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Iperterra
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E-book271 pagine3 ore

Iperterra

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Info su questo ebook

In un castello abbandonato della città di Lubena, Maria e Martina trovano un portale per un'altra dimensione chiamata Iperterra. Da quel momento vivranno una serie di incredibili avventure, tra curiose scoperte, nuove amicizie e un'importante missione: sconfiggere il malefico mago Sathon.

LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2015
ISBN9781311843166
Iperterra
Autore

Marco Marek

Marco Marek was born in Italy. He always had a fervid imagination and a passion for fantasy stories, medieval magicians, ancient history, and unexplained mysteries. While he was visiting a castle in Eastern Europe, he had the idea of writing Hyperearth.Apart from writing, Marco is also a painter and he likes digital artwork on Photoshop. The cover of Hyperearth is his creation. He loves traveling when he has some free time.

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    Anteprima del libro

    Iperterra - Marco Marek

    CAPITOLO UNO

    LA SCOPERTA

    Nevicava.

    Mentre guardava fuori dalla finestra osservando la neve che cadeva, Martina Kara iniziò a fantasticare: avrebbe voluto esprimere qualche desiderio, ma sua madre interruppe bruscamente i suoi sogni a occhi aperti.

    Martina? Martina, scendi! È tardi!

    Sì, arrivo! rispose lei, affrettandosi verso le scale. La casa a due piani dove viveva era di un bel colore bianco con le finestre color ocra e il portone di mogano laccato con due pomelli d’ottone, al quale si accedeva salendo due scalini di marmo grigio con venature granata. Le camere da letto, inoltre, avevano le pareti rivestite di legno.

    Nella sua stanza erano appesi alcuni disegni. Martina aveva un dono: sapeva disegnare molto bene senza aver mai preso lezioni. I suoi ritratti erano talmente realistici da sembrare persone in carne e ossa.

    Uscì di casa passando per il giardino, diretta a un appuntamento con la sua amica Maria Huby.

    Ciao, come stai?

    Bene, e tu? le fece eco Martina.

    Bene, mi piace quando nevica! esclamò l’altra, entusiasta.

    Anche a me. Sai, vorrei fare un viaggio speciale, da ricordare per sempre... confessò Martina, non potendo immaginare che il suo desiderio si sarebbe presto avverato. Poi aggiunse: Andiamo a fare una passeggiata vicino al castello!

    Nella città di Lubena, a ridosso dei monti Tatra, sorgeva un castello di proprietà del conte Lasky, del quale si vociferava che praticasse magie, anche se erano in molti a pensare che si trattasse solo di una leggenda, una delle tante che circolavano in paese.

    Martina e Maria passarono accanto all’imponente edificio, circondato da diverse rocce e arbusti. A un tratto si imbatterono in una cavità dalla quale proveniva una luce che non avevano mai notato prima, pur avendo percorso quel sentiero più volte.

    Si fermarono a guardare meglio. Sì, sembrava proprio un raggio di luce.

    Dobbiamo togliere un po’ di questi arbusti, speriamo non ci veda nessuno... disse Martina, che era sempre stata curiosa sin da piccola.

    Sgombrata l’entrata, la cavità, seppur abbastanza stretta, si rivelò del diametro giusto per delle ragazze di sedici anni.

    C’è anche una vecchia scala! esclamò Maria.

    Una volta dentro, scoprirono che la luce proveniva da una pietra sul pavimento di color verde mare tendente all’azzurro, lo stesso degli occhi di Martina. Attorno a essa erano disposti tre specchi; alle pareti, prive di finestre, erano appesi vecchi quadri sopra antiche cassapanche di legno scuro. Aveva tutto l’aspetto di essere una camera segreta.

    Maria riconobbe il Conte Lasky in un dipinto.

    È lui! Forse questa è la stanza dove praticava la magia e faceva i suoi esperimenti...

    Sì, probabilmente hai ragione. Guardiamo un po’ in giro, magari troviamo qualcosa... suggerì Martina.

    Provarono ad aprire una porta ma era chiusa a chiave.

    Non c’è niente qui, oltre a vecchi alambicchi e cassapanche vuote... constatò un po’ delusa.

    Forse ci sono delle botole segrete... ipotizzò Maria.

    Può darsi. Ora però andiamo a casa. Domani in biblioteca cercheremo informazioni sul Conte Lasky.

    Va bene. acconsentì l’amica.

    Uscirono con fare furtivo, richiudendo con cura il passaggio. Si sentivano euforiche per la novità, e poco dopo si salutarono.

    Ciao, ci vediamo domattina alle dieci in biblioteca. le ricordò Martina.

    Sì, okay. Ciao, buonanotte! le augurò Maria.

    A mamma e papà non dirò niente, pensò Martina mentre camminava verso casa. Cenò con i suoi genitori, poi si concesse un bagno caldo prima di andare a letto.

    La mattina dopo si alzò presto. Era di cattivo umore ma le passò in fretta. Ci metteva sempre un po’ di tempo per scegliere cosa indossare. Nonostante fosse una ragazza di notevole bellezza, era convinta di avere molti difetti, come tutte le sue coetanee.

    All’ora concordata incontrò in biblioteca Maria, già alle prese con un paio di libri sul conte Lasky. Presero a sfogliarli avidamente insieme, in cerca di qualche indizio.

    Forse ho trovato qualcosa! urlò Martina.

    "Non gridare, shhhh!" la rimproverò la compagna.

    L’altra si coprì la bocca con una mano, poi sorrise e sussurrò: Leggi qui, Maria!

    Per i suoi esperimenti, il Conte Lasky aveva a disposizione diverse camere, che presumibilmente non sono ancora state scoperte; si ipotizza anche l’esistenza di un libro che rivelerebbe molti dei segreti del Conte, il più importante dei quali è come far funzionare la pietra con gli specchi che porta a Iperterra.

    Iperterra? ripeterono entrambe, perplesse.

    Io avevo sentito parlare di Iperspazio, non di Iperterra... obiettò Martina.

    "Shhhh!" Quando le persone presenti in sala intimarono loro il silenzio, le ragazze abbassarono la testa per prendere appunti.

    Secondo quanto è scritto qui, il libro è nascosto nella stessa camera in cui siamo state noi! bisbigliò Maria, trascrivendo tutte le informazioni. Dopodiché uscirono dalla biblioteca. Ecco perché non abbiamo scoperto granché laggiù... aggiunse. Se troviamo il libro, potremo saperne molto di più!

    Sì. concordò Martina. Dobbiamo leggere bene gli appunti e, se necessario, tornare in biblioteca.

    Non ti sembra strano che la camera non sia mai stata visitata? O al massimo sia stata vista da pochissime persone? rifletté Maria.

    Già, ma non essendoci niente di interessante, non l’avranno giudicata una scoperta degna di nota. Non ci avranno fatto caso più di tanto, e poi considera che non avevano il libro del Conte... argomentò l’amica.

    Andiamo a vedere se dalla cavità esce ancora quella luce. propose Maria prendendola per mano.

    Quando arrivarono sul posto, però, il raggio di luce che avevano notato la volta prima era sparito. Eppure gli arbusti sembravano non essere stati toccati né tanto meno spostati.

    Mi ricordo questo ramo nella stessa posizione, ce l’ho messo io così... assicurò Martina.

    Forse dovremmo visitare di nuovo il castello. suggerì Maria.

    Mah, forse hai ragione, anche se non credo sarà possibile vederlo tutto. Certe parti sono inaccessibili. In ogni caso, tentare non costa niente... convenne l’altra.

    Poco dopo raggiunsero l’entrata del castello, che appariva decisamente massiccia, con due torri gotiche sui lati, anneritesi col passare del tempo, vecchie statue scolpite sulla facciata e, infine, alcuni gargoyle che incutevano un po’ paura.

    Dalla sala d’accoglienza le ragazze passarono nella piccola chiesa personale del Conte e da lì si diressero alle cantine; a un certo punto trovarono una mappa del castello disegnata su una parete, grazie alla quale individuarono la via più breve per arrivare alla camera scoperta il giorno prima, e non rischiarono di perdersi nei meandri dell’edificio.

    Giunte all’imbocco di un lungo corridoio, Maria disse: Stando agli appunti, chi trova il simbolo della famiglia Lasky, nascosto qui da qualche parte, sbloccherà il primo indizio della camera e aprirà la porta.

    Bene, diamo un’occhiata... commentò Martina.

    Impiegarono parecchi minuti a cercare senza tuttavia trovare niente, finché l’attenzione di Maria non fu attratta da qualcosa.

    Guarda, due spade incrociate con una rosa in mezzo alle punte!

    Sì, lo vedo! È un po’ rovinato, ma è senza dubbio il simbolo del Conte! Dai, proviamo a schiacciarlo o a muoverlo... disse Martina impaziente.

    Lo premettero più di una volta ma non accadde nulla. La rosa appariva leggermente più infossata rispetto alle spade.

    Mentre sui loro volti cominciava a farsi strada una cocente delusione, a Martina venne un’idea.

    Proviamo allora ad abbassare le lame o a toccare la rosa...

    Poiché le spade sembravano fisse, la ragazza, guardandosi attorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno, optò per premere la rosa, che in effetti aveva la forma di un bottone. Si udirono all’istante rumori di serrature che scattavano. Martina e Maria rimasero stupefatte: avevano appena risolto il primo indizio!

    Brava! si congratulò Maria. Adesso apriamo la porta.

    Niente da fare, quella non voleva saperne di sbloccarsi.

    Girarono a sinistra e a poca distanza ne trovarono un’altra, socchiusa.

    Passiamo di qui... suggerì Martina.

    Appena varcata la soglia, Maria espresse un dubbio: Se la lasciamo aperta, potrà entrare chiunque!

    Martina si voltò, condividendo la preoccupazione dell’amica, ma non appena sfiorò la porta, quella si chiuse da sola! Tentarono in tutti i modi di riaprirla, ma ogni sforzo si rivelò inutile.

    Oh no! E adesso che facciamo? domandò Martina disperata.

    Non si trattava della camera con la pietra e gli specchi. Rilessero gli appunti in cerca di informazioni su quella nuova stanza, ma non trovarono nemmeno un accenno.

    Almeno non siamo al buio... si consolò Maria.

    Da un piccolo lucernario filtrava una pallida luce. La piccola camera era arredata con un vecchio mobile da ufficio a cassetti, due sedie, un armadio con le ante di vetro colorato e antichi quadri alle pareti. La polvere ricopriva ogni superficie.

    Dev’essere molto tempo che nessuno entra qui... constatò Martina.

    Già. concordò Maria. E temo che anche noi ne passeremo molto, chiuse qui dentro! Guarda, c’è una porta lì a sinistra! Cerchiamo qualcosa per aprirla.

    Cosa? No, non ci penso nemmeno! ribatté Martina infastidita. Poi aggiunse: Chissà dove conduce... meglio uscire da questa parte, sul corridoio...

    Passò quasi un’ora, che le ragazze trascorsero sedute a terra, a pensare a una soluzione. D’un tratto, entrambe notarono che sulle sedie, i mobili e la tappezzeria, spiccava il disegno di una cornucopia.

    Dobbiamo trovare la cornucopia! esclamarono all’unisono, sicure che da qualche parte ci fosse un simbolo da azionare come quello delle spade e della rosa.

    Cercarono in lungo e in largo, ma l’unica cosa interessante che scoprirono fu uno strano oggetto in rilievo su un’altra porta semi-nascosta. Anche questa, però, non dava sul corridoio. Nonostante i dubbi di Martina, decisero di provare ad aprirla. Maria guardò più da vicino l’oggetto e disse: È di metallo, ma non si può premere...

    Allora tiralo verso di te. Sembra una piccola maniglia... azzardò Martina.

    L’amica eseguì e subito dopo gridò: Si muove! Adesso sporge di una decina di centimetri!

    Prova a ruotarlo, in un senso o nell’altro.

    Maria, euforica, girò la maniglia come fosse una chiave e la porta si aprì.

    Siamo nella camera della pietra e degli specchi! esclamò eccitata.

    Sì, meno male, per oggi ne ho avuto abbastanza, voglio tornare a casa! Ho avuto paura di rimanere bloccata lì dentro... confessò Martina, un po’ spaventata.

    È passata, dai... la incoraggiò Maria. Anch’io ho avuto paura, ma alla fine è andato tutto bene, no?

    L’altra annuì con un sorriso.

    Okay, adesso usciamo senza farci vedere.

    Si guardarono bene attorno, e a turno guadagnarono l’uscita senza essere viste, o almeno così credevano: qualcuno, con indosso un mantello scuro, le aveva notate già prima, mentre si aggiravano nei pressi del castello. Si trattava di Philo Conet, un uomo bizzarro di cui si sapeva poco in città, se non che era sempre di fretta e anche un po’ sgarbato nei modi. Aveva un negozio di antiquariato ed era un appassionato di alchimia e magia; nella vita, tuttavia, era riuscito a combinare ben poco, impicciandosi spesso degli affari degli altri.

    Distesa a letto, Martina ripensava alla giornata appena trascorsa. Si sentiva euforica e non vedeva l’ora di trovare il libro del Conte.

    La mattina dopo, le ragazze tornarono in biblioteca, dove recuperarono altre informazioni preziose: secondo alcune fonti, il libro che permetteva di entrare a Iperterra sarebbe stata una leggenda inventata di sana pianta, notizia che lì per lì le deluse profondamente. Eppure i tre specchi e la pietra esistevano davvero, li avevano visti con i loro occhi: qualcosa di vero doveva pur esserci in quella storia.

    "Per trovare il libro, premi le sue lettere... Che significa?" si chiese Maria, leggendo un passo da uno dei libri della biblioteca.

    Non lo so, dobbiamo rifletterci... rispose Martina, dopodiché piombò in uno stato simile alla trance: vide se stessa a Iperterra, circondata da strane persone con abiti scuri e larghi che somigliavano a fantasmi, e le giravano attorno, la inseguivano, la minacciavano. Perché sei venuta qui? Va’ via! Non è il posto per te! le gridavano in tono lugubre. Vedendola in quello stato, Maria provò a scuoterla per un braccio.

    Martina, Martina!

    All’udire il suo nome, la ragazza sobbalzò e disse: Ho avuto una visione: ero su Iperterra, sembrava un incubo...

    Magari è stata soltanto una tua suggestione per quello che stiamo leggendo... ipotizzò l’amica.

    Uscirono dalla biblioteca e si diressero verso il castello, passando vicino al negozio di Conet l’antiquario. Questi, vedendole arrivare, esclamò: State cercando di far funzionare la pietra con i tre specchi, vero? Tanto non ci riuscirete mai! Qualcuno ci ha già provato in passato, senza successo... concluse con una cupa risata.

    Le ragazze tirarono dritto, ignorandolo e chiedendosi chi fosse.

    Forse ci ha seguite e non ce ne siamo accorte... Adesso andiamo, dai! Presto, che è rientrato in negozio... disse Martina.

    Giunte al castello, si guardarono intorno con circospezione, senza tuttavia notare niente di strano; spostarono rami e arbusti, ed entrarono nella camera della pietra e dei tre specchi.

    "Premi le sue lettere... forza, diamo un’occhiata in giro! propose Martina. Cerchiamo lettere sui muri, porte, finestre..."

    Le ricerche diedero i loro frutti: su una parete della camera trovarono la lettera K cesellata in caratteri gotici.

    Ho capito! Dobbiamo cercare lettere dell’alfabeto. Ora provo a schiacciare questa...

    Premere la lettera K si rivelò impossibile. Martina pensò a come fare per risolvere l’enigma.

    Nel frattempo Maria aveva individuato un’altra lettera, la Y. La premette ma non successe niente. Spostarono una cassapanca e scoprirono la A, la L e la S in alto, dietro una tenda.

    Cosa ce ne facciamo di tutte queste lettere? domandò Maria, frustrata. Aspetta, forse vanno premute in sequenza... ma certo! Sono le iniziali di Lasky, il Conte!

    Perché non ci abbiamo pensato prima? si rimproverò Martina.

    Okay, allora premiamo prima la L, poi le altre fino all’ultima, la Y. disse Maria. Sono sicura funzionerà.

    Schiacciò per prima la lettera L, e via via la A, la S e la K. Le ragazze si guardarono l’un l’altra e insieme premettero la Y: lì per lì non accadde niente, ma dopo qualche istante si sentirono dei rumori e dal centro della camera, due lastre di pietra presero a scorrere in senso orizzontale. Lentamente, dalla cavità sottostante emerse un leggio con un libro.

    Eccolo! esclamarono contemporaneamente.

    Era rilegato in pelle e al centro era disegnato un fregio con il simbolo della pietra e degli specchi. Non era voluminoso come avevano immaginato, bensì piuttosto piccolo.

    Martina prese a sfogliarlo con curiosità crescente. All’inizio era riportata la storia del Conte Lasky, che lei saltò a piè pari per soffermarsi su qualcosa di più interessante.

    Ecco le istruzioni per accedere a Iperterra tramite il Khenon. Ah, si chiama così?. Dopodiché riprese a leggere: "Per attivare il Khenon, bisogna pronunciare Khenon Tempus Fugit, toccare gli specchi con una mano facendo un giro attorno alla pietra, e tenere nell’altra la Stella di Raj. Sì, okay, ma dov’è la stella?"

    Forse è in mezzo alle pagine... ipotizzò Maria, visibilmente perplessa.

    Lo sfogliarono fino all’ultima ma senza successo. Martina trovò invece uno scompartimento segreto nel leggio.

    Credo di aver scoperto qualcosa... disse speranzosa, provando ad aprirlo con un tagliacarte trovato lì accanto.

    Alla fine riuscì nel suo intento: nel piccolo alloggiamento era adagiata una stella, che recava al centro una pietra simile a quella del Khenon, soltanto un po’ più piccola.

    Le ragazze non stavano nella pelle al pensiero di essere così vicine ad attivare il Khenon.

    "Per tornare indietro bisogna dire Khenon Returnum Est." spiegò Maria.

    Proviamo, dai... la incalzò Martina, in fibrillazione.

    Sì, vediamo che succede, sono curiosa... confessò l’amica con la voce piena d’ansia.

    Si posizionarono vicino alla pietra. Girandole attorno e tenendo la Stella di Raj in una mano, con l’altra Martina toccò i tre specchi e pronunciò al contempo la formula Khenon Tempus Fugit. La pietra si accese ed emise una luce azzurro-verde; negli specchi apparvero nuvole che fluttuavano veloci, castelli medievali, vecchie chiese, e ancora nuvole. La luce era così forte da investire in pieno la camera, tanto che le ragazze non riuscirono più a vedere niente. Poi, improvvisamente, svanì del tutto.

    Siamo arrivate? chiese Maria.

    Penso di sì. rispose Martina.

    Si guardarono attorno. Iperterra appariva leggermente diversa da come se la immaginavano. Era più gotica e cupa di quanto pensassero.

    Camminarono un po’. Dalla periferia della città dove si erano ritrovate, presero la strada principale e la percorsero fino in centro, senza incontrare nessuno lungo il tragitto.

    Questo posto mi dà i brividi... confessò Maria.

    Con loro grossa sorpresa, notarono a poca distanza diverse persone immobili, chi in strada, chi sul marciapiede. Quando furono più vicine, Martina poté osservarne meglio una.

    Da lontano sembravano persone, invece sono statue!

    Sì, a quanto pare sono state pietrificate... commentò Maria, stupefatta.

    CAPITOLO DUE

    ARRIVO A IPERTERRA

    Mentre osservavano le statue, un uomo con un mantello e cappello scuri le chiamò a voce bassa ma decisa: Cosa fate lì? Siete impazzite? Volete fare la loro stessa fine? Venite qui, da questa parte!

    Le due ragazze lo ascoltarono e lo seguirono fin dentro casa.

    Cosa è successo? chiese Maria.

    Da dove venite? Il mago Sathon ha fatto un incantesimo che ci impedisce di uscire dalla città. Se dovesse vedervi, vi trasformerebbe in una statua di pietra nera! Io sono Ron Mulley, e vi assicuro che Sathon sa essere parecchio dispettoso!

    Scusateci, non lo sapevamo, siamo appena arrivate... disse Martina dispiaciuta.

    Da dove venite, da un’altra dimensione? domandò di nuovo.

    Le ragazze si guardarono imbarazzate e risposero: Beh, sì, veniamo dalla Terra.

    Ah, lo sapevo! Sul vostro pianeta sono tutti sbadati, zotici e superficiali. È da molto tempo che non incontriamo un terrestre... commentò l’uomo.

    Ma senti tu questo che arrogante... zotici a noi? sussurrò Martina a Maria:

    Che avete detto? fece Mulley sospettoso.

    No, niente... rispose pronta Maria.

    Va bene, adesso vi porto da Orso, lui conosce bene quelli della vostra dimensione. Venite con me.

    Entrambe lo seguirono in una cantina e di lì in un cunicolo ben illuminato.

    Quando Sathon fa il dispettoso, noi per evitarlo ci muoviamo in questi tunnel. le informò Mulley.

    Arrivarono a una porta con due lupi scolpiti sul batacchio, dietro la quale apparve Orso, un uomo molto alto con un paio di baffi enormi. Mulley fece entrare le ragazze e si congedò.

    Io sono Orso Kolos, e mi congratulo con voi, brave! Era da moltissimo tempo che qualcuno della Terra non arrivava fin qui...

    Piacere, Orso, io sono Martina e lei è Maria.

    Avrete già notato che qui è un po’ diverso dal vostro pianeta, ma vi abituerete, non preoccupatevi...

    Abituarsi? Noi vogliamo andarcene subito! ribatté Maria in tono deciso.

    Ve ne andrete, certo, ma non adesso, non è possibile: il Khenon deve recuperare energia. spiegò l’uomo.

    Le ragazze parvero deluse: non bastava che quel posto fosse già abbastanza tetro, ci si metteva anche l’impossibilità di tornare subito indietro, un problema che non avevano messo in preventivo.

    Orso le condusse alle loro camere e disse: State tranquille, a volte siamo un po’ bruschi e arroganti, ma vi assicuro che siamo tutti amici e ci aiutiamo a vicenda, non come sulla Terra dove regnano solo odio e invidia. Qui quei sentimenti non esistono, l’unico che li prova è il mago Sathon. Buonanotte, a domani!

    Detto ciò, uscì in fretta e si chiuse la porta alle spalle. Maria e Martina osservarono la stanza, un po’

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