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Sogni infranti
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E-book183 pagine2 ore

Sogni infranti

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Info su questo ebook

Ispirandosi a un fatto di cronaca realmente accaduto, l’autrice delinea il paesaggio rurale e umano della società contadina toscana nel secondo dopoguerra. Chi ha ucciso la bella Livia, il cui fantasma percorre ancora le strade di Toiano, ormai divenuto un
borgo fantasma? La scrittrice ci conduce per mano – una mano leggera e rispettosa, ma dalla precisione chirurgica – nella quotidianità della ragazza e poi nella ricostruzione di uno dei primi processi “mediatici”, riflesso di un’Italia che stava cambiando.

Barbara Gori è nata a Cortona nel 1970. Attualmente vive a
Cortona e insegna Italiano e Latino presso il Liceo classico
della sua città. È  appassionata di archeologia, storia antica
e letteratura. Ama leggere, scrivere e realizzare lezioni creative per stimolare l’interesse e la curiosità dei suoi studenti.
Nel 2001 ha pubblicato  Gravisca. Scavi nel santuario greco.
La ceramica comune e nel 2017 Via dei mandorli. Storie di
soldati e contadini.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2023
ISBN9788830682368
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    Sogni infranti - Barbara Gori

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    Barbara Gori

    Sogni infranti

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7575-9

    I edizione aprile 2023

    Finito di stampare nel mese di aprile 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Sogni infranti

    Nuove Voci

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PROLOGO

    La macchina ha appena lasciato l’asfalto e si sta arrampicando per la strada sterrata, ripida, sconnessa, dalla base a schiena d’asino, che rende la salita non proprio agevole.

    I cuori di Marco, Mirco, Michaela e Cristina battono all’impazzata: sono tesi, ansiosi di iniziare la loro avventura.

    Le ruote alzano la polvere e, scivolando sulla ghiaia del selciato, producono un fastidioso rumore.

    Dopo una breve salita rettilinea, la strada diventa tortuosa e gli stretti tornanti sono delimitati da una selvaggia vegetazione locale che ostacola la visuale. Siepi di canneti dalle foglie vibranti, smosse da leggere folate di vento, si alternano a cespugli di finocchio selvatico dai fiori gialli e profumati, pronti per la raccolta. Tutt’attorno i terrazzamenti di ulivi, che ricoprono le colline, lasciano talvolta spazio agli aridi calanchi dai gotici pinnacoli e ai ciuffi di gattici.

    La macchina svolta l’ultima curva e in alto si scopre la grottesca struttura della piccola cappella del cimitero.

    «Siamo arrivati», esclama Cristina. «Guardate, quello è il cimitero di Toiano.»

    I ragazzi sono eccitati. Sono arrivati nel luogo in cui lei li voleva portare. Sono curiosi di conoscere il posto e di immergersi nel suo mistero.

    Da tempo Cristina desiderava visitare quel luogo: da quando aveva casualmente conosciuto la storia di Livia Donati non era stata mai abbandonata dall’idea di vedere con i suoi occhi dove era avvenuto, ormai più di settant’anni prima, l’atroce delitto.

    Marco parcheggia la macchina. Tutti escono dall’abitacolo, chiudendo all’unisono le porte.

    Dalle zone più basse provengono delle voci confuse che disturbano il senso di sacralità emanata dagli alti cipressi e dal piccolo cimitero.

    L’istinto è quello di entrare e di perlustrare le tombe in cerca di quella di Livia. Sono arrivati qui proprio per questo.

    Scendono insieme i quattro gradini che conducono al cancello, ma questo è chiuso da un lucchetto arrugginito.

    Non si può entrare.

    Risalgono il dislivello e da sopra, dalla sommità del muretto, iniziano a guardare dentro il piccolo spazio delimitato.

    Leggono da lontano i nomi dei defunti, incisi sulle vecchie lapidi delle tombe: di Livia non c’è traccia.

    In un angolo del cimitero vengono poi avvistate due tombe appartenenti ad una coppia maritale che porta il cognome Donati.

    «Forse sono i parenti», afferma Cristina.

    «Guardiamo meglio da questo lato, forse si trova qui quella che cerchiamo», suggerisce il figlio Marco.

    Da quel lato le tombe sono disposte nella direzione opposta a quella in cui si trovano e non è possibile vederne le iscrizioni. Non possono neppure portarsi sull’altro lato della recinzione, perché lì è costruita sul dirupo.

    «Ma come facciamo a leggerle?», si chiede Cristina.

    In men che non si dica il figlio scavalca il muretto di cinta ed entra all’interno del cimitero.

    «Cosa fai, Marco?! Esci subito fuori!»

    «Non prima di aver verificato se la tomba di Livia si trovi qui o no. Comunque, dalle date di morte dei defunti, mi sembra che sia un luogo di sepoltura abbastanza antico, risalente alla prima metà del Novecento. Ho il sentore che il nostro desiderio non sarà soddisfatto!»

    «Forse. Comunque, tanto ormai sei dentro, controlla bene», ribatte Cristina, presa dalla smania di scoprire se il corpo della povera Livia riposi veramente in quel luogo. Ormai è vicina alla realizzazione del suo desiderio e non vuole precludersi nulla, anche se ciò comporta l’infrazione di qualche piccolo divieto.

    Intanto Marco, girando in senso antiorario, legge le iscrizioni sepolcrali delle tombe collocate lungo il perimetro, poi di quelle poste al centro: «Non c’è, mamma, ora esco. Mi sento quasi un profanatore qua dentro.»

    Come un gatto che ha appena rubato un pezzo di lardo e se ne va furtivamente per non subire la scopa della padrona, il ragazzo esce dal sacro recinto.

    Intanto Mirco e Michaela stanno scattando delle foto per riportare nella loro amata Sicilia i ricordi di quella strana giornata, sono infatti ospiti di Marco e della sua famiglia. Sono in Toscana da una settimana e vogliono visitare le città ed i paesi più caratteristici di questa splendida regione.

    Quel giorno si era deciso di passarlo a Pisa. I quattro avevano trascorso una bella mattinata in piazza dei Miracoli, avevano fatto foto con il celebre sfondo della torre pendente, erano entrati nel Cimitero Monumentale e poi avevano pranzato con un panino acquistato in uno dei chioschetti presso i quali si affollano i turisti affamati. Avevano mangiato, sorriso di buon gusto quando avevano comprato da un venditore ambulante due belle patacche di falsi Rolex da sfoggiare al polso, simulando il fare del ricco turista. Adesso bisognava organizzare il pomeriggio. Cosa fare? Tornare a casa? Spostarsi in un’altra città vicina? Cristina aveva fatto delle proposte, ma i ragazzi, presi un po’ dal caldo pomeridiano, le avevano declinate tutte. Poi le era venuta in mente l’idea di andare a Toiano. Aveva spiegato ai ragazzi frettolosamente il perché di quella destinazione.

    Rispetto a Pisa, infatti, Toiano è veramente un granello di sabbia, in tutti i sensi, sia come estensione sia come importanza artistico-culturale.

    Eppure Marco, Mirco e Michaela non se l’erano fatta ripetere due volte quell’idea, ma l’avevano immediatamente sposata, stuzzicati dal fatto di fare qualcosa di diverso, strano, ma tutto sommato allettante: andare a visitare lo scenario di un delitto.

    Cristina, durante il viaggio in autostrada, ha raccontato loro la tragica storia di Livia Donati, di cui è venuta a conoscenza per caso, navigando in Internet alla ricerca dei borghi toscani dimenticati.

    Durante la sua perlustrazione telematica ha scoperto l’esistenza di Toiano, piccolissimo paese, oggi abbandonato, tristemente famoso per l’omicidio di Livia, diventato di grande interesse per chi crede nell’occulto e nell’esistenza dei fantasmi. Si è infatti diffusa la notizia che il fantasma di Livia, vestito di rosso, stesso colore del suo sangue, si aggiri tormentato in quei luoghi, in cerca di qualcuno che le dia una voce per esprimere la sua sofferenza, il suo tormento e per rivelare il nome del suo assassino. Tanti sedicenti maghi o sensitivi, con varia strana strumentazione, si sono affannati e ancora s’affannano a cercare il fantasma di Livia e a rilevare la sua voce, ma ancora, dopo innumerevoli tentativi, il mistero è rimasto irrisolto.

    Cristina ha raccontato ai ragazzi la vicenda, ha creato in loro così tanto interesse da avvolgerli nella sua rete fatta di paura, mistero, pietà e rabbia.

    E adesso si trovano proprio lì, desiderosi di conoscere a fondo tutta la vicenda, in tutti i suoi minimi particolari, mentre calpestano lo scenario reale nel quale si mossero i protagonisti.

    I quattro hanno appena lasciato il cimitero alle loro spalle e iniziato la salita che porta al borgo.

    «Su ragazzi», incita Cristina, «andiamo a vedere il paese.»

    «Ma è veramente disabitato?», chiede Michaela.

    «Sì, secondo le mie ricerche è un paese fantasma, adesso lo appureremo.»

    «Ma alcune case sembrano ristrutturate. Ci sono finestre con vetri nuovi.»

    «Forse alcuni proprietari le hanno aggiustate. Ma so che non ci abita nessuno. Forse una ragazza che è tornata a vivere nella casa della nonna. Comunque andiamo a vedere.»

    Passano sopra il ponte che permette l’accesso al paesello e si sporgono dai due lati del parapetto per vedere il panorama. Alla loro destra c’è un susseguirsi di colline coperte da boschi ancora verdeggianti. L’autunno non è ancora arrivato e, in quell’inizio di settembre, la vegetazione è ancora lussureggiante. Alla loro sinistra l’orizzonte spazia tra calanchi, valli e alture costellate da piccoli centri abitati. È uno spettacolo magnifico. La giornata è splendida. In alto il cielo è azzurro e limpido, così come è solito essere in quel periodo dell’anno.

    Incontrano le prime case, sono chiuse, ma ancora strutturalmente intatte. Appesi ad un parapetto di ferro, uno di quelli che servono per bloccare gli accessi, ci sono due oggetti che suggeriscono l’interessamento di qualcuno al mantenimento in vita del piccolo borgo. Il primo è una pallina di Natale dorata, sbiadita dal tempo, ciò che rimane di un’iniziativa di qualche anno fa volta a dare un Natale a Toiano, il secondo un cartello attraverso il quale si invita la gente a sostenere la locale colonia di gatti randagi con donazioni di cibo.

    Seguendo l’andamento dell’unica strada, svoltano leggermente a sinistra: dalla dimora posta a destra, dove è visibile una finestra aperta, arrivano rumori riconducibili con ogni probabilità a lavori di varia manutenzione.

    Oltre a questo non si sente nient’altro ed il silenzio è totale.

    Sulla sinistra una casa presenta evidenti segni di vita. Ci sono vasi di fiori, le finestre sono aperte e le tende mosse dal vento serpeggiano sinuose. Forse abita qui l’unica residente di Toiano.

    Nell’ultima parte della strada le case sono state maggiormente mangiate dal tempo: i portoni sono spalancati e alla vista si aprono interni sconnessi, franati, diroccati, con i resti di un lontano passato. Qualche mobile di cucina, ammassi di calcinacci, scarponi gettati alla rinfusa e coperti di polvere antica. Qualche utensile abbandonato da chi lo ha giudicato ormai inutile. Alcuni tetti sono caduti:

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