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Luoghi ed itinerari sentimentali di Giacomo Casanova
Luoghi ed itinerari sentimentali di Giacomo Casanova
Luoghi ed itinerari sentimentali di Giacomo Casanova
E-book150 pagine2 ore

Luoghi ed itinerari sentimentali di Giacomo Casanova

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Info su questo ebook

Dalle memorie del vecchio Casanova riemergono storie affascinanti vissute nello scenario delle amate terre Marchigiane. I suoi viaggi, le partenze rocambolesche ed i ritorni sembrano guidati da una forza misteriosa che lo riporta indietro nel tempo in luoghi che emanano ricordi struggenti.
Eppure questa terra non riesce poi a ricordarsi di lui. Lo perde nell'oblio dei secoli, sembra abbandonarlo... e con lui si perde ogni memoria della presenza sua e dei misteriosi personaggi illuminati dal fugace raggio del suo racconto.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2015
ISBN9786050361216
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    Anteprima del libro

    Luoghi ed itinerari sentimentali di Giacomo Casanova - Maurizio Pincherle

    Maurizio Pincherle

    LUOGHI ED ITINERARI SENTIMENTALI DI CASANOVA NELLE MARCHE

    UUID: 53e3f898-c068-11e4-b34d-1ba58673771c

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Table of contents

    PROLOGO

    I

    II

    CAPITOLO 1

    I

    II

    III

    CAPITOLO 2

    I

    CAPITOLO 3

    I

    II

    III

    EPILOGO

    Note

    Maurizio Pincherle

    LUOGHI ED ITINERARI SENTIMENTALI 

    DI CASANOVA NELLE MARCHE

    Traduzione del testo francese Mémoires de J. Casanova de Seingalt écrits par lui-mème, edito da Garnier Frères Librairies Editeurs, Paris, a cura di Maurizio Pincherle

    PROLOGO

    I

    LA VERA IDENTITA' DI CASANOVA

    Chi era Giacomo Casanova? Chi era veramente, al di fuori di come è dipinto oggi nell'immaginario collettivo? Questo uomo del settecento ci è stato descritto come un libertino, un avventuriero dedito solo ai piaceri materiali della vita, un trasgressore di regole sociali facile ai duelli ed alla rissa. E’ vero, egli è stato anche tutto ciò, ma non solo. 

    In pochi sanno che dedicò gran parte della sua vita allo studio di ogni argomento dello scibile umano. Iniziò a respirare aria di cultura fin da quando, bambino, accompagnava nei teatri di Venezia, Zanetta, la sua bellissima mamma attrice, impegnata a trasformare, insieme a Carlo Goldoni, il volto del teatro italiano.

    Giacomo fu poi affidato dalla madre, che partiva per l’estero in cerca di fortune, alla nonna, affezionatissima a lui tanto cagionevole di salute, la quale lo portò a Padova, per farlo studiare ed avviarlo alla carriera ecclesiastica. Nel giro di pochi anni il bambino imparò tutto quello che c’era da imparare e giunse alla laurea in materie giuridiche, diventando contemporaneamente abate novizio. La cultura di questo giovane dall’intelligenza vivacissima e dalla memoria portentosa si dimostrò subito vastissima: spaziava dalle letterature antiche, come quella latina e greca, a quelle contemporanee, come quella francese, inglese e tedesca, alle scienze matematiche, all’astronomia, ma anche all’occultismo, all’alchimia, all’esoterismo ed alla cabala. Da vero uomo dell’illuminismo, era curioso e sempre aperto alle nuove scoperte in tutti i campi. Amava l’arte in tutte le sue espressioni: era figlio di attori ed in tenera età aveva calcato le tavole dei palcoscenici dei teatri dove la madre recitava nelle commedie di Goldoni, sulle cui ginocchia era stato tante volte e che amava e stimava come autore innovativo, più che come uomo. Conosceva la musica e suonava bene il violino. Fu una mente eclettica e creativa in tutti i campi dello scibile (è sua l’invenzione del gioco del lotto, che fece introdurre in Francia negli anni dell’esilio), un vero filosofo, critico prima di tutto con se stesso, un uomo di onore, che amava enormemente la vita, di cui sapeva assaporare le gioie più nascoste, accettandone nello stesso tempo i dolori e le delusioni che inevitabilmente ad esse si accompagnano.

    L’amore per le cose belle, per le comodità, per lo sfarzo, ma anche per gli esseri umani, (che lo portava al coinvolgimento nelle storie ed a vivere le passioni in modo completo e profondo), non fu mai tanto grande quanto quello per la libertà personale e del pensiero, che lo porterà, in vecchiaia, alla solitudine ed alla povertà nell’esilio quasi volontario di Dux.

    Negli ultimi anni della vita, turbati da rancori nei confronti delle persone che lo accudivano e servivano, come il maggiordomo Faulkircher, cui scriverà lettere infuocate, fu comunque anche circondato di giovani amici, tra i quali il Principe di Ligne e Lorenzo Da Ponte[1], che lo stimavano e lo consideravano un mito, un uomo ormai fuori dal tempo, sopravissuto agli incalzanti eventi storici che non comprendeva e non approvava, un vero illuminista settecentesco alle soglie di un mondo nuovo che non sentiva più suo ed in cui non riusciva più a vivere.

    La descrizione che fa di lui il Principe di Ligne, suo grande amico negli anni della maturità a Dux, rappresenta un dipinto fedele del carattere e della personalità complessa di quest’uomo, con le sue qualità ed i suoi difetti, rendendocelo più vicino e meno misterioso: Sarebbe un gran bell'uomo se non fosse brutto; è alto, fatto come un Ercole, ma con il colorito di un africano; ma perché la pelle di Casanova aveva il colorito di un africano? Un’ipotesi potrebbe essere che egli fosse affetto dal Morbo di Addison (una malattia delle ghiandole surrenali definita anche morbo bronzino), che avrebbe potuto colpirlo nella parte finale della sua vita, portandolo a morte ad un età non molto avanzata. 

    …occhi vivi, pieni di spirito, veramente, ma che rivelano sempre la suscettibilità, l’inquietudine, o il rancore, gli danno un po’ l’aria feroce, più facile ad essere messo in collera, che in allegria. Ride poco, ma fa ridere. Ha un modo di dire le cose che sembra di un arlecchino balordo, o di un Figaro, cosa che lo rende divertente. Non sa solo le cose che pretende sapere: le regole della danza, quelle della lingua francese, del gusto, delle abitudini mondane, del saper vivere. Solo le sue commedie non sono comiche; solo nelle sue opere filosofiche non c’è filosofia; tutte le altre ne sono piene. C’è sempre in lui un certo gusto, del nuovo, del piccante e del profondo. E’ un pozzo di scienza, ma cita così spesso Omero ed Orazio, che c’è da restarne disgustati. I modi del suo spirito, le sue uscite sono un estratto di sale attico. E’ sensibile e riconoscente, ma per piccole cose che gli dispiacciano diventa cattivo, collerico, detestabile. Un milione che gli venisse donato, non basterebbe per fare riscattare un piccolo scherzo che gli sia stato fatto. Il suo stile assomiglia a quello delle antiche prefazioni: è lungo, prolisso, pesante; ma se ha qualcosa da raccontare, come per esempio le sue avventure, ci mette una tale originalità, ingenuità, quella specie di genere drammatico che serve per dare movimento ad un’azione, che non si riuscirebbe ad ammirare troppo e che senza saperlo è superiore a Gil Blas ed al Diable boiteux. Non crede a nulla, eccetto a chi è il meno credibile, essendo superstizioso specie per gli oggetti. Per fortuna dimostra di avere onore e delicatezza, perché, con la sua frase Ho promesso a Dio oppure Dio lo vuole non ci sono cose al mondo che non abbia potuto fare. Ama. Desidera fortemente tutto e dopo aver avuto tutto, può fare a meno di tutto. Le donne e le ragazzine sono soprattutto nella sua testa, ma non possono più uscirne per andare altrove. Questo lo mette in collera contro il bel sesso, contro lui stesso, contro il cielo, contro la natura e soprattutto contro il 1725. Si vendica di tutto questo contro tutto ciò che è mangiabile e bevibile: non potendo più essere un dio dei giardini, un satiro nelle foreste, è un lupo a tavola. Non grazia nulla; comincia felicemente e finisce tristemente, desolato di non poter nuovamente ricominciare. Se ha approfittato qualche volta della sua superiorità su qualche bestia, uomini o donne per far fortuna, è stato per rendere felice chi lo circondava. In mezzo ai più grandi disordini della gioventù più tempestosa, e della carriera più avventurosa e talvolta un po’ equivoca, ha sempre mostrato delicatezza, onore e coraggio. E’ fiero perché non è nulla. Possidente o finanziere, o gran signore, gli sarebbe stato forse facile vivere; ma non lo si contrari, soprattutto non si rida, che lo si legga o lo si ascolti, perché il suo amor proprio è sempre sotto le armi. Non ditegli mai che sapete la storia che sta per raccontarvi, abbiate sempre l’aria di ascoltarla per la prima volta. Non mancate di fargli la riverenza, perché un nonnulla potrebbe rendervi suo nemico. La sua prodigiosa immaginazione, la vivacità del suo paese d’origine, i suoi viaggi, tutti i mestieri che ha fatto, la sua fermezza nell'assenza di tutti i beni morali e fisici, ne fanno un uomo raro, prezioso da raccontare, degno persino di considerazione e di una grande amicizia da parte di un molto piccolo numero di persone che riescano ad essergli gradite".

    II

    CASANOVA E LE MARCHE

    Giacomo Casanova giunge per la prima volta nelle Marche a 18 anni, nell'estate del 1743, su di una tartana[2] che approda ad Ancona proveniente da Venezia, via Pola. Il giovane osserva la costa avvicinarsi sempre più, poi i monumenti, l’arco di Traiano, i grandi, nuovissimi moli costruiti dal Vanvitelli, il brulicare di una miriade di uomini sulle banchine. E’ una nuova città che andrà a scoprire e che segnerà una tappa importante della sua vita, con due veri, grandi amori: il primo per Teresa, la dolcissima fanciulla che, come una farfalla nasce dalla crisalide Bellino, il giovane castrato di cui aveva preso l’identità e le sembianze, il secondo, nella maturità dei cinquant'anni, con Lia, la meravigliosa ragazza ebrea. E poi altre storie, come quella con la bellissima schiava greca incontrata durante la quarantena nel lazzaretto.

    Casanova descrive anche alcune altre località della regione. Dopo Ancona, sulla strada per Loreto, forse si sofferma per riposarsi e dissetarsi nel lungo cammino a piedi, sotto il caldo sole estivo, alla Ranocchia, stazione di posta famosa e ancora vicina alla città, dove prova il vino cotto, che gli provoca bruciore allo stomaco; qui ancor oggi tutto è come allora e c’è un ristorante, dove gli avventori giungono non più in carrozza, ma in automobile.

    Loreto, la città santa, dove, come per miracolo, viene scambiato per un giovane abate pio e rispettabile e viene trattato con tutti i riguardi.

    E poi Macerata, Tolentino, Valcimarra, Serravalle e Colfiorito, tutte località in cui accadono le avventure più inaspettate e rocambolesche.

    E ancora, di nuovo, l’arrivo ad Ancona, all'imbrunire, sotto la pioggia, in berlina, provenendo da Roma e Loreto. Infine Pesaro, dove si consuma un’avventura che lo coinvolge con Bellino - Teresa e da dove, a quasi trent'anni di distanza, rientrava ad Ancona Mardocheo, l’ebreo, il padre di Lia, destinato a diventare uno dei migliori amici di un Giacomo ancora sospettoso e prevenuto verso il mondo israelita.  Tante storie nel contesto di una vita appassionante e meravigliosa, in una regione attiva e cosmopolita che attraversava il secolo dei lumi dividendo il proprio baricentro tra il mare, la principale via di comunicazione in quel tempo (con l’innata vocazione mercantile del porto di Ancona verso le terre e le città dell’oriente) e l’entroterra (da sempre rivolto verso Roma, la città santa, con la sua tradizione religiosa). Questa doppia vocazione di una terra addormentata, ma allo stesso tempo vivace e laboriosa, che si stende lungo valli e colline, dai monti sibillini, degradando verso una costa sabbiosa, che si tinge dell’azzurro del golfo di Venezia, ci appare vicina alla doppia vocazione di Giacomo, da una parte rivolto all’ignoto dell’avventura, ma dall'altra profondamente legato da un sentimento, non sempre di solo amore, a Venezia, la sua città, alla sua storia di grande repubblica marinara, alle sue antiche tradizioni.

    Le Marche assumono per Casanova il ruolo di terra d’adozione, negli anni dell’esilio, dopo la fuga dai piombi, una terra, come ci dice, ….dove avevo cominciato a gioire seriamente della vita…. Il suo ritorno ad Ancona, a quasi cinquant'anni, sembra guidato da una forza misteriosa che vuole riportarlo indietro nel tempo in una città così piena di ricordi struggenti, città che gli riserberà nuove inaspettate esperienze felici.

    Eppure questa terra non riesce poi a ricordarsi di lui, delle sue presenze. Lo perde nell’oblio dei secoli, quasi fosse una vergogna il solo ricordo del passaggio di quest’uomo a torto

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