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SENZA RESPIRO - volume uno (Romanzo)
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SENZA RESPIRO - volume uno (Romanzo)
E-book490 pagine6 ore

SENZA RESPIRO - volume uno (Romanzo)

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Info su questo ebook

La storia narrata inizia con uno scritto che forse prenderà un po’ in contropiede l’incauto lettore che ha deciso di avventurarsi in questo romanzo. Non si capisce bene cosa sia e soprattutto che significato voglia assumere posto così, a bruciapelo, proprio all’inizio di una storia che non si conosce, e di cui ancora non si riesce ad intravedere il senso.
Un uomo è pronto ad accettare la morte, quasi la accoglie, si spoglia della sua antica veste e parla al suo Dio. Forse è un testamento.
Il seguito non aiuta a capire, la scena cambia ancora.
“Amore mio sto arrivando” si può leggere già alla riga successiva, quando la storia sembra finalmente avere un inizio. Forse allora è un romanzo che parla d’amore. Sì, ma… di quale tipo di amore?
Quando tutto comincia ad avere un senso e il romanzo si immerge negli sconfinati orizzonti di una Africa quasi bucolica, nello struggente sentimento che lega un vecchio padre al proprio figlio, ecco che la storia narrata cambia ancora, bruscamente, e ci conduce nel cuore pulsante della città che non dorme mai. Manhattan, New York. È qui che ha inizio questa storia!
LinguaItaliano
Data di uscita25 set 2014
ISBN9786050323887
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    Anteprima del libro

    SENZA RESPIRO - volume uno (Romanzo) - Antonio Deidda

    Senza respiro

    Volume UNO

    (Romanzo)

    Antonio Deidda

    Copyright © 2013 Antonio Deidda

    All rights reserved.

    antonio.deidda@yahoo.it

    Elaborazione e grafica copertina: Antonio Deidda

    Immagine di copertina: © Sergey Nivens - Fotolia.com

    Io sono la luce che splende su tutto.

    Io sono ovunque.

    Tutto è venuto da me e tutto tornerà a me.

    Spezza un pezzo di legno e io sarò lì,

    alza una pietra e lì mi troverai.

    (Vangelo di Giuda Didimio Tommaso - versetto 77)

    a Elena.

    …cercavo l’incanto tra stelle lontane e invece trovo te come mio piccolo universo.

    Le pagine che seguiranno sono la narrazione di un opera di fantasia. Personaggi, istituzioni, organizzazioni e ideologie sono frutto della immaginazione dell’autore, oppure, se esistenti, sono stati utilizzati unicamente a scopo narrativo e per conferire maggiore veridicità alla narrazione, senza nessun intento di descriverli o ritrarli nei loro aspetti reali. Qualsiasi analogia con fatti o persone reali, viventi o defunte, è puramente casuale.

    Capitolo Zero

    Dio, Padre mio, mi hai reso forte. Madre mia, hai forgiato per me l’arma invincibile.

    Cosa ti ha portato fino a me che ti ho fatto provare solo vergogna? Ho umiliato la vita che mi hai donato. Guardavo indifferente la meraviglia del tuo creato, e Tu ancora aspettavi me.

    Mi sono allontanato, ti ho trascurato, e infine ho temuto di aver smarrito la luce della mia anima. Ho saggiato con quanta forza, e sotto quale foggia si mostra il dolore di sentirmi lontano da Te.

    Perso nel lungo inverno del mio animo vagavo nelle tenebre, confuso e privo di una meta. Tu eri lì che aspettavi me, e hai forgiato per me l’arma invincibile. Meravigliosa creatura, angelo e demone, ancora mi ammanta di tutto il suo amore.

    Ho lasciato ogni cosa alle mie spalle, la mia giovane vita e tutti i suoi desideri. Ho conosciuto la felicità più pura ed incontrato la più grande fra tutte le sofferenze.

    Longevo oltre ogni speranza ora sento la vita scivolare via dolce. Non ho paura. Ho aperto gli occhi e vedo con chiarezza, ho raccolto il tuo dono e la sua forza pulsa possente in tutto il mio essere.

    Sorella morte io ti accolgo.

    Ho con me il manto della primavera e tutti i suoi profumi, la luce della meraviglia che mi circonda, il suono della melodia del creato e la sua armonia che mai mi abbandona. La risata spensierata di un bambino, lo sguardo sincero di una donna innamorata, la prima luce all’alba di un nuovo giorno.

    Accoglimi Padre, benedicimi Madre. Ho raccolto ogni cosa e la porto in dono a Te. Ma il tepore dell’animo della mia amata, perdonami, lo terrò con me.

    …ora vedo il bambino che c’è in me.

    Sono qui Padre, e busso alle porte del tuo tempio.

    In Te io trovo rifugio.

    Il vecchio attese in silenzio che il suo spirito si acquietasse prima di distogliere lo sguardo dalle sue mani, ancora strette in un abbraccio di dita avvizzite e rugose. Soltanto quando fu sicuro di essere nuovamente solo si risollevò da terra e riprese il suo cammino.

    <>

    Ansimava per lo sforzo. La sua voce, poco più consistente di un semplice pensiero, si perse nella brezza di un mattino ancora incerto. Ma la sua volontà era ferrea e così pure l’intento di raggiungere la sua meta. Si fece forza, e a piccoli passi riprese il cammino per raggiungere la sommità di una verde collina, dalla quale l’occhio avrebbe dominato la vallata, l’olfatto trovato soddisfazione negli intensi profumi della primavera, ed il corpo ristoro sotto le fronde di un ulivo che lì affondava le sue secolari radici.

    Aveva lunghi capelli bianchi scompigliati dal tenue vento della primavera, e si aiutava nel suo lento avanzare appoggiandosi ad un solido bastone forgiato da un ramo di ulivo, sul quale il tempo aveva scalfito indelebili i segni del suo millenario passaggio.

    Arrivato in cima alla collina si riposò all’ombra dell’ulivo. Lì accanto giaceva una possente lastra di pietra, levigata dal tempo e dalle sue carezze. Segnava il luogo per lui più sacro al mondo. Vi depose alcuni piccoli fiori raccolti da quel mare di verde che in quella stagione circondava e avvolgeva ogni cosa.

    Accarezzò la superficie di quella lastra a lui così cara, e una lacrima scivolò via insinuandosi tra le rughe del suo viso, segnato dal tempo e da un antico dolore mai sopito. Una sofferenza che lo accompagnava ormai da molto tempo, abbastanza da essere divenuta una parte inscindibile del suo stesso essere.

    Solo la vista di un giovane uomo che sopraggiungeva in lontananza lenì il suo animo restituendogli un poco di serenità. Avanzava con passo sicuro, apparentemente senza fatica, ed il suo fisico era saldo e possente.

    <> disse, dopo averlo raggiunto.

    Unì le mani come se fosse in preghiera. Chinò il capo per manifestare il profondo rispetto che provava per lui.

    <> rispose il vecchio sovrapponendo le sue mani rugose a quelle di lui.

    Con lo sguardo attento e inquieto, il giovane uomo scrutò preoccupato il viso di quel vecchio mentore che lo aveva accudito come un figlio e formato come uomo. Percepì tutto il dolore del suo animo e quella sofferenza del corpo che si faceva tangibile in ogni suo gesto.

    Lo amava come solo un figlio può amare un padre. Soffriva per lui e il suo dolore, in silenzio, senza mai cedere allo sconforto, così come gli era stato insegnato.

    <>

    Per un istante il vecchio non rispose e lo guardò amorevole. Come se con quello sguardo volesse racchiudere ogni bene che provava per lui, e tutta la speranza che riversava sulla sua ancora possente vitalità. Uno sguardo che sapeva anche di addio.

    <>

    Trasse un profondo respiro. Sentiva il bisogno riposarsi, ma il tempo scorreva inesorabile e la strada da percorrere era ancora lunga per i suoi piccoli passi.

    <>

    Erano quelle le parole che il giovane uomo temeva più di tutte le altre. Non tanto perché ancora non si sentiva pronto ad assumere il gravoso compito per cui era stato preparato, quanto perché percepiva come imminente il distacco da quell’animo semplice da cui ancora attingeva forza e amore.

    <> disse, e un tremito si insinuò tra quelle parole. Un sorriso triste si affacciò sul suo viso.

    <>

    A quelle parole, il giovane uomo dalla pelle scura come l’ebano incrociò le gambe e si sedette di fronte al vecchio. Poi prese le sue mani sottili e rugose e le tenne strette a sé con delicatezza. Da tempo aveva appreso come da quel semplice gesto avrebbe potuto trarre forza ed energia. Non sapeva ancora cosa aspettarsi, ma intuì che presto tutto il suo mondo sarebbe cambiato.

    <>

    Il vecchio sorrise a quelle parole che in un tempo ormai remoto erano state insegnate anche a lui, e che ora aveva trasmesso a colui che, così si augurava, presto avrebbe preso il posto per il quale era stato scelto. Così che tutto ancora una volta si sarebbe compiuto.

    Era vecchio più di quanto si sarebbe potuto sospettare, ma non per questo meno bramoso di raccogliere i piccoli doni che la vita poteva ancora regalargli. Come quando si lasciava ammaliare dal vento lieve del mattino, che frugava tra gli steli dritti delle spighe mature carico di promesse di abbondanza, e come la mano di un bimbo discolo le sparigliava tutte al suo passaggio, per poi vederle ondeggiare piano in cerca di un nuovo equilibrio.

    Così quella piacevole brezza iniziò il suo canto lieve ed il mare verde attorno loro ad ondeggiare piano. A tratti, sospinto da quel vento leggero, giunse loro l’eco lontano dei canti lamentosi intonati dagli uomini curvi sui campi a lavorare. Giù al fiume le voci di alcuni bambini spezzarono la quiete con grida spensierate, sotto lo sguardo vigile e attento delle madri impegnate a compiere antichi gesti, che come un rito accompagnavano le loro lunghe giornate di lavoro.

    Il sole, dapprima indeciso a sorgere oltre un orizzonte già ammantato delle sfumature del rosso e del porpora, parve salire rapido quasi a voler recuperare un ritardo che non c’era, proiettando sulla collina ed in ogni dove, lunghe ombre che si estendevano come giganti a preludio della sua imminente ascesa.

    Il vecchio fece un profondo respiro, come per liberarsi dalla pena che lo pervadeva. Acquietato dagli aromi e dai colori di quel nuovo giorno nascente cominciò a narrare la sua storia.

    <>

    Capitolo Uno

    <> , <>

    Ethan aprì gli occhi senza però riuscire a riprendersi completamente. Non subito. Ci volle qualche minuto perché cominciasse a capire dove si trovava e che ora fosse.

    Avvertiva come dei suoni in lontananza che gli inondavano la mente impedendogli ogni altro pensiero. La testa gli ronzava furiosamente. Appena tentò di sollevarla una fitta lancinante alla tempia lo fece desistere da quell’intento. Si lasciò andare e la testa sprofondò su un morbido cuscino di piume. Poi ancora la stessa voce femminile, suadente e calma.

    <>, <>

    Solo in quel secondo momento Ethan riuscì capire chi lo stava invitando a svegliarsi.

    <> disse con la voce ancora impastata dal sonno.

    <>

    Cominciò lentamente a svegliarsi stiracchiandosi sul letto, accorgendosi solo in quel momento di non essere solo. Un’altra persona divideva il suo letto. Era girata di fianco e gli dava le spalle, la testa nascosta sotto il cuscino. Un leggero lenzuolo di seta ricopriva il sinuoso corpo di una donna.

    Cercò di ricordare chi poteva essere senza riuscirci. Il mal di testa non accennava a diminuire e ad ogni istante che passava il bisogno di una buona tazza di caffè si faceva sempre più impellente.

    Stava ancora fissando il soffitto con sguardo ebete quando si accorse che due grandi occhi rotondi, di un intenso verde striato, lo stavano osservando. Guardavano Ethan per poi spostare l’attenzione sul corpo femminile disteso sul letto, e poi ancora su di lui. Ma quello sguardo felino gli risultò subito familiare.

    <>

    Senza volerlo assunse un tono quasi di scusa, imbarazzato per il pietoso stato in cui si trovava.

    Milo era il gatto con cui divideva l’appartamento. Un bel felino tigrato di razza europea che al momento rappresentava tutta la sua famiglia. Era solo un gatto, eppure tra loro si era instaurata fin da subito una particolare affinità elettiva destinata a legare indissolubilmente le loro vite.

    Un’attinenza che fu subito chiara sin dal loro primo incontro, quando lo raccolse ancora cucciolo da una scatola di cartone in cui era stato abbandonato, in un lurido vicolo della periferia. Venne verso di lui e si lasciò prendere come se lo stesse aspettando, senza la minima paura o esitazione.

    Anche adesso lo stava guardando, silenzioso, senza miagolare. Saranno stati i sensi di colpa di Ethan, ma quella mattina i suoi occhi sembravano comunicare un pizzico di disapprovazione mista a divertimento.

    La moka posta sul fornello cominciò a sbuffare e ben presto un intenso aroma di caffè invase il piccolo appartamento. Mentre sorseggiava la calda bevanda Ethan rovesciò qualche crocchetta sulla ciotola di Milo, che iniziò a strusciarsi con fare tipicamente felino emettendo un sordo rumore di fusa. Accarezzò il gatto sulla testa come sapeva piacergli molto e per un po’ si attardarono in quel quotidiano scambio di coccole.

    A volte Ethan si stupiva di come fra due esseri viventi di natura così diversa potevano nascere sentimenti anche profondi, che non sempre riusciva ad instaurare con altri individui della sua stessa specie.

    Julia! D’improvviso si ricordò chi era la donna che dormiva sul suo letto. Con delicatezza le spostò una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso. Le accarezzò la guancia e cercò di smuoverla delicatamente afferrandole una spalla. Niente. Solo un mugugno incomprensibile come unico segno di vita. La sua bionda compagna di bisboccia della notte prima non sembrava intenzionata a svegliarsi.

    Decise di accendere la TV. Forse avrebbe aiutato Julia a destarsi da quel sonno profondo in cui sembrava essere ancora immersa.

    Due cronisti commentavano l’ultimissima notizia. Discutevano di uno strano attentato compiuto da una setta di fanatici religiosi ai danni di un membro del Congresso degli Stati Uniti d’America, il senatore Corwell. Lo stesso che qualche mese prima era rimasto implicato nello scandalo delle armi vendute alle milizie Shabab, che si erano rese colpevoli di efferati eccidi di massa nelle province di Bakool e Shabeellah Hoose in Somalia.

    Ancora intontito Ethan non vi prestò grande attenzione. I due giornalisti ironizzavano tra loro commentando la notizia di un fantomatico angelo della morte evocato da un’altrettanto misteriosa setta religiosa, conferendo al tutto l’aspetto di un rilassato talk show piuttosto che quello di un serioso telegiornale.

    Ormai si era fatto tardi. Rapidamente Ethan si fece una doccia e finì di prepararsi per iniziare una nuova giornata di lavoro. Julia ancora dormiva. Prima di lasciare l’appartamento pensò di scriverle un biglietto depositandolo in bella vista vicino al letto, sul vassoio che aveva imbandito per la prima colazione. Poi uscì di casa senza indugiare oltre.

    Era una fresca e soleggiata mattina di fine estate, poche nuvole a pascolare su di un cielo di un azzurro intenso. L’aria frizzante del mattino lo aveva riportato alla realtà, ed ora passeggiava spedito verso la stazione della metropolitana Lexington. Mentre camminava lungo la Central Park Avenue, con gli alti grattacieli che svettavano ai bordi del viale, Ethan ripensò alla sua vita e si sentì felice. Un minuscolo appartamento a due passi dal Central Park, un gattone dal pelo striato a cui si sentiva molto affezionato, un lavoro ben remunerato e saltuarie amicizie femminili, senza troppe complicazioni, costituivano tutto il suo piccolo universo dorato.

    New York gli era sempre piaciuta. Un variopinto miscuglio di razze, colori e profumi, in cui ad ogni persona era consentito perdersi nella propria individualità, senza mai sentirsi un diverso. Una città mistica, che plasmava e rimodellava le persone, e a cui tutti potevano pensare di appartenere.

    Ethan la viveva in maniera completa, lasciandosi ammaliare dalle sue infinite lusinghe e seduzioni, sopravvivendo a tutto ciò fino a fondersi con la sua magia, diventandone parte integrante.

    Sulla metro affollata Ethan cercò di ricomporre i propri pensieri riguardo alla sera prima. Ricordava vagamente una cena romantica in un ristorantino italiano, Montebello sulla Park Avenue, non molto distante dal suo appartamento. Con Julia aveva deciso di andare sul sicuro ed aveva scelto un ristorante che di certo avrebbe appagato i loro palati esigenti. I ricordi però erano offuscati. Sbiaditi dal troppo vino versato, che unito ai giri di tequila che erano seguiti a casa sua, ora gli impedivano di ricordare come si era conclusa la serata.

    <> La voce metallica all’interno dalla metropolitana lo risvegliò da quei pensieri. Era arrivato a destinazione.

    Incastonato tra i grattacieli, tra la 5th Avenue e le luci di Times Square, alle spalle del serioso edificio della Public Library, Bryant Park era di fatto una piccola oasi di pace immersa nel verde dove Ethan era solito recarsi ogni giorno durante la pausa pranzo.

    Ancora qualche altro passo e sarebbe arrivato all’incrocio tra la 6th Avenue e la West 42nd street dove si ergeva l’imponente palazzo di acciaio e vetro della International Finance Agency, praticamente la sua seconda casa.

    La mattina trascorse insolitamente rapida. Quando Ethan si rese conto del tempo che era già trascorso lavorava al computer ormai da alcune ore. Pensò quindi di chiamare Julia e sincerarsi che fosse tutto a posto. Non era incline a legami duraturi, ma neppure il tipo da una botta e via. Gli piaceva fare sempre nuove amicizie, conoscere le persone, capire come vivevano, cosa pensavano.

    Non fece in tempo a sollevare la cornetta del telefono che la porta del suo ufficio si aprì di slancio. Non aveva sentito bussare. Daniel entrò furtivo, richiudendo la porta alle sue spalle.

    <>, <> chiese con insistenza soffermandosi sul volto di Ethan che ancora mostrava i segni inequivocabili degli stravizi compiuti la notte prima.

    Sul viso di Daniel si fece largo quel sorrisetto malizioso di chi pensa di aver già capito tutto. Al contrario Ethan ancora non ricordava bene cosa era effettivamente successo.

    <> disse Daniel euforico, inscenando il suo solito balletto trionfale con inequivocabili movimenti del bacino a mimare un amplesso.

    <>

    Ethan, ancora intontito, non aveva afferrato il riferimento esplicito dell’amico.

    <>

    Julia lavorava al 55° piano, nella immensa hall della segreteria di direzione. La stessa Julia che probabilmente ancora riposava distesa sul letto del suo appartamento.

    <> insistette Daniel.

    <>

    Non riuscì a finire la frase. Daniel si era fatto ancora più invadente ed incalzante con le sue domande. Con il braccio disteso sulla sua spalla e un fare da amicone, la sua fantasia già imbastiva il palcoscenico per comporre una scena hot che vedeva Ethan impegnato in diverse performance sessuali con la partner di turno.

    <>

    Ethan lo interruppe. Forse troppo bruscamente, comunque più di quanto avrebbe voluto. Daniel, prima ancora di essere il suo collega più fidato, era un vero amico. Una di quelle poche persone cui poteva fare affidamento fino in fondo, anche se talvolta poteva essere un tantino pesante con i suoi atteggiamenti da maniaco sessuale.

    Ethan riteneva di essere bravo sul suo lavoro, ma era niente in confronto all’autentico genio dell’amico. Lui si occupava di transazioni bancarie internazionali, mentre Daniel era un guru dell’informatica. Smanettava senza sforzo tra i più intimi segreti di tutti quegli oggetti tecnologici che i comuni mortali usano quotidianamente senza conoscerne le reali potenzialità.

    L’altra passione morbosa di Daniel erano le donne. Incarnava alla perfezione il cliché del genio. Alto, magrolino e trasandato in maniera indecente nel vestire, così come nella cura della persona, vagava per gli uffici perennemente immerso in ragionamenti in cui nessun altro sarebbe riuscito ad addentrarsi. Indiscusse capacità tecniche che gli permettevano di discostarsi non poco dal formalismo della International Finance Agency, cui tutti gli altri impiegati senza nessuna eccezione, erano tenuti ad attenersi rigorosamente.

    Dalla reazione di Ethan e dall’aspetto ancora provato del suo viso, Daniel intuì che forse non era quello il momento giusto per il suo consueto interrogatorio sulle vicissitudini amorose dell’amico. Cambiò discorso.

    <>

    Ethan non diede l’impressione di aver afferrato a cosa l’amico si stava riferendo. Si sentiva ancora agitato, senza intuirne il motivo. Oltretutto la sua memoria pareva essere ancora in avaria.

    <> insistette Daniel <>

    Ethan guardò l’amico sempre più perplesso. Una parte del suo cervello era ancora fuori uso, mentre l’altra tentava invano di concentrarsi su quanto Daniel gli stava riferendo.

    <> chiese ancora frastornato.

    <>

    Ethan non rispose, e questo autorizzò l’amico a proseguire. <>

    Ethan continuava a non capire. <> commentò senza troppa convinzione.

    Daniel roteò gli occhi per l’esasperazione.

    <> esclamò, incredulo che Ethan potesse essere ancora all’oscuro di tutto <>

    Niente. Ethan non era a conoscenza della notizia del giorno, sulla quale si stavano scatenando tutti i network.

    <>

    <> chiese Ethan per niente convinto del resoconto dell’amico.

    <> commentò Daniel con una mimica preoccupata.

    <>

    <> rispose Daniel convinto.

    Per poco Ethan non rise in faccia all’amico.

    <>

    <>

    Ethan sospirò. Daniel era una persona dotata di un’intelligenza fuori dal comune, e proprio non riusciva a capacitarsi di come poteva essere così facilmente influenzabile da tutto ciò che riguardava riti esoterici e ataviche paure per demoni alati.

    <> commentò scettico Ethan <> affermò infine con un largo sorriso stampato sul viso <> sentenziò sicuro di sé, senza neppure l’ombra di un dubbio ad insinuarsi tra le sue parole.

    <> La voce dall’interfono interruppe la loro chiacchierata <>

    Una scusa perfetta per consentirgli di squagliarsela senza doversi trattenere oltre in una conversazione a suo avviso quasi imbarazzante.

    <> abbassò la cornetta dell’interfono e guardò l’amico con fare bonario <>

    <> rispose mestamente Daniel, senza riuscire a nascondere la propria delusione <>

    §

    International Finance Agency, 55° piano.

    L’ufficio di Mr. Barrymore era servito dalla segreteria dove lavorava Julia. Veniva chiamato da tutti il mastino. Pur essendo solo un vice-direttore di reparto, di fatto era lui il responsabile di quasi tutti i progetti dell’area in cui lavorava anche Ethan. Conosceva tutti i suoi collaboratori uno ad uno e li teneva sotto strettissima sorveglianza. Un vero mastino. Era lui che faceva il lavoro sporco per i capi veri, quelli dell’ultimo piano. Nulla sfuggiva al suo sguardo vigile ed indagatore.

    All’interno dei lussuosi uffici della IFA delicate operazioni finanziarie muovevano ogni giorno milioni di dollari, e a nessuno era concesso lavorare in autonomia. Tutti dovevano tenerlo costantemente informato delle attività svolte.

    Le transazioni societarie internazionali costituivano il cuore degli affari della IFA. Il riserbo, l’accuratezza e la discrezione dovevano essere garantiti sempre e comunque. Non erano ammessi errori. Tanto meno venivano concessi spiragli di autonomia in cui ritagliarsi un seppur piccolo tornaconto personale.

    Ethan conosceva il motivo per cui era stato convocato da Barrymore. Per sua fortuna aveva ultimato gli ultimi dettagli della relazione settimanale sulla Bank of America prima dell’ultimo devastante week-end trascorso con Julia. La Bank of America era uno dei più importanti clienti per la IFA ed era per questo motivo che alcuni impiegati, come Ethan, ci lavoravano quasi in maniera esclusiva. Il grattacielo che la ospitava si trovava sulla sesta strada, di fronte al Bryant Park, a due passi dagli uffici della IFA.

    Barrymore ci si recava sempre personalmente senza mai delegare nessun altro, anche quando si trattava di svolgere, almeno in apparenza, attività di semplice trasmissione documentale. Tutto ciò era molto inusuale per un manager del suo livello.

    Più di una volta questo suo anomalo comportamento aveva fatto riflettere Ethan, senza che per altro fosse mai riuscito a trovare una motivazione plausibile per quella condotta così inconsueta. Ma era pericoloso fare troppe domande ed inoltrarsi in territori di non stretta competenza, questo Ethan lo sapeva bene. Come in tutte le grandi società anche i muri avevano orecchie, e a parte qualche rara eccezione, non si poteva mai essere certi di poter parlare in tranquillità con qualcuno, confidandogli dubbi e perplessità.

    Mentre si avviava verso l’ascensore, Ethan controllò ancora una volta di avere con sé l’hard drive dove aveva salvato una copia del rapporto per Barrymore.

    Ogni volta che si doveva recare dal mastino un certo nervosismo si impadroniva di lui, e ciò lo spingeva a ripetere di continuo gesti e movimenti che tradivano tutto il suo stato di agitazione. Non era la prima volta che controllava la presenza dell’hard drive all’interno della tasca della camicia. Cercò in tutti i modi di calmarsi ma quella mattina era pervaso da una strana agitazione che non poteva essere spiegata neppure dall’imminenza della riunione con Barrymore. Di lì a poco sarebbe arrivato a destinazione, le porte dell’ascensore si sarebbero aperte sulla hall del 55° piano, e si sarebbe trovato di fronte al desk della segreteria dove lavorava Julia.

    Era riuscita a svegliarsi e a recarsi in ufficio? Forse giaceva ancora addormentata, distesa sul letto del suo appartamento.

    Più che altro Ethan aveva il terrore di trovarsela di fronte decisamente alterata per come si era svolta la serata in sua compagnia. Ancora non aveva ben chiaro cosa era successo e ricordava solo immagini sfuocate di loro due a letto intenti in confuse pratiche sessuali. Cominciò a realizzare che forse, seguire il consiglio di Daniel ed assecondare il manifesto interesse che Julia mostrava nei suoi confronti, non era stata in fin dei conti un’ottima idea. Forse la scorsa notte aveva commesso uno sbaglio ed ora doveva prepararsi a pagarne le conseguenze.

    Con tutta la calma che gli riuscì di scovare Ethan si avvicinò alla segreteria della hall fingendo indifferenza. Julia lo stava osservando fin da quando era uscito dall’ascensore. Poggiò le mani sul desk e cercò di impedirsi di controllare ancora una volta la presenza dell’hard drive nella tasca della sua camicia.

    <> disse senza aggiungere altro, cercando di mantenere una calma che sapeva di non avere.

    Julia lo guardò intensamente, e un piccolo sorriso si distese sul suo viso.

    Ethan si sentì subito più tranquillo. Con noncuranza Julia pose la sua mano sopra quella di lui mentre con l’altra azionava l’interfono.

    <>

    Dopo qualche istante arrivò anche la risposta di Barrymore, brusca come suo solito.

    <>

    <> le chiese Ethan per capire di che umore era la sua compagna di bisboccia.

    <>

    Il sorriso di Julia si fece più marcato. Finì di aggiustarsi la scollatura della camicetta da cui si poteva ammirare l’esuberanza del suo abbondante seno. Julia non era certo stupida. Conosceva bene il suo lavoro e lo svolgeva con molta professionalità. Ma aveva imparato altrettanto bene quale positiva influenza potevano esercitare sugli uomini due ghiandole mammarie ben sviluppate ed opportunamente sistemate.

    Solo ora che cominciava a rilassarsi Ethan notò quanto la donna di fronte a lui fosse incredibilmente sexy. Fasciata in una camicetta nera attillata, un reggiseno di pizzo nero a stento conteneva le sue grazie.

    <<È stato carino da parte tua lasciarmi dormire e al risveglio farmi trovare la tavola imbandita con la colazione pronta. Ho molto apprezzato anche l’orchidea screziata. Come facevi a sapere che sono le mie preferite?>>

    Ethan non poteva saperlo. L’orchidea si trovava lì perché anche lui le adorava, ma non fece in tempo a risponderle.

    <>

    Barry, July… Ethan immaginò che tra loro doveva esserci molta più confidenza di quanto sospettava, il che ora consigliava prudenza da parte sua.

    Le segretarie della hall rappresentavano la facciata della società verso l’esterno. A tutte venivano richieste preparazione e professionalità, ma anche una certa avvenenza fisica. Tutte possedevano questa qualità puramente estetica, e la utilizzavano con maestria per esercitare una certa influenza sul personale dirigenziale del 55° piano. Questo le rendeva di fatto altamente pericolose.

    <>

    La richiesta di Julia lo colse di sorpresa. Mentre varcava la soglia dell’ufficio di Barrymore, con un gesto della mano Ethan le fece cenno che si sarebbero risentiti in un secondo momento.

    <>

    <> rispose gelido.

    Ethan diede l’hard drive al suo capo. Senza perdere altro tempo in convenevoli lui lo inserì sulla porta USB del suo computer. Digitò la password di accesso e subito il led del dispositivo cominciò a luccicare. Mentre i files venivano trasferiti, Barrymore continuò a squadrare Ethan con insistenza, senza farsi il minimo scrupolo di farlo sentire a disagio.

    Ethan non sapeva più cosa pensare. Un leggero brivido lo pervase al pensiero che il suo capo avesse già saputo di lui e di Julia, e che la cosa potesse infastidirlo non poco. Per conto suo Barrymore continuò a picchiettare con le dita sulla tastiera del computer senza smettere di scrutarlo per un solo istante.

    <>

    Non aggiunse altro, né distolse il suo sguardo severo da Ethan.

    <>

    <> lo interruppe brusco <>

    Terminata la copia dei files restituì l’hard drive ad Ethan. Lo accomiatò con un semplice cenno della mano senza smettere di osservarlo attentamente.

    A quel punto Ethan piombò nel panico più totale. Cominciò a chiedersi cosa mai avesse voluto dire Barrymore con quelle sue frasi sibilline, e perché aveva continuato a fissarlo come se stesse cercando di carpirgli chissà cosa. Sentì come imminente il bisogno di parlare con Julia per cercare di capire in che pasticcio si era infilato. Incominciò a pensare che probabilmente Julia era l’amante del suo capo, e che quest’ultimo aveva già scoperto la loro piccola tresca. Se così era stato, questo avrebbe potuto significare soltanto una cosa. Guai, e di quelli grossi!

    Uscito dall’ufficio del capo Ethan si avvicinò a Julia fingendo di doverle riferire qualcosa, salutando con un sorrisetto forzato l’altra segretaria presente al banco della hall.

    <> le disse quasi sottovoce.

    <> fece lei con fare civettuolo.

    Ethan rimase basito. Julia non poteva mettersi a flirtare così sfacciatamente di fronte all’altra segretaria. Le voci correvano più del vento e già lui immaginava compromessa la sua futura permanenza ai piani alti della IFA.

    <> aggiunse nervosamente solo dopo qualche istante.

    <>

    Per recarsi al suo ufficio Ethan decise di non prendere l’ascensore. Gli serviva tempo per schiarirsi le idee e riflettere sul da farsi. Continuava a pensare e ripensare alle parole e all’atteggiamento di Barrymore.

    Il capo non dice mai nulla a caso, avrà sicuramente in mente qualcosa, si disse. Ma se non ha nulla da ridire sul mio lavoro, di cosa vorrà parlarmi? Continuò a tormentarsi per tutto il tragitto fino al suo ufficio, senza per questo riuscire a trovare una risposta.

    Arrivato a destinazione si mise subito all’opera. Per prima cosa doveva disdire il precedente appuntamento al Bryant Park con Daniel. Non aveva voglia di dargli troppe spiegazioni e così decise di inviargli un SMS. Compose un messaggio di scuse e subito lo inviò.

    [Scusa ma non ci possiamo incontrare a pranzo, devo vedermi con Julia. Ci sentiamo a fine giornata per il consueto happy hour?]

    Il suo nervosismo non accennava a placarsi. Dopo qualche minuto

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