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La verità nascosta dei templari
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La verità nascosta dei templari
E-book885 pagine12 ore

La verità nascosta dei templari

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Info su questo ebook

Autrice del bestseller Il tempio perduto dei templari

Sono passati trent’anni dalla persecuzione di Filippo il Bello ai danni dell’Ordine dei Templari e i monaci soldati sono riusciti a riorganizzare le loro file, in clandestinità. Ma alla morte dell’ultimo Gran Maestro una pesante eredità grava sulle spalle del Senescalco del Tempio. Armand di Altavilla deve affrontare la minaccia di una guerra fratricida nell’Ordine. I fratelli templari sono divisi tra il desiderio di vendetta e la necessità di proteggere a ogni costo il fine ultimo della loro esistenza. Riuscirà Armand a sanare questa pericolosa frattura? Oppure renderà vano il sacrificio di suo padre, Bernardo di Altavilla, e di tanti fratelli, morti fra atroci tormenti? Lo aspettano terribili battaglie tra la Scozia e le colonie d’Oltremare. Ma stavolta i Templari non saranno soli: mogli, figlie, sorelle e madri sono al loro fianco, agguerrite e determinate come veri soldati. Perché se i loro uomini sono disposti a morire per la fede, loro sono pronte a combattere per amore.

I templari devono agire in totale clandestinità, ma sono divisi tra il desiderio di vendetta e la necessità di proteggere il loro segreto.
Combatteranno per fede e per amore.

«Emozionante fino alla fine. Descrizioni dettagliate e realistiche. Una storia avvincente perfettamente orchestrata all’interno di un periodo storico unico e affascinante. Non solo per gli amanti del genere o per gli appassionati di storia.»

«Veramente appassionante! Dall’inizio alla fine non ha momenti di pausa nella narrazione e stimola la curiosità pagina dopo pagina.»
Esmeralda Batacchi
è nata a Firenze nel 1961. Dopo alcuni anni di studio presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa, ha deciso di dedicarsi all’attività di cavaliere professionista nel settore del Salto Ostacoli. Nel 1987 ha conseguito il diploma di istruttore federale di equitazione. Ha gestito un centro ippico in Italia per dodici anni, poi si è trasferita in Irlanda per un lungo periodo. Dal 2011 vive in Italia dove ha una propria scuderia di cavalli da sella. Ha due figlie, Matilde ed Elena. Con la Newton Compton ha pubblicato Il tempio perduto dei templari e La verità nascosta dei templari.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788822724977
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    Anteprima del libro

    La verità nascosta dei templari - Esmeralda Batacchi

    Prologo

    La notte era calda e immota.

    Nella stanza, la fioca luce di una candela illuminava il volto pallido dell’uomo disteso sul letto. Il petto ampio, coperto dal candido lenzuolo, si alzava e abbassava a fatica, al ritmo del respiro rantolante. Il viso, seppur smagrito e contratto dalla sofferenza, ricordava ancora le fattezze belle e delicate di un fanciullo, sebbene i capelli e la barba candidi rivelassero l’età avanzata. Nei limpidi occhi azzurri non c’era la minima traccia di paura per la fine che sapeva essere imminente, e lo sguardo calmo e sereno testimoniava la consapevolezza di come la morte fosse soltanto un passaggio.

    Ben presto la sua anima avrebbe fatto parte dell’immensità del firmamento, riunendosi finalmente a quelle di coloro che aveva amato e che lo avevano preceduto nella pace eterna.

    Padre, pensò, se mai sono stato degno del compito che mi hai affidato, spero di incontrarti presto nel Regno dei Cieli. Possa la misericordia di Dio Onnipotente avere pietà di me e permettermi di riunirmi a te, Maestro e a tutti i Beati che gioiscono della Sua divina maestà.

    Ma non tutti coloro che aveva amato durante la sua lunga vita se ne erano andati. Qualcuno sarebbe rimasto indietro e, per un attimo, il dolore per la separazione offuscò la serenità del suo sguardo. Si voltò lentamente verso destra, dove una figura umana sedeva al suo capezzale, perfettamente immobile e nel più totale silenzio.

    Con un filo di voce disse: «Tesoro mio…».

    La figura si mosse, avvicinando il viso al volto dell’uomo, mentre con una mano gli accarezzava i capelli:

    «Sono qui, amore. Non sforzarti di parlare. Stai tranquillo, non ti lascio neanche per un istante».

    La donna baciò con infinita dolcezza la fronte del morente. Lui le accarezzò una guancia con il dorso della mano e sentì che era bagnata di lacrime.

    «Non devi piangere per me, moglie. Ho vissuto la mia vita così come volevo e non ho rimpianti. Sono stato tanto felice e questo grazie a te e al tuo amore. Mi dispiace lasciarti, ma so per certo che un giorno ci incontreremo di nuovo nella gloria di Dio e che ci ameremo, se possibile, ancora di più di quanto ci siamo amati in questa vita. Ma adesso devi salutarmi, perché non mi rimane molto tempo e voglio parlare con nostro figlio un’ultima volta».

    L’uomo chiuse gli occhi, abbandonandosi sul cuscino, come se quelle poche parole gli fossero costate una fatica immensa. Indugiò per qualche attimo immobile, raccogliendo le ultime forze rimaste nel suo corpo stroncato dalla malattia, poi emise un profondo sospiro e si girò di nuovo verso la donna, sorridendole dolcemente.

    «Adesso va’, Piccolo Fiore, e sappi che ti ho amata, ti amo e ti amerò per sempre, donna mia. Sono stato un uomo immensamente fortunato ad averti accanto e ti chiedo scusa per tutte le volte che non sono stato alla tua altezza e ti ho fatta soffrire. Ho cercato di essere un buon marito per te e un buon padre per i nostri figli, ma non sono sicuro di esserci sempre riuscito. Perdonami se puoi, amore mio».

    Piccolo Fiore baciava la mano di Etienne che teneva stretta fra le sue e, per quanti sforzi facesse, non era capace di trattenere le lacrime, che ormai le inondavano il viso.

    «Anch’io ti ho sempre amato e così sarà fino alla fine dei miei giorni e poi fino alla fine del tempo. Che la Grande Madre ti accolga nel suo grembo, uomo, e sappi che non hai niente di cui farti perdonare. Sei stato marito e padre perfetto!».

    Fece una pausa per ricacciare indietro le lacrime che la stavano soffocando, poi aggiunse:

    «Giacomo è qui fuori, vuoi che lo faccia entrare?».

    Etienne mosse la testa in segno affermativo.

    Piccolo Fiore si alzò, si chinò su di lui e lo baciò dolcemente sulle labbra, prima di voltarsi e uscire dalla stanza. Dopo pochi istanti, la porta si aprì di nuovo, lasciando entrare un uomo che si avvicinò lentamente, per poi inginocchiarsi accanto alla testiera del letto.

    «Padre?», chiese sottovoce. «Volevate parlarmi?».

    Le prime luci dell’alba stavano appena rischiarando il cielo, cancellando le ultime stelle, quando Etienne si svegliò di soprassalto.

    Si meravigliò della lucidità della sua mente e del fatto che non sentisse più alcun dolore provenire dal suo vecchio corpo. Poi capì!

    Era la fine. Non gli rimaneva molto tempo e aveva ancora una cosa da fare.

    Era cosciente che Piccolo Fiore non fosse più accanto a lui, rispettando così la sua volontà di essere lasciato solo.

    Ma lui sapeva di non essere solo. Qualcuno che non lo avrebbe mai abbandonato gli era sempre vicino e lì sarebbe rimasto, a dispetto del suo volere.

    «Madre?», ebbe la forza di sussurrare.

    «Sono qui!», rispose una voce roca, che proveniva dall’angolo più buio della stanza.

    «È ora, Madre! Ti prego, aiutami a vincere la mia debolezza», implorò, mentre due lacrime gli rigavano le guance scarne, perdendosi nella barba.

    Aquila Rossa si avvicinò lentamente al letto e si sdraiò accanto a lui.

    «Non aver paura, figlio mio. Tuo padre ti sta aspettando, sento la sua presenza vicino a te e so che non ti abbandonerà».

    «Non ho più paura, Madre. Non adesso». Poi aggiunse in un soffio: «Ricordati del nostro patto…».

    «Non l’ho dimenticato, Etienne, e giuro sulla memoria di Bernardo che terrò fede al mio impegno. Va’ in pace adesso, bambino mio, Gran Maestro, nobile Cavaliere del Tempio!».

    Lui le sorrise: «Mamma…», e si abbandonò fra le sue braccia, mentre la luce nei suoi occhi si spegneva per sempre.

    Capitolo 1

    Scozia, settembre 1361

    L’uomo era in piedi vicino al muro del bastione che si affacciava sulle acque scure del lago. Il sole stava tramontando e la fredda notte scozzese avrebbe ancora una volta preso il sopravvento sulla luce, costringendo uomini e animali a trovare un rifugio che garantisse loro un riparo dal gelo, almeno fino al riapparire del nuovo giorno. Era ormai autunno e un vento gelido sferzava le solide mura della fortezza, che da secoli sfidava impavida la furia degli elementi, in quel remoto angolo della

    Scozia.

    Ma l’uomo sembrava non curarsi del freddo e rimaneva immobile, avvolto nella folta pelliccia di lupo, come se in realtà non si trovasse in cima a una torre esposta alle intemperie, ma in un luogo e in una dimensione lontani nello spazio e nel tempo.

    Aveva il capo scoperto, e sia i corti capelli ricciuti sia la barba folta che gli incorniciava il mento erano venati di grigio, rivelando che doveva aver superato la metà della vita, sebbene il suo fisico, alto e possente, non tradisse nessun cedimento dovuto alla non più verde età. Il suo volto, pur segnato da profonde rughe sulla fronte e ai lati della bocca, era ancora molto bello e rifletteva una innata nobiltà d’animo, confermata dal senso di fierezza e autorità che traspariva dai suoi occhi, blu come le profondità del mare.

    La superficie plumbea del lago era increspata dal vento e piccole onde si infrangevano ai piedi del bastione, le cui mura scomparivano nell’acqua. Un antico frassino tendeva verso il cielo i rami scheletriti, sfidando la forza della Natura che lo faceva gemere e scricchiolare, come se fosse in ogni istante sul punto di spezzarsi.

    Armand continuava a tenere gli occhi fissi sul vecchio albero e sul muretto, che delimitava il piccolo giardino affacciato sul lago. Sembrava che stesse aspettando qualcosa o, forse, qualcuno, e non un singolo muscolo del suo corpo mostrava che stesse ancora respirando, soltanto i capelli, mossi dal vento svelavano il fatto che fosse un essere vivente e non una statua.

    Il pallido sole finì di tramontare dietro alle impervie montagne e il buio avvolse improvvisamente il fiordo su cui sorgeva il castello, come se, all’improvviso, una bocca invisibile avesse soffiato sulla fiamma dell’unica candela ancora accesa.

    L’uomo strinse istintivamente gli occhi, sforzandosi di vedere attraverso le tenebre, ma continuò a rimanere immobile, aspettando.

    Poi qualcosa si mosse!

    Dal punto sopraelevato in cui si trovava, poté distinguere chiaramente un’ombra scura che da un angolo del giardino si stava dirigendo verso il vecchio frassino. L’ombra si muoveva in maniera innaturale e, pur avendo l’aspetto e le dimensioni di un essere umano avvolto in un mantello, non dava l’impressione che stesse camminando. Era come se si spostasse galleggiando sull’erba, quasi che i suoi piedi non sfiorassero nemmeno il suolo. Raggiunse il muretto sotto all’albero e si sedette, lasciando che il cappuccio che le copriva il viso scivolasse indietro, rivelando un volto pallido come la luna, apparsa nel frattempo fra le nuvole che correvano veloci nel cielo, ormai nero come l’inchiostro.

    L’ombra rimase immobile, come in attesa, le mani bianche incrociate in grembo, lo sguardo rivolto verso il lago.

    Incapace come sempre di controllarsi, Armand sentì le lacrime rigargli le guance, mentre un immenso dolore gli straziava l’anima. Sapeva che non poteva muoversi, altrimenti lei sarebbe sparita, non prima però di avergli rivolto uno sguardo terrorizzato e così colmo di angoscia da spezzargli il cuore. Era successo ogni volta che aveva cercato di avvicinarsi o di chiamarla, per cui, dopo innumerevoli tentativi, aveva deciso che si sarebbe accontentato di guardarla da lontano, sapendo che non poteva fare niente per aiutarla.

    Non era lui che l’ombra stava aspettando!

    Madre!, pensò. Possa la tua anima trovare un giorno la pace eterna e ti venga concesso finalmente di riunirti a colui che aspetti.

    Lentamente tracciò davanti a sé il segno della croce, ma bastò quel piccolo movimento ad allarmare la figura seduta sul muretto, che si alzò con una incredibile rapidità, voltandosi verso il punto dove lui si trovava. In quell’istante la luce della luna le illuminò il viso e Armand poté riconoscere nelle sue sembianze, stravolte dalla pena, il volto della donna il cui ritratto era racchiuso nel medaglione che teneva stretto in mano e che sapeva essere di sua madre.

    Nel suo cuore formulò la solita, inutile preghiera:

    Non te ne andare, ti supplico! Mamma, sono Armand, tuo figlio! Come puoi non riconoscermi?.

    Ma lei era già scomparsa e lui sapeva per esperienza che non sarebbe più tornata, non quella notte. Avrebbe dovuto aspettare un altro interminabile giorno se voleva rivederla.

    Prima di sparire, però, lo aveva fissato per un attimo e lui aveva potuto specchiarsi nella profondità dell’Inferno, racchiusa nelle due pozze di dolore che erano gli occhi di quell’anima in pena.

    E Armand sapeva cosa fosse il dolore!

    Non aveva mai conosciuto la sua famiglia, trucidata dall’Inquisizione, dalle cui grinfie era sfuggito grazie al coraggio di sua madre e all’amore dei suoi genitori adottivi, Giuliano e Beatrice. Anche loro erano morti ormai e riposavano, sepolti uno accanto all’altra, in un piccolo cimitero nella lontana Irlanda, la terra dove era cresciuto, ma che aveva lasciato per cercare le sue origini in Scozia.

    Ciaran… Il volto sereno del suo Maestro gli apparve davanti agli occhi e ricordò l’orgoglio che poteva leggere nel suo sguardo, quando affermava di essere stato il migliore amico di suo padre… Bernardo… Una figura quasi leggendaria, che lui cercava di immaginarsi, basandosi sui racconti del vecchio irlandese; anche se nei momenti più difficili della sua vita aveva avuto l’impressione che gli fosse realmente accanto, per guidarlo e dargli coraggio.

    Come quando aveva perso il suo bambino, il piccolo Nial, morto troppo presto perché potesse imprimersi nella mente il suo volto.

    Rabbrividì e, tornando alla realtà, si rese conto che era ormai notte fonda e lui non era più giovane abbastanza da sfidare il freddo pungente, rischiando di prendersi una polmonite.

    Si strinse il mantello sulle spalle e si avviò verso la costruzione centrale del castello, dove si trovavano i suoi appartamenti.

    Entrò nel salone caldo e accogliente, grazie al fuoco che ardeva nell’immenso camino, davanti al quale dormicchiavano i cani, che dimostrarono di essersi accorti della sua presenza scodinzolando e stiracchiandosi pigramente. Si tolse il pesante mantello di pelliccia e lo gettò su una cassapanca, prima di avviarsi verso le scale che conducevano alle sue stanze. Indossava il tipico abbigliamento delle Highlands: una semplice camicia bianca e una striscia di panno di lana che gli avvolgeva i fianchi, per poi salire sulla spalla destra, dove era fermata da una broche d’argento. La stoffa era disegnata a motivi geometrici con sottili linee verdi, azzurre e ocra, che si incrociavano secondo un ben preciso ordine. I colori del suo Clan! Era il signore dei Donan adesso, una pesante eredità che lui non aveva cercato, ma di cui era orgoglioso, anche se non poteva vantarsi di essere interamente scozzese, dato che sua madre era spagnola e lui era stato allevato in Irlanda. Ma aveva giurato allo spirito di suo padre che avrebbe proseguito la sua missione e il nome della casata, ed era ciò che aveva e avrebbe sempre fatto, senza mai tirarsi indietro, non importava quanto ciò gli fosse e gli sarebbe costato!

    Aveva otto figli, di cui due erano maschi, e uno di loro avrebbe un giorno preso il suo posto come Signore del Clan e come Senescalco dell’Ordine del Tempio, per garantire il perpetuarsi di un’eredità che non poteva essere interrotta, a cui aveva giurato fedeltà a prezzo della sua stessa vita.

    E non era sempre stato facile!

    Gaia… Il bel volto della moglie si formò nella sua mente, accompagnato da una sensazione di pace e di gioia. Lei sola riusciva a placare il tumulto della sua anima e gli era sempre stata vicina nei momenti difficili, lei era la madre dei suoi figli.

    Tutti, tranne uno…

    Un altro volto femminile emerse da un passato che sembrava lontanissimo, sebbene non fossero trascorsi neanche quindici anni da quando era morta, un volto giovane, quasi infantile.

    Mhorag, la sua piccola dolce e sfortunata bambina. L’aveva mai veramente amata?

    Eppure era rimasto stregato dal suo giovane corpo flessuoso, dalla sua ingenua sensualità che la rendevano, più che un’amante appassionata, una fanciulla alla scoperta delle meraviglie della vita. Ricordava ancora la felicità e l’orgoglio che aveva letto nei suoi occhi scuri, quando gli aveva annunciato di essere incinta. Nonostante avesse solo diciassette anni, si era assunta il peso della maternità con consapevolezza, trasformandosi, da un momento all’altro, dalla spensierata ragazzina che conosceva in una donna matura e responsabile, cosciente delle conseguenze che il suo stato avrebbe comportato. Conseguenze che non avevano tardato ad arrivare!

    Gaia entrò nella stanza senza farsi annunciare, incapace di nascondere la rabbia e lo sdegno che bruciavano nel profondo del suo orgoglio ferito.

    Armand sollevò lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo e fissò la moglie con espressione fredda e interrogativa, soffermandosi solo un istante sulla figura della donna, che cominciava ad arrotondarsi per l’incipiente gravidanza.

    «A cosa devo l’onore della vostra inaspettata quanto brusca visita, Signora?», le chiese, sebbene non facesse fatica a immaginarsi la risposta.

    «Smetti di fingere con me, marito, tanto sai bene che non ha mai funzionato!», ribatté lei con voce dura.

    «E che cosa di grazia starei fingendo? Non certo la gioia che mi dà la vostra presenza!», rispose lui, sempre rimanendo seduto dove si trovava.

    «Sono tua moglie ed esigo da te il rispetto che mi devi! Non hai il diritto di umiliarmi con la tua sgualdrina!», urlò Gaia, non riuscendo a controllare il tono della voce, mentre nei suoi occhi verdi brillava una luce minacciosa. «Non dimenticarti mai chi sono, uomo! Stai tirando troppo la corda e ti stai approfittando della promessa che ti feci a suo tempo. Ma sappi che soltanto l’amore che mi lega ai nostri figli ti ha risparmiato dal subire le conseguenze delle tue azioni!».

    Armand rimase in silenzio, fissando la moglie con sguardo insondabile.

    «Hai finito adesso?», le chiese. «Se credi di poter venire qui a minacciarmi, pensando di farmi paura, ti stai sbagliando! Esponi la tua richiesta e, qualunque sia il tuo problema, avrò la compiacenza di ascoltarti, nonostante la tua imperdonabile villania».

    «Quella piccola puttana che ti stai portando a letto è incinta!», sibilò Gaia. «Partorirà un figlio tuo due lune dopo la nascita della figlia che porto in grembo».

    «E allora?», rispose lui, senza tradire la minima emozione.

    «Neanche tre mesi fa onoravi ancora il mio letto, come previsto dal tuo dovere coniugale e…».

    «Hai detto bene, moglie!», la interruppe Armand. «Dovere! L’unico motivo che mi ha spinto a giacere con te: il bisogno di avere un altro figlio maschio che possa garantire l’eredità del Clan. Sai benissimo che Elia non può assumersi da solo questa responsabilità. Ha bisogno di un fratello che lo aiuti nel difficile compito che lo aspetta, qualcuno di cui potrà fidarsi ciecamente quando io non ci sarò più. Ma tu non hai mai voluto capire quanto ciò fosse importante per me, continuando a partorire soltanto femmine. Ho quattro figlie che adoro con tutta l’anima, ma ciò non toglie che continuo a non avere quel figlio che a suo tempo mi hai promesso. Anche la creatura che porti nel ventre mi hai già annunciato che sarà una bambina, che Dio la protegga sempre. Sei una strega, Gaia, e puoi decidere il sesso del figlio che concepisci, per cui l’unico motivo che ti impedisce di partorire un maschio è perché non lo

    vuoi!».

    «Hai ragione, Armand, sono una strega, ma forse hai dimenticato che le donne della mia specie partoriscono solo femmine, a meno che…».

    Lui non la lasciò finire.

    «Abbiamo un figlio maschio, donna, ricordi?»

    «…A meno che», continuò lei, «non siano innamorate dell’uomo con cui giacciono!».

    Armand rimase in silenzio, poi sospirando si appoggiò con le spalle allo schienale della sedia e alzò sulla donna gli occhi tristi.

    «Da quanto tempo hai smesso di amarmi, Gaia?», chiese.

    Lei non riuscì a rispondere subito, continuando a fissare il marito con uno sguardo di sfida.

    «Forse mi hai amato solo nell’attimo in cui abbiamo concepito Elia?», continuò lui.

    «Sai benissimo che non è così», rispose Gaia a voce bassa, «ma ti fa più comodo pensare che io non ti ami più, per mettere a tacere la tua coscienza. La meschina che ti scalda il letto si trova qui come ostaggio per garantire la pace tra il nostro Clan e quello di Angus Mc Alistair. Tu hai quarant’anni e lei diciassette, e sicuramente prima che tu la conoscessi era vergine. Pensi che suo padre sarà contento quando lo verrà a sapere? Non potevi offrirgli miglior scusa per rompere la tregua di quella di aver gonfiato il ventre di sua figlia con un tuo bastardo! Sei perfettamente consapevole che stai rischiando una sanguinosa guerra tra i nostri Clan e tutto soltanto per la tua lussuria!».

    «Sono innamorato di Mhorag e lei mi ricambia. Da lei avrò quel figlio che tu non vuoi darmi e quell’amore che mi neghi da troppo tempo».

    «Io sono e sempre sarò la tua unica e legittima moglie!», affermò Gaia con voce gelida. «Lei partorirà soltanto bastardi senza nome che non avranno nessun diritto di successione».

    «Non mi interessano i nomi, donna, ma la possibilità di mettere accanto a Elia uomini fidati su cui possa contare per portare a termine il difficile compito che lo aspetta, fratelli di sangue che non lo abbandoneranno. Quanto al padre di Mhorag, sono sicuro che accetterà il mio oro in cambio dell’onore della figlia, che non ha esitato a mandare in ostaggio, sapendo bene cosa ciò potrebbe significare in caso di guerra. So che ha altre figlie e che non si vergogna di abusare di loro lui stesso. Non credo di aver nulla da giustificare a un simile uomo!».

    «Neanche a me hai niente da giustificare?»

    «Sono sempre stato onesto e sincero con te, Gaia, sin dal primo momento che ti ho vista. Allora ti dissi che ti amavo e volevo che fossi mia moglie. Da quel giorno non ti ho mai nascosto i miei desideri e le mie emozioni. Penso che ti sia accorta che mi stavo innamorando di Mhorag prima ancora che io stesso avessi il coraggio di ammetterlo, ma nonostante ciò non hai fatto niente per dimostrarmi il tuo amore, né per venire incontro ai miei desideri. Ho capito fin troppo bene che qualcosa era irrimediabilmente cambiato fra noi e che non mi amavi più».

    «Eppure sei venuto nel mio letto, quando già godevi dei favori della piccola sgualdrina!», lo interruppe Gaia.

    Armand si alzò in piedi e squadrò la moglie con una luce ostile negli occhi, che stavano mutando colore, dal blu scuro a un freddo grigio ferro.

    «Non ti permetto di parlare di Mhorag in questi termini, donna! Sei tu che devi stare attenta a non tirare troppo la corda. Non dimenticarti che sei ancora qui come mia legittima moglie solo nel nome dell’amore che provo per i nostri figli e per rispetto al mio Maestro, tuo padre. Quanto alla notte in cui abbiamo concepito la bambina che porti in grembo, è stata solo frutto delle tue macchinazioni di strega. Sei tu che mi hai attirato nel tuo letto con un incantesimo, sapendo benissimo a chi in realtà andassero i miei favori. Lo hai fatto soltanto per strapparmi da lei, perché sei gelosa. Nonostante non ti importi niente di me, non sei abituata a perdere, né a dividere ciò che ti appartiene con nessuno. Ma io non sono una tua proprietà, Gaia! I tuoi incantesimi non funzionano più con me! Conosco bene le forze dell’occulto adesso e non sono più un ragazzino sprovveduto che puoi manovrare a tuo piacimento».

    Così dicendo si strappò dal collo l’amuleto, che lei gli aveva donato come pegno d’amore e lo gettò ai piedi della donna.

    «Riprenditi pure ciò che ti appartiene. Non ho più bisogno della tua protezione!».

    Gaia era rimasta immobile, in silenzio, anche se gli occhi lucidi tradivano la pena che le stava straziando il cuore. Abbassò lo sguardo sulla pietra blu che giaceva sul pavimento, poi fissò di nuovo Armand.

    «Che cosa direbbe Ciaran se ti vedesse adesso? Pensi che sarebbe orgoglioso di te?»

    «Sto seguendo i suoi insegnamenti e tenendo fede al giuramento che ho fatto di dedicare la mia vita alla causa. Questo è ciò che si sarebbe aspettato da me, questa è la sua eredità!».

    «No, Armand! Non credo che mio padre intendesse questo quando ti ha scelto come suo erede spirituale. Dal giorno in cui lui è morto, tu sei cambiato. È come se l’uomo che conoscevo allora fosse morto insieme a Ciaran. Io non ti riconosco più e non posso seguirti sulla strada che hai intrapreso, perché non è la mia. Ti auguro buona fortuna, Armand, e ti invito a tenere con te l’amuleto che ti donai. Ne avrai bisogno. Fidati della premonizione di una Strega!».

    Così dicendo si voltò e uscì dalla stanza, senza aggiungere una parola.

    Armand fece qualche passo avanti e, raggiunto il punto dove lei si trovava solo qualche istante prima, alzò una mano come per accarezzare l’aria che aveva avvolto la figura di sua moglie, poi si chinò e raccolse l’amuleto.

    Ne avrai bisogno!. Continuava a sentire riecheggiare nella mente le parole di Gaia.

    Si trattava forse di una minaccia?

    Era così immerso nei suoi ricordi, mentre saliva le scale per raggiungere l’ultimo piano della torre, che non si accorse della figura immobile in un angolo buio del corridoio, finché una voce familiare non lo riportò alla realtà.

    «Padre!».

    Si riscosse e, voltandosi, sorrise alla fanciulla che, nel frattempo, era uscita dall’ombra e gli si stava avvicinando. Lei si inchinò con deferenza, prima di alzare su di lui i suoi dolci occhi castani, così uguali a quelli di sua madre, da fargli male. Era una bellissima ragazza, dalla figura snella ed elegante, la pelle candida che contrastava piacevolmente con i capelli nerissimi, quella parte di sangue spagnolo ereditata dal padre. Dimostrava circa quattordici anni, ma i suoi modi calmi e posati la facevano sembrare più matura della sua età.

    «Margherita!», disse Armand, abbracciandola. «Figlia mia, cosa fai alzata a quest’ora? Dovresti già essere nella tua stanza. Che cosa ti trattiene, c’è forse un problema che ti angustia? Devo preoccuparmi?»

    «No, padre. Avevo soltanto bisogno di parlarvi di qualcosa che mi sta a cuore e voi siete sempre così occupato, che non ho voluto distogliervi dai vostri affari, per cui ho atteso questa ora tarda. Spero che ciò non vi rechi disturbo, né vi costringa a cambiare i vostri piani».

    «Neanche per sogno, bambina mia. Perdonami se a volte non ho abbastanza tempo da dedicarti, ma non ti devi mai trattenere dal venire a cercarmi, capito?».

    Lei annuì, sorridendo timidamente, mentre lui la abbracciava e la baciava teneramente sulla fronte.

    «Seguimi nelle mie stanze, davanti al fuoco si parla meglio e io sono gelato fino alle ossa. Comincio a sentire il peso dell’età».

    «Ma che dite, padre? Siete ancora giovane! Nessun uomo che abbia mai incontrato può tenervi testa, voi siete sempre il più forte e il più bello!», esclamò Margherita.

    «Grazie, tesoro mio. La mia smisurata vanità mi costringe ad accettare il tuo complimento», replicò lui, sorridendo, mentre conduceva la giovane sottobraccio fino alla porta della sala, che fungeva da anticamera ai suoi appartamenti.

    Si sedette davanti al camino acceso e invitò la figlia a fare altrettanto.

    «Dimmi, allora, di che cosa volevi parlarmi?», chiese, incuriosito.

    «Ho saputo dalla mamma che è vostra intenzione recarvi sull’isola di Leodhas, in visita a mio fratello Elia».

    Armand annuì senza parlare e lei continuò.

    «Volevo chiedervi se potreste permettere a me e a mia sorella Beatrice di accompagnarvi. Sono otto anni che non vediamo nostro fratello e non abbiamo ancora conosciuto i suoi bambini. Ci piacerebbe molto venire con voi, sempre che ciò non vi rechi disturbo e non vi sia in alcun modo di impaccio».

    Tacque e lo fissò con una velata supplica nascosta nello sguardo dolce come quello di una cerbiatta. Armand sorrise e pensò che non era in grado di negare niente a Margherita, specialmente quando lo guardava con gli stessi occhi di sua madre. E di questo quel piccolo folletto di Beatrice era perfettamente consapevole, e usava la sorella per ottenere dal padre qualunque cosa volesse. La scusa di conoscere i figli di Elia era senz’altro una copertura per nascondere il vero scopo del viaggio: andare a trovare la vecchia Fiona a cui sapeva che Beatrice era particolarmente affezionata. Sapeva anche che Margherita non amava viaggiare e che avrebbe senz’altro preferito rimanere al castello, ma l’amore che la legava alla sorella la spingeva ad assecondare qualsiasi sua richiesta e, pur di stare con lei, la avrebbe seguita fino in capo al

    mondo.

    Rimase per un momento pensieroso, poi disse:

    «Ho deciso che prenderò in considerazione la tua richiesta a una sola condizione».

    «Quale condizione, Padre?»

    «Che tua sorella smetta di origliare alla porta e si decida a entrare nella stanza, invece di stare acquattata nel buio come una ladra!».

    «Non capisco?», balbettò la fanciulla, sinceramente confusa.

    «Tu no, ma Beatrice sa benissimo di che cosa sto parlando. È vero o no?».

    Un istante dopo Margherita sentì la porta che, cigolando sui cardini, si apriva lentamente, mentre un’ombra si delineava sul pavimento di legno. Si alzò in piedi, incapace di nascondere la sorpresa nel vedere la sorella entrare e rimanere immobile in mezzo alla stanza, gli occhi bassi, l’atteggiamento di chi è stato colto in flagrante.

    Margherita guardò Armand, che a stento riusciva a trattenere il riso.

    «Come facevate a saperlo?», chiese meravigliata.

    «Non sono così sprovveduto e, più che altro, conosco bene le piccole streghe! Venite avanti, Madamigella, e onorateci della vostra presenza».

    La ragazza obbedì prontamente e, senza alzare gli occhi su suo padre, si sedette rigida accanto alla sorella, che la guardava con disapprovazione.

    «Visto che stavi ascoltando, deduco che tu sia interessata all’argomento della nostra conversazione, o mi sbaglio?»

    «No, padre, non sbagliate. Anch’io sono molto desiderosa di rivedere mio fratello, dopo così tanto tempo», poi aggiunse: «e i suoi bambini, ovviamente…».

    «E Lady Fiona», la interruppe lui.

    «E la zia Fiona», ammise lei, osando finalmente alzare su suo padre gli occhi verdi come smeraldi, rimanendo quindi in silenzio.

    Armand guardò entrambe le sue figlie, notando ancora una volta quanto assomigliassero alle rispettive madri. Perché non possa mai dimenticarmi della mia umana debolezza, pensò.

    Beatrice era maggiore di Margherita di soli quattro mesi, e le due fanciulle erano cresciute insieme, unite da un legame più forte che se fossero state gemelle.

    La figlia di Gaia era nata dopo la settima luna e prometteva di diventare la degna erede di sua madre, da cui aveva ereditato la folta chioma rossa e i magici occhi verdi. Sin da piccolissima era stata ribelle e inquieta, almeno finché non aveva conosciuto Margherita, allora di appena un anno. Da quel momento, come se finalmente fosse stata completa, si era calmata e, pur restando vivace, aveva accettato di sottostare a una certa disciplina.

    Il carattere di Margherita era, invece, esattamente l’opposto di quello della sorellastra. Pacata e riflessiva sin dalla più tenera età, aveva subito il trauma della morte di sua madre rinchiudendosi in un ostinato e innaturale mutismo, da cui nessuno sembrava riuscisse a strapparla; era come se avesse rinunciato a vivere e vegetava, assolutamente insensibile agli stimoli esterni. Mhorag era morta da appena tre mesi, quando il piccolo Nial, che lei aveva partorito a prezzo della sua vita, l’aveva seguita, con conseguenze devastanti sulla psiche di suo padre. Così nessuno si occupava della piccola Margherita che, rinchiusa nel suo mutismo, passava le giornate giocando svogliatamente, sotto l’occhio vigile della nutrice. Questo finché Beatrice non entrò nella sua vita come un ciclone, costringendola con la sua esuberanza a infrangere la barriera che aveva costruito per difendersi dal dolore, che aveva già così duramente segnato la sua giovanissima vita. Da quel giorno le due sorelle erano diventate inseparabili.

    Armand guardò le figlie con tenerezza.

    «Avete il mio permesso di accompagnarci sull’isola di Leodhas», disse, «ma dovrete ottenere anche il consenso di vostra madre».

    «Vi ringraziamo, padre, per la vostra benevolenza», disse Margherita, alzandosi e inchinandosi con deferenza, imitata dalla sorella, per poi aggiungere: «Vi auguriamo la buonanotte, signore».

    «Buonanotte a voi, bambine mie. Partiremo non prima della fine dell’anno, per cui avrete tutto il tempo per rendervi utili con i preparativi».

    «Non mancheremo, padre», rispose Beatrice, riuscendo a stento a trattenere l’eccitazione, mentre usciva dalla stanza, trascinando Margherita per una manica.

    Armand udì le loro risa di gioia allontanarsi lungo il corridoio e ringraziò Dio di averlo tenuto in vita abbastanza a lungo per poter godere dell’immensa felicità con cui la loro presenza era capace di riempire il suo cuore.

    Capitolo 2

    Scozia, dicembre 1348 (13 anni prima)

    Un gruppo di cavalieri avanzava al galoppo lungo la impervia strada, i mantelli scuri fradici di pioggia, mentre l’ultima luce del giorno svaniva dietro alle maestose montagne.

    Li guidava una donna, i cui occhi brillavano di una luce risoluta e spiccavano nel volto pallido incorniciato dal cappuccio, tradendo la preoccupazione e la fretta che la forzavano a spingere il cavallo in una folle carriera. Al suo fianco, cavalcava un uomo dalla corporatura imponente, che faticava a mantenere il suo destriero, coperto di schiuma bianca, all’andatura imposta dall’amazzone.

    All’improvviso la donna tirò le redini, fermando il gruppo con un gesto della mano.

    Davanti a loro si stagliava la sagoma scura del castello, che si ergeva sulle acque nere del lago che lo circondava.

    «Finalmente!», esclamò Gaia. «Pensavo che non saremmo più arrivati!».

    «Mia Signora», disse l’uomo, con il fiato corto, «avete quasi ammazzato i cavalli!».

    «Non abbiamo molto tempo», replicò lei. «Sento la sua vita sfuggire come sabbia tra le dita di una mano che cerchi di trattenerla. Non ho molto tempo», ripeté, come se stesse parlando a se stessa e non al cavaliere, che la osservava con espressione sgomenta.

    «Non indugiamo oltre, allora», aggiunse lui con un sospiro e spinse il cavallo a piccolo trotto lungo il sentiero che conduceva al castello. Attraversarono il ponte che univa l’isola alla terraferma e due sentinelle sbarrarono loro il passo con fare minaccioso.

    «Altolà!», intimò uno dei due uomini armati.

    «Fermatevi e fatevi riconoscere se tenete alla vita!», ordinò l’altro.

    «Sono Lord Robert di Saint Claire e comando la scorta che accompagna Lady Gaia di Altavilla. Chiediamo di essere immediatamente condotti alla presenza del vostro Signore!», disse il cavaliere, spingendo indietro il cappuccio e rivelando il suo volto, incorniciato da una folta barba scura. Le sentinelle, riconosciuto il nobile scozzese, si affrettarono ad aprire il pesante portone, permettendo al gruppo di cavalieri di entrare nel primo cortile della fortezza. Subito gli artieri si preoccuparono di trattenere i cavalli, mentre la donna si precipitava verso il mastio centrale, seguita dal suo protettore.

    Sapendo esattamente dove andare, Gaia non si curò dei servitori, né degli uomini di guardia che la fissavano, incapaci di nascondere la meraviglia causata dalla sua presenza, e si diresse, quasi correndo, verso le scale. Salì i gradini a due a due, ansiosa di raggiungere la stanza dove qualcuno, molto importante per lei, aveva un disperato bisogno del suo aiuto. Finalmente arrivò a una porta di legno, finemente intarsiata con eleganti bassorilievi, di fronte alla quale si fermò ansimando, come se per un attimo non fosse più capace di andare avanti. L’uomo che la seguiva le appoggiò le mani sulle spalle e, avvicinandosi, le sussurrò all’orecchio:

    «Coraggio, amica mia! Lui ti aspetta».

    Lei chinò la testa, emise un profondo sospiro, strinse una mano dell’uomo, poi aprì la porta ed entrò decisa nella stanza.

    All’interno tutto era avvolto nella penombra e un nauseante odore di carne putrefatta le colpì le narici, costringendola a reprimere un conato di vomito. Un’ombra si mosse nel buio, alzandosi in piedi, mentre una voce allarmata chiedeva:

    «Chi è? Come vi permettete di entrare senza bussare? Chi siete?».

    Nonostante l’oscurità, Gaia riconobbe nell’anziana dama le fattezze familiari di Fiona, la sorella del padre di suo marito, l’unica sopravvissuta alla tragedia che aveva colpito la sua famiglia in un passato che sembrava ormai remoto.

    «Sono io, Fiona! Sono Gaia, mi riconoscete? Come sta? È sempre in vita, vero?», chiese poi, la voce incrinata dall’ansia, mentre si avvicinava al letto.

    La vecchia la squadrò con occhi acquosi, che non mostravano alcuna sorpresa nel vederla lì, e le disse: «Vive ancora, anche se non saprei dire per quanto». Poi si scostò per lasciarla passare.

    Gaia si chinò sulla figura distesa fra le coperte, avvicinando una candela per fare luce.

    Il fioco chiarore rivelò il volto cereo di un uomo, gli occhi chiusi, cerchiati da profonde occhiaie, le labbra esangui semiaperte, che lasciavano sfuggire un respiro rauco e rantolante. I riccioli neri, appena striati di grigio, erano ammazzettati dal sudore che gli imperlava la fronte e l’ampio torace si alzava e abbassava in una affannosa ricerca d’aria, le dita delle mani convulsamente serrate sulla pelliccia che lo avvolgeva.

    Amore mio!, gemette lei dentro di sé, mentre avvertiva un’acuta pena che le straziava l’anima. In quello stesso istante, l’uomo aprì gli occhi. Accarezzò la figura della donna china su di lui con uno sguardo pieno di dolcezza e il blu scuro delle sue iridi brillò di una luce intensa, come se un’ultima scintilla di vita si fosse accesa nel suo corpo

    morente.

    Con un enorme sforzo, riuscì a sussurrare:

    «Sei venuta, dunque! Dio ha ascoltato la mia preghiera e mi ha concesso la Grazia di rivederti prima che la mia inutile vita abbandoni il mio corpo».

    «Non dovete parlare, Signore. Cercate di risparmiare le forze per guarire».

    Armand tentò di alzare la testa, sforzo che lo fece gemere penosamente, mentre la sua mano destra cercava quella di Gaia, che nel frattempo si era seduta sul letto.

    «Moglie mia», ansimò, «devo chiederti di perdonarmi per tutto il male che ti ho fatto. Ti scongiuro di non farmi morire senza aver ottenuto il tuo perdono, anche se non ne sono degno. So che non la merito, ma ti prego di darmi la tua benedizione, perché tu sola puoi concedere pace alla mia anima».

    «Avete il mio perdono, Signore, ma adesso dovete trovare la forza di guarire e dovete farlo per i vostri figli», rispose lei, stringendogli la mano.

    Lui chiuse gli occhi, abbandonandosi sul cuscino, mentre copiose lacrime gli rigavano le guance scarne e pallide. Poi si voltò verso di lei e posò sulla moglie gli occhi lucidi e febbricitanti.

    «Gaia», disse, «prima di morire avrei un ultimo desiderio che soltanto tu puoi esaudire».

    Lei annuì con la testa, invitandolo a continuare.

    «Vorrei vedere almeno una volta mia figlia».

    «Allora, mio Signore, dovrete vivere, perché Beatrice non è qui con me e ci vorranno diversi giorni per far sì che io possa inviare qualcuno a prenderla, per portarla da voi».

    Così dicendo, gli accarezzò la fronte madida di sudore e aggiunse: «Ma adesso vediamo che cosa può fare per voi una potente strega, che è anche la vostra umile serva».

    Scostò delicatamente le coperte e notò che la veste che copriva il corpo di Armand era macchiata all’altezza dell’inguine da sangue rappreso e pus. Sollevò la stoffa e, con estrema attenzione, rimosse le bende che gli avvolgevano i fianchi, ma quello che vide non le piacque! Un lungo taglio si apriva nell’addome del ferito, partendo dalla coscia destra, per raggiungere quasi l’ombelico. I punti che avrebbero dovuto richiudere lo squarcio erano strappati a causa dell’infezione, i labbri gonfi della ferita apparivano di un sinistro rosso cupo, mentre materia purulenta gli colava lungo il fianco macchiando il lenzuolo. Gaia sentì un’immensa pena stringerle il cuore. Forse era arrivata troppo tardi, il suo stupido orgoglio le aveva impedito di essere accanto a suo marito, quando lui aveva bisogno di lei. Ricacciò indietro le lacrime che le bucavano gli occhi, tanto piangere non la avrebbe aiutata a salvare Armand. Si rivolse quindi a Fiona, che la osservava in silenzio, in piedi accanto

    al letto.

    «Ho bisogno di acqua calda che abbia bollito sul fuoco, panni candidi e la bisaccia della mia sella. Presto, non c’è tempo!», la esortò con uno sguardo freddo e determinato.

    L’anziana donna uscì per andare a eseguire ciò che le era stato ordinato, lasciando Gaia sola con l’uomo morente. Nel frattempo Armand era sprofondato in uno stato di semincoscienza e si lamentava debolmente, mentre lei finiva di spogliarlo, cominciando a pulire alla meglio l’orribile ferita. Le mani si muovevano sicure lungo il suo corpo, tastando punti precisi, che le avrebbero rivelato se l’infezione si fosse ormai diffusa, avvelenando il sangue in maniera irreversibile. Lui respirava a fatica, mostrando lo sforzo che stava compiendo per cercare di trattenere la vita che lo abbandonava.

    Non mi lasciare, amore mio, pregò Gaia in cuor suo. Rimani con me. Non è giusto che finisca così!.

    Gli appoggiò una mano sulla fronte e l’altra sulla pietra blu che Armand ancora portava al collo, sin da quel lontano giorno di quasi vent’anni prima, quando si erano giurati amore eterno in un bosco di Irlanda.

    «Madre mia aiutami! Padre assistimi in questo momento! Possa tutto il vostro potere e la vostra arte riunirsi in me e darmi la forza di salvare mio marito. Giuro che se vivrà, rimarrò accanto a lui per il resto dei miei giorni e non permetterò più a niente e a nessuno di distogliermi dai miei doveri di moglie e di madre!».

    Aveva passato la notte al capezzale del ferito, attingendo a tutti gli arcani segreti della magia che conosceva, per sconfiggere la morte che le stava portando via suo marito.

    La debole luce dell’alba filtrò attraverso la piccola finestra schermata da pesanti tendaggi, quando Gaia decise che aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per tenerlo in vita.

    Il respiro di Armand era diventato più regolare e la febbre si era abbassata, permettendogli di scivolare in un sonno ristoratore, non più sconvolto dal delirio. Adesso però era stanca come non ricordava di essere mai stata e doveva assolutamente riposare, perché presto lui avrebbe ancora avuto bisogno di lei. Si chinò sul suo volto esangue e gli posò le labbra sulla fronte bollente, imperlata di sudore.

    «Riposa, amore mio. Non smettere di combattere adesso, fallo per me e per Ciaran».

    Poi, silenziosamente, scivolò fuori dalla stanza, dove trovò Fiona, che pregava stringendo un rosario fra le dita ossute e che le rivolse uno sguardo interrogativo e sgomento.

    Gaia le sorrise, dicendo:

    «Vive ancora e, sebbene le sue condizioni siano molto gravi, per adesso non stanno peggiorando. Non dobbiamo disperare».

    «Non adesso che sei tornata!», replicò Fiona. «Tu sei la sua unica speranza, tu e la bambina. Sicuramente lui vuole vivere per vederla e questo gli darà la forza per combattere la sua battaglia contro la

    morte».

    «Provvederò a inviare immediatamente qualcuno a prendere Beatrice», disse Gaia, poi aggiunse: «qualcuno di cui mi fido ciecamente!».

    Robert sedeva nel salone, davanti al camino, dove aveva passato la notte. Non era riuscito a dormire, ma era un guerriero e le veglie non lo spaventavano. L’unica cosa che non poteva controllare era l’angoscia che gli serrava il cuore e lo costringeva ogni tanto ad alzarsi in piedi per camminare lungo l’ampio salone, nel tentativo di calmare la sua ansia.

    E così lo trovò Gaia, quando entrò non vista nella sala. Si nascose nell’ombra e aspettò che lui girasse su se stesso e si dirigesse verso di lei, prima di rivelare la sua presenza. Gli occhi celesti dell’uomo si illuminarono per la sorpresa di vederla, mentre alla gioia che non riuscì a nascondere si mescolava la preoccupazione, notando quanto il viso della donna fosse segnato dalla stanchezza e dalla pena.

    Istintivamente affrettò il passo, per poi fermarsi a una rispettosa distanza e chiedere:

    «Mia Signora, vi sentite bene?». Dopo una breve pausa, aggiunse: «Lui è ancora vivo?»

    «Sì, mio Signore, Lord Armand vive ancora, anche se le sue condizioni sono sempre gravissime. Ma adesso sono esausta e devo riposare. Prima però devo chiedervi un favore di vitale importanza, amico mio, qualcosa che posso affidare soltanto a qualcuno in cui ripongo la mia totale fiducia».

    «Non avete che da chiedere, Lady Gaia! Sapete bene che non esiste niente che potrei rifiutarvi. Sono al vostro servizio», rispose Robert, inchinandosi.

    Si lasciò cadere sul letto, troppo stanca anche per spogliarsi. Doveva assolutamente recuperare le forze se voleva essere in grado di salvare Armand, ma per quanto fosse distrutta, non riuscì a prendere sonno. La sua mente continuava a pensare agli avvenimenti degli ultimi anni della sua vita, avvenimenti che la avevano, suo malgrado, condotta alla presente situazione.

    Il volto pallido del marito morente continuava ad apparire davanti ai suoi occhi, nonostante si sforzasse di tenerli chiusi, ma contro la sua volontà, un altro viso si sovrapponeva a quello di Armand.

    Era amore quella luce che aveva così tante volte letto nei suoi occhi celesti?

    Era amore quella pena che adesso sentiva nel suo cuore?

    Era amore quella forza che l’aveva spinta tra le braccia di Robert, o solo il desiderio di vendicarsi per l’affronto subito?

    Ripensò a quando era arrivata al castello del nobile Saint Claire dove, grazie alla sua amicizia con Lady Eloisa, sorella di lui, era stata accolta come se fosse stata un membro della famiglia. Tutti erano stati gentili con lei e non avevano fatto domande, e Gaia aveva potuto confidare la sua pena all’amica, come se fosse stata la sorella che non aveva mai avuto.

    Eloisa la aveva aiutata alla nascita di Beatrice e Robert la aveva sempre trattata con la dignità e il rispetto dovuti al suo rango, nonostante i suoi rapporti con Armand non fossero mai stati dei migliori. Gaia sapeva che anche Lord Saint Claire faceva parte della segreta Fratellanza di cui suo marito era a capo, ma fra i due uomini non correva buon sangue e, al di fuori degli obblighi che imponeva loro l’appartenenza all’Ordine Templare, cercavano di ignorarsi. Aveva spesso sentito Armand criticare apertamente il nobile scozzese, soprattutto la tendenza di quest’ultimo a vivere una vita molto semplice e ritirata, cercando di evitare di venir coinvolto in tutto ciò che potesse danneggiare gli interessi della sua casata. Suo marito sosteneva che Lord Robert anteponesse questioni personali all’impegno che lo legava al Tempio, ma Gaia aveva sempre preferito non fare domande a riguardo, dato che non voleva farsi coinvolgere nella vita segreta di Armand.

    E in questo aveva sbagliato, pensò, creando un distacco fra loro che alla fine si era trasformato in un abisso incolmabile. Ma adesso era troppo tardi per rimediare al suo errore e l’uomo che aveva amato così tanto, il padre dei suoi figli, quel giovane appassionato che aveva vinto il suo cuore di strega, trasformandola in moglie e madre devota, stava morendo!

    «Oh Ciaran, padre mio», disse in un sussurro, «vorrei che tu fossi ancora qui per aiutarmi con i tuoi preziosi consigli. Come puoi vedere non siamo stati all’altezza dei tuoi insegnamenti e abbiamo tradito la tua fiducia e la tua eredità spirituale. Siamo diventati schiavi delle nostre più basse emozioni e stiamo pagando i nostri errori a caro prezzo!».

    L’immagine di Ciaran apparve nella sua mente, un altro uomo che aveva amato e che la aveva lasciata sola. Non riuscì a trattenere lacrime silenziose, che le scivolarono lungo le guance, bagnando il cuscino. Non cercò più di soffocare il pianto e dette libero sfogo alla sua pena, finché i singhiozzi, che le facevano male al petto si calmarono e lei scivolò nell’oblio del sonno, che trasformò i suoi ricordi in sogni…

    Robert di Saint Claire cavalcava alla testa di un piccolo gruppo di uomini che formavano la sua scorta personale. Pur appartenendo a un ramo cadetto della Famiglia, i suoi possedimenti erano vasti e lui aveva l’abitudine di visitare ogni angolo del feudo, anche quelli più remoti, parlando con la sua gente, informandosi dei loro problemi per essere un Signore giusto e disponibile. Non andava mai a caccia, perché era proibito dalla Regola, e ciò creava non poca meraviglia in coloro che non sapevano della sua doppia vita, ma era un provetto cavaliere e, grazie a un costante allenamento, eccelleva nell’arte della spada, mentre come arciere la sua mira era quasi leggendaria.

    Nonostante fosse ormai primavera inoltrata, l’aria era ancora fredda, a dispetto del pallido sole, che occhieggiava tra le nuvole, e una sottile bruma aleggiava sul prato che il gruppo di cavalieri stava attraversando.

    All’improvviso tutti i cavalli drizzarono le orecchie, allarmati da qualcosa che si era mosso al limitare del bosco! Robert immaginò che si trattasse di un cervo e diresse il suo destriero baio verso la folta macchia di alberi, curioso come sempre di incontrare una di quelle magnifiche e maestose creature.

    Rimase sorpreso vedendo che si trattava invece di un cavallo, riccamente sellato e legato a un ramo di cui brucava le foglie. Riconobbe sulla gualdrappa lo stemma della sua casata, che indicava come l’animale appartenesse, senza dubbio alla sua scuderia personale. Chi poteva essere che si aggirava da solo nella foresta senza scorta?

    Per quanto facesse tutto ciò che era in suo potere per mantenere i suoi possedimenti sicuri, non si poteva mai escludere la presenza di banditi e bracconieri e non era saggio aggirarsi senza la dovuta protezione nel folto della boscaglia. Ma non vide nessuno, né udì alcun rumore che potesse tradire una presenza umana nei paraggi, e solo il cinguettio degli uccelli rompeva il silenzio della valle. Fece piede a terra, imitato dai suoi uomini e ne lasciò un paio a guardia dei cavalli, prima di addentrarsi tra gli alberi, accompagnato da altri due cavalieri. Seguendo la traccia di un sentiero stretto, seminascosto dalle fronde degli alberi, i tre uomini raggiunsero una radura, nel centro della quale si trovava una vecchia costruzione diroccata. I bassi muri di pietra sembravano ancora solidi, ma il tetto di sottili lastre di ardesia era sfondato in più punti e attraverso le aperture si insinuava l’edera rampicante, che avvolgeva ormai quasi completamente la capanna. Sembrava che l’opera dell’uomo e quella della Natura si intrecciassero in maniera inestricabile in una sfida senza tempo. A fianco della vecchia abitazione, scorreva un piccolo ruscello e il gorgogliare allegro dell’acqua era l’unico rumore udibile in quel luogo, altrimenti avvolto in un silenzio quasi irreale.

    Gli uomini si guardarono l’un l’altro indecisi sul da farsi, quando un movimento sulla porta della casupola attirò la loro attenzione e, istintivamente, tutti e tre portarono una mano alle else delle spade. Ma non fecero in tempo a sguainarle, prima di realizzare che davanti a loro si trovava una donna! La sua figura snella era avvolta da un mantello verde scuro e ciocche di capelli rossi sfuggivano da sotto al cappuccio, incorniciandole il viso. Dopo un lungo attimo di silenzio, Robert

    disse:

    «Lady Gaia, non mi sarei mai aspettato di incontrarvi in un luogo così inconsueto!».

    «Mio Signore», lo salutò lei, inchinandosi leggermente, «stavo facendo una passeggiata e sono stata attirata da questa singolare costruzione. Mi domando chi potesse abitare in un luogo così remoto e solitario?»

    «Molti anni fa ci viveva un vecchio eremita», rispose Robert. «Ero ancora un bambino, ma ricordo che correvano voci inquietanti sul suo conto: si diceva che fosse uno stregone e nessuno osava avvicinarsi a questa parte del bosco, per paura di cadere vittima di qualche sortilegio. Ma come posso ben vedere, voi non sembrate per niente intimorita, nonostante le leggende sostengano che lo spirito del vecchio aleggi ancora nei paraggi».

    «Non ho paura degli spiriti, Lord Saint Claire, anzi amo la loro compagnia molto più di quanto apprezzi quella degli esseri umani. I fantasmi non fanno del male né uccidono. Gli uomini sì!», affermò Gaia, avvicinandosi al suo interlocutore.

    Con un breve cenno della mano, Robert congedò i due cavalieri, che si avviarono in direzione del luogo in cui avevano lasciato i cavalli. Rimasto solo con la donna, assunse un’espressione severa, come un padre che debba sgridare il figlio indisciplinato.

    «A proposito del male che possono fare gli uomini, mi trovo costretto a farvi notare che non è consigliabile per una dama passeggiare da sola nei boschi. Le guardie pattugliano costantemente le mie proprietà, ma ciò non esclude la presenza di malfattori che non avrebbero nessuno scrupolo a tagliarvi la gola, non prima però di aver approfittato dell’occasione. Capite che cosa intendo, non è vero?»

    «Non sono una bambina e conosco benissimo i rischi a cui può andare incontro una donna. Ma io non sono una donna qualunque, Signore, e vi assicuro che sono capace di difendermi! Ho passato la mia infanzia nei boschi e so come diventare invisibile se non voglio essere trovata».

    «Così, devo presumere che oggi volevate essere trovata?», replicò lui, mentre un lieve sorriso gli increspava un angolo della bocca.

    «Forse», rispose Gaia enigmatica, avviandosi con passo lento lungo il corso del ruscello.

    Come attirato da una forza invisibile, l’uomo la seguì, rimanendo pochi passi dietro di lei. Camminarono insieme senza parlare, addentrandosi ancora di più nella foresta.

    Fu la donna a rompere il silenzio.

    «Vorrei avere il vostro permesso per poter usare la capanna. A volte sento il bisogno di stare sola con i miei pensieri e quel posto mi piace moltissimo. Naturalmente se ciò non vi reca disturbo?», aggiunse, fermandosi all’improvviso e voltandosi verso di lui.

    «Nessun disturbo. Darò l’ordine ai miei uomini di restaurare la costruzione, ma ancora una volta devo avvertirvi dei pericoli che potreste correre nel trovarvi qua fuori da sola».

    «Sono onorata che la mia incolumità vi stia così tanto a cuore, Signore. Sapere che esiste ancora qualcuno che si preoccupa per me mi fa sentire bene».

    «Siete mia ospite, Madonna, e il mio impegno nei confronti di vostro marito è di proteggervi…».

    «A mio marito non interessa certo né dove sono, né quello che faccio! È da tempo che non ricevo sue notizie e penso che preferisca pensare che sia morta, almeno per ciò che lo riguarda», lo interruppe Gaia.

    Robert rimase in silenzio poi, abbassando lo sguardo, disse a bassa voce:

    «Vostro marito è un idiota!».

    «Come avete detto?».

    Lui alzò di nuovo lo sguardo, fissandola negli occhi.

    «Ho detto quello che penso. Vostro marito deve essere completamente pazzo, oppure un emerito idiota se vi ha lasciata andare».

    «Ha un’altra donna!».

    «Lo so benissimo e so anche che ha avuto una figlia da lei. Sono anche a conoscenza del fatto che ciò ha portato alla rottura della tregua che aveva stipulato con Angus Mc Alistair, il quale ha ricominciato a compiere scorrerie dentro i confini delle terre dei Donan, in attesa del momento propizio per sferrare l’attacco decisivo e assicurarsi il dominio del feudo. Quello che forse voi non sapete è che segretamente il re appoggia Mc Alistair, dato che teme la ormai mitica ricchezza di vostro marito. Come vedete, Lord Armand non ha solo perso una bella e devota moglie, ma molto probabilmente anche i suoi domini!».

    «Pensate che la sua vita sia in pericolo?», chiese Gaia, incapace di nascondere l’ansia che traspariva dalle sue parole.

    «Per adesso no e sapete perché?».

    Lei scosse la testa.

    «Perché la sua amante è di nuovo incinta e Mc Alistair preferisce aspettare per vedere se il nascituro sarà un maschio, piuttosto che rischiare inutilmente la vita dei suoi uomini».

    «Spiegatevi meglio, Signore…», chiese lei, ormai visibilmente sconvolta.

    «Se il bambino sarà un maschio, il vecchio Angus non dovrà combattere per ottenere ciò che vuole, dato che ne entrerà in possesso per diritto ereditario».

    «Ma questo figlio sarà un bastardo!», esclamò la donna. «Io sono la legittima moglie di Lord Armand!».

    «A meno che vostro marito non decida di ripudiarvi, accusandovi di averlo abbandonato e quindi tradito. Avrebbe il diritto di incolparvi di adulterio e di uccidervi per questo, lo sapete?».

    Gaia abbassò gli occhi: «Ma mio figlio?», balbettò.

    «A causa del vostro comportamento perderebbe ogni diritto di successione. Lord Armand potrebbe così sposare la degna madre del suo erede, un bambino che porterebbe comunque nelle vene il sangue dei Mc Alistair e…».

    «Basta!», esclamò Gaia. «Quello che affermate è ignobile! Armand non farebbe mai questo ai danni di suo figlio Elia!».

    «Forse no, mia Signora, e di certo ha dimostrato la sua benevolenza nei vostri confronti, permettendovi di andarvene senza accusarvi di tradimento».

    «Io non l’ho mai tradito!», esplose lei. «È lui, piuttosto, che si è macchiato di questo peccato!».

    «Questo è certo, ma è anche vero che le leggi le fanno gli uomini, i quali tendono a essere indulgenti verso le proprie debolezze, un po’ meno verso quelle delle donne».

    Gaia rimase in silenzio, quasi cercasse di venire a patti con la realtà di ciò che Robert le aveva appena rivelato. Poi, guardandolo con occhi colmi di tristezza, gli chiese: «E voi perché mi state dicendo tutto

    questo?»

    «Per mettervi in guardia, Signora. Sappiate che finché sarete sotto la protezione della mia Famiglia non permetterò che vi accada nulla di male, ma non dovete dimenticare che ci può essere sempre qualcuno a cui fate più comodo morta che viva. Farò comunque restaurare la capanna e avete il mio permesso per venire in questo luogo quando più vi aggrada, ma vi prego di tenere presente la vostra sicurezza. Darò ordine ai miei uomini di scortarvi ogni volta che lo vorrete e vi invito a non avere remore, dato che sarà loro dovere obbedirvi. Ma adesso vi chiedo di avere la cortesia di seguirmi, vi riaccompagno al castello».

    Così dicendo si avviò nella direzione da cui erano arrivati, seguito docilmente da Gaia, la quale cercava di nascondere con il cappuccio il volto rigato di lacrime.

    Era ormai estate inoltrata e il sole aveva finalmente preso il sopravvento sull’aspro clima scozzese, ricoprendo le vallate di erica in fiore e riscaldando gli animi avviliti dall’interminabile inverno e dalla umida e ventosa primavera.

    Ma Gaia non riusciva a partecipare alla gioia comune e sembrava che un’invisibile cappa di malinconia l’avvolgesse, una tristezza profonda che velava la luce dei suoi occhi. Anche quando si sforzava di giocare con le sue figlie, tenendo fra le braccia la piccola Beatrice di soli nove mesi, non riusciva più ad avvertire quella totale felicità che la presenza delle bambine aveva sempre acceso nel suo cuore. E ciò la faceva sentire in colpa! Una voce interiore, che si imponeva di non ascoltare, le ripeteva continuamente che non era una buona madre, che non lo era mai stata. Da più di un anno non aveva notizie di suo figlio Elia, che era rimasto a vivere con il padre. Anche lui, forse, come Armand, non la amava più? Anche lui, con il suo silenzio, la accusava di non essere stata all’altezza del suo compito di madre e di averlo abbandonato? Eppure lei aveva sempre cercato di fare del suo meglio, pensò, sforzandosi di trovare nel profondo della sua anima un po’ di indulgenza per se

    stessa.

    Alla fine rimaneva pur sempre una strega, anche se era andata in tutto e per tutto contro la sua natura.

    Chissà cosa avrebbe detto Carmen se l’avesse vista adesso!

    Ripensò a sua madre, agli anni che aveva vissuto con lei, al suono della sua voce mentre le insegnava tutto quello che sapeva sulla magia delle Erbe e della Terra.

    Era stata una buona madre per lei? Aveva sempre pensato di sì, anche il giorno in cui, ad appena quattordici anni, si era svegliata da sola nella capanna e aveva capito che Carmen se ne era andata per sempre. Allora le era sembrato perfettamente normale: in fondo le aveva insegnato tutto e il suo compito era finito. Ma adesso che era madre a sua volta, si domandava quando veramente una donna possa considerare esaurito il suo dovere nei confronti dei figli? Elia era un giovane uomo ormai, ma Gaia sapeva per certo che aveva ancora bisogno di lei, e il dolore per la sua lontananza le stava spezzando il cuore.

    Si alzò e affidò la piccola alla balia, decisa a non farsi vedere dalle sue figlie in un così cupo stato d’animo. Sarebbe andata a fare visita all’unica amica su cui poteva veramente contare, la sola persona a cui osasse aprire il suo cuore sopraffatto da tanta angoscia.

    Eloisa di Saint Claire era seduta vicino alla finestra aperta, da cui poteva godere del tepore dei raggi del sole, mentre pizzicava lievemente con le dita uno strumento a corda che teneva appoggiato in grembo. Il suo volto delicato, incorniciato dal velo che le copriva i capelli, era ancora bello e non tradiva in nessun modo la reale età della donna.

    Come primogenita era infatti di dodici anni maggiore di Robert, nato dopo quattro femmine, unico erede maschio del blasone di Famiglia. Così, di lì a pochi giorni, Eloisa avrebbe festeggiato il suo cinquantacinquesimo compleanno, e nonostante la sua solitudine non aveva mai permesso che il peso degli anni piegasse il suo spirito, né la sua voglia di vivere. La musica, infatti, riempiva la sua anima di gioia e le faceva sentire meno il peso della sua menomazione.

    Si voltò in direzione degli alberi lussureggianti, incorniciati dall’arco della finestra, senza però poter gioire della loro bellezza, perché era cieca dalla più tenera infanzia! Un incidente, le avevano raccontato: era caduta ancora in fasce dalle braccia della balia ed era rimasta per più di dieci giorni fra la vita e la morte. Ma poi si era ripresa e tutto sembrava normale, finché sua madre non si era accorta che c’era qualcosa che non andava nei pallidi occhi celesti della bambina. La piccola, infatti, non sembrava per nulla interessata a ciò che la circondava, come se vivesse in un mondo tutto suo, dove la luce o il buio non facevano alcuna differenza. Solo la musica riusciva a penetrare il suo isolamento e sin da piccola aveva dimostrato una passione viscerale per qualsiasi cosa emettesse suoni, diventando ben presto molto abile a suonare diversi strumenti. Chiedeva alle sue dame di compagnia di descriverle ciò che vedevano: i fiori, gli alberi, il cielo, i colori della Natura, per poi trasformare questi racconti in musica. Così, sosteneva, era in grado di vederli anche lei.

    Ma grazie alla sua menomazione, aveva imparato anche un’altra arte: quella di leggere nel profondo del cuore degli esseri umani. Gli altri non avevano segreti per lei e dall’intonazione della voce o dal ritmo dei passi, dal frusciare della vesti che le suggerivano i movimenti, era in grado di sapere il reale stato d’animo della persona che aveva accanto. Alla morte dei genitori, Robert si era assunto il compito di provvedere a lei, dato che nessuno avrebbe mai sposato

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