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Gli Spiriti della Natura: Viaggi Sciamanici nel Mondo di Mezzo
Gli Spiriti della Natura: Viaggi Sciamanici nel Mondo di Mezzo
Gli Spiriti della Natura: Viaggi Sciamanici nel Mondo di Mezzo
E-book433 pagine6 ore

Gli Spiriti della Natura: Viaggi Sciamanici nel Mondo di Mezzo

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Info su questo ebook

Se è vero che “noi non vediamo le cose per come sono, ma per come siamo”, per capire la realtà che ci circonda, dobbiamo innanzitutto comprendere noi stessi, imparando a dirigere il nostro sguardo non solo verso quello che c’è fuori di noi, ma anche, e forse soprattutto, verso quello che si nasconde nelle profondità del nostro essere.

Mistici, sciamani e veggenti di ogni tempo hanno messo questo cambio di prospettiva al centro della loro ricerca e, ampliando la loro visione della realtà, hanno imparato a vedere il mondo come un tutt’uno vivo, interconnesso e cosciente. Nello stato sciamanico di coscienza si percepisce l’unità in tutte le cose, si trascendono lo spazio e il tempo ordinari e si accede a un piano che precede o preannuncia l’esistenza della realtà fisica.

L’esperienza sciamanica ci permette di espandere la nostra coscienza e di instaurare una rapporto diretto, significativo e amorevole con la natura e con gli “spiriti” che vi abitano. In questo suo libro, Luciano Silva ci invita ad accompagnarlo in un fantastico viaggio nel “Mondo di Mezzo” che, nella visione sciamanica, coincide con la dimensione ordinaria che noi esseri umani condividiamo con gli Spiriti della Natura e occupa una posizione intermedia fra il “Mondo di Sotto” e il “Mondo di Sopra”.

Alla fine di ogni capitolo, l’autore propone alcuni esercizi pratici sotto forma di meditazioni o viaggi sciamanici. Nella sezione delle Risorse, poi, è riportato un QR Code che consente di scaricare alcuni brani di musica sciamanica che hanno la funzione di sostenere il lettore durante l’esecuzione degli esercizi.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2024
ISBN9788871835600
Gli Spiriti della Natura: Viaggi Sciamanici nel Mondo di Mezzo

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    Anteprima del libro

    Gli Spiriti della Natura - Luciano Silva

    PARTE PRIMA

    LA NATURA NELLA VISIONE SCIAMANICA

    La terra su cui viviamo ci parla.

    Detto aborigeno australiano

    1

    LA RETE DELLA VITA: LA NATURA CI PARLA

    La natura è un tempio dove colonne vive

    mormorano a tratti parole indistinte.

    L’uomo passa tra foreste di simboli

    che l’osservano con sguardi familiari.

    Charles Baudelaire

    Credo che siamo in molti ad aver avuto da bambini come amico qualche esponente del popolo che cammina su una gamba sola, come vengono chiamati gli alberi dai nativi americani. C’era un vecchio fico sul quale mi arrampicavo da piccolo assieme ai miei amici, lo andavo a trovare quando giocavo con loro nel cortile di una vecchia casa colonica dove una anziana donna che abitava lì, che dicevano leggesse i fondi del caffè, ci accudiva e ci accoglieva con la sua deliziosa cioccolata calda. Gli chiedevo il permesso di salire sul suo tronco, mi sembrava davvero di dovermi arrampicare e aggrappare alle sue gambe storte – come facevo quando andavo a trovare mia nonna che mi prendeva sulle sue gambe stanche e barcollanti – per accoccolarmi sul ramo più alto e godermi da quella altezza una differente visione della campagna circostante. Sentivo che mi accoglieva volentieri tra le sue foglie, mi donava sempre un abbraccio affettuoso e rassicurante. Mi inebriavo per ore col profumo dei suoi frutti, che ancor oggi mi trasporta a quell’età infantile e a quei momenti innocenti, rimanendo appollaiato come un uccello in cerca di riposo dopo un lungo volo o immaginandomi a volte come un indiano inseguito da un branco di lupi feroci in cerca di rifugio. Scendevo sempre dai suoi rami con un senso accresciuto di protezione e nutrimento.

    Ogni volta che salivo, era come ritornare a casa. Avere un albero come amico, costantemente e necessariamente connesso con l’alto e il basso, con il qui e l’ora, ci permette di riconnetterci con l’anima della Natura e di conseguenza con la nostra anima. Tutti gli alberi hanno un loro spirito, un odore, un carattere, appartengono a una famiglia o a una specie, ma sono anche connessi con i fratelli alberi che si muovono assieme a a loro aprendo porte e portali verso altri mondi. Nelle tradizioni native americane si racconta di sciamani che sceglievano un albero come dimora dopo la morte fisica. Nei miei viaggi nell’Italia Centrale ho incontrato antiche querce, la cui corteccia mi ricordava il volto rugoso degli anziani, delle persone sagge. Le querce hanno sempre qualcosa da dirci, oppure ci congedano con un silenzioso saluto se le nostre domande sono inutili o superflue. Uno dei doni più grandi ed evidenti che ci regalano gli alberi è il silenzio. Fermarsi e appoggiarsi con la schiena a un albero e fondere il nostro corpo con il suo, sentire il nostro sangue scorrere nelle vene assieme alla sua linfa vitale, sentire sulla nostra pelle ciò che sente lui sulla sua corteccia, vedere i nostri piedi come le sue radici, le nostre mani come i suoi rami, ci costringe a fermarci, a fare silenzio e a riconnetterci con ciò che è essenziale.

    Nel giardino di una nuova casa in mezzo a un bosco nella quale mi sono recentemente trasferito, ho trovato una famiglia di querce che mi hanno chiesto subito di costruire sotto la loro chioma un altare per i miei antenati con delle pietre che casualmente erano già lì sparse in giro, forse attendendomi. Molti popoli indigeni raccontano che il popolo delle pietre rappresenta gli antenati, dato che ha vissuto sulla terra molto più a lungo di noi. Ho riconosciuto in loro i miei genitori, nonni, zii e anche qualche parente che non ho mai conosciuto. In quel periodo, grazie ad uno dei tanti fenomeni di sincronicità a cui ho assistito, venni a conoscenza di uno zio di cui ignoravo l’esistenza in quanto abortito dalla mia nonna materna, circostanza che in passato veniva rigorosamente nascosta per evitare il senso di vergogna e il dolore che l’accompagnavano. Anche lui emerse tra quelle pietre reclamando il posto che gli spettava nella Rete della Vita, benché la sua anima non fosse riuscita a intraprendere la sua avventura in forma umana. Le pietre si mossero da sole, mi sentivo guidato e del tutto incapace di qualsiasi forma di intervento, come se ciascuna sapesse già quale fosse il proprio posto all’interno della famiglia. E così l’altare dei miei antenati si costruì da solo, sotto i rami di questa famiglia di altissime querce. Ritrovai in quel giardino anche le mie amate betulle, il loro cambio di pelle mi ha sempre ricordato la necessità di trasmutarsi e rinnovarsi incessantemente, un po’ come fanno anche i serpenti. Proprio un serpente, che vive nascosto sotto ad alcune pietre, ogni tanto mi dona la sua pelle nel periodo della muta. Amo il tronco sottile delle betulle, le foglie triangolari piccole e leggere, la loro capacità di adattarsi alle circostanze avverse e di ripopolare zone colpite da gravi eventi atmosferici. Per me la betulla è uno spirito solare che alimenta l’energia, la crescita, la passione. Mi riporta alla direzione nord e alle sue proprietà, mi riconnette all’anima celtica che da queste parti ha lasciato un’impronta, forse anche nel mio sangue, quando i druidi usavano la sua corteccia per accendere il fuoco. Per gli sciamani del Nord, la betulla è l’albero sacro per eccellenza, la pianta cosmica, la guardiana della porta, la chiave che apre al neofita la via del cielo.

    IL RICHIAMO DEL PICCHIO

    Ad un certo punto, dopo essere rimasto un anno chiuso in casa a causa della pandemia, cominciai a sentirmi disconnesso dal mio mondo. Mi mancavano i rapporti sociali che sono la nostra linfa vitale, gli scambi di idee ed esperienze con gli altri che ci permettono di non fossilizzarci nei percorsi ripetitivi dovuti ai nostri radicati condizionamenti. Noi ci autoregoliamo anche attraverso gli altri, per questo cominciai a preoccuparmi per gli effetti destabilizzanti sull’equilibrio delle persone e sul tessuto sociale prodotti dalla mancanza di contatto sociale. Cercai conforto nella natura, mettendomi alla ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse aiutarmi a riconnettermi. Conoscevo, perché ne avevo già fatto esperienza, il potere degli alberi e decisi perciò di andare in un bosco per cercare qualcuno o qualcosa che mi accogliesse e mi aiutasse ad uscire da quello stato confusionale e dissociato. Entrando nel bosco feci la seguente preghiera: Per favore, datemi un segnale che mi indichi come superare questo mio disagio. Quando chiediamo col cuore, con sincerità e attenzione, l’universo risponde sempre, i nostri spiriti guida sono sempre disposti a darci una mano. Nel bosco si intravedevano già i primi segnali dell’inizio della primavera; a un certo punto, non so perché, mi fermai a un incrocio dove il sentiero si biforcava in due direzioni, destra e sinistra. Ascoltai i miei piedi per capire dove volessero portarmi e scelsero il sentiero di destra. La terra è percorsa da linee energetiche, note in molte tradizioni, che molti popoli indigeni utilizzano come un navigatore quando devono spostarsi in un territorio sconosciuto e non hanno alcun punto di riferimento. Così si muovono gli indigeni nella foresta amazzonica o nel deserto.

    Dopo pochi passi, improvvisamente sentii i colpi di un picchio che insistentemente martellava sul suo tronco, non so se alla ricerca di cibo o se per costruire una cavità dove nidificare. Era il segnale che cercavo, mi avvicinai a quell’albero e vidi che era una betulla, una grande betulla bianca che si ergeva vicino a un corso d’acqua. Mi avvicinai ancora un po’ e le chiesi se potevo entrare nel suo campo energetico, il suo consenso arrivò immediatamente tramite il suo amico volatile che, ancora aggrappato al suo ramo, incurante della mia presenza, fece partire di nuovo una raffica martellante col suo becco, ben più intensa di prima, per poi allontanarsi come se la sua missione di veicolarmi quel messaggio si fosse conclusa. Non sapevo cosa avrei dovuto aspettarmi dall’albero in risposta alla mia domanda, ma mi affidai a lui sedendomi e riposando appoggiato al suo tronco per connettermi con la sua essenza. Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle mie sensazioni. A un certo punto sentii come un formicolio in tutto il corpo, una specie di tintinnio, come se il sangue avesse cominciato a pulsare proprio sotto la pelle, dandomi dei segnali tramite quella strana sensazione epidermica. Incuriosito, aprii gli occhi domandandomi se stessi sognando a occhi aperti o chiusi, ma ciò che vidi fu che tutto attorno a me era diventato vivo, gli alberi, le pietre, i singoli fili d’erba, tutto si era animato di vita, tutto vibrava di una luce interiore. E ogni cosa risplendeva e irradiava questa luce a tutte le altre cose e a tutti gli esseri della natura attorno, me compreso, in ogni direzione, ma ciò che era ancora più evidente è che tutto sembrava interconnesso. Sebbene continuassi a percepire le cose come separate, e sebbene ciascuna di esse vibrasse con una diversa frequenza, sembravano tutte indistintamente connesse tra loro per mezzo di questa vibrante energia luminosa che a tratti assumeva la forma di lunghe fibre o filamenti luminosi che raggiungevano ogni creatura vivente.

    La sensazione era simile a quella che si prova quando si osserva un quadro da lontano e si ha una immagine d’insieme, ma non appena ci si avvicina, si riescono a scorgere tutti i particolari separatamente. Questo fecero i miei occhi, forse nel tentativo di scorgere qualche messaggio a me diretto. Sembrava che ogni particella fosse dotata di vita e di luce propria, ma di una qualità che non poteva essere concepita con i nostri sensi ordinari, benché io la percepissi senza alcuno sforzo intenzionale. Sgranando gli occhi, nel tentativo di comprendere se mi trovavo in un sogno o in una visione lucida, vidi che queste fibre costituivano la matrice di un’unica rete luminosa, vibrante, vitale, che connetteva tutto e ogni cosa. La vita stessa di tutti gli esseri, me compreso, dipendeva dal grado di connessione o disconnessione da quella rete luminosa. Lo scoprii girando lo sguardo verso degli alberi morti abbattuti al suolo, forse da un forte vento o dal peso della neve, e vidi che solo poche di queste fibre luminose, che emettevano ormai una vibrazione spenta e opaca, restavano ad essi connesse, mentre l’albero al quale ero appoggiato io, come gli altri sani e rigogliosi attorno a me, vibravano all’unisono con quella luce, se ne nutrivano dando anche il loro contributo per alimentarla. In quella visione inaspettata scoprii qualcosa che non sapevo, e di cui poi trovai conferma in recenti ricerche scientifiche: anche tra il popolo delle piante ci sono gerarchie, ci sono famiglie con precisi ordini di precedenza, come tra gli umani; alberi anziani e più saggi si prestano a dare sostegno e protezione alle giovani e inesperte pianticelle, soprattutto per aiutarle a superare le rigide condizioni invernali quando il tempo è avverso. Nella mia visione arrivai a questa conclusione vedendo che questo fiume luminoso, se così lo si può chiamare, scorreva dagli alberi che percepivo come anziani verso quelli giovani e non viceversa. Anche per gli alberi, così come dovrebbe avvenire per gli umani, il fiume della vita scorre da monte a valle, da chi precede a chi segue. La legge della precedenza è una legge di natura, cercare di sovvertirla può causare dolore e deperimento soprattutto alle piante più giovani.

    Mi risvegliarono da quella visione i colpi che il picchio aveva ripreso a dare contro il tronco dell’albero; forse era tornato per accompagnarmi fuori da quello stato ed avvertirmi che quell’esperienza era giunta al suo termine. Lentamente ritornai a vedere la realtà nel solito e limitato modo ordinario. Durante quel breve periodo di sospensione spazio-temporale avevo perso il contatto con il mio corpo fisico, come se avessi galleggiato assieme agli altri esseri della natura in una specie di danza, corpi energetici simili a bolle luminose e fluide che si scambiavano delle esperienze avvicinandosi, connettendosi o talvolta compenetrandosi tra loro, e poi si allontanavano ciascuno verso il proprio destino, in una danza infinita di scambio continuo che si svolgeva con grazia ed equilibrio. Fu l’ennesima conferma che il mondo fisico non è che un aspetto frammentario di un Tutto unificato. La nostra incapacità di rendercene conto deriva dal fatto che cerchiamo di percepire la natura e la realtà che ci circonda focalizzandoci sui nostri sensi fisici e che ci affidiamo ad essi per valutare la nostra esperienza e decidere se è reale o se, al contrario, va archiviata come un prodotto della fantasia o dell’immaginazione. Non appena cessiamo di affidarci esclusivamente ai nostri sensi fisici – attraverso un viaggio sciamanico, un sogno lucido, uno stato di meditazione profonda o, semplicemente, passeggiando nella natura e facendoci guidare dai nostri sensi interiori – la nostra coscienza si libera offrendoci l’accesso a una consapevolezza più ampia e inclusiva.

    Durante quest’esperienza non ho mai perso il contatto con la mia identità. Anche se la mia coscienza non si era completamente disolta in quella rete fluida e luminosa, come potrebbe fare un fiume che si riversa nell’oceano, mi sentivo come se fossi una cosa sola con tutto ciò che mi circondava, non solo con l’albero al quale ero appoggiato, ma con tutto quello che mi circondava. Quando dirigevo il mio sguardo verso gli altri alberi, le foglie, i sassi o i rami sparsi nel bosco, sapevo che loro erano dentro di me proprio con la stessa certezza con la quale io ero dentro di loro. Tutti loro erano me ed io ero tutti loro. E non stavo sognando, almeno non nel senso che diamo comunemente all’esperienza onirica notturna, per quanto, nei sogni lucidi, essa possa apparire assolutamente reale: fu un’esperienza che chiamerei super-cosciente. All’uscita dal bosco, mi resi conto che quella visione era reale, molto più reale delle mie esperienze quotidiane ordinarie percepite con i miei comuni sensi fisici. Sentii nel corpo cosa significhi essere connessi, capii di cosa è composta questa rete luminosa che unisce ogni essere vivente, le sue leggi, i suoi movimenti, le sue infinite vibrazioni, cosa accade quando un essere lascia questa dimensione alla sua morte, quando una nuova vita viene al mondo, in che modo gli esseri più anziani – alberi, rocce, animali – si prendono cura di quelli più giovani e bisognosi. Tutto fluisce in modo perfettamente armonioso in accordo con una legge di sacra reciprocità e scambio. In quella visione ero una cosa sola con tutto quello che mi circondava. Tutte le volte che la mia attenzione si rivolgeva ad altro da me – a un singolo albero, a un roccia, a una castagna, a una foglia, a un ramo o a qualunque altra cosa – sentivo che eravamo tutti una cosa sola. In quello stato non ero abbastanza lucido da comprendere cosa stessero vivendo in quell’istante quegli altri esseri, ma qualora lo fossi stato, penso che non sarebbe cambiato nulla perché quegli altri esseri e io eravamo una cosa sola. Quel profondo senso di unità mi fece comprendere che stavo già vivendo dentro di me ciò che stavano vivendo la castagna, il sasso, l’albero, il fiume. Era come se fossi finito in un’opera alchemica che infondeva al mio essere un senso di gioia e tranquillità che dava significato a ogni cosa. Compresi pertanto che ciascuno aveva un ruolo nel sostenere la vita e avvertii in me la necessità di comprendere il mio. Questa vibrazione squisita mi accompagnò verso casa, e quell’ombra di confusione e di smarrimento che mi assillava da qualche giorno svanì immediatamente di fronte all’azzurro del cielo che, mentre uscivo dal bosco, lanciava bagliori di luce dorata che mi invitavano a fare tesoro di quella esperienza, a non dimenticarla, a ricordarmi che non siamo soli quando ci apriamo alla danza della vita.

    LA RETE DELLA VITA

    I Salish, una popolazione nativa che vive nelle regioni americane della costa nordovest del Pacifico, usano un termine che descrive bene cosa significa vivere in armonia con la natura: skalalitude, che ha più o meno questo significato: Quando le persone e la natura sono in perfetta armonia, la magia e la bellezza sono ovunque. Le tradizioni e le culture native sanno che tutto in natura è vivo e interagisce con gli uomini attraverso segni e presagi, grazie al processo della sincronicità. Le teorie fisiche del tutto ipotizzano l’esistenza di un campo unificato che unisce tutte le cose. Le culture indigene parlano di una Rete della Vita che connette tutte le creature viventi alle forze dell’universo, una rete fatta di fibre luminose o di filamenti energetici. Gli sciamani e i veggenti li vedono, nella loro visione ampliata, estendersi su tutta la Terra, unirsi a formare vortici energetici sui quali, non a caso, i nostri antenati erigevano i loro templi, luoghi sacri di cura e guarigione, e poi chiese o edifici di culto. Gli sciamani andini le conoscono come seques, fili di energia che collegano luoghi, persone e esseri viventi. E anch’essi, come altre tradizioni sciamaniche, vedono che il corpo energetico o sottile di tutte le creature viventi è attraversato da queste fibre luminose che lo avvolgono a formare una specie di sfera o uovo che gli andini chiamano poqpo, la bolla personale. Il poqpo svolge la funzione di connetterci energeticamente con la Rete della Vita, con la natura che ci circonda.

    Tramite il nostro corpo energetico possiamo entrare in relazione con la realtà della natura che sta dietro all’allucinazione consensuale che ci costringe a vedere una realtà fatta di oggetti materiali solidi che possiamo conoscere solo attraverso il filtro dei nostri sensi fisici e delle teorie scientifiche. Per la maggior parte di noi il mondo fisico dell’esperienza sensoriale è il solo conosciuto e quindi, per coloro che non hanno mai intravisto null’altro, la descrizione comune del mondo diventa l’unico paradigma per definire la realtà. Quando iniziamo a esplorare le connessioni energetiche tra gli esseri viventi e a comprendere che tutta la vita si nutre della natura e la Rete della Vita ci alimenta con la sua energia, iniziamo ad aprire gli occhi e ad avere un’esperienza della realtà differente. Ma come esseri umani, ciò che tendiamo a fare è osservare la natura dal di fuori. Tendiamo a vederla da osservatori esterni ed estranei, non da esseri che ne sono parte e che interagiscono costantemente con essa. Cosa succederebbe se, anziché osservarla soltanto, camminassimo nella natura con il nostro cuore, con il nostro corpo, e iniziassimo a impegnarci in una comunicazione energetica, condividendo le risorse comuni in un rapporto di sacra reciprocità?

    Tutti continuano a dire che la Terra ha bisogno di essere guarita, e questo è più che giusto. Ma paragonata al nostro pianeta, che ha 4,6 miliardi di anni, si può dire che la nostra specie è nata ieri. Pur essendo dei nuovi arrivati, siamo così ossessionati dal bisogno di garantirci la sopravvivenza che, dimentichi di essere figli della Terra, ci consideriamo i suoi genitori. Non solo cerchiamo di dominare la natura, ma abbiamo deciso anche di risanarla, pensiamo di sapere come salvare il pianeta che ci ospita, con la stessa arroganza con la quale lo abbiamo quasi distrutto. Tutti i movimenti ecologici gridano alla necessità di guarire la Terra. Ma la vera domanda che dovremmo porci è la seguente: chi ha bisogno di guarire? Noi o la Terra?

    Non dobbiamo forse recuperare il ritardo che ha subìto il nostro processo di crescita, a causa del quale abbiamo perso di vista qual è il nostro posto sulla Terra? Cosa accadrebbe se non ci limitassimo solo ad ammirare i nostri bei panorami dalla cima di una montagna o dalle rive di un oceano, ma iniziassimo a camminare nella natura con il cuore aperto e in pieno contatto con noi stessi? La natura ci accoglie, abbracciandoci come una grande madre, quando abbiamo bisogno di ristoro, di un consiglio, di qualcuno che ci indichi la strada. Guarisce non solo i corpi, non si limita a ripristinare il nostro sistema immunitario, a equilibrare il nostro sistema nervoso, a fornirci gli elementi essenziali con i quali curare le nostre malattie, la natura risana anche l’anima riportandoci al centro di noi stessi.

    In questo momento storico, molti hanno perso il contatto con la propria anima. Si sentono disconnessi da se stessi, non hanno uno scopo, non sanno in che direzione andare, non sognano più, si fanno guidare dalla paura personale o collettiva; poiché si sono allontanati dalla vita e dalla natura, il loro equilibrio mentale vacilla. Quello di cui abbiamo veramente bisogno non è salvare il pianeta, ma lasciare che esso salvi noi. Le creature che lo abitano hanno molto da insegnarci, poiché sanno adattarsi e reagire ai cambiamenti, anche quando sono traumatici, molto meglio di noi. Tuttavia, noi esseri umani siamo posseduti dalla smania di controllare tutto, pensando arrogantemente di trovarci all’apice dell’evoluzione sulla terra. Invece, ciò che dovremmo fare è imparare a lasciarci andare e a ricevere. Abbiamo bisogno di quel tipo di nutrimento che solo la natura ci può dare se vogliamo uscire dallo stato di povertà interiore in cui ci troviamo. Abbiamo bisogno di luce, ispirazione, positività per uscire dal campo energetico, psichico ed emotivo, che ci tiene vincolati alla sofferenza e alla morte, ed andare verso la gioia, la leggerezza, la luminosità, e la vita. La disconnessione dalla Rete della Vita non contribuisce al nostro benessere, anzi, esaspera e aggrava le malattie, alimenta sentimenti che ci opprimono e ci induce ad aderire a forme pensiero collettive contraddistinte da paura e rassegnazione. Molte persone stanno iniziando a perdere la fiducia. Quando le cose si fanno difficili, si perde la fede, la fiducia in se stessi e nella vita, e questo è naturale. Ma proprio in questi momenti ci viene offerta la possibilità di affrontare i nostri conflitti, di liberarci dei vecchi schemi di pensiero, di abbandonare le abitudini distruttive, così da ritrovare il nostro posto nel mondo. L’isolamento sociale esaspera il nostro stato di dissociazione e di confusione. Quando perdiamo il contatto con noi stessi, non sappiamo più cosa vogliamo realmente o di cosa abbiamo veramente bisogno, e allora facciamo nostre le idee degli altri e cediamo loro la nostra autorità. Lasciamo che gli altri ci dicano cosa mangiare, come comportarci o cosa fare per stare meglio e per essere al sicuro. Abbiamo abdicato al nostro potere personale, cedendolo ad autorità esterne che ci indicano cosa è reale e cosa non lo è, cosa possiamo fare e cosa no, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e così smettiamo di ascoltarci. Abbiamo smesso di ascoltare il nostro corpo, abbiamo smesso di ascoltare la natura di cui siamo parte integrante e, così, non sappiamo più ascoltare la nostra anima.

    Ci stiamo tutti trasformando gradualmente in esseri tecnologici. La tecnologia ci sta invadendo e abbiamo confuso o addirittura sostituito la Rete della Vita con la rete di Internet, il contatto personale con i social network. Ma all’interno di questi strumenti circola poca vitalità e consapevolezza, si tratta di reti artificiali in cui tutti si sentono in diritto di esprimere la propria opinione, anche quando non ne hanno una, di raccontarsi e mettersi in mostra in una sorta di patologico narcisismo tecnologico. Anche io mi sono trovato, durante i periodi di lockdown prolungati, a dover passare ore davanti a un computer, e anche in questo momento, mentre sto scrivendo questo libro, in una certa misura lo sto facendo. E mi sono chiesto: siamo destinati a diventare esseri tecnologici o possiamo tornare ad essere esseri della natura? Mi sono davvero distratto troppo e alienato dal mio corpo a causa di così tanta tecnologia. Se la natura ci insegna che tutto è connesso, dobbiamo chiederci: cosa vuole il mio corpo? Di cosa ha bisogno? Con chi o cosa voglio connettermi?

    Penso che queste siano domande importanti. È importante essere consapevoli di come si sta investendo la propria energia, sapere dove la nostra attenzione la dirige, da cosa viene maggiormente rapita o coinvolta. Gli esseri della natura vanno dentro di sé per ascoltare cosa sono chiamati a fare. Sanno come sopravvivere. Sanno come prosperare. Sanno come prendersi cura di se stessi, a meno che non sia giunto per loro il momento di morire, ma anche la morte può essere un’estrema forma di guarigione. L’orso è un ottimo esempio, i miti sull’orso nello sciamanismo transculturale sono sorprendenti perché questo animale ha una grande capacità di curarsi e di guarire. Tutti noi abbiamo questa capacità, ma ci siamo disconnessi dalla nostra essenza, dalla nostra anima, dal nostro corpo e ci siamo persi in un frastuono senza senso. Quando mi sento disconnesso, faccio questo esercizio: riepilogo le mie relazioni, i miei impegni, vedo in quali aree della mia vita sto investendo le mie energie, dove si concentra la mia attenzione e cosa la attrae. L’energia segue la nostra attenzione. Grazie ad un esercizio del genere, non solo diveniamo più consapevoli dei ritmi della nostra energia, ma impariamo anche a rispettarli, sentendo quando è il momento di espanderci, di uscire, di condividere, di donare e quando giunge quello di stare con noi stessi, di rientrare all’interno, di tornare al centro per riposare e poi ripartire, sapendo quando ricevere e quando dare, onorando e rispettando entrambi questi movimenti. Andare verso la natura ristabilisce la calma interiore.

    Nella natura è in corso una grande trasformazione, di cui molti stanno prendendo acutamente coscienza. Durante il processo di transizione che porta alla fine di un grande ciclo, si attraversa inevitabilmente un periodo di caos. Questo accade in ogni tipo di rivoluzione, sia essa cosmica, microcosmica, sociale, politica o cognitiva. Per creare e stabilire un nuovo ordine, un nuovo equilibrio, un nuovo cosmo, occorre necessariamente attraversare una fase caotica. La natura stessa vive questo processo quando la Terra e tutti gli esseri viventi, compresi noi, vengono sconvolti da grandi tempeste, uragani, cambiamenti climatici, pandemie, rivoluzioni sociali. Questo è il motivo per cui, durante il passaggio da un ciclo a quello successivo, è opportuno calarsi in uno spazio di silenzio, di purificazione e ricapitolazione. Infatti, tutto viene a galla, tutto viene esasperato e si rende più evidente l’inconsistenza degli opposti dualismi con i quali ci identifichiamo o per i quali combattiamo.

    A livello delle società umane, il cambiamento viene talvolta preceduto dall’insorgere di conflitti tra opposte fazioni, spesso alimentati e cavalcati ad arte dai difensori del vecchio ordine in un estremo tentativo di conservarlo per restare aggrappati al loro potere e ai vantaggi che ne ricavano. È il noto stratagemma del divide et impera adottato dai regimi autoritari, ma non solo, per mantenere il potere e il controllo sui sudditi. L’identificazione con uno dei poli di questo artificioso dualismo, non fa che portare acqua al mulino di chi vuole a tutti i costi resistere alla forza del cambiamento. Ed è proprio in questa situazione che ci troviamo adesso.Come possiamo superare i conflitti che ci sono dentro e fuori di noi? Chi può insegnarci a individuare le nostre resistenze al cambiamento e a trovare il modo di lasciare andare il vecchio, con affetto e rispetto? Chi può mostrarci cosa accade a livello energetico quando in natura finisce un ciclo e ne inizia un altro? Solo la natura può dircelo. La natura sa come rinnovarsi. Seguirne le indicazioni può creare sconcerto, ma questo non avviene se seguiamo la strada giusta. Se c’è un luogo in cui possiamo evitare la sofferenza, questo è proprio la natura, un luogo gioioso di pura bellezza e luminosità, che interagisce continuamente con noi. Questo l’ho visto personalmente, non solo nell’esperienza raccontata precedentemente, ma anche in tutte le altre circostanze in cui la mia coscienza si è trovata a danzare, talvolta in modo inaspettato, nella Rete della Vita.

    Mi capita talvolta di vedere in sogno interi gruppi di sognatori attivi danzare tutti insieme all’interno della Rete della Vita, e ogni tanto mi unisco a loro, condividendo con loro l’esperienza della connessione e delle scoperte fatte. Poi ritorno al mio lavoro, a mettermi al servizio degli spiriti, a trovare nuove dimensioni della realtà in cui accompagnare altre persone che desiderano riconnettersi a se stesse e alla vita. Molte comunità spirituali, non solo sciamaniche, in questo periodo stanno meditando, stanno viaggiando con gli spiriti, emanando amore e luce. Non si lasciano sopraffare dal caos del mondo esterno e si proteggono energeticamente per essere sempre al servizio degli altri. Arriva sempre il nomento di scegliere, sapendo che molto dipende dalle scelte che facciamo. Da esse dipende se rimarremo bloccati nel mondo della sofferenza e della separazione, partecipando a conflitti che non ci appartengono, o se ne usciremo indenni. La nostra vita è piena di sofferenza, forse perché abbiamo deciso di vivere nel mondo del dualismo, nella dimensione del divenire, nella quale siamo costretti a cercare la luce nel buio, lo spirito nella materia. Tuttavia, insieme alle nostre guide e ai nostri maestri spirituali, possiamo scoprire percorsi che ci conducono in un luogo di bellezza, dove la natura è beatitudine e danza insieme a noi, dove lo scambio delle energie è bellissimo e sacro. Per far questo, dobbiamo imparare il linguaggio di questo mondo, aprire le nostre percezioni e sensazioni, svincolandole dall’allucinazione collettiva in cui siamo caduti e favorendo una più acuta sensibilità, profonda e onnicomprensiva. La natura ci parla con segni e presagi: il richiamo del picchio mi ha condotto a quella betulla, se non avessi colto quel richiamo sarei andato avanti a camminare per la mia strada, con lo sguardo fisso verso il basso, come fanno molti di coloro che vivono quasi esclusivamente in città.

    Noto che molte persone vanno in confusione perché viviamo in una cultura che dà una tale importanza alle immagini, che non ci rendiamo conto di quanto spesso ignoriamo le sensazioni che provengono dal nostro corpo fisico-energetico, fondamentali segnali che dovremmo sempre tenere in debito conto. Le sensazioni e le emozioni, infatti, sono svincolate dal senso della vista e si avvalgono di altri percorsi neuronali. L’eccessiva focalizzazione sul senso della vista risulta in una forma di pensiero intrusiva. Ci sentiamo legati alla persona amata anche a chilometri di distanza grazie all’immagine che di lei abbiamo costruito nella nostra mente. Come esseri umani, la nostra natura ci porta a concentrarci sulle immagini e a farci catturare da esse. Ci troviamo su una montagna, davanti al mare o in un bosco e aguzziamo la vista per godere delle meraviglie che abbiamo davanti e, perché no, facciamo qualche foto da postare sui social. A causa di questa enfasi sulle immagini, perdiamo il contatto profondo con tutto quanto ci circonda, in quanto le frammentarie immagini visive, per quanto piacevoli, ci offrono solo una minima parte di una realtà molto più ampia. Cosa succederebbe se, invece di cercare di visualizzare la Rete della Vita, cercassimo di entrare in contatto con il suo campo energetico e ci immergessimo totalmente in esso? Permettetevi di calarvi in quel campo di energia chiudendo gli occhi e abbandonandovi con fiducia ad esso. All’improvviso, noterete che dalla vostra aura emergono bellissimi fili d’oro, fili color magenta, fili rosa, fili d’argento, fili di platino. Sono fibre energetiche. Tutta la natura è connessa e comunica tramite queste fibre. Siamo intessuti di fili e fibre luminose che formano un’orchestra fatta di innumerevoli creature viventi che cantano, ballano e condividono le risorse naturali insieme a noi. Questa è la conoscenza interiore assoluta, quella conoscenza cellulare che vi fa sentire completamente connessi a qualcosa di molto più grande di voi.

    Se continuiamo ad osservare la Rete della Vita tenendocene a distanza, nella speranza di capire qual è il nostro legittimo posto al suo interno, ce ne teniamo in realtà al di fuori. Dovremmo invece calarci al suo interno, perché otterremmo molto di più smettendo di affidarci solo alla vista e permettendo a tutti i sensi di operare in pieno rendendo la nostra esperienza completa e profonda. Se, ad esempio, incontrassimo nel bosco, durante un viaggio sciamanico o un’esperienza estatica, uno splendido spirito alato, un uccello dalle piume variopinte, invece di limitarci ad osservare o commentare la sua bellezza, o a cercare di capire di che uccello si tratti, dovremmo fondere la vibrazione dei suoi colori con la nostra e volare con lui. Aprendoci a ciò che questi spiriti della natura possono darci e comunicando con loro vivremmo un’esperienza molto più ricca. In modo simile, una cosa è fermarsi ad osservare un fuoco in un accampamento, un’altra è fondersi con esso e diventare noi stessi fuoco: si tratta di due esperienze totalmente diverse. L’essere tecnologico dentro di noi è diventato così dipendente dal senso della vista che ha dimenticato che nel corpo ci sono filamenti di luce che ci collegano al sole, alla luna, alla terra, alle acque, all’aria e a tutti gli altri esseri che condividono con noi la vita nel nostro universo.

    Le culture e le tradizioni native ci insegnano che tutto ciò che ci circonda è vivo, cosciente e interagisce con noi. Siamo connessi alla Rete della Vita, che è l’espressione manifesta delle forze naturali che governano il nostro pianeta e il nostro universo. Anche la scienza moderna sta cominciando ad accettare, con la teoria del campo unificato, l’idea che l’universo sia un tutto unico che possiede una sua coscienza. Scoprire l’unità dietro l’apparente dualità è l’obiettivo ultimo sia della scienza che della religione.

    Gli antichi Greci si divisero su questo problema nelle due principali correnti del pluralismo e del monismo, in un dibattito che ha dominato il pensiero filosofico dell’epoca e continua ancora oggi. Il monismo concepisce l’universo come un Tutto riconducibile a una sola sostanza cosmica, una materia materiante, come la chiamano le tradizioni esoteriche dell’ermetismo e dell’alchimia, dalla quale si origina ogni cosa. Parmenide fu uno dei primi a postulare la supremazia dell’essere in contrapposizione al divenire. L’Essere per Parmenide è Uno e Immobile, non può dividersi o muoversi in quanto altererebbe se stesso diventando duplice, altererebbe la sua unicità e l’altro da sé sarebbe un non essere, contraddicendo di nuovo la sua natura. L’essere è anche indivisibile, altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come elemento differenziatore.

    Di contro, le filosofie pluraliste sostengono che alla base delle cose vi sono due o più princìpi permanenti che, interagendo tra di loro, danno luogo alla manifestazione di tutto ciò che esiste. Senza entrare ora nelle varie discussioni filosofiche a favore o sfavore del monismo o del pluralismo, che esulano dallo scopo del presente libro, si pone il problema del divenire: se la realtà è postulata come un Tutto immutabile, da cosa ha origine il cambiamento? In natura, tutto è soggetto al cambiamento, a un ciclo continuo di nascita, sviluppo, morte e trasformazione. In contrasto con la concezione di un Tutto immutabile, si sono originate filosofie che per spiegare il cambiamento hanno posto alla base della realtà non una sostanza o una materia universale, ma il cambiamento stesso. Eraclito, il più noto fra i filosofi che sostengono questa tesi, con il suo famoso detto Panta rei(¹) – tutto scorre, non si può entrare due volte nello stesso fiume – ha elevato il cambiamento stesso a principio universale. Tuttavia, anche se alla supremazia dell’essere viene

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