Antisraelitismo
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Anteprima del libro
Antisraelitismo - Pavoncello Vittorio
PERCHÉ ISRAELE CONTINUI A ESISTERE
C’è una differenza immensa fra il discutere di un governo e decidere di eliminare uno Stato. Eppure, questo equivoco perdura al punto da far pensare che c’è chi si rende conto dell’equivoco e lo usa con deliberata innocenza, scambiando uno sgradevole primo ministro con la sopravvivenza di un popolo. Non è fuori posto tentare una ricostruzione degli eventi e dell’estremo pericolo a cui questi eventi hanno portato. Ed è quanto questo nuovo libro, Antisraelitismo, si pone come obiettivo.
Una ventina di anni fa, quando ero ancora membro della Jerusalem Foundation e incontravo frequentemente i maggiori scrittori israeliani nel progetto comune di far diventare cittadini israeliani gli intellettuali arabi che facevano parte della Foundation (il tutto fondato e sostenuto dalla consorte di un ex ambasciatore israeliano a Roma), avevo pensato di raccogliere gli aspetti difficili o negativi della mia esperienza in un testo che si intitolava La fine di Israele. L’orientamento allarmato del libro è risultato purtroppo anticipatore di realtà. Erano i giorni in cui un delitto politico ha spezzato il rapporto stretto (personale e politico) con il premier Rabin, i giorni in cui Lea Rabin ha rifiutato di stringere la mano del leader di destra Nethanyau, che dopo alcuni difficili passaggi, è diventato e restato primo ministro, trasformando il Paese creato e fondato dai sopravvissuti, fino al punto da farlo diventare il protagonista di continue azioni militari che si contrapponevano e allo stesso tempo si associavano alla voglia di guerra della parte votata al terrorismo dei Palestinesi.
Tra le destre del mondo, quelle che si identificano in Trump, in Orbàn, con il suprematismo e con il potere bianco, con il tarlo che rode tutte le democrazie europee, all’improvviso, con immensa sorpresa, troviamo anche il governo di Israele. Anzi, Israele si colloca all’estrema destra del mondo, e ci accorgiamo che le destre del mondo ne prendono atto e si associano. Si dispiega allora, sotto la guida di Nethanyau, l’idea che ha sempre guidato tutte le destre del mondo: le guerre si possono vincere o perdere ma non possono finire. Chi legge potrebbe dire che per giustificare la mia triste previsione - che a quel tempo sembrava impossibile - di Israele a destra, non ho citato il fatto grave fino alla follia, del massacro del 7 ottobre. Il fatto è che il 7 ottobre apre un cratere di orrore che definisce e cambia per sempre identità e realtà degli autori (progetto ed esecuzione) del massacro, Ma non ha la forza di cambiare l’anima e lo spirito di Israele, meno che mai di sradicarlo. Sembra chiaro che coloro che hanno in serbo sempre nuove ragioni di accusare e odiare Israele vengano dal passato remoto e recente, dalle due parti della Shoah, quando si odiava senza dirlo, e quando si diceva e si eseguiva nei modi più disumani, muniti di annunci e cerimonie. Ma c’è una vasta valle di gente giovane con selve di bandiere arabe, che dà l’impressione di trovarsi a casa nel vecchio miscuglio di tradizioni persecutorie e di rifiuto di accettare Israele. Qui forse c’è spazio per divaricare due guerre, quella contro la totale violenza politica della gente di Nethanyau che rincorre una remunerazione impossibile dell’immenso male gettato su Israele dagli orrori del 7 ottobre. E quella per difendere e salvaguardare Israele, persino dopo l’intollerabile evento che ha scardinato in profondo ogni possibilità di vivere insieme in Medio Oriente. La domanda, e la profonda incertezza disegnano un vuoto che non si capisce se sia colmabile o destinato a durare e generare guerre. Se la storia, con tutto il suo sangue, si potesse trasformare in un racconto, nel racconto, per poter uscire dalla trappola, si dovrebbero rimuovere i capi e affidarsi ad altri personaggi che non siano adoratori di morte, pur avendola patita fino in fondo. Un simile cambio, detto qui, non può che apparire pura fantasia o desiderio impossibile, una sorta di buonismo privo di fondamenta. Però sarebbe un errore dimenticare che Israele è, proprio intorno al grave ingombro di estrema destra di Nethanyau, un Paese profondamente spaccato. E che queste spaccature non sono dovute soltanto alla scelta di estrema destra del primo ministro, ma, molto di più, a eventi che stanno accadendo, soprattutto la questione degli ostaggi, che solo a Nethanyau sembra meno importante della guerra, ma per metà degli israeliani è il punto chiave su cui regolare il che fare
morale, politico strategico del Paese.
Una cosa va notata anche se appare incoerente con ciò che è stato detto finora. Gli israeliani non sono mai stati più profondamente israeliani di adesso, e, per esempio, la diffusa insofferenza per il premier ossessivamente di destra e amico della destra incline alle armi e alla guerra, deriva proprio dal diffuso distacco dalla politica di Nethanyau.
Furio Colombo
CAPITOLO I
7 ottobre…
Non sembra essere una data come le altre quella del 7 ottobre, ma se fosse vera sembrerebbe una fatale, quanto sinistra ricorrenza. Sarebbe, quindi, meglio che quella data fosse fortuita o legata a una casualità, perché alcune delle sue possibili, probabili, associazioni sarebbero inquietanti, sia per ciò che in passato hanno rappresentato, sia per gli sviluppi che potrebbero avere in un contesto attuale. Il conflitto Medio Orientale per eccellenza, quello che per una misteriosa ragione, quanto inesplicabile, anima e divide il mondo occidentale, non vuole trovare in un passato ancora più lontano del 1948 alcune delle sue cause, rovesciando tutte le responsabilità nella attuale guerra palestino-israeliana. Questa inversione dei termini non è casuale, poiché si è abituati o assuefatti a qualificare la guerra come israelo-palestinese, dove il primo protagonista sembra essere quello che l’ha causata, invece, di essere quello che l’ha subita. E quindi, in questo testo per rimettere le cose nel loro asse, si inizierà, subito, a chiamare il conflitto come palestino-israeliano. Perché nessuno chiamerebbe, oggi, la guerra russo-ucraina come ucraino-russa, in quanto l’aggressore è la Russia. Il perché di questa inversione semantica si deve ad alcune coincidenze che marcano la data.
Il primo 7 ottobre risale al 1571 più noto come la battaglia di Lepanto. In quel giorno la flotta veneziana, insieme alla