al suo cavaliere, che invece rimase impassibile.

    Le liane si irrobustirono e divennero tronchi, ed Enan rimase bloccato. «Nathïlthüni hempo, ellûn ganâth!» dopo pochi istanti di calma, il terreno sotto il groviglio di legno iniziò a cedere: legno, cavallo e cavaliere sprofondarono di colpo in una pozza di fango, stranamente semiliquido nonostante che il resto del terreno fosse secco e polveroso per il caldo estivo.

    Enan ridacchiò sarcastico. «Io ci gioco con voi!» disse, poi fu inghiottito.

    Il suolo riprese la sua normale consistenza, un colpo di vento spazzò via un po’ di polvere su quella striscia di terra che separava le mura dalla barriera magica, e per un istante sembrò che i due eserciti fossero spariti.

    Poi la terra iniziò a tremare.

    Il tremore fu accompagnato da un profondo rombo, il terreno si coprì di spaccature, che partirono dal punto in cui era stato sepolto Enan, dirigendosi saettando verso le mura. Quando vennero raggiunte, iniziarono a scuotersi e i soldati sugli spalti vennero colti dal panico. Dopo qualche istante le scosse terminarono e tornò la calma.

    «È inutile che ti agiti…» disse il vecchio. «Quella sarà la tua tomba!»

    Ma si stava sbagliando di grosso. La pietra si fece molle sotto i suoi piedi, e gli ghermì le gambe, un grande tentacolo di legno elastico e malleabile lo avvolse completamente, e lo trascinò verso il basso, tra le pietre della parete massiccia delle mura. Come lui sparirono i suoi cinque seguaci, inghiottiti dalla roccia davanti agli sguardi sgomenti dei soldati presenti lì vicino.

    La terra cominciò a tremare di nuovo, ma questa volta comparvero in superficie gli effetti del passaggio sotterraneo di qualcosa di grosso. Sei scie di terra smossa avanzarono dalle mura verso il punto in cui era affondato Enan, come solo delle gigantesche talpe potevano lasciare. Da una di queste si sentì il fragore di un’esplosione, e si fermò, al contrario delle altre, che si congiunsero fuoriuscendo in un’unica massa di quello strano legno fluido che sembrò quasi eruttare dal suolo. Da quell’agglomerato legnoso informe, come un robusto germoglio, comparve Enan, che le diede una struttura e un ordine. Si delineò una solida piattaforma alta appena cinque piedi, di forma circolare, ai bordi della quale si ersero cinque piccoli obelischi di legno intrecciato. Al suo interno invece, spuntarono cinque colonne, dalle quali emersero i corpi dei seguaci del vecchio mago.

    «Ne manca uno all’appello!» disse. «Sarà più divertente…»

    Si avvicinò ai cinque. «Dunque eravate voi a tenere su la barriera… ora non c’è più!» gli disse «ma non vi preoccupate, non lo diremo a nessuno… per ora!» quindi si girò verso le mura. Dove la sesta scia si era interrotta, stava venendo fuori il vecchio, avvolto da una leggera patina energetica che faceva ronzare l’aria.

    «Oh-oh, sembra arrabbiato!» commentò ridacchiando Enan. «Sai? Il tuo ultimo attacco mi ha un po’ infastidito!» gli gridò. «Vedi, era un buon cavallo, e tu me l’hai ucciso… ma è stato divertente, quindi, nonostante questo, ho deciso di darti una possibilità: colpiscimi pure con le tue magie più potenti, io me ne starò qui buono, senza fare nulla… che ne dici?»

    «Dico che sei un maledetto presuntuoso, e a tua stoltezza ti porterà alla tomba!»

    «Perché, hai visto in giro qualcuno di pericoloso?» disse Enan guardandosi intorno.

    Il vecchio al colmo del furore iniziò a tessere un incantesimo che materializzò una grossa sfera di fiamme roventi, tale da sembrare un piccolo sole sceso dal cielo.

    «Attento, così colpirai anche loro… non sono forse i tuoi seguaci?» lo avvertì Enan, indicando i cinque giovani imprigionati alle colonne di legno.

    Il vecchio esitò un istante, poi lanciò la sfera incandescente verso il suo avversario, che rimase fermo aspettando l’impatto senza fare una piega. A quattro palmi da Enan, proprio al limite della piattaforma legnosa, la sfera s’infranse deflagrando in un’esplosione di fuoco e fiamme. Non una sola però si avvicinò a Enan, più di quei quattro palmi. Nonostante il torrente di energia sprigionato, la piattaforma non subì alcun danno.

    Il vecchio si accasciò a terra stremato.

    «Poveretto… non si era accorto della barriera, e si è completamente consumato!»

    «Non sei di parola, straniero!» gridò uno dei cinque prigionieri.

    «Tecnicamente la barriera si è attivata non appena questi cinque pilastri si sono innalzati. Io non ho fatto nulla da quando ho appunto detto che non avrei fatto nulla» rispose Enan «ma tu come fai a parlare in difesa di uno che ti stava per uccidere, nonostante fosse il tuo maestro?»

    «Lui… lui ha deciso di sacrificare le nostre vite per salvare la città!» rispose.

    «Tante belle parole… facile quando a morire sono altre persone, scommetto che in altre situazioni avrebbe sostenuto che la vita di un unico essere umano ha un valore inestimabile, più importante degli interessi di una città» si avvicinò al giovane e lo fissò con i suoi occhi azzurri molto chiari.

    «Mi sembra che io avevo proposto una soluzione all’assedio senza ulteriore spargimento di sangue. Qualcuno se n’è altamente fregato di questa possibilità, qualcuno che, nonostante abbia potuto costatare la mia potenza per ben due volte, ha deciso di attaccarmi altrettante volte, qualcuno che ha messo i propri interessi, e forse il suo orgoglio, al di sopra di quelli degli altri, di quelli della città, qualcuno che ora giace per terra in mezzo alla polvere» poi si girò verso gli altri «In fondo avevate già un re, un governatore, un qualcuno a cui dovevate obbedienza, un qualcuno da onorare… o sbaglio? E dalle facce che fate, non eravate neanche in buoni rapporti… Sempre la solita storia: qualcuno ha dei poteri strani e viene emarginato dai suoi simili, viene perseguitato per la sua diversità!»

    «Cosa vuoi saperne te di cosa abbiamo passato?» disse sommessamente un altro.

    «Cosa ne voglio sapere io? Secondo voi perché ho iniziato questa guerra? Anch’io ho subito un rifiuto dalla comunità in cui vivevo, anch’io sono stato maltrattato, esiliato. Ma io ho deciso che questo non era il mio destino, e ho voluto cambiare le cose, voglio portare un nuovo ordine in questo mondo!» tornò a guardare la città, e il vecchio che cercava di rialzarsi.

    «Ho parlato fin troppo, chi sbaglia paga, e il vecchio deve pagare. Voi avete due possibilità se volete sopravvivere: unitevi a me e aiutatemi a cambiare le cose. Vi farò miei allievi, e miei diretti subalterni, vi darò il governo del mondo intero. Oppure andate via da qui, e annunciate il mio arrivo, annunciate l’arrivo di un nuovo ordine. Se vi ostinerete a combattermi farete la fine del vecchio… la città sarà mia in ogni caso!»

    Scese dalla piattaforma e si avvicinò al vecchio. Si accosciò davanti a lui e gli sollevò la testa prendendola per il mento. Lo osservò

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