La via toscana all'illuminazione
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Info su questo ebook
Per i figli della terra toscana, patria della battuta, della burla e dell’ironia, non solo è possibile, ma essenziale e naturale.
Con questa Via toscana all’illuminazione, nata dalle nostre esperienze, speranze e ricerche, cerchiamo di dimostrarlo.
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Anteprima del libro
La via toscana all'illuminazione - Giancarlo Burzagli (anonimi Toscani)
Primo
Capitolo Primo
La biciclettata
Amo della Toscana la diversità di ogni città,
la teatralissima ironia, l’arguzia delle parole, la capacità di vivere l’arte.
Zubin Mehta.
Nulla di finito, nemmeno l’intero mondo, può soddisfare l’animo umano
che sente il bisogno dell’eterno.
Kierkegaard
Ma che giornata. Che incredibile, fantastica, irripetibile giornata. Ci abbiamo messo unbel po’ di tempo per cercare di ricostruirla, metterne insieme i pezzi e cercare di fissarli nella memoria: già, perché, non c’è dubbio, volevamo tutti ricordare. Certamente, molto è andato perso, ma, del resto, si ricorda e si capisce quello che si è pronti a capire e ricordare.
E dire, accidenti, che eravamo in cinque: cinque amici non più giovani, anche se non certo vecchi. Cinque ‘maturi’ toscani, maturi per questioni anagrafiche, ma, magari, non troppo nella testa: insomma cinque bischeracci, per dirla con una delle illuminanti, gentili e sapide espressioni della nostra terra. Ma tant’è: questo è tutto ciò che siamo riusciti a ricostruire, dopo lunghe discussioni, chiacchierate e scontri verbali, e questo, cari amici, è ciò che abbiamo deciso di raccontare.
Già, direte voi: e a noi che ce ne importa? Aspettate, accidenti, niente fretta. Prima leggete almeno qualche riga: capace che qualcosina interessa anche a voi. Perché c’è una cosa che abbiamo ‘scoperto’ (o, per meglio dire, riscoperto) in quella giornata: che siamo tutti collegati, proprio tutti. E allora in qualcosa di quello che segue, è giocoforza che te, cara sorella o fratello più o meno interessato che sei capitato a leggere queste righe, ti debba rispecchiare.
Ma voi chi siete? Potreste chiedere. È inutile – abbiamo pensato – dire i nostri nomi: non avrebbero senso, anche perché, dopo quel giorno, abbiamo cominciato a vedere le nostre identità in maniera diversa. Meglio allora mantenere un tranquillo anonimato (e non per nasconderci, ma anzi, per ritrovarci), e tanto vale allora chiamarci Uno, Due, Tre, Quattro e Cinque in ordine di età, che è un parametro obiettivo, su cui siamo tutti d’accordo. Perché una cosa abbiamo capito: che siamo tutti diversi, ma in fondo tutti uguali: ognuno, nella sua irripetibile individualità, è una specie a parte, ma siamo tutti della stessa razza, e tutti viandanti nel sentiero della vita.
Ma torniamo a quel giorno. A uno di noi, per dovere dicronaca al Due, era venuta in mente un’idea che fu subito approvata all’unanimità: una gita in bicicletta sulle crete senesi. Era primavera, e la primavera in Toscana, lasciatecelo dire, è una meraviglia. Forse il paesaggio toscano, e in particolare quello della Val d’Orcia, è uno di quei rari casi in cui l’opera dell’uomo ha abbellito il paesaggio: lo ha reso armonico, di un’armonia rigorosa, senza fronzoli, essenziale e asciutta, come il carattere della gente di campagna. E poi quei colori: le sfumature ocra delle crete, insieme al giallo della ginestra, che dalle nostre parti viene chiamata, semplicemente, ‘il maggio’; le macchie di verde chiaro dei campi; i toni scuri delle file di cipressi a fiancheggiare le strade sulle colline; i filari di vigneti segnati da cespugli di rose. Uno spettacolo.
L’aria, di buon mattino, era fresca, e lucente; a tratti, una brezza leggera ci portava il profumo dei fiori, dell’erba e della terra coltivata. Da San Giovanni d’Asso prendemmo la strada verso Pienza, pedalando tra battute, facezie e risate. Le salite erano leggere, e nei punti più difficili, ad ogni buon conto, si scendeva di sella e si proseguiva a piedi: grazie a Dio nessuno aveva da dimostrare prestanza fisica o resistenza. Non c’era assolutamente fretta, e l’occasione era ottima per osservare ancora meglio il paesaggio, le piante, l’argento degli ulivi, i cespugli di lavanda, i giaggioli viola sui bordi dei greppi e dei muretti, e i piccoli, umili e stupendi fiorellini di campo, le cui meraviglie Due, da buon appassionato di micologia e botanica, ci mostrava con l’aiuto di una piccola lente di ingrandimento.
Stupende le strutture di un fiore: in una piccola margherita, così apparentemente semplice, ci sono monti, valli, colline, giochi di pieni e vuoti in forme a sfera, a spirale, a lobo; ogni elemento ‘sa esattamente che posto prendere’, e forma, in perfetto accordo con tutti gli altri, un insieme unico ed armonico. È incredibile come, da pochi ingredienti di base, la vita si sia sviluppata in forme infinite e bellissime, e come il piccolo, il microcosmo, rispecchi, nella sua ‘semplice complessità’, anche l’infinitamente grande.
Due filari di grandi cipressi sembravano invitarci ad una deviazione, ed imboccammo allora una strada che ci portò, dopo una breve salita, a un bel monastero rinascimentale, Sant’Anna in Camprena, con splendidi affreschi del Sodoma, particolarmente apprezzati da Cinque, che ha il talento e la vocazioneper la pittura e la scultura ma che, dovendo fare l’‘orafo per necessità’, e quindi incastonare pietre preziose, si definisce ironicamente costretto al ‘lavoro di un ciottolaio’.
Ammirando l’armonia e la pace del chiostro, Uno, che è un po’ il vecchio filosofo del gruppo, osservò: Però! Che terra l’Italia e che regione la nostra Toscana! In quale altro posto del mondo c’è una simile sintesi di natura e arte? Siamo capitati qui quasi per caso e guardate che bellezza! E queste opere sbucano da tutti gli angoli! Sembra che qui sia caduta, nel Rinascimento, una vera ‘pioggia di spirito’!
.
Quando si accennava allo spirito o ad argomenti che avevano a che fare con la metafisica o la religione, Due, da buon laico seguace del razionalismo scientifico, non nascondeva il suo tollerante ed educato scetticismo; Tre e Quattro invece, che seguivano un percorso cristiano anche se su posizioni di forte contestazione nei confronti della Chiesa Cattolica, erano più portati ad accettare questo genere di argomentazioni.
Mah!
disse Due la pioggia di spirito! Andiamoci piano! E poi, chissà che storie ci sono dietro a costruzioni come queste! Senza nulla togliere alla bellezza di tutto questo, si tratta di vicende pratiche, e umanissime: sono espressioni di poteri, politici e religiosi. Poteri, sempre poteri, come al solito, come vediamo oggi, dappertutto!
.
Umanissime, hai detto?
osservò Quattro E perché, ti sembra niente l’Uomo? GesùCristo ha detto che la nostra meta è la ‘destra del Padre’, e che saremo ‘celebrati dagli angeli’!
Sentilo lì, il presuntuoso!
ribatté Due Ma vai! Chi vuoi che lo celebri, un bischeraccio come te!
Chi vivrà, vedrà!
disse Tre ridendo se ne riparla tra un centinaio di anni!
Tanto, fra un milione d’anni, siamo tutti morti!
sentenziò Cinque, evocando una vecchia espressione del ‘Grillo Canterino’, una famosa trasmissione radio della RAI fiorentina.
No!? Tu dici?
E dico, dico!
Speriamo di no, vai!
Sentite, ragazzi
intervenne Uno io ho una teoria che dovrebbe mettere tutti d’accordo. Pigliamo per buono il discorso che si finirà alla destra del Padre: d’altronde l’ha detto nientemeno che Gesù, e se l’ha detto lui, c’è da crederci. Ora, vicino al Padre ci saranno ovviamente i Santi, i ‘Pezzi da Novanta’, insomma gli Spiritoni ‘pesanti’, quelli con l’aureolona dorata, per intenderci: quanto a noi, povere animelle peccatrici, che diamine possiamo pretendere? Si finirà sicuramente in fondo, sempre a destra, naturalmente. Ora, a sentire gli illuminati, la terra è un po’ lo specchio del cielo perché da noi avviene ciò che avviene nelle dimensioni superiori: allora, dato che qui in fondo a destra ci sono sempre i gabinetti, come ognuno può agevolmente constatare, vuol dire che siamo destinati a finire nei locali igienici del Paradiso!
.
A me va benissimo
esclamò Cinque Ma che, scherzi? Chissà come saranno belli, i gabinetti del paradiso! Con tanto di sauna, massaggi e trattamenti di bellezza per l’anima...
Alt, ferma, sennò si comincia a ipotizzare anche le famose Urì dei musulmani!
disse Tre.
E giù risate e battute. Questo era più o meno, cari fratelli lettori, il tono delle nostre conversazioni, non dissimile da quello che si ritrova un po’ in tutti gli angoli della nostra Regione.
Già: in Toscana si scherza su tutto, e questo forse è un limite, perché si sbeffeggia anche troppo, sia il sacro che il profano; ma, in fondo, è anche la nostra forza, perché si ironizza, per prima cosa, su noi stessi. Ogni cosa, situazione, avvenimento, atteggiamento, parola, è uno spunto per una battuta, uno scherzo, una pungente, allegra o amara ironia. D’altronde – si pensa – meglio cercare di farsi, almeno una volta al giorno, una sana, piccola o grande, ma sempre liberatoria risata, a denti stretti o a ganasce spalancate, e non prendere la vita troppo sul serio, anche perché ‘tanto non ce la facciamo ad uscirne vivi’.
Eh, sì, la vita: questa breve camminata tra le sponde del fisico e del metafisico, tra le cose di tutti i giorni e quelle del cielo, con le difficoltà a dare un senso alla sua apparente assurdità: vivevamo ognuno la nostra esistenza, come tutti, più o meno inconsapevolmente e superficialmente, cercando di allontanare pensieri e preoccupazioni, e cercando di goderci al meglio la giornata. Chi avrebbe mai immaginato, mentre percorrevamo il chiostro del monastero, guardandoci intorno e commentando, tra una battuta e l’altra, le storie di uomini e di santi fissate negli affreschi, che di lì a poco ci sarebbe arrivata addosso una specie di ‘mazzata spirituale’, o, meglio, una botta di verità, di rivelazioni, di ironia e di ‘pazzia’, che ci avrebbe, se non rivoluzionato, certamente ben rimescolato le coscienze?
Forse è destino che capiti a tutti, prima o poi, un momento nel quale arrivano da ‘qualche parte’ con inaspettata forza ed evidenza, dei messaggi, sotto forma di segnali, persone o avvenimenti, che si comportano come degli specchi, costringendoci a guardarci dentro e a farci venire finalmente voglia di capire chi siamo e che diamine ci facciamo a questo mondo. Si comincia allora a intravedere un senso, un profondo motivo in tutto, nella realtà, nei simboli, nei sogni, in quello che definiamo bene e in ciò che consideriamo male, negli accadimenti, nelle emozioni, nei pensieri e nei sentimenti: si apre allora, per ognuno di noi, una sorta di sentiero, una direzione da percorrere, e si comincia ad intravedere, nella nebbia o nel fitto della boscaglia,una possibile destinazione, una luce, una meta.
Quella che si è aperta allora, per noi, è una via perlomeno strana, senza dubbio un po’ pazza e sicuramente ironica: qualità che ci hanno portato a definirla, magari con una punta di compiacimento, la ‘via toscana all’illuminazione’. E abbiamo deciso di raccontarla, come meglio possiamo e, soprattutto, senza la minima presunzione di voler insegnare niente a nessuno, perché siamo noi i primi che hanno bisogno di imparare.
La raccontiamo dunque così come ci riesce, sulla base delle ricostruzioni e delle discussioni che sono seguite a quella giornata, ed è con affetto e semplicità, cara sorella e caro fratello che hai la ventura di leggere queste righe, che noi te la porgiamo. Certo, questa è una storia nostra, ma, dopo che avrai scorso queste righe, una parte di ciò che leggerai, quella più vicina alla tua visione del mondo, diventerà, magari, anche parte della tua esperienza: almeno così speriamo.
Lasciata Sant’Anna in Camprena decidemmo di non proseguire per Pienza, ma di tornare indietro e di procedere un po’ a caso, tanto
osservammo qui è bello dappertutto
. Attraversammo uno di quei paesi, che grazie a Dio si trovano in Toscana a decine, che sembrava uscito intatto dal passato, da un altro modo di vivere, parsimonioso, essenziale e naturale. Un modo di essere fissato dai nostri vecchi nelle pietre delle case e dei muretti macchiati di muschio scuro, bianchi licheni e lucenti piante di capperi; nelle piccole piazze, nelle viuzze strette, negli archi delle porte di legno di castagno contornate da pietra serena; nelle piccole e fresche chiesette dove non è raro trovare veri capolavori d’arte; nelle botteguzze dove si vende tutto il poco che serve, con il profumo del pane misto a quello del prosciutto rigorosamente affettato a mano e all’odore della conserva di pomodoro, dove la pasta è riposta nei cassetti degli scaffali di legno alle pareti, e gli amici stanno seduti, lì fuori, su sedie impagliate, ‘a chiacchiera’.
E ci capitò allora di ripassare da un bar, dove avevamo fatto colazione al mattino, poche ore prima. Rientrammo per prenderci un caffè, e il proprietario, con cui avevamo scambiato qualche battuta sotto lo sguardo, tra l’ironico, il divertito e il rassegnato, della moglie, ci accolse con un affettuoso saluto: O voi!? Che siete tornati a rompere i coglioni?!
Non c’è dubbio! Siamo proprio in Toscana!
commentammo uscendo.
La ‘spregiosità’ toscana: l’insulto usato come saluto amichevole; l’aggettivo declinato al dispregiativo con tranquilla noncuranza; la volgarità espressa con una naturalezza tale da trascendere, a volte, la volgarità stessa; la parolaccia come veicolo per una comunicativa immediata, anche se attenta e sospettosa; il diverso livello del senso del ridicolo; la sbeffeggiata pronta e dissacrante; lo sguardo ironico, e quel mezzo sorriso che vuol significare Guarda, amico, non darti tante arie: in fondo siamo tutti uguali, e te sei un bischero come me!
Ne parla Malaparte in ‘Maledetti toscani’,