Alla fine dei sogni
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Info su questo ebook
Michela e Silvia sono inseparabili amiche ventinovenni che nell'agosto del 2010 si trovano ad avere due grossi problemi.
Michela, mamma della piccola Gaia, lotta da nove mesi contro un tumore al seno. Alla fine delle terapie, quando la situazione dovrebbe essere risolta, le vengono diagnosticate tre millimetriche metastasi celebrali. Quando viene a saperlo, Silvia si trova al supermercato e sviene; a seguito degli accertamenti a cui viene sottoposta, scopre di essere incinta.
Nonostante "Alla fine dei sogni" tratti degli argomenti molto impegnativi, quali la malattia, l'aborto, arrivando a spingersi fino ai pericolosi confini della morte, ha comunque un ritmo incalzante, in alcuni punti è anche divertente, come le sue protagoniste che non perdono mai quell’autoironia fondamentale in questo genere di dramma.
Ma questo romanzo è soprattutto la storia di un’amicizia sincera.
È proprio per questa amicizia che è nato. Ed è di questa amicizia che vuole parlare.
Quelli di ZEd
Quelli di ZEd è il Gruppo composto dallo Staff, dagli Autori, dai Collaboratori e dai Lettori delle edizioni Zerounoundici. Quelli di ZEd comprende numerose iniziative, fra le quali: ZEd Lab: un laboratorio creativo mondiale per la collaborazione a progetti comuni di scrittori, traduttori e fumettisti di tutto il mondo. ZEd Mundi: un particolare Gioco di Ruolo basato sulla scrittura e sui fumetti, con interazione collettiva in qualunque lingua.
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Anteprima del libro
Alla fine dei sogni - Quelli di ZEd
L’Autrice
Stefania Trapani, nata a Milano nel 1974, scrive diari dall'età di quattordici anni, quando inizia ad avvertire il bisogno di trattenere i suoi veloci pensieri e incanalarli nella direzione del racconto e della poesia. Sposata con Giorgio Molteni, noto violinista milanese, ha due figlie: Giorgia Maria e Giulia Rose. Durante la sua permanenza a Los Angeles, nel 2002, inizia a modificare il suo modo di scrivere, raccontando le sue esperienze non più attraverso la diaristica, ma avvicinandosi sempre più alla dimensione del romanzo. Pubblica la sua prima opera nel 2012 con Edizioni Montag, intitolata Portata dal vento
.
A Michela, mia dolce metà del cielo.
1
Ad agosto, come sempre, Milano è una città invivibile.
In quei giorni poi, la situazione appariva ancora più drammatica; le temperature erano arrivate a sfiorare punte tanto elevate che neanche le brevi escursioni notturne riuscivano a riportarle a livelli accettabili, e l’afa era così soffocante da rendere i supermercati l’unica fonte di ristoro plausibile.
Così anche quel pomeriggio, subito dopo il lavoro, Silvia si recò in una di quelle piccole oasi sotto casa con la scusa di dover prendere le ultime due cose per cena, dilungandosi tra scompartimenti inutili, privilegiando quelli dei surgelati.
Proprio mentre temporeggiava al banco delle verdure, fingendo di dover scegliere l’insalata più fresca, incrociò uno sguardo assai familiare; quello di Anna, la madre di Michela.
Si sentì così fortunata per quell’incontro! Da qualche ora, infatti, non aveva in mente altri che lei.
Da alcuni giorni non riusciva a contattare sua figlia e iniziava ad avvertire una lieve inquietudine; non era da lei tenere il telefono spento così a lungo.
Da un lato sentiva di doverla capire; dopo tutto ciò che le era capitato quell’anno, era forse normale volersi staccare completamente dalla quotidianità. Aveva terminato le terapie da poco più di una settimana e finalmente le avevano permesso di andare al mare con la sua bambina.
«Anna!» esultò Silvia, incredula.
«Anna, tutto bene?» tornò a ripeterle, non avendo ricevuto alcuna risposta da parte della donna che, a guardarla bene, pareva in un mondo tutto suo.
Dovette toccarle un braccio per farsi notare.
Solo a quel punto la donna parve riprendersi, ed ebbe un sussulto.
«Cosa succede?» le chiese Silvia, preoccupata.
«Ti prego, parla…» la implorò.
«La mia bambina…» sospirò la donna sciogliendosi in un pianto.
Silvia non l’aveva mai vista in quello stato, nemmeno quando, nove mesi prima, avevano diagnosticato a Michela il tumore al seno; anzi, quella volta aveva reagito come una leonessa.
Sono cose che accadono!
aveva tuonato, incoraggiando le ragazze ma soprattutto se stessa. É successo a diverse mie conoscenti e se la sono cavata tutte. Basta andare nei posti giusti. Sarebbe stato meglio che non capitasse, certo… ma sappiamo bene che noi, quanto a sfortune, non ci facciamo mancare mai niente!
Anna aveva reagito benissimo quella volta. Per questo quelle lacrime gettarono Silvia nel panico.
«Ha avuto una ricaduta» continuò la donna con un filo di voce.
«Una ricaduta?» chiese Silvia «come sarebbe a dire, una ricaduta?!»
Quella parola iniziò a rimbombarle nella testa.
«Ma non è possibile! Ha appena finito le terapie! Non è possibile!» cominciò a ripetere ossessivamente la ragazza alzando sempre più il tono della voce.
Ma appena si accorse che con quel fare concitato stava attirando l’attenzione dei passanti, provò a ricomporsi e continuò sottovoce.
«Dimmi tutto!» supplicò, fingendo di sorridere ai curiosi che iniziavano ad avvicinarsi un po’ troppo, intimando loro con uno sguardo non proprio amichevole di mantenere una certa distanza.
Anna inspirò profondamente.
«Da qualche giorno aveva dei forti mal di testa.»
«Prima di partire me ne aveva parlato ma, insomma, mi sembravano abbastanza normali. Chi non soffre di emicranie oggi giorno? Ma cosa c’entra questo?» la incalzò Silvia, impaziente di andare al dunque.
«Così mia sorella Giulia, per scrupolo, l’ha convinta ad andare a fare un controllo. A lei quei mal di testa non sembravano affatto normali; gettavano Michela in uno stato di torpore. Sembrava che non udisse più le nostre voci, a parte quella di Gaia, che sentiva forse fin troppo bene. Diceva di non sopportarla… non sopportava gli strilli di sua figlia, capisci? Diceva che quegli acuti le trapanavano il cervello. Così zia Giulia, con la sua dolcezza e i suoi modi persuasivi, l’ha convinta a farsi vedere. Sono andate nell’ospedale in cui è in cura, le hanno fatto una tac d’urgenza e… hanno trovato qualcosa… alla testa.»
«Qualcosa cosa? Ma poi alla testa? Ma come alla testa?» chiese Silvia, sentendosi improvvisamente assalire dalla nausea.
«Questo è ciò che ci hanno detto i medici, non sappiamo nient’altro…» disse Anna, tentando di trattenere l’imbarazzante tremito del mento.
«Non può essere» sospirò Silvia scuotendo la testa.
«L’hanno ricoverata due giorni fa. Le stanno facendo tutti gli accertamenti del caso… speriamo non sia di nuovo lui» aggiunse Anna sconsolata.
A Silvia iniziarono a fischiare le orecchie.
«Ma se l’hanno imbottita di chemioterapia! Il tumore non può essersi ripresentato, insomma, non così presto!» continuò la ragazza, cercando di controllare il volume della voce per non attirare nuovamente l’attenzione dei curiosi; in quel momento non avrebbe tollerato l’intromissione di nessuno, nemmeno della più rimbambita delle vecchiette.
«Spero tu abbia ragione, Silvia» riprese Anna, vagamente rincuorata da quelle parole. Il ragionamento della ragazza, in effetti, non faceva una piega.
«Silvia?» tornò a chiamarla.
Ma alla ragazza, oltre alla nausea e al fischio alle orecchie, iniziò a girare sempre più velocemente la testa; ebbe freddo alle mani.
«Devo sedermi» biascicò, prima di accasciarsi sul banco dell’insalata.
Quando riaprì gli occhi si ritrovò sdraiata sul pavimento, attorniata dai curiosi che aveva evitato qualche istante prima, con una cassiera che a fatica le teneva sollevate le gambe.
«Non è nulla» disse imbarazzata.
Odiava svenire in mezzo alla gente.
Provò a mettersi seduta, ma non ci riuscì.
Qualche istante dopo arrivarono i soccorritori con le loro vistose divise arancioni.
«Stia tranquilla, adesso ci siamo noi.»
«Non ho bisogno di nessuno!» disse stizzita «sto bene, davvero. É stato solo uno stupido giramento di testa.»
Le provarono la pressione ed era veramente bassa.
«Non possiamo lasciarla qui. Per favore, venga con noi…» e glielo chiesero con una tale gentilezza che non poté dire di no.
«Anna, ti prego, non dire nulla a mia madre» la scongiurò Silvia.
«Non ti preoccupare» la rassicurò la donna, strizzandole l’occhio.
«Vuoi che ti accompagni in ospedale?»
«Ti ringrazio ma non ce n’è bisogno. Davvero, è una stupidata. Mi capita spesso di svenire, d’estate. Tua figlia lo sa benissimo!»
Sorrise ripensando a quante volte le era capitato di sentirsi male in sua presenza. Per questo Michela girava sempre con delle liquirizie in borsa. Ogni volta che la vedeva impallidire, in qualunque luogo si trovassero, la costringeva a sedersi, se non addirittura a sdraiarsi; le infilava in bocca una manciata di quelle caramelline nere e le proibiva di muoversi finché non le avesse deglutite interamente.
In effetti, nella maggior parte dei casi quella sua tecnica si era rivelata efficace; le aveva evitato di svenire infinite volte.
«Ti chiamo stasera, Anna.»
«Ciao Silvia. Non farmi preoccupare anche tu.»
La baciò sulla fronte e lasciò che i soccorritori la portassero via.
2
In pochi minuti Silvia si ritrovò all’interno di un’ambulanza. Era la prima volta che ne vedeva una da tanto vicino.
«Speriamo sia l’ultima» bofonchiò.
Non era molto preoccupata per lo svenimento, tra il caldo e quella notizia sarebbe svenuto chiunque.
«Maledizione! É troppo presto per una ricaduta. E poi che significa una ricaduta? Alla testa! Come può dal seno spostarsi alla testa? Ci sono altri organi prima! No, non può essere… hanno sbagliato di certo. Maledetti medici, appena hanno un dubbio già prevedono il peggio. Tanto cosa vuoi che gliene importi di noi? Se sbagliano ti chiedono scusa e per loro finisce lì. Non si rendono conto che intanto noi, in quel frangente, abbiamo perso dieci anni di vita. Per loro non siamo altro che numeri. Medici! Maledetti medici!» borbottava tra sé e sé.
«Ha detto qualcosa?» chiese il soccorritore.
«Sì. Dove mi portate?»
«Andiamo al San Raffaele.»
«Non potreste accompagnarmi all’Humanitas?» chiese addolcendo un po’ il tono della voce, sperando in quel modo di persuaderli ad accompagnarla nell’ospedale in cui era ricoverata Michela. Almeno sarebbe andata a trovarla, e tutta quella situazione avrebbe avuto un senso.
«Purtroppo abbiamo disposizioni di portarla nell’ospedale libero più vicino. Guardi, siamo già arrivati.»
Infatti qualche istante dopo l’ambulanza si fermò e aprirono il portellone.
Silvia volle scendere sulle proprie gambe, per evidenziare il fatto che l’avessero portata lì per niente.
La fecero accomodare in una sala d’attesa e poco dopo venne visitata.
«Cosa le è successo?» chiese gentilmente il medico di turno al pronto soccorso.
«Sono svenuta al supermercato.»
«Le è già capitato prima d’ora?»
«Mi succede quasi sempre, d’estate.»
Le stavano solo facendo perdere tempo.
«Ha mai fatto degli accertamenti a seguito dei suoi svenimenti?»
«Certo che no!» rispose la ragazza «cosa vuole che sia…»
«Non è proprio normale, né salutare, svenire di tanto in tanto, sa? Ad esempio a me non è mai accaduto. Comunque per il momento le faremo un prelievo del sangue, per verificare che i valori siano nei limiti; le misureremo la pressione e poi, se lo riterremo opportuno, le faremo un elettrocardiogramma.»
Così Silvia si rassegnò a trascorrere in quell’orribile pronto soccorso la restante parte di quella giornata torrida.
«Ma sì, almeno sto al fresco…» provò a consolarsi.
«La pressione va abbastanza bene. Tra un’oretta le daremo gli esiti del prelievo e decideremo il da farsi. Intanto può accomodarsi in sala d’attesa; la chiameremo noi.»
Pochi istanti dopo le squillò il telefono. Era