La Tachipompa e altre storie
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Info su questo ebook
Gli Stati Uniti ucronici di un 1937 che non è mai stato, invasi dalla Cina.
Un teletrasporto finito male.
Un orologio capace di portare indietro nel tempo.
Una macchina per analizzare l’anima degli uomini.
Uno scienziato invisibile.
Una macchina per raggiungere velocità infinite.
Queste sono le sette idee principali dietro i sette racconti di Edward Page Mitchell qui proposti.
Autentiche perle della fantascienza d’epoca, pubblicati negli USA tra 1874 e 1881, anni prima della macchina del tempo o dell’uomo invisibile di H. G. Wells e molto prima del teletrasporto di Star Trek.
[Sette racconti di fantascienza d’epoca, collana Vaporteppa (Vekkiume), 31.000 parole, circa 112 pagine, con in aggiunta una postfazione sulla loro importanza storica e sull’autore]
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Anteprima del libro
La Tachipompa e altre storie - Edward Page Mitchell
Vaporteppa
L’uomo più intelligente del mondo
(Maggio 1879)
I
Forse qualcuno può ricordare che nel 1878 il generale Ignatiev trascorse diverse settimane di luglio al Badischer Hof di Baden. I giornali fecero sapere che visitò le terme per migliorare la sua salute, che si diceva fosse particolarmente compromessa dall’ansia protratta e dalle responsabilità al servizio dello Zar. Ma tutti sapevano che Ignatiev era là solo perché non era più nelle grazie di San Pietroburgo, e che la sua assenza dai centri di governo in un momento in cui la pace dell’Europa fluttuava come un volano a mezz’aria, tra Salisbury e Šuvalov, non era altro che un esilio educatamente camuffato.
Devo la conoscenza dei fatti seguenti al mio amico Fisher, di New York, che arrivò a Baden il giorno dopo Ignatiev, e fu debitamente annunciato nella lista ufficiale degli stranieri come «Herr Doctor Professor Fischer, mit Frau Gattin und Bed. Nordamerika.»
La scarsità di titoli tra l’aristocrazia in viaggio del Nord America è un grande fastidio per la persona ingegnosa che compila la lista ufficiale. L’orgoglio personale e l’istinto di ospitalità lo spingono a supplire alla mancanza non appena può. Distribuisce governatore, maggior generale e dottor-professore con tollerabile imparzialità, a seconda che gli americani in arrivo abbiano un’aria distinta, marziale o studiosa. Fisher ha ottenuto il suo titolo per via degli occhiali.
La stagione era ancora all’inizio. Il teatro non era ancora aperto. Gli alberghi erano mezzi vuoti, i concerti nel chiosco alla Conversationshaus venivano ascoltati da un rado pubblico e i commessi del bazaar non avevano di meglio da fare che passare il tempo a lamentarsi della degenerazione di Baden da quando avevano messo fine agli spettacoli. Pochi escursionisti disturbavano le meditazioni del vecchio custode raggrinzito della torre sul monte Merkur.
Fisher trovava il posto molto stupido, stupido come può esserlo Saratoga in giugno, o Long Branch in settembre. Era impaziente di arrivare in Svizzera, ma sua moglie aveva ottenuto un posto fisso al tavolo di ristorante di una contessa polacca, e si rifiutò categoricamente di fare qualsiasi cosa che potesse tagliare un collegamento così vantaggioso.
Un pomeriggio Fisher era su uno dei piccoli ponti che percorrono l’Oosbach, fiume largo come una grondaia, e guardava pigramente l’acqua chiedendosi se una trota Rangely di buona misura avrebbe potuto nuotare nel torrente senza sentirsi stretta, quando il portiere del Badisher Hof lo raggiunse di corsa.
«Herr Doctor Professor!» gridò il portiere, «vi chiedo perdono, ma il nobile Barone Savič da Mosca, della suite del Generale Ignatiev, sta avendo un terribile attacco, e sembra che stia per morire.»
Inutilmente Fisher gli assicurò che era un errore considerarlo un medico; che non professava nessuna scienza se non il poker; che se nell’albergo prevaleva un’impressione fasulla era per un abbaglio di cui non era in nessun modo responsabile; e che, per quanto gli dispiacesse molto della condizione del nobile barone da Mosca, non sentiva che gli avrebbe portato il minimo beneficio presenziando al suo capezzale. Fu impossibile sradicare l’idea che aveva posseduto la mente del portiere. Trovandosi gentilmente trascinato verso l’albergo, Fisher alla fine decise di fare di necessità virtù e di presentare le sue spiegazioni agli amici del barone.
Gli appartamenti dei russi erano al secondo piano, non lontani da quelli occupati da Fisher. Un valletto francese, quasi fuori di sé dal terrore, uscì di fretta dalla stanza per incontrare il portiere e il dottore. Fisher tentò di nuovo di spiegarsi, ma senza risultato. Anche il valletto aveva spiegazioni da fare, e la sua superiore padronanza del francese gli permise di monopolizzare la conversazione. No, non c’era nessun’altro lì se non lui, il fedele Auguste del barone.
Sua Eccellenza, il Generale Ignatiev, Sua Altezza, il Principe Kolov, il Dottor Rapperschwyll, tutta la suite, tutto il mondo, era partito quella mattina per Gernsbach. Il barone, nel frattempo, era stato colpito da un malore spaventoso e lui, Auguste, era desolato dall’apprensione. Implorò Monsieur di non perdere tempo a parlare, ma di affrettarsi al capezzale del barone, che era già in terribile agonia.
Fisher seguì Auguste nella stanza da letto. Il barone, con ancora gli stivali, era steso sul letto, il corpo quasi piegato dall’incessante stretta di un dolore terribile. Aveva i denti serrati, e i rigidi muscoli attorno alla bocca gli distorcevano l’espressione naturale del volto. Ogni manciata di secondi gli sfuggiva un gemito prolungato. I suoi begli occhi roteavano pietosamente. Subito si premeva con entrambe le mani sull’addome e tremava in ogni arto per l’intensità della sofferenza.
Fisher si dimenticò delle spiegazioni. Se anche fosse stato davvero un dottore non avrebbe potuto guardare i sintomi della malattia del barone con maggiore interesse.
«Monsieur può salvarlo?» sussurrò il terrorizzato Auguste.
«Forse,» disse Monsieur, seccamente.
Fisher scribacchiò una nota per sua moglie sul retro di un biglietto e glie la fece portare dal portiere dell’albergo. Il servitore tornò con grande prontezza, portando una bottiglia e un bicchiere. La bottiglia era venuta a Baden con il bagaglio di Fisher fin da Liverpool, aveva attraversato il mare fino a Liverpool da New York, e aveva viaggiato fino a New York direttamente da Bourbon County, Kentucky. Fisher la prese in fretta ma con reverenza, e la sollevò contro la luce. C’erano ancora tre pollici o tre pollici e mezzo sul fondo. Emise un grugnito di soddisfazione.
«C’è qualche speranza di salvare il Barone,» disse ad Auguste.
Metà del prezioso liquido venne versato nel bicchiere e somministrato senza esitazione al paziente che si contorceva e lamentava. In pochi minuti Fisher ebbe la soddisfazione di vedere il barone sedersi sul letto. I muscoli attorno alla bocca si rilassarono, e l’espressione agonizzante fu sostituita da un’aria di placida felicità.
Fisher ora ebbe un’opportunità di osservare le caratteristiche personali del barone russo. Era un giovane uomo di circa trentacinque anni, con fattezze eccessivamente belle e ben tagliate, ma una testa peculiare. La peculiarità della testa era che sembrava essere perfettamente rotonda in cima, il diametro da un orecchio all’altro sembrava uguale a quello da davanti a dietro. Il curioso effetto di questa particolare conformazione era reso più lampante dall’assenza di capelli. Sulla testa del barone non c’era niente a parte una stretta papalina di seta nera. Una parrucca molto ben fatta pendeva da un angolo del letto.
Essendosi ripreso abbastanza da riconoscere la presenza di un estraneo, Savič fece un cortese inchino.
«Come state adesso?» chiese Fisher, in pessimo francese.
«Davvero molto meglio, grazie a Monsieur,» rispose il barone, in ottimo inglese, con una voce affascinante. «Davvero molto meglio, anche se avverto un certo intorpidimento qui.» E si premette la mano contro la fronte.
Il valletto si ritirò a un segnale del padrone, e il portiere lo seguì. Fisher avanzò accanto al letto e prese il polso del barone. Anche il suo tocco inesperto gli disse che le pulsazioni erano alte in modo allarmante. Era molto confuso, e non poco a disagio per la piega che aveva preso la faccenda.
Ho messo me stesso e il russo in un disastro infernale? pensò. Ma no, è ben oltre l’adolescenza, e mezzo bicchiere di quel whiskey non va alla testa nemmeno a un bambino.
Ciononostante, i nuovi sintomi si svilupparono con una rapidità e un’intensità che resero Fisher particolarmente ansioso. Il viso di Savič diventò bianco come il marmo, il suo pallore reso allarmante dal forte contrasto con la papalina nera. Vacillò quando si sedette sul letto, e si strinse convulsamente la testa con entrambe le mani, come terrorizzato che esplodesse.
«Farei meglio a chiamare il vostro valletto,» disse Fisher nervosamente.
«No, no!» ansimò il barone. «Siete un uomo di medicina, e devo fidarmi di voi. C’è qualcosa di sbagliato qui.» Con un gesto spasmodico si indicò vagamente la parte alta della testa.
«Ma io non sono...» balbettò Fisher.
«Basta parole!» esclamò il russo, imperiosamente. «Agite subito, non possiamo ritardare. Svitate la cima della mia testa.»
Savič si tolse la papalina e la lanciò via. Fisher non aveva parole per descrivere la sorpresa con cui ammirò il vero materiale del cranio del barone. La papalina aveva nascosto il fatto che tutta la parte alta della testa di Savič era un globo d’argento lucido.
«Svitatela!» disse di nuovo Savič.
Fisher mise riluttante le mani sul cranio d’argento ed esercitò una gentile pressione verso sinistra. Il cranio cedette, girando facilmente nelle sue mani.
«Più in fretta!» disse debolmente il barone. «Vi dico che non dobbiamo perdere tempo.» Poi svenne.
In quel momento si sentirono delle voci nell’anticamera, e la porta della camera da letto del barone si spalancò con violenza e venne richiusa con altrettanta violenza. Il nuovo arrivato era un uomo basso e asciutto, di mezza età, con un viso tagliente e penetrante, e profondi occhietti grigi. Per qualche secondo fissò Fisher con aria dura, ferocemente gelosa.
Il barone riprese conoscenza e aprì gli occhi.
«Dottor Rapperschwyll!» esclamò.
Il dottor Rapperschwyll, con pochi passi veloci, si avvicinò al letto e affrontò Fisher e il suo paziente. «Cosa sta succedendo?» domandò adirato.
Senza aspettare una risposta mise rudemente una mano sul braccio di Fisher e lo strappò via dal barone. Fisher, sempre più attonito, non fece resistenza e si lasciò accompagnare, o spingere, verso la porta. Il dottor Rapperschwyll aprì la porta abbastanza per far uscire l’americano, e poi la sbatté dietro di lui. Un rapido click informò Fisher che aveva girato la chiave.
II
La mattina dopo Fisher incontrò Savič che veniva dalla Trinkahalle. Il barone si inchinò con fredda educazione e proseguì. Più tardi quel giorno un valletto del luogo porse a Fisher un piccolo pacchetto, con il messaggio: il dottor Rapperschwyll suppone che sarà sufficiente.
Il pacchetto conteneva due pezzi d’oro da venti marchi.
Fisher digrignò i denti. «Avrà indietro i suoi quaranta marchi,» borbottò tra sé, «ma in cambio io avrò il suo maledetto segreto.»
Poi Fisher scoprì che anche una contessa polacca aveva la sua utilità nell’economia sociale.
L’amica di tavolo della signora Fisher fu l’affabilità in persona quando Fisher l’approcciò (tramite sua moglie) chiedendole del barone Savič di Mosca. Sapete niente del barone Savič? Certo che sapeva, e di tutti gli altri in Europa di cui valesse la pena sapere qualcosa. Avrebbe gentilmente condiviso