Labirinto di specchi rotti (un viaggio a piedi nudi)
Di Lev
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Labirinto di specchi rotti (un viaggio a piedi nudi) - Lev
Lev
Labirinto di specchi rotti (un viaggio a piedi nudi)
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Table of contents
Introduzione
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e
nota
1 La cacciatrice di farfalle
2 Il mastro di chiavi
3 Dettagli
4 Sera&Notte
5 Il trono
6 Bianconiglio (tempo/domenica)
7 Fragole
8 Scelte
9 Doccia e divano
10 Uno strano giorno
11 L'inatteso-prima parte
12 L'ottavo giorno della settimana
13 Prima dell'alba
14 L'altra metà del cielo
15 Caffè al risveglio
16 L'inatteso – seconda parte
17 Presente
Introduzione
Guarda la copertina...tra parentesi la chiave di lettura:un viaggio a piedi nudi
...
Se chiudi gli occhi puoi vederli, frammenti di una realtà che appare come una rivelazione, leggi e sei chino su di essi, li raccogli ad uno ad uno, nella cesta di te stesso.
Stupore
è la parola che li tiene legati.
Le tue mani come lenti di ingrandimento, più sfogli le pagine e più ti guardi pensando che in quei frammenti, in quelle righe, ci sei tu:quando godi, gioisci, ti indigni, quando semplicemente stai
.
La cesta ora è piena, ma il viaggio non è finito, cammina ancora e armati di coraggio: l'ottavo giorno
dovrai scomporlo tu, in frammenti che ti resteranno addosso come colla.
Un giorno nuovo l'ottavo,per reinventare la realtà che vuoi.
Ora il titolo è completo: un labirinto di specchi rotti
, puoi guardare a questo libro come un'esperienza, che parte dal centro di te.
Negli specchi puoi finalmente vederti:un occhio,l'angolo delle labbra, il cuore che gocciola e rivela che non è stata solo una semplice lettura, ma un viaggio in verticale dentro te, per ricomporti e sezionarti, per imparare a respirare.
Chiara Chichi
Lo Conte
Frammenti
L
Il vaso è crollato per
ter
ra.
Sembrava trascinato da un filo invisibile verso il basso.
T
R
A
C.
In frantumi.
Emil lo guardava. Come se si fosse aspettato di vederlo ricomporsi per magia da un momento all'altro. Si sentiva in colpa. Era un bel vaso. E ci era affezionato. Trasse un profondo respiro. Era intatto fino a un secondo prima. Se non fossi stato così sbadato non l'avrei urtato. Se non avessi l'abitudine di camminare quando penso, non l'avrei urtato. Non sarebbe caduto e non si sarebbe rotto. Adesso stava allagando il pavimento. L'interno di un bianco osceno. Gli metteva i brividi. Sembrava Moby Dick fatta a pezzi. Si china. Ne prende un coccio con cautela. Lo osserva. Una mano disegnata che stringe qualcosa. Una pergamena forse. Lo ripone. Ne prende un altro. Un'ala di un drago. O qualcosa di simile. Lo mette da un lato e prende altri pezzi. Li osserva ad uno ad uno. Con stupore gli sembra di osservare qualcosa che non aveva mai visto. Eppure quello era per certo il suo vaso preferito. Lo aveva spolverato centinaia di volte. Ed ogni volta guardava le scene della mitologia cinese. Eppure ogni frammento, ogni pezzo di vaso rotto era una cosa a sé adesso. Ognuno pezzo dello stesso vaso. Ognuno, ora, una storia a parte. Lo aveva liberato dall'insieme. Emil raccolse tutti i cocci. Li asciugò e li depose in una grossa scatola di cartone. Lo avrebbe riparato. Ma non oggi. E neppure domani. Ora voleva solo guardare un frammento alla volta. Sospeso nella sua mano e gli altri pezzi nella scatola.
e
Ti guardo. E mi batte forte il cuore.
stelle e sole
s
Ci sono momenti in cui senti il bisogno di stare in mezzo al mondo. Immerso nel suo vociare. Diventa una necessità impellente: sederti ad un tavolino di un bar qualsiasi, bere un caffè, ascoltare una bambina strillare buon natale anche se è aprile e osservare gli altri. Per vedere ciò che ti rende differente da loro. Uguale a loro. Poi ritorni nel tuo mondo, assecondando lo stesso desiderio che ti ha spinto fuori. Per ritrovare gli equilibri persi. E per perderli. Ancora e ancora. Alcuni giorni son separato da ciò che mi circonda. E un invisibile velo di maya cala su di me. Ogni passo è più gravoso. Ogni sosta è senza riposo. E non trovo posto. Ovunque io vada, ovunque sia, mi sento sempre un po' straniero.
t
Aveva freddo. I capezzoli sotto la canottiera erano diventati turgidi. Sfregavano contro il cotone attillato. L'improvviso contatto li rendeva ancor più duri. Il tessuto premeva indecentemente. Adesso aveva anche voglia.
Il respiro in
ce
spi
ca
Il cuore
r
u
z
zola giù.
La pancia sale in gola. Butta fuori l'aria come il vapore di una teiera nel tentativo di riprendere il controllo. Era sola in casa. Non aveva voglia di mare. La spiaggia vicina era comoda e poco frequentata. Le piaceva. Ma stamattina si era svegliata con la vena solitaria. Versò il caffè nella tazza grande. Aggiunse il latte e vi rovesciò tre cucchiai colmi di zucchero. Girava distrattamente persa in nessun pensiero in particolare. Uscì in terrazzo, camminava su una fune. Gli occhi sulla tazza. Oltre c'era il bosco. Ogni tanto avvertiva il plock di una pigna o il frusciare dei cespugli. Tutto sembrava immobile. Eppure quel luogo brulicava di vita. Sui bordi del tavolino in legno un piccolo ragno riparava la sua tela. Per terra le traccie del temporale della notte prima. Le piccole chiazze d'acqua sul legno parevano sangue. Sangue che si asciugava. Lentamente. Lasciando un alone scuro.
Rientra in casa, prende la felpa. Quel leggero tormento di desiderio inappagato sui capezzoli era una scheggia di estasi. Cominciavano a pulsare da fare male. Voleva. Voleva. Voleva che una bocca, due labbra ed un numero imprecisato di denti, mordessero, baciassero, succhiassero quel piccolo brandello di carne. E' bagnata. Fanno male. Tra non molto le arriverà il ciclo. Ha voglia. E quando ha voglia ha sempre uno strano umore. Mette i piedi sul bordo della sedia. Abbraccia le gambe. Il mento sulle ginocchia. Sprofonda. Uno scudo. Contro il mondo. Contro quel desiderio che la sta tormentando da prima di svegliarsi.
Prima. Aveva sognato. Un bel sogno. E si era svegliata di uno strano umore. Non brutto. Neppure bello. E lei sapeva quel che significava.
Un nulla che riempiva
TUTTO.
E le mancava scopare. Sopratutto adesso. Si lasciò scivolare sulla sedia, iniziò a bere.
Sarebbe andata al mare. Sì. Avrebbe fatto eziandio un giro nella pineta. Domani sarebbero ritornati a casa. Lei era contenta. Qui le sembrava di essere in una bolla di sapone. Dopo un po' ti stanchi di galleggiare. Sai che esiste una realtà. E vuoi tornarci. La sua realtà era per molti versi solida. Per altri liquida. Adesso però non voleva pensarci. Vado al mare, si disse. Chiuse gli occhi e abbandonò la testa all'indietro.
Pochi minuti dopo era a letto. Nella sua camera. La schiena inarcata la testa sprofondata nel cuscino la mano tra le gambe veloce più veloce il fuoco sul viso e poi...
più n u l l a.
Il respiro torna regolare. La carne si stacca dalle ossa. Si scioglie tra le lenzuola. I pensieri sfumano. Le immagini. Le sensazioni. Tutto.
Anemica, senza forze cullata dal sonno.
Dormire. Ancora un po'. Era presto. Voleva passeggiare. Dopo. Dopo avrebbe fatto due passi nella pineta. Adesso però dormiva. E sognava. Fece un sogno. Lungo. Di quelli intricati che sembrava un labirinto. E poi un altro. Si sveglia. Gli occhi ancora chiusi. Allunga il braccio. Lo faceva sempre quando dormivano insieme. Ma lui non c'era.
Rimane immobile. Per capire. Per ricordare. I sogni. Il presente. Dov'è? Era come se avesse perso la memoria. Per un breve istante. E poi la realtà. Qualunque fosse. Era sola.
[1]
o
Mi sento vuoto. Ho il vuoto dentro. Dentro lo stomaco. Nel cervello. Nel cuore. I polmoni sono vuoti e respirano aria pesante. Li riempio di nicotina e altre sostanze ma son sempre vuoti. Il sangue è acqua rossa e l'acqua non ha una forma. Prende la forma delle vene. E le vene sono vuote. Se mi taglio un braccio non esce nulla. Forse qualche nervo. Forse neppure quello. Sento il vuoto nelle viscere, lo sento come se fosse pieno. Se sento il vuoto è perché sono un contenitore. Prima c'era qualcosa dentro. Adesso no. Non più almeno. Prima forse avevo sentimenti, sangue che scorreva, cibo digerito, aria nei polmoni, tessuti vari e qualche virus e battere che mi faceva compagnia. Adesso sento che non c'è più nulla dentro. Neppure il deserto. O forse c'è ma non l'avverto. Magari mi son dilatato. Come l'universo. E quello che prima mi colmava ora non basta più. E sta crescendo come un tumore. Sono un tumore. Un ammasso di cellule che perde il controllo. Cellule vuote. Sterili. Che non portano da nessuna parte. Sono una linea morta di un binario. Vado bene per fare avanti e indietro, su e giù, scopare, parlare di cazzate, sbronzarsi, scopare, parlare di cose profonde, fumare, scopare, parlare, stare in silenzio. Fine della corsa. Sono un binario morto. Un giro di giostra. Poi, finito il tempo si comincia da capo. E oggi sono vuoto. Sono un barattolo di frutta sciroppata. Mi hanno pappato la polpa. Mi hanno bevuto il succo. E' rimasto solo l'alluminio. Non mi sembra molto. Non mi sento molto. Non oggi almeno. Magari più tardi piove e mi riempio. Poi spunta il sole ed evaporo. E' dura la vita di un barattolo vuoto. Anche perché comincio a considerare che la mia utilità