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E-book378 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Siamo solo ignari viaggiatori nel tempo e nella vita o siamo esseri in

grado di comprendere l'essenza di tutto, di estirpare la verità che

giace nel mondo? Chiudiamo insieme gli occhi e viaggiamo nella nostra

storia lasciando che le realtà si incrocino e gli imprevisti si facciano

più ardui. E ora, cosa sono queste ombre che ci si parano

davanti?

Cosa sono questi suoni che odiamo? È così che si genera Minim, l'eresia

indotta, follia a cui spalanchiamo la porta invitandola dentro di noi.

Ci fa deviare sentiero e ci tramuta in esseri animati dal dubbio e

dall'ossessione. Perché siamo così da sempre, sin dalla notte dei tempi,

sin da quando abbiamo iniziato a generare la storia umana sotto il

disegno del destino.

Nel tempo senza tempo, nel cuore dell'abisso, è

stato commesso un errore di cui stiamo per pagare le conseguenze perché è

qui fra noi e sta generando caos e confusione. Non chiudete gli occhi,

non tiratevi indietro. Ma assistite alla battaglia, fatene parte perché

la lotta tra il bene e il male non si è ancora conclusa.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2021
ISBN9791220312745
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    Anteprima del libro

    MINIM - Daniele Donini

    uomo.

    CAPITOLO 01 – Boemia A.D. 1415 – 1425 – L’assedio

    Jan era lì, solo con i suoi mille pensieri che frenetici si rincorrevano. Legato al palo, nudo, con una robusta catena di ferro stretta al collo che gli impediva quasi di respirare e una ridicola corona di carta che gli avevano imposto d’indossare. Pregava. Sottovoce pregava in attesa del suo destino ineluttabile. Lo avevano spogliato di ogni cosa; dalle vesti talari, da ogni suo bene e persino da ogni vanto ed onore che fino a quel giorno si era guadagnato. Nulla aveva fermato quella accusa infamante e nemmeno il suo ruolo di rettore, presso l’università di Praga, era servito a respingere quell’onta. Per l’intero concilio, Jan era da considerarsi un eresiarca. La confusione che regnava all’interno della Chiesa, politicamente divisa tra papi ed antipapi, aveva aperto i cancelli della follia trasformando in eresia ogni pensiero che leggermente si discostasse dalla dottrina canonica.

    Attorniato dalla folla delirante; un’ultima voce si alzò dal coro dei sui carnefici: Ti esortiamo ad abiurare! Torna alla fede e rinnega per sempre i tuoi pensieri e le tue teorie da folle. La voce che dentro di te parla è quella del maligno. Non ascoltarla! Abiura, ritorna alla fede!

    Guardando come la sua Chiesa si fosse trasformata in un’orda di pazzi senza più remore e principi, alla mente di Jan ritornarono i pensieri e gli insegnamenti del suo maestro Jhon Wiclif in quel momento più lucidi e coerenti che mai. Nel silenzio che paradossalmente sentiva dentro, alzò gli occhi al cielo pregando Dio.

    Le grida della folla, convocata abilmente per l’occasione dai padri predicatori dell’inquisizione, tuonavano riversando insulti ed improperi di ogni genere facendo montare la ferocia come se fosse una belva che percepisce l’odore della morte. Ai piedi di Jan furono adagiate alcune fascine di legna secca e paglia ed altre intorno al suo corpo fino a ricoprirlo quasi completamente lasciando visibile solo la testa.

    Ancora qualche istante e sarà tutto finito! pensò l’uomo cercando di mantenersi lucido e tenere così lontano la paura. Io sono nel giusto. I vostri trenta capi d’accusa sono solo falsità, il frutto di un complotto che avete ordito nei miei confronti e verso chi vuole far conoscere la verità al mondo! bisbigliò tra sé.

    Le urla della folla erano diventate assordanti. Un istante, un solo insignificante attimo e nella piazza cadde il silenzio più assoluto nell’attimo in cui la torcia del boia accese la pira.

    Per qualche momento interminabile tutto sembrò fermarsi, come se la piazza si fosse magicamente svuotata e il crepitio del fuoco restasse l’unico suono esistente. Una folata di vento attraversò lo spiazzo andando a lambire la pira alimentandone le fiamme che in un attimo avvolsero il condannato.

    Le grida degli astanti ricominciarono ad alzarsi con più intensità fondendosi con il rumore della legna che ardeva prigioniera delle fiamme che, piano piano, portarono a giorno la piazza.

    In mezzo alla folla in preda ad un’insana e cinica euforia non tutti i presenti però provavano uguali sensazioni. I seguaci di Hus, impotenti ed inermi alla vista di quell’abominio, avevano il volto segnato dalle lacrime.

    Jan era stato tradito! Si era presentato spontaneamente al Concilio a Costanza per discutere i suoi pensieri e le sue teorie come è d’uso tra persone di fede e di culto, riponendo tutta la sua fiducia nelle parole proferite dai rappresentanti della Chiesa Romana che avevano garantito per la sua incolumità. Nel giro di qualche giorno invece era stato accusato, processato, condannato ed ora l’esecuzione della sentenza, la morte sul rogo.

    La rabbia stava diventando più forte del dolore e saliva lentamente come l’acqua della marea, attimo dopo attimo.

    L’incredibile ferocia della condanna eseguita aveva mostrato ai presenti un lato della Chiesa ancora più oscuro di quello che qualcuno ultimamente aveva ipotizzato. Subito dopo il rogo, tutte le ossa di Jan, raccolte dalle ceneri ancora fumanti, erano state frantumate a bastonate così come il suo cranio. I carnefici, dalle interiora di quel corpo semi carbonizzato, estrassero il cuore ed infilzandolo con una lancia lo fecero girare sul fuoco fino a ridurre il pezzo di carne in cenere. Quando a notte tarda il fuoco si spense, le polveri insieme alle ultime braci furono gettate e disperse nel Reno, come ulteriore monito per ogni forma di eresia.

    Quelle immagini rimasero impresse in maniera indelebile negli occhi di chi era presente quella notte. Immagini che diventarono il cuore delle voci che riportavano l’episodio, il racconto che di casa in casa diventò testimonianza di quella feroce ed ingiusta esecuzione.

    Un nuovo fuoco si stava riaccendendo in Boemia sotto le ceneri ancora fumanti di quello appena spento. Il fiume aveva rotto gli argini.

    Nel giro di poche settimane, tempo ai racconti sull’accaduto di raggiungere ogni angolo della regione, la rivolta iniziò a crescere fino ad esplodere. All’inizio si trattò solo di qualche piccolo gruppo isolato ma, ben presto, l’unione portò alla formazione di un vero e proprio esercito che chiedeva vendetta. Chiese, conventi, abbazie, le vestigia del Sacro Romano Impero iniziarono una dopo l’altra a cadere per poi essere rase al suolo. Era guerra, una guerra senza confini e senza regole tra la Chiesa e gli Hussiti (seguaci di Jan Hus).

    Quella mattina, poco dopo il sorgere del sole, quando ancora la sottile nebbia della notte accarezzava il terreno umido della vallata, padre Marcus, mentre era intento a raccogliere le erbe officinali dalla collina, avvistò la colonna di carri e di persone che lentamente stava imboccando la strada che portava diritta al monastero.

    Le voci circolate nei giorni precedenti allora sono vere! pensò tra sé il monaco.

    Quelli sono gli abitanti dei villaggi vicini che fuggono dalla guerra!

    Senza pensarci due volte, si sfilò i vecchi e consunti sandali di pelle ed iniziò a correre a perdifiato lungo il pendio, verso il monastero. Alla vista delle mura amiche, sbracciandosi e facendo ricorso alle ultime energie ancora rimaste, aumentò l’andatura gridando per attirare l’attenzione.

    Devo parlare urgentemente con l’Abate Bawor! gridò il monaco senza fermarsi mentre oltrepassava il grande portone di quercia all’ingresso del monastero. Al suo passaggio i confratelli indietreggiarono impauriti senza nemmeno tentare di fermarlo ma, arretrando ancora di più, alla vista delle orme di sangue lasciate dai piedi di padre Marcus.

    Padre Bawor! gridò il monaco spalancando la porta del refettorio dove ancora la maggior parte dei monaci stava consumando la misera colazione.

    Padre Bawor, stanno arrivando!

    Calmati figliolo, riprendi fiato! Chi sta arrivando? lo interruppe l’Abate, cercando di riportare i toni alterati all’abituale e sobrio tono sommesso del monastero.

    Marcus afferrò un bicchiere dal tavolo e trangugiò in un unico sorso l’acqua in esso contenuta; un breve respiro e poi iniziò a riportare ciò che aveva visto dal pendio.

    Ero a raccogliere erbe nel crinale quando ho visto quella carovana …

    Quale carovana? lo esortò l’Abate oramai impaziente.

    Sono gli abitanti dei villaggi che fuggono dalla guerra e si stanno dirigendo qui per avere protezione!

    Come fai a dirlo con certezza! Chiese l’Abate.

    "Da giorni sentiamo queste voci. Gli Hussiti stanno mettendo a ferro e fuoco tutti i possedimenti della chiesa uccidendo ogni buona anima che è contro il loro pensiero. Da Praga le truppe si stanno spostando verso est, Brevnov e questo monastero sono proprio sulla loro strada. L’Abate fece un passo indietro alzando gli occhi verso il soffitto ad archi del refettorio, quasi a cercare un segno, un aiuto, una risposta. Dentro di lui riconosceva esattamente il pericolo racchiuso nelle parole del monaco e sapeva che oramai non c’era più alcuna speranza per il monastero. Nemmeno l’invio di truppe del Re, a difesa di quelle mura, sarebbero arrivate in tempo. I ribelli erano ormai alle porte.

    Lasceremo il monastero oggi stesso! tuonò perentorio l’Abate.

    Suonate le campane, preparate i carri con gli oggetti di valore, tutto quanto conservato nella biblioteca e le vettovaglie necessarie per il viaggio. Ci trasferiremo nell’Abbazia di Braunau a Broumov a circa quaranta leghe da qui. Intanto inviate un emissario dal re Sigismondo di Lussemburgo con la richiesta di aiuto. Forse un po’ di tempo in più ci potrà essere utile nell’attesa delle milizie della corona. Andate presto e per prima cosa svuotate la biblioteca e caricate ogni cosa sui carri.

    E la gente che sta arrivando? chiese Marcus non nascondendo minimamente tutta la sua preoccupazione.

    Se vorranno potranno seguirci. Il viaggio sarà lungo e difficile e noi non saremo nelle condizioni di aiutarli. Se riusciranno ad arrivare a Broumov là troveranno sicuramente alloggi, conforto e protezione. Ora più di questo non possiamo fare.

    Allontanandosi dal refettorio, verso il proprio alloggio, gli occhi dell’Abate si fecero lucidi.

    Lasciare quel monastero, fuggire senza poter aiutare concretamente il prossimo non era certo ciò che avrebbe voluto, ma sapeva bene che, in quel momento, non era possibile fare altro. L’unica cosa che accompagnava quei tristi pensieri era la speranza che a Re Sigismondo fosse giunta – magari da qualche altro monastero- una richiesta d’aiuto e che le truppe si trovassero già in strada per correre in loro aiuto.

    Qualche ora dopo, proprio mentre giungevano al monastero i primi fuggitivi dai villaggi vicini, la carovana dei monaci varcò il portone abbandonando per sempre il monastero, in direzione dell’Abbazia di Braunau. Una lunga ed interminabile fila di carri, cavalli e uomini aggirò le antiche mura e risalendo il pendio raggiunse il valico verso nord per lasciare la vallata. Il cielo sgombro da nuvole appariva come un immenso quadro azzurro sul limite della collina mentre un sole caldo faceva capolino a mezzogiorno.

    Dopo tre giorni di viaggio quasi ininterrotti, il convoglio arrivò alle porte di Broumov. A parte qualche piccola sosta nelle ore notturne o per abbeverare i cavalli, l’imperativo Dobbiamo arrivare!, dettato dall’Abate Bawor, aveva obbligato la carovana ad effettuare una marcia quasi forzata. Pur se spezzettato in vari segmenti, il gruppo di carri dei monaci fu il primo ad arrivare ed al sorgere del sole si trovò ad oltrepassare i cancelli dell’Abbazia di Braunau. Appena svolti i convenevoli e rifocillati dal viaggio, ai monaci fu ordinato di scaricare i carri per mettere al sicuro i tesori trasportati.

    Vi riposerete dopo! Ora pensate a sistemare i carri e ciò che trasportano! ordinò l’Abate.

    I monaci di Broumov, anch’essi dell’ordine Benedettino, si misero a disposizione dei confratelli per aiutare nello scarico. Tra i carri, al centro della carovana, uno su tutti attirava l’attenzione dei presenti. Era un carro chiuso, senza il più piccolo pertugio per sbirciare all’interno, ben legato e sigillato da grosse catene. Quel carro però sembrava essere fuori posto. L’abate, resosi conto dell’attenzione che attirava, diede l’ordine di scaricarlo per primo e di porre il suo contenuto nel posto più sicuro e meno accessibile dell’Abbazia. L’archivista di Braunau, Padre Guglielmo di Sant’Emmerano, propose di adagiare la cassa contenuta nel carro all’interno dei sotterranei dell’Archivio, il posto di certo meno frequentato e conosciuto di tutta l’Abbazia.

    Siete certo che il posto sia sicuro ed idoneo? Ciò che dobbiamo conservare e proteggere è di grande valore e non possiamo rischiare che si rovini! disse l’Abate con tono visibilmente preoccupato.

    Cercando di tranquillizzare l’Abate, padre Guglielmo ebbe cura di rispondere prontamente e con sicurezza all’osservazione alzata.

    "Non dubiti padre Abate Bawor, tutto sarà conservato con la massima cura. La cripta sotto l’Archivio è una delle tante cripte e grotte scavate dentro ed intorno all’Abbazia sia per la protezione dei confratelli e sia per la conservazione delle provviste. In particolare, questa cripta ha la peculiarità di avere un solo ed unico accesso direttamente dall’archivio, archivio del quale solo io ho il completo controllo degli accessi. La porta poi è ulteriormente rinforzata con sbarre in ferro perché è proprio al suo interno che conserviamo i tesori del monastero. La cripta è scavata in profondità e mantiene sempre temperatura ed umidità costanti, ideali per la conservazione dei nostri libri antichi. Da anni la utilizziamo e mai si sono presentati problemi.

    Padre Bawor, sembrò convincersi e, alzando la mano in segno di approvazione, acconsentì ad adottare quella soluzione.

    Slegato il carro, quattro monaci si fecero carico di trasportare la pesante cassa e, con l’Abate a capo del piccolo corteo, seguirono Padre Guglielmo all’interno dell’Abbazia nell’intricato labirinto di passaggi e sale che componevano la struttura. Guglielmo, facendo strada, con il suo grosso mazzo di chiavi, si curava di aprire e chiudere ogni passaggio non accessibile normalmente ai confratelli. Vedendo le innumerevoli porte da superare ed i complicati passaggi presenti, l’Abate - ad ogni metro - sembrò rassicurarsi sempre più sul destino della cassa e sul fatto che, il luogo dove avrebbe riposato la cassa, non sarebbe stato facile da raggiungere. Nell’interrato dell’archivio, in una cella a parete, nel punto più distante dalla porta d’accesso, la cassa fu adagiata su di un pianale e coperta con un grosso telo di iuta, protetta dal tempo e dagli uomini.

    Può andare bene questo posto per la conservazione? chiese Padre Guglielmo già sicuro della risposta.

    Sì … rispose l’Abate ritengo sia adeguato. Chiedo scusa per l’insistenza ma, nella cassa, è conservato un oggetto di grande valore e la preoccupazione per il suo destino penso sia lecita.

    Capisco … non si preoccupi, comprendo l’attenzione e lo scrupolo per la cosa.

    Ritornati all’ingresso l’Abate, visibilmente più rilassato, si rivolse ai confratelli e ai fedeli che nel contempo avevano raggiunto l’Abbazia: Ora sistematevi e condividete con i vostri confratelli ciò che abbiamo portato. Fatevi mostrare dove possiamo alloggiare e trovate una sistemazione anche per i fedeli che ci hanno seguito. Prendetevi cura di loro e cercate di aiutare chi ha bisogno di assistenza. Vi esorto a leggere attentamente le regole dell’Abbazia e di conformarvi ad essa in quanto da oggi saranno anche le nostre. I principi della nostra Regola lì conoscete! Non dovrebbe essere difficile attenersi a qualche disposizione aggiuntiva che aiuti il quieto vivere in questa Casa di Dio. Ringraziamo di cuore per essere stati accolti a Broumov.

    CAPITOLO 02 – Tempo senza tempo

    Nessuna redenzione, solo l’eternità per scontare la mia condanna. Qua, dove il crepitio delle fiamme si unisce alle urla dei dannati creando la tetra melodia che riecheggia nell’abisso, muovo i miei passi pesanti nell’attesa del nulla. Nel vortice di un tempo indefinito che mai ha iniziato a scorrere, ricordare è sofferenza. È come immergere la ferita ancora aperta in una pozza di sale. Ricordare … Ricordare … Perché ricordare quando non si ha un futuro? Perché alzare il velo che ricopre la memoria se questa mostra solo gli errori che mi hanno condotto qui? Quei ricordi generano rabbia, rancore e accendono una speranza che forse mai avrà un domani. È giusto allora ricordare?

    La creatura allontanò dalla sua faccia le mani che fino a quel momento l’avevano coperta e come se guardasse dentro uno specchio lasciò liberi i pensieri, osservando il palmo delle sue mani informi e diafane.

    "Pensavo ad una gloria ancora più grande rinnegando la luce ma sbagliavo. La sconfitta mi ha relegato nell’abisso cancellando ogni speranza di redenzione. Il bene ed il male hanno opposto le proprie schiere e di quel conflitto ciò che rimane per i perdenti è solo la dannazione e l’oblio. È arrivato poi quel giorno, quel tempo che ci ha visto schiavi in aiuto degli uomini. Richiamati dall’inferno, per giorni abbiamo mosso i nostri passi sulla terra per costruire quel tempio e vedendo così per la prima volta da vicino, sentendone il profumo, quella che voi chiamate la vita terrena. Bella, meravigliosa, insolita eppure lontana; Sì, troppo lontana in quanto, benché fossimo angeli caduti, su di noi pesava il potere dell’abisso che ci relegava ad essere ombre, ombre della nostra stessa ombra.

    Non fu però quella nostra presenza nel vostro mondo a lasciare un segno indelebile sulle nostre già vecchie cicatrici. No non quello! Fu la rabbia generata dall’invidia, che crebbe a dismisura una volta che fummo richiamati, scacciati dal vostro tempo e rinchiusi nuovamente all’inferno. Ognuno di noi a suo modo cercò di trovare pace a ciò che per poco tempo aveva conosciuto e che per sempre ora aveva perso. Quella vita terrena, che avevamo appena assaporato, per quanto fosse semplice e scontata, per chi era stato dannato per l’eternità era una fonte di gioia senza confine. E così, mentre il vostro tempo scorreva generando la vostra storia ognuno di noi, ognuno di quelle settantadue creature che voi conoscete come Demoni, ha cercato la propria via. Molti hanno dimenticato, alcuni hanno accettato di buon grado il proprio destino facendosene una ragione mentre altri hanno trasformato quella rabbia in ferocia per governare l’abisso. Io no. Nulla di tutto questo! Io sono qui che attendo! Le porte a volte, per qualche strano disegno del destino, si aprono e si chiudono nei modi più strani ed inconsueti. Io osservo e cerco di muovere i fili quando l’occasione si presenta, nella speranza che la porta rimanga aperta il tempo necessario per costruire un passaggio per poter tornare.

    È già successo e succederà ancora. Dietro a quello sciocco che cercò di confondere Pietro l’Apostolo per acquistare i poteri taumaturgici chi pensate ci fosse? Nelle mente di quel Simone, che la storia vi ha consegnato come Simon Mago, c’ero io! Era stato anche troppo facile entrare nella mente di chi inconsapevole ti stava già cercando. Era bastato instillare in quella testa un pensiero di ribellione, qualche visione falsata della realtà facendola apparire come verità. Ed ecco a voi la prima forma di quella che voi chiamate eresia, la Simonia! Purtroppo, la porta si chiuse quasi subito.

    La fede assoluta ed incrollabile era e sarà sempre un cancello da oltrepassare ma io non demordo, io sono lì, silenzioso che attendo gli eventi e la prossima occasione.

    La storia è ciclicità e la debolezza umana è una grande porta, un passaggio che qualche volta il destino decide di aprire.

    CAPITOLO 03 – Boemia 1485

    Tanti anni erano passati e quella che era la speranza della regione, di ritornare alla serenità di un tempo, si era infranta in una serie di eventi infausti che si erano susseguiti e che non avevano certo aiutato la popolazione a risollevarsi. Le guerre erano terminate da tempo ma ancora qualche focolaio della vecchia rivolta, qualche frangia ancora non domata che continuava a riproporre il pensiero eretico, era rimasto e non aiutava certo a rappacificare il territorio.

    Proprio per questi motivi, per spegnere ogni fuoco, la Chiesa aveva assunto una posizione ferma per rafforzare il proprio potere, inviando il tribunale dell’inquisizione e scatenando una caccia alle streghe senza precedenti in tutta la Boemia.

    Il risultato che la Chiesa di Roma aveva sperato di ottenere con questa operazione o per lo meno quanto si aspettava di vedere, un po’ per l’ignoranza della popolazione ed un po’ per la paura che la presenza di quei monaci incuteva nelle persone, non tardò ad arrivare. Tutti iniziarono a dubitare di tutti ed ognuno per una banalità o per una semplice segnalazione rischiava di essere offerto sul piatto del sacrificio ai carnefici, i frati predicatori inviati dalla Chiesa, i monaci Domenicani dall’inconfondibile saio bianco e nero. Il sospetto poteva arrivare nelle forme più strane ed inusuali sia da un qualsiasi angolo dei piccoli villaggi, così come da ogni cosa o persona. Un semplice comportamento insolito o parola proferita in un attimo potevano originare atti d’accusa. La tortura avrebbe poi fatto il resto, trasformando il dubbio in una colpa e la colpa in condanna. I pochi monasteri rimasti indenni o quasi alla fine della guerra, ripresero lentamente la propria vita, cercando di riedificare dalle macerie oppure accorpando più prepositure per semplificare e velocizzare ogni aspetto gestionale e la conseguente ricostruzione. Così era successo all’Abbazia di Braunau a Broumov che si era unificata seguendo le indicazioni dell’Abate nel monastero di Braunau/Brevnov. Nonostante si cercasse in tutti i modi di ritornare alla normalità, ciò che stava accadendo nei villaggi limitrofi si rifletteva all’interno del monastero. Tra i monaci al di fuori dei momenti dedicati alla preghiera, non si parlava d’altro. Demonio, eresia, stregoneria erano gli argomenti all’ordine del giorno nelle conversazioni che sottovoce si tenevano dentro le mura. Qualcuno aveva anche ipotizzato che la causa di tutto quel fermento nella regione risiedesse nel contenuto della misteriosa cassa nascosta anni addietro nell’Abbazia quando ancora era archivista il vecchio Guglielmo. Solo con l’arrivo del confratello Thomas Krause, nominato archivista successore dopo la morte del decano, si era saputo che all’interno della cassa era conservato un antico codice, un libro d’inestimabile valore. Si trattava di un tomo scritto nel 1229 D.C. da un monaco dell’Ordine di San Benedetto, un certo padre Herman soprannominato il recluso. Il libro in questione era stato scritto nel monastero Benedettino di Podlažice, nei pressi di Chrudim in Boemia, un monastero distrutto durante le guerre Hussite. Il manoscritto di grande importanza, che dava lustro al monastero che lo custodiva, era arrivato dopo diverse traversie a Braunau passando per Sedlec, per Brevnov ed in parte per la Boemia occidentale, sfuggendo alla furia dei saccheggi che si perpetravano durante la guerra. Questo è quanto ufficialmente si sapeva su quel libro. A contorno però, esistevano altre storie, portate dai pellegrini e viandanti che costantemente facevano visita all’Abbazia e che, negli anni, avevano trasformato semplici fatti in un miscuglio di credenze e misteri. Si mormorava di un patto con il Diavolo siglato dallo scrittore per riuscire a completare l’intera opera in una sola notte. Alcuni raccontavano che durante la lettura del volume, voci misteriose e lugubri arrivassero da altre dimensioni. Qualcuno riportava informazioni sul contenuto di quelle pagine nelle quali sarebbe stata scritta tutta la verità su Dio e sulle leggi del mondo. Tra le varie dicerie, una però sembrava affascinare e nel contempo terrorizzare. In quel tomo, tra le pagine che riportavano la parola di Dio, alla numero 577 era presente l’immagine, a tutta pagina, di un Demone con denti, artigli e corna che sembrava voler uscire e prendere vita e per questo qualcuno aveva soprannominato il codice La Bibbia del Diavolo.

    L’aura infausta che aleggiava sul libro che oggi conosciamo come Codex Gigas lentamente stava crescendo. Verità o semplici dicerie: non aveva poi tanta importanza. La regione avvolta nella follia di quella nuova crociata, la caccia alle streghe, leggeva e vedeva ovunque la presenza del maligno.

    Ogni logica ed ogni forma di ragionamento sensato sembravano svanire nella paura e nella superstizione portando verso la pazzia anche la fede più salda.

    CAPITOLO 04 – Boemia 1486.

    Era quasi la fine di ottobre e, nella vallata, la nebbia sembrava non voler alzarsi. Come a celare il sole che a quell’ora avrebbe dovuto già splendere alto sopra la collina, tutto il paesaggio sembrava immerso in una dimensione senza tempo. Dopo la sveglia, ancora prima dell’alba, la preghiera del mattino e la semplice colazione diedero vita alla giornata lavorativa, completamente allineata al principio Ora et Labora. Ognuno ai suoi compiti così come era scritto nel calendario settimanale delle opere redatto come di consueto da padre George con l’avallo dell’Abate. Questi, come era solito fare a fine mese, anche se non sempre con l’entusiasmo dovuto, era chiuso nella foresteria per cercare di far quadrare il bilancio del monastero annotando le poche entrate ed offerte arrivate con la pigione di qualche pellegrino e le innumerevoli uscite che oltre alle provviste portavano all’Abbazia i materiali per qualche piccolo lavoretto da eseguirsi in economia. Mentre era assorto nello trascrivere minuziosamente le varie somme nel registro, l’abate udì dei passi furtivi, come se qualcuno attraversasse il corridoio con l’intenzione di non farsi sentire. Qualche istante di silenzio assoluto e poco dopo udì un delicato ticchettio sull’uscio.

    Sì? chiese prontamente l’Abate facendo riecheggiare la voce nella stanza.

    Lentamente la porta iniziò ad aprirsi e dallo spiraglio un’esile figura s’affacciò nella stanza.

    È permesso? Disturbo?

    La figura che poco dopo si mostrò – forse perché ancora assorto nella trascrizione dei numeri, apparve all’Abate quasi surreale: un monaco con indosso un saio di certo un paio di taglie più grandi del dovuto, dalla carnagione estremamente chiara con la testa tonda sormontata da una capigliatura rosso carota rasata di fresco. La testa sulle pieghe del cappuccio sembrava un sole appena sorto dal profilo scuro dell’orizzonte.

    Padre Thomas! L’Abate riconobbe immediatamente il monaco per l’inconfondibile aspetto singolare.

    Entrate pure, avete bisogno?

    Timidamente il monaco si avvicinò alla scrivania dietro a cui sedeva l’Abate cercando di attirarne l’attenzione, sgranando i suoi piccoli occhi neri.

    Padre … avrei bisogno di …

    Siediti Thomas! lo interruppe l’Abate mostrando un sorriso benevolo, non essere timoroso non mangio mica nessuno!

    L’Abate Alexej Kučera, oramai alla guida dell’Abbazia da più di 24 anni, come responsabile del monastero doveva sempre mantenere un contegno risoluto ed autoritario al cospetto dei confratelli. Nella maggior parte delle occasioni vi riusciva ma, quando poteva, ed in cuor suo era quello che desiderava, si trasformava in un padre presente e premuroso, figura che molti dei monaci, di certo non sapevano davvero cosa fosse.

    Dimmi liberamente Thomas, hai bisogno di qualcosa?

    Il monaco sapendo che gli incontri personali con l’Abate non erano all’ordine del giorno, in quel momento si sentì un privilegiato e dopo un colpetto di tosse per schiarirsi la voce, si rivolse al superiore.

    Padre, non so se sia al corrente o meno delle voci che circolano all’interno del monastero e nei suoi dintorni, voci che in qualche modo mettono a disagio me, i miei confratelli ed i pellegrini che ci fanno visita.

    Thomas sotto lo sguardo fisso dell’Abate attese qualche istante come se aspettasse un cenno di risposta che però non arrivò. L’Abate continuava a fissarlo con insistenza con occhi senza indagatori. Ancor più intimorito ed imbarazzato il monaco riprese a parlare.

    Da quando nella regione è stata proclamata da Roma la nuova crociata per sconfiggere il maligno, la paura è diventata sovrana. Si parla del demonio, di spiriti di tremende creature che una volta evocate abitano le oscurità della notte ed i boschi circostanti. L’amore e la fiducia verso il prossimo sembrano essere stati cancellati e questo porta a vedere in ogni persona il nostro nemico. So che ciò non dovrebbe toccare il monastero in quanto siamo uomini di fede e queste sono le mura della casa del Signore dove di certo il male non può dimorare. Però sono le voci continuano ed alcune di esse fanno talmente breccia nelle persone che qualcuno sembra abbia alzano il dito verso Braunau. Dicono che il cuore di tutti i malefici sia proprio il monastero per …

    Thomas restò un attimo in silenzio

    … per quello che è custodito tra le sue mura.

    Sapevo che prima o poi la notizia sarebbe divenuta pubblica! bisbigliò l’Abate abbassando lo sguardo e passandosi la mano sugli occhi e sulla fronte.

    "Thomas cosa sai tu di

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