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Auto-Determinazione
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E-book207 pagine2 ore

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Autodeterminazione: un diritto naturale, ma sconosciuto, che dal 1945 ad oggi è padre legittimo di oltre 120 nuovi Stati al mondo.

Uno Stato risorgimentale come l’Italia, nato soprattutto per volontà esterna, più che per coesione e convinzione interna, (ora immobilizzato e devitalizzato dalle sue stesse perverse oligarchie e burocrazie, fameliche e familiste) può opporre al Veneto una chiusura formalistica, negando l’esercizio, democratico, pacifico ed elettorale/referendario, del diritto all’autodeterminazione che dal 1945 (per l’Italia dal 1955) è jus cogens (diritto cogente) con forza vincolante per tutti gli Stati aderenti alla Carta dell'’ONU?

Questo saggio approfondisce, in generale, l’interessante ed attualissimo tema del diritto all’autodeterminazione, dedicando l’ultima delle quattro parti dello studio proprio al Veneto, il quale, forte della sua storia, è oggi protagonista di un proprio percorso democratico, verso l’indipendenza e la piena sovranità, agendo non contro ma oltre la Costituzione italiana nel solco sicuro della legittimità internazionale.
*****************
“… Un’opera estremamente equilibrata, perché le considerazioni, gli argomenti, soprattutto giuridici, ma anche filosofici e storici, che costituiscono il tessuto del libro, sono tesi a dimostrare in termini generali ed obiettivi l’esistenza per tutte le Nazioni, per i tutti i Popoli, di un vero e proprio diritto all’autodeterminazione”.
Francesco Mario Agnoli
Presidente aggiunto onorario della Corte Suprema di Cassazione

“Il saggio di Alessio Morosin si inserisce in un dibattito politicamente insidioso, perché tuttora connotato non solo da pregiudizi ideologici spesso alimentati da devianti interessi materiali, ma soprattutto da un radicato pressapochismo culturale, che impedisce il formarsi di una corretta coscienza collettiva circa i valori connessi all’autodeterminazione.”
Giovanni Schiavon
Magistrato: già Presidente del Tribunale di Treviso

“Dobbiamo della riconoscenza ad Alessio Morosin per la tenacia con cui da anni propugna l’ideale di vedere riconosciuta in campo internazionale la Repubblica Veneta attraverso un plebiscito di autodeterminazione”.
Ivone Cacciavillani
Avvocato e storico

“Davvero denso e pregevole sotto il profilo dell’argomentazione giuridico - filosofico - sociopolitica… con una preziosa mole di informazioni”.
Francesco Jori
Giornalista
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2013
ISBN9788868557669
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    Anteprima del libro

    Auto-Determinazione - Alessio Morosin

    Autore

    Morosin-epub.jpg

    Alessio Morosin

    Nato e vive a Noale/Venezia.

    Laureato in giurisprudenza

    all’Università degli Studi di Padova nel 1981.

    Avvocato del foro di Venezia.

    Cassazionista, libero professionista.

    Consigliere regionale del Veneto nella legislatura 1995/2000.

    Contatti

    mail: alessiomorosin@gmail.com

    facebook: Morosin Alessio

    twitter: @ALESSIOMOROSIN1

    Grazie fin d’ora a chi, dopo aver letto questo saggio, mi volesse onorare e gratificare di un suo pensiero, commento o contributo critico.

    Frontespizio

    ALESSIO MOROSIN

    frontespizio_it.jpg

    Come ri·conquistare

    L’INDIPENDENZA DEL VENETO,

    da uno Stato baro, in modo pacifico,

    con la democrazia e il diritto

    Citazioni

    Livio Paladin:

    Nulla nel mondo del diritto può essere sottratto alle vicende della storia.

    Sabino Cassese:

    La vera data di nascita di una Nazione è il momento in cui un pugno di uomini dichiara che essa esiste….

    Arturo Carlo Jemolo:

    Le Carte Costituzionali contano assai meno delle passioni e delle capacità degli uomini. Politici e giuristi sono sempre pronti ad appellarsi ad uno spirito delle leggi, per far dire loro l’opposto di ciò che le norme esprimono.

    Francesco Cossiga:

    L’Italia è composta da Regioni, Comunità e Nazioni senza Stato.

    Sergio Romano:

    A me sembra che l’Unione Europea possa, meglio degli Stati nazionali ospitare le patrie regionali all’interno di un patto federale.

    Autodeterminazione: un diritto naturale, forse sconosciuto o poco noto, che però dal 1945 ad oggi è padre legittimo di oltre 120 nuovi Stati al mondo.

    La questione fondamentale che si pone questo libro è una: uno Stato centralistico e ottocentesco come l’Italia, di natura dinastica fino al 1945, nato soprattutto per volontà esterna, più che per coesione e convinzione interna, ora immobilizzato e devitalizzato dalle sue stesse perverse oligarchie e burocrazie, fameliche e familiste, può opporre al Veneto una chiusura formalistica, negando l’esercizio, democratico, pacifico ed elettorale/referendario, del diritto all’autodeterminazione che dal 1945 (per l’Italia dal 1955) è ius cogens (diritto cogente) con forza vincolante per tutti gli Stati aderenti alla Carta dell’ONU?

    Questo saggio approfondisce, in generale, l’interessante ed attualissimo tema del diritto all’autodeterminazione, dedicando l’ultima parte proprio al Veneto, il quale, forte della sua storia, è oggi protagonista di un proprio percorso democratico, verso l’indipendenza e la piena sovranità, agendo non contro ma oltre la Costituzione italiana nel solco sicuro della legittimità internazionale.

    Introduzione storica

    di Paolo Luca Bernardini

    L’Indipendenza: una storia veneta.

    Mi sono sentito profondamente onorato quando Alessio Morosin, un patriota vero, mi ha chiesto di scrivere una prefazione a questa sua opera, un appassionato manifesto a favore dell’indipendenza del Veneto, della creazione di una terza repubblica veneta che dopo la Serenissima e la breve ma significativa parentesi di Daniele Manin riporti in vita, dopo il 1849, ovvero dopo oltre 150 anni, una repubblica con capitale Venezia, e tutte le caratteristiche di uno Stato moderno, libero, ricco, leggero. Felice.

    Per tanti aspetti, devo dire, mi sono sentito inadeguato al compito, all’inizio.

    In fondo la mia conoscenza di Venezia è molto tardiva. Risale al Settembre 1987. Ero ospite della Fondazione Cini, a San Giorgio Maggiore, a quelli che si chiamavano Corsi Internazionali di Alta Cultura, una bellissima iniziativa, terminata purtroppo da tempo. Forse per mancanza di fondi. Li aveva iniziati Vittore Branca nel 1959. Credo che l’ultimo si sia tenuto nel 2003. Nel 1987, quando vi partecipai io come giovane borsista, in attesa di partire per il servizio militare all’Accademia Navale di Livorno, neolaureato in Filosofia, il tema era I Percorsi della Storia. Ebbi modo di conoscere grandissimi personaggi.

    Non so come mai avessi ritardato così tanto il mio incontro con Venezia. Ma credo che il motivo fosse uno: come quando non si vuole conoscere la ragazza splendida e intelligentissima e simpaticissima di cui tutti parlano al Liceo. Si ha paura di innamorarsi, ovviamente, e che quest’amore non sia corrisposto. Certamente, sentire parlare di percorsi della storia nella capitale che ha fatto la Storia per mille anni e forse più – come ben ci spiega tra gli altri Bill McNeill, padre della storia globale, non a caso – fece naturalmente scoccare quell’amore viscerale, passionale, inesauribile, che era nell’aria, che non poteva non accendersi. No, non dovetti esclamare Haec est illa Noemis?, È questa la città così tanto decantata?, perché il mito corrispondeva a realtà.

    Il mito di Venezia. Bello leggere le pagine della Crouzet-Pavan, Venezia trionfante, un libro del 1999 che spiega tanto sulle ragioni, tutte valide, per cui si diffuse in Europa il mito di Venezia. Perché, innanzi tutto, appunto, come è tuttora vero, il mito corrispondeva a realtà. Non è poco. Così a 24 anni mi innamorai e alle soglie dei 50 l’Amore è ancora lì. Dal mio minuscolo buchetto agli Alberoni vedo la laguna e le isole e San Giorgio Maggiore. In lontananza, perso nelle nebbie della laguna, e della distanza, il campanile di Piazza San Marco.

    E sono felice. Dinanzi a me una delle meraviglie del mondo. Colgo lo sguardo pieno di gelosia, ma non di livore, della mia Genova dall’altra parte del medesimo mare. Oh, va bene, non siate moralisti, da buon studioso del Settecento sono entrato così tanto nel secolo da avere una moglie e un’amante perfettamente conciliabili. Basta che una stia lontana dall’altra. Piuttosto, mi rendo conto di esser se mai io il loro cicisbeo. Ma così è la vita.

    Che Venezia torni ad essere capitale di uno stato libero e sovrano è naturale. Lo sarebbe anche se il paese di cui ora è parte, e l’Europa di cui è parte minoritaria tale paese, non fossero nella crisi irreversibile in cui si trovano. Quel che spaura, è doversi confrontare con i Grandi che la fecero Regina dell’Adriatico. Cosa penserà di noi Sebastiano Venier? A 75 suonati combatté a Lepanto. Cosa penserà di noi Leonardo Loredan? Sconfisse una formidabile alleanza di potenze europee che, guidate dal Papa, a Venezia come stato indipendente volevano por fine. Se mai l’immagine dei nani sulle spalle dei giganti ha valore, ebbene il peso della metafora me lo sento tutto, giorno dopo giorno. Ma non si può fare altrimenti, e questo tutti lo sappiamo. Electa una via, non datur recursus ad alteram. E mentre fabbrichiamo mattone dopo mattone – e questo libro è muro portante, naturalmente – l’indipendenza del Veneto, la Terza Repubblica, mi sovviene che forse occorre vederla, tutta, la Storia Veneziana, proprio come una lotta per l’indipendenza.

    Prospettiva insolita? Forzatura? Forse no. Chiave di lettura. Senz’altro. Ché Venezia nasce dalla volontà di alcuni uomini di conquistare la propria indipendenza dai resti di un Impero morente, quello Romano d’Occidente, incapace ormai di proteggerli da Attila Bleda e compagnia barbaramente fiammeggiante, e quindi di conquistare un’indipendenza vera e proprio dall’altro Impero sotto la cui ala si erano per forza dovuti rifugiare, quello Romano d’Oriente, allora ben vivo e vegeto, potentissimo. E dunque nei primi decenni dell’VIII secolo Venezia appare come entità statuale autonoma, prende parte attiva, e quale parte, alle controversie scismatiche: Venezia si emancipa da Bisanzio per la prima volta nel 727, unendosi alla lotta del papa Gregorio II contro l’Imperatore Leone III Isaurico, l’Iconoclasta.

    Venezia sa ormai destreggiarsi tra Bizantini in crisi e Longobardi in ascesa in Italia (rigorosamente espressione geografica, per sua fortuna), tra papi e imperatori franchi, di prossima incoronazione. Non sarà ancora una potenza, ma chiaramente si avvia ad esserlo. Singolare destino. Difende le immagini sacre, Lei che sarà la più iconica delle potenze, tra Venere e il Leone di San Marco, tra Profano non mai morto e Sacro sempre più vivo. No, a Venezia solo gli incendi o i tiranni, come Napoleone, distruggono le Immagini. Esse sono sacre, tanto quanto sacra è l’Immagine, politica e morale, della Serenissima stessa. Non a caso, dunque, la sua Storia comincia così.

    Poi la Storia dura 1100 anni, proprio come Bisanzio. Davvero, non poco. Ma le minacce sono tante, infinite. Innanzi tutto quella interna: il rischio non mai assente della degenerazione tirannica, e dinastica, dell’istituto dogale. In effetti, si instaurarono infelici dinastie, per un lungo periodo della storia veneziana, e tentativi, a volte parzialmente riusciti, di trasformare il Doge in Re, ed abolire la base democratica alle origini della Repubblica. Anche in questo modo si declina il concetto di indipendenza. Nella storia italo-sabauda, lo stesso accade, ad esempio, con Mussolini. Vi è a Como ( e non solo a Como) una via che si chiama Italia libera. Libera da che cosa? Dalla dittatura. E l’associazione clandestina Italia libera operò, si sa, dal 1922 al 1945. Certamente, cattivo destino tocca ai dogi che vogliono farsi tiranni, si pensi solo a Marin Faliero. Ma anche, molto più tardi, alla tragedia di Francesco Foscari, ben diversa, ma legata comunque ad una visione personalistica del mandato dogale, ad un tendere ad eccessi impropri per una repubblica. È vero certamente che Venezia divenne da piccola comunità di pescatori un Impero. Ma è anche vero che dovette difendersi dall’interno e dall’esterno, che dovette custodire e curare la propria libertà, sempre.

    Ho citato il Doge Loredan. Ebbene, egli fu in grado di scombinare i piani della Lega di Cambrai, di mescolare abilmente guerra e diplomazia. E Venezia fu salva. Ma ci mancò poco che non crollasse, circa mezzo secolo fa, proprio. Quando gli Spagnoli conquistarono mezza Italia anche Venezia fu sul punto di cedere loro. La congiura del marchese di Bedmar, nel 1617-1618. Venezia fu lì lì per diventare spagnola anch’essa, per perdere in modo fraudolento (mai mancano, nella storia, le infami quinte colonne, i Quisling di turno, i traditori, insomma), la propria libertà ben prima dell’arrivo di Napoleone. Gli eventi toccarono il cuore sensibile di una grande filosofa del Novecento, Simone Weil. E ne uscì l’enigmatico Venezia salva, libretto singolare che l’Adelphi ristampa da tempo. Non mancò la paranoia. Venne impiccato Antonio Foscarini nel 1622, ma le carte dimostrarono, postuma, la sua innocenza. Venne riabilitato.

    I miei antenati genovesi furono sul punto di conquistare Venezia nel 1379-1380. Per lunghi mesi Chioggia fu loro – ne fecero di cotte e di crude dal 13 agosto 1379 al giugno 1380, quando si arresero – ma Venezia anche per i miei agguerriti concittadini si rivelò inespugnabile. La sconfitta genovese relegò per lungo tempo la Superba ad un rango inferiore rispetto a Venezia, anche se il Secolo dei Genovesi la riscattò ampiamente. Almeno, le due repubbliche non si fecero più guerra, quattro furono e ne ebbero finalmente abbastanza.

    Ma la storia dell’indipendenza di Venezia si intreccia con quella dell’indipendenza stessa dell’Europa. Furono i Veneziani a guidare di fatto la flotta a Lepanto, anche se formalmente il giovane Giovanni d’Austria era il comandante. Siamo nel 1571. Marco D’Aviano accese le truppe dell’alleanza mentre i Turchi stavano per conquistare Vienna nel 1683. Ecco, ecco il sublime significato delle parole che così spesso ripetiamo: Per terra, per mare, San Marco. Per mare e poi per terra San Marco salvò l’Europa. Per mare e per terra San Marco fece conoscere l’Europa al mondo, e il mondo all’Europa. Non sono cose da poco.

    L’indipendenza fu persa nel 1797, riconquista brevemente il 22 marzo del 1848 – c’è un Corso XXII marzo a Milano, e si diparte, non a caso, da Piazza Cinque Giornate. Bellissima zona di Milano, se non altro per le vicende che evoca. Ma l’ultima delle Cinque Giornate milanesi coincide con la prima e l’ultima delle giornate veneziane. Il 22 marzo 1848. Quante strade la ricordano ora in Veneto, non lo so. Molte, indubbiamente, la ricorderanno una volta riottenuta l’indipendenza.

    Questo libro di Alessio Morosin intreccia il diritto con la storia, la passione civile con la militanza ideale e concreta, diuturna e costante (la costanza è la chiave di ogni vittoria, nelle battaglie collettive, in quelle individuali…), e mescola la visione con il coraggio. Rivendica, con argomenti storici e giuridici, la bontà dell’indipendenza, una bontà che è auto-evidente, del resto, ma che in presenza di forzati argomenti a lei contrari, necessita costantemente di (argomentate e lucide) difese. 150 anni di occupazione sabauda non sono pochi, in assoluto, ma lo sono senz’altro dinanzi ai 1100 anni, più uno, di libertà.

    Le vestigia materiali di quella libertà sono davanti a tutti, sono sparse in forma di ville venete nella campagna, sono concentrate in forma di opere d’arte e architetture nella città, sono impresse nei sentimenti di un Popolo, che spesso ha paura di dichiararsi tale solo per la naturale tema che ci coglie dinanzi a quel che è Grande, e di cui si nega spesso l’esistenza, per timore appunto d’esserne soverchiati. In fondo è molto più comodo dichiararsi italiani, una nazione che non esiste. Non si ha il peso del passato, non ci si deve confrontare con Loredan o Venier. Non ci si deve sentire troppo piccoli, dinanzi ai Grandi. Ma tante volte sono i Grandi a chiamarci alla nostra responsabilità morale, soprattutto quando tutto intorno il tessuto produttivo, ma prima ancora il tessuto morale, crolla. I Veneti devono trovare il coraggio di essere quel che sono stati, e potenzialmente sono. Perché la Storia glielo chiede di nuovo.

    *Docente di Storia alla Facoltà di Giurisprudenza

    dell’Università dell’Insubria a Como

    Presentazione

    Perché questo saggio sul diritto all’autodeterminazione dei popoli?

    Perché l’argomento mi ha sempre attratto per l’indubbia forte suggestione del tema e per la pratica rilevanza che tale diritto ha nella vita delle Persone come delle Comunità.

    Invero, si tratta di un diritto che rientra tra i Diritti Fondamentali dell’Uomo.

    Il tema non è facile e presenta molte insidie, tanto di contenuti, quanto espositive.

    Ho inteso tuttavia esplorarlo con la consapevolezza che non ci sono delle verità assolute, né tantomeno rivelate.

    Di certo scopriremo insieme molte verità storiche, filosofiche, giuridiche e incontreremo molte riflessioni, che ritengo largamente e ragionevolmente condivisibili da tutte le persone libere, almeno nello spirito.

    Questo lavoro si sviluppa in 4 parti, per un totale di 18 capitoli, il primo dei quali dedicato proprio ad una descrizione del significato degli istituti e dei concetti fondamentali, ovvero

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