Via del sortilegio
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Una ragazza coraggiosa, compiendo delle scelte difficili, farà di tutto per trasformare i due giovani amanti in umani e permetterà loro di vivere un giorno in più, così da poter realizzare i loro sogni e sconfiggere la maledizione.
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Anteprima del libro
Via del sortilegio - Barbara Massaria
autrice
Il mago della Montagna Rocciosa
Il sole si era levato da un paio d'ore sulle terre a ovest del continente. Era pallido e i suoi raggi delicati segnavano l'inizio della primavera, quando la natura sta per gettare via il manto dell'inverno e da qualche parte già si scorgono le prime gemme sbocciare, anche se il clima è ancora freddo. La rugiada stava svanendo nel vasto campo erboso punteggiato da arbusti che precedeva le pendici di una montagna cupa e spoglia di vegetazione.
Quella montagna, denominata sulle cartine dei viandanti Montagna Rocciosa, non era particolarmente amata dalla popolazione dei villaggi che sorgevano a qualche chilometro di distanza, non perché la sua vista avesse di per sé qualcosa di spaventoso, ma perché essa era abitata da un individuo particolare, definito da alcuni strano, dai più malvagio. Ecco perché nessuno si era mai azzardato a costruire abitazioni nelle immediate vicinanze della montagna, e perché a nessun pastore veniva in mente di portare le pecore al pascolo in quella zona.
L'unica costruzione presente sulla montagna -e nelle immediate vicinanze- si ergeva proprio al centro della roccia brulla, in una posizione quasi sempre nascosta e all'ombra, dato che i raggi del sole non riuscivano mai a penetrare l'oscurità di quell'anfratto. Si trattava di un piccolo castello, con tanto di torrioni dai tetti scuri e appuntiti, il quale sembrava fatto della stessa consistenza della roccia e incuteva timore a ogni sguardo.
Le voci che circolavano sullo strano abitante della montagna erano molte, con alcuni punti sui quali tutti erano d'accordo. Pochissimi lo avevano mai veduto, forse solo gli anziani dei villaggi, molti anni prima, poiché egli non visitava mai i centri abitati, mandando un nero piccione a consegnare delle pergamene ai singoli bottegai quando desiderava che gli venisse recapitata della merce al castello. Accadeva che questi volatili arrivassero più o meno una volta al mese, e solitamente, per queste incombenze, era inviato alla Montagna Rocciosa uno dei giovani del paese con un carretto contenente tutta la mercanzia richiesta, il quale doveva depositare ai piedi della montagna ogni cosa; a questo punto una scimmia lesta scendeva dal castello aggrappandosi alla roccia per porgere a lui oro, argento o gemme preziose in piccolissime quantità per pagare la merce. Non si può dire che l'individuo non fosse generoso, perché aggiungeva di solito al denaro una piccola mancia, consistente in un casco di banane o, più raramente, in un raro esemplare di orchidea, quando era di buon umore.
Si diceva che quell'uomo malvagio fosse un mago, perché strani avvenimenti avevano toccato alcuni abitanti dei villaggi vicini, persone che avevano avuto la sfortuna di avere a che fare con lui. Alcuni si erano diretti al castello con l'intenzione di proporre un buon affare e non erano più tornati, sparendo nel nulla. Altri erano tornati pallidi come la morte e non erano riusciti a raccontare nulla di quanto era accaduto loro, e poco dopo anche di queste persone non si era più saputo nulla, perché avevano abbandonato le loro abitazioni, fuggendo dal villaggio.
I borbottii erano tanti, ma nessuno aveva voluto approfondire davvero gli accadimenti, men che meno rischiare di trovarsi faccia a faccia con lo strano individuo per dirgli di lasciare in pace la povera gente. In fondo, chi aveva avuto guai con lui lo aveva cercato di sua spontanea volontà, quindi bastava non farsi venire strane idee, non andare a importunarlo e rispondere prontamente solo a quelle sue blande richieste mensili che facevano guadagnare qualche soldo ai commercianti.
Si diceva, nelle taverne, durante le buie sere in cui davanti al fuoco dei caminetti giovani e vecchi si raccontavano storie, che non vivesse da solo. La storia che circolava più di frequente affermava che uno dei garzoni, non molto tempo prima, era tornato al villaggio dicendo di aver alzato gli occhi verso l'alto per dare un'occhiata da vicino al castello e di aver visto, affacciata a una specie di finestra aperta nella roccia, il volto di una ragazza. Che fosse giovane e bella, o più in là con l'età e brutta, di questo nessuno era certo, perché la ragazza era nell'ombra e il garzone si era guardato bene dal trattenersi a fissarla, correndo via appena concluso l'affare.
Quella mattina di inizio primavera Shalila si svegliò piuttosto infreddolita. Gettò uno sguardo al focolare e constatò che era spento: i carboni sembravano freddi da molte ore. Si alzò e infilò una vestaglia, stringendola addosso alla sua figura esile.
In quel momento udì bussare qualcuno alla porta di legno della sua stanza che, come tutto il castello, aveva come pareti nuda roccia rossa.
«Avanti» disse la ragazza con un tono di voce ancora piuttosto assonnato.
Fece capolino Mika, la sua domestica. Aveva folti riccioli