Il richiamo del dirupo
Di Mìcol Mei
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Info su questo ebook
Queste sono le domande che i quattro ospiti del Pallido Rifugio si pongono, ma non sono che l’inizio di un’esperienza assai particolare, che arriva in profondità a rappresentare i fantasmi che li rincorrono e quelli che non sanno abitargli intorno.
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Anteprima del libro
Il richiamo del dirupo - Mìcol Mei
Tavola dei Contenuti (TOC)
Un’altra Primavera
Introduzione alla vicenda
Le curiose vicende di Felice Hernandez e del suo Pallido Rifugio
Intermezzo, inserito per volontà di Thymian Mankievic, scrittrice e traduttrice, sopravvissuta al crollo del rifugio
I - Tableau Vivant: gli abitanti del Pallido Rifugio
II - You give me pale shelter – che ci facciamo qui?
I resoconti del Pallido Rifugio: ovvero perché un giorno equivale a tre mesi
You should all be murdered
L’arrivo della missiva inattesa
Einmal ist Keinmal 1
Intervista a Egon Maximilian D’Auxchartes, riportata dagli autori del presente resoconto per spiegare gli avvenimenti accaduti il giorno del crollo della casa
True love will find you in the end
Che cosa è accaduto davvero quella gelida mattina
Rapporto dei Vigili del fuoco sopraggiunti sulle macerie del Pallido Rifugio
Nota affissa vicino alla scogliera da Egon Maximilian D’Auxchartes prima di lasciare le rovine
Per Thymian
Nota dell’Autrice: Quando ho capito di aver perso un amico. Chi è stato Felice Hernandez per me
golem / romanzo
©
2021
Miraggi Edizioni
via Mazzini
46
,
10123
Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Borgoricco (PD) nel mese di luglio
2021
da CDC Artigrafiche per conto di Miraggi Edizioni
su carta usomano avorio spessorata
80
gr
Prima edizione digitale: luglio
2021
isbn
978-88-3386-162-3
Prima edizione cartacea: luglio
2021
isbn
978-88-3386-159-3
Alla memoria di Chiara Fumai.
Un’altra Primavera
Nella bocca dorata di un fiore
il nero odore della terra in primavera.
Non più teschi sui nostri tavoli
ma l’insinuante
prova della morte – come se avessimo bisogno
di nuovi modi di morire?
No, non abbiamo bisogno
di nuovi modi di morire.
La morte in noi continua
a mettere alla prova lo sfrenato
rischio di vivere,
così come Adamo lo arrischiò.
Bocca dorata, il sorriso obliquo
della luna verso ovest
è alla finestra nera,
Calavera di Primavera.
Mi fraintendete?
Sto parlando di vivere
di muoversi da un attimo verso
il seguente, e verso quello
che viene dopo, respirando,
morte nell’aria di primavera,
sapendo che
aria vuol dire anche
musica a cui cantare.
Denise Levertov
Introduzione alla vicenda
Le pagine che leggerete riportano le testimonianze e i documenti ritrovati circa il crollo della casa denominata il Pallido Rifugio. Le ricostruzioni per opera degli interessati trovano qui un’organicità che tende a restituire per quanto possibile una coerenza temporale con gli avvenimenti trascorsi negli ultimi giorni.
Alcuni dei protagonisti della storia hanno rifiutato di intervenire rilasciando solo brevi dichiarazioni alle autorità presenti dopo l’esplosione dei sotterranei e il conseguente crollo dell’edificio.
Non ci è dato sapere se la vittima rinvenuta nella cantina principale sia uno degli ospiti della casa, data la reticenza incontrata nell’affrontare l’argomento con i sopravvissuti.
La gentile signorina Siviero ha collaborato a redigere questa raccolta cronologica e di suo pugno ha chiarito dei vuoti rimasti sospesi, nei tre giorni presi in analisi.
I protagonisti della vicenda, ad eccezione della signorina Siviero, hanno richiesto di non vedere apparire i loro veri nomi e perciò sono state alterate generalità e dettagli riconoscibili.
Su questa vicenda aleggia ancora, per gli abitanti del villaggio ai piedi della collina, un’aura di mistero irrisolto, compito del presente resoconto è fare chiarezza sugli accadimenti.
Ora la parola ai fatti.
Le curiose vicende di Felice Hernandez e del suo Pallido Rifugio
Contributo di Candelo Malenco, dirimpettaio della signorina Siviero, aspirante poeta e noto pettegolo del piccolo villaggio
Chiunque si fosse trovato a passare per quella costa scoscesa e selvaggia, avrebbe certamente gettato l’occhio su quella bizzarra costruzione color verde pisello, ribattezzata Pallido Rifugio
.
Essa troneggiava su un promontorio a picco sul mare, proprio dove molti secoli prima si narrava che venissero decapitati i più vigliacchi e pusillanimi cavalieri del signorotto di turno.
La casa, a due piani, era ridicolmente posta a filo con le rocce sgretolate dal vento e dall’erosione del tempo, come se desiderasse lanciarsi giù dalla scogliera da un momento all’altro ma attendesse un attimo preciso e ignoto per decidere di farlo.
Nessuna persona ragionevole avrebbe mai comprato quel terreno per costruirci un edificio così imponente e dall’aspetto d’altra epoca, così possente e fragile allo stesso tempo.
La casa, in stile vittoriano, era stata pensata per una famiglia numerosa, aveva vetrate aranciate incastonate nelle sue forme arrotondate, completamente in legno e pietra; era come uscita da un lezioso ed eccentrico racconto ottocentesco, e rubava la visuale dell’intero picco.
Chi mai avrebbe potuto spendere tanto denaro e tanta energia per realizzare un progetto così ambizioso e apparentemente tanto fine a se stesso?
I pochi abitanti del borgo sottostante si mostravano sempre zelanti a raccontare a ogni malcapitato che finisse per passarci davanti la storia di quel luogo peculiare, recando con sé più di un punto interrogativo.
Turisti da quelle parti ne capitavano di rado, perciò toccava individuarli al volo per poter spettegolare sullo strano proprietario di quell’improbabile magione.
C’era chi narrava di un uomo cicciottello, tarchiato, bassino, con pochi e radi capelli biondi, restati a fare da corona a una grande testa ovoidale. Pareva si chiamasse Felice Hernandez, per via del padre spagnolo, morto in un incidente d’automobile quando era piccolo.
Vi era anche chi si soffermava a criticare sua madre, un tempo contessa con titolo decaduto dopo la guerra, che pareva aver sperperato l’eredità ricevuta dal marito in viaggi e strampalati tentativi di rendersi una celebre lettrice dell’oroscopo, o veggente
, come amava definirsi lei.
Secondo queste voci, a Felice non era restato il becco di un quattrino e da ragazzino aveva cominciato a girare l’Europa con l’intento di diventare un illustratore e disegnatore. Pare che ormai non parlasse più con quella madre ingombrante ed egoista, ormai trasferitasi lontano, chissà dove, da qualche parte nella campagna francese.
In seguito era avvenuto un piccolo prodigio e Felice era stato chiamato come unico esecutore testamentario dell’anziana nonna materna, scomparsa senza preavviso compiendo una specie di bizzarro suicidio premeditato da tempo.
A lui era restato tutto, fino all’ultimo penny, mentre alla figlia scellerata neanche una soletta da scarpe. Felice interpretò questa fortuna caduta dal cielo come una specie di resa dei conti, il maltolto era tornato nelle sue mani di figlio unico e ora poteva iniziare la vita che aveva sempre sognato.
La nonna aveva lasciato scritto che avrebbe voluto che fosse Felice a preparare il suo cadavere per il funerale, indicando precisamente cosa avrebbe dovuto indossare. Malvolentieri Felice seguì le sue disposizioni, e la vestì di tutto punto. Nella tasca dell’ampio abito di velluto color malva che aveva scelto con cura trovò una vecchia cartolina, raffigurante la casa in cui era nata e cresciuta. La nonna sembrava quasi serena, con i capelli cenere rischiarati dal soleggiato pomeriggio latino.
Felice capì subito che cosa aveva tentato di suggerirgli la sua nonna strampalata.
Il suo spicchio di mondo non poteva che concretizzarsi in quella casa che ora non esisteva più se non nei ricordi di un’anziana signora appena scomparsa, e lui non poteva fare altro che eseguire: quell’assurda costruzione andava rimessa in piedi altrove, per l’amore che entrambi nutrivano per quel mondo antico e ormai sommerso come un vecchio relitto risucchiato dalle acque e dimenticato per sempre.
Il passato, per quanto scomodo e impraticabile, era l’unico spazio di realtà che aveva mai conosciuto e il denaro lasciatogli non poteva essere impiegato per nient’altro che avesse per lui un significato.
Da lì a poco, Felice iniziò con gran trambusto a costruire il soprannominato Pallido Rifugio, con buona pace delle lamentele degli abitanti dei villaggi circostanti, incurante dei costi, delle energie investite, dell’insensatezza del progetto nel suo insieme. Ci vollero tre primavere eppure Felice portò a termine l’impresa, il Pallido Rifugio aveva preso le sembianze della cartolina sgualcita.
Le malelingue del paese dicevano che si era bevuto il cervello, che quella era sempre stata una famiglia di matti e che quell’edificio pazzesco era stato messo su solo per sfizio, visto che nessuno ci aveva mai vissuto fino ad allora. In fin dei conti Felice era scomparso per non tornare mai più, né per seguire i lavori da vicino né per ammirare il Pallido Rifugio finalmente compiuto. Aveva infatti affidato tutti i suoi affari a una sua vecchia amica d’infanzia, la signorina Siviero, agente immobiliare e