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Piccolo mondo antico
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E-book445 pagine6 ore

Piccolo mondo antico

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Info su questo ebook

Introduzione di Giulio Cattaneo
Edizione integrale

Piccolo mondo antico è il romanzo più noto di Antonio Fogazzaro. Si apre sul lago di Lugano, e un lago è sempre sullo sfondo delle opere di Fogazzaro: ora calmo, ora tempestoso, idilliaco e impassibilmente crudele, quasi un protagonista. Il lago è anche testimone del sorgere dell’amore fra Luisa e Franco, un amore presto avversato a causa delle differenze sociali che dividono i due innamorati. Attorno a questo centro narrativo si dispongono tutte le altre figure (dalla nonna marchesa, fiera oppositrice dell’unione fra i due, al professor Gilardoni, ai tanti personaggi di un mondo di provincia nell’Italia risorgimentale) e i molteplici temi del romanzo: la scoperta della irriducibile diversità fra Luisa e Franco, la crisi del loro rapporto che si altera in un dissidio di natura religiosa, soprattutto dopo la morte atroce della figlia, la contesa sul testamento. Le vicende di natura patriottica con fughe e inseguimenti contribuiscono a dare vita e movimento a un ambiente provinciale altrimenti inerte, «segregato dal mondo grande».

«Pianse al buio la sua figliuola senza ritegno, senza nemmeno quel ritegno che viene dalla luce. S’inginocchiò ad una finestra, s’incrociò le braccia sul petto, pianse, col viso al cielo, lacrime e parole a flutti, parole incomposte di strazio e di fede ardente, chiamando Dio in aiuto, Dio. Dio che lo aveva colpito.»


Antonio Fogazzaro
nato a Vicenza nel 1842, fu narratore, poeta e saggista. Di educazione religiosa, recuperò la fede dopo una lunga crisi; si accostò poi al modernismo, ma con una ritrattazione in seguito alla condanna della Chiesa. Fra i suoi romanzi ricordiamo Piccolo mondo antico, Malombra (1881), Daniele Cortis (1885), Il mistero del poeta (1888), Piccolo mondo moderno (1901), Il Santo (1905), Leila (1910) e, fra i libri di poesie, Valsolda (1876). Morì a Vicenza nel 1911.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854155374

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    Anteprima del libro

    Piccolo mondo antico - Antonio Fogazzaro

    192

    Prima edizione ebook: maggio 2013

    © 1995, 2007 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5537-4

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Antonio Fogazzaro

    Piccolo mondo antico

    Introduzione di Giulio Cattaneo

    Edizione integrale

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Piccolo mondo antico è il quarto romanzo e il più noto di Antonio Fogazzaro, pubblicato nel 1895fra Il mistero del poeta, del 1888, e Piccolo mondo moderno, del 1901.

    Nel 1872 Fogazzaro aveva tenuto un discorso all’Accademia Olimpica di Vicenza, Dell’avvenire del romanzo in Italia, dove ricordava I Promessi Sposi, «capolavoro insuperato», osservando che la «discendenza diretta» dal grande romanzo si era estinta «alla seconda generazione» dopo «alcuni buoni romanzi storici e parecchie novelle pregevoli». «Il posto del romanzo contemporaneo psicologico e sociale è vuoto» e, «se è vero che il romanzo è la forma prevalente del sentimento poetico del nostro tempo, la povertà dell’arte italiana è ben grave». In quella occasione tracciava il quadro della narrativa in Europa difendendo il romanzo francese dagli «sterili» anatemi italiani, lodando con moderazione le «narrazioni tedesche» ed esaltando il romanzo inglese che «sa d’essere il libro delle famiglie» e «parla un linguaggio semplice puritano» con un omaggio ai «due umoristi immortali, Dickens e Thackeray» che avevano saputo toccare «le corde del riso e del pianto». Fogazzaro, che detestava le «basse aberrazioni» della «scuola realista», augurava all’Italia il «romanzo di gusto dei poeti», capace «di conservare il genio del dialetto senza servile riproduzione del vero». «L’esempio perfetto» dello «scrittore di gusto» era Manzoni, dal «sorriso benevolo e malizioso» e privilegiava «il lepore manzoniano eh’è ancora creazione di forme comiche, castigate e scelte».

    Nel 1872 Fogazzaro era l’autore del poemetto Miranda, non aveva ancora pubblicato romanzi, ma nel discorso Dell’avvenire del romanzo in Italia si intravedono le linee di un disegno: la sua opera narrativa futura aperta al «sentimento poetico» e pervasa di spiritualità, non contaminata dal verismo, venata moderatamente di dialetto e dotata di umorismo, come sarà, in particolare, Piccolo mondo antico.

    Fogazzaro aveva vissuto per quattro anni, dal 1863 al’69, a Milano con la famiglia e si formò letterariamente nel clima della Scapigliatura. A ventitré anni aveva già scritto poesie, ma, già laureato in giurisprudenza continuò nello studio di un avvocato la pratica legale. A Milano frequentò i salotti, i ritrovi pubblici, i teatri ricavando dalla vita mondana un certo disprezzo per «l’elegante volgo», «il volgo signorile» come è detto in Miranda e in Malombra. Fu amico di Arrigo Boito e di altri scrittori scapigliati quando l’avversata borghesia che irrideva «l’arte dell’avvenire» trasformava Milano e gettava le basi della Lombardia industriale. Fogazzaro fu soggetto all’influenza di quella corrente letteraria aperta alle letterature europee fra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, soprattutto inglese e tedesca, col recupero dell’estremismo romantico e dedita nello stesso tempo alla rappresentazione di «una faccetta del poliedro provinciale», in anticipo sulle tendenze veriste. Di fronte al veloce processo di modernizzazione di «Milano tecnica», Fogazzaro condivise le predilezioni degli scapigliati per l’egloga dei bastioni e delle «sconfinate campagne di levante» come si vede nel primo romanzo, Malombra, del 1881. Malombra appartiene al mondo della Scapigliatura, in parte, e altre tracce se ne potranno trovare nei romanzi successivi e in Fedele e altri racconti del 1887 fino al Mistero del poeta del 1888, romanticissimo e ambientato in un mondo irreale e lontano.

    Piccolo mondo antico si apre sul lago di Lugano battuto da «una breva fredda, infuriata di voler cacciar le nubi grigie, pesanti sui cocuzzoli scuri delle montagne». Un lago è sempre sullo sfondo delle storie di Fogazzaro e vi partecipa spesso in modo determinante: avvolge del suo «arcano influsso» le follie di Malombra; in Daniele Cortis il «mistero del lago» si ripresenta con «l’austera passione muta delle montagne che nereggiano sul cielo», mentre intorno è «un riposo pieno di vita occulta, un trepido silenzio pieno di aspettazione»; un «lago scuro affondato» in un abisso di settecento metri, quello di Como, è a Lanzo d’Intelvi all’inizio del Mistero del poeta. Nelle prime immagini di Piccolo mondo antico il lago in burrasca sembra preludere alla tragedia che colpirà i protagonisti della storia. Il romanzo è il più equilibrato fra quanti ne ha scritti Fogazzaro: l’autore aveva detto nel discorso del’72: «io metto i romanzieri tra’poeti» e in tutti i suoi romanzi è una evidente ricerca di effetti poetici come anche in Piccolo mondo antico. In ogni opera, a eccezione del Mistero del poeta, è frequente il ricorso al dialetto, veneto e lombardo, e così in Piccolo mondo antico. L’umorismo è un ingrediente di cui si fa spesso uso, salvo che nel Mistero del poeta, e l’eredità della Scapigliatura è visibile, come si è già detto, da Malombra al Mistero del poeta. Ma nemmeno Piccolo mondo antico, ambientato in Valsolda nella riva italiana del lago di Lugano, ne è immune con la sua predilezione per le «figurine» del «poliedro provinciale», e anche nell’attrazione per l’occulto dominante in Malombra, ma che riaffiora qui nelle sedute spiritiche di Lüisa col professor Gilardoni per comunicare con la bambina morta. Si nota l’avversione al canone della impersonalità verista anche in qualche intervento dell’autore: «Quando rivedo nella memoria», «quel tempo mi pare lontano da noi molto più del vero». L’uso del dialetto in Piccolo mondo antico è definito da Giacomo Devoto nei suoi Studi di stilistica come «l’evasione dalla tradizione» che «avviene con l’impiego occasionale di forme integralmente dialettali, ma in modo molto più complesso». «Non si tratta di un sior Zacomo integralmente veneto, né di un illetterato contadino integralmente valsoldese, ma di sfumature, intarsi, regionalismi, creolismi, che permettono di fissare le gradazioni di quella semicultura borghese, con un procedimento che in apparenza è ancora linguistico, ma in realtà è pittorico. Soltanto, le illustrazioni che accompagnano il testo non sono fotografie, ma provengono da una specie di discoteca dialettale e paradialettale. Il bisogno di evasione appare anche in questi casi evidente.»

    Nel primo capitolo, «Risotto e tartufi», si presentano i personaggi che frequentano la marchesa Orsola, «la vecchia signora di marmo», e il titolo si riferisce all’amichevole diverbio tra il controllore delle dogane austriache Pasotti e il curato di Puria su quello che sarà servito a tavola: «Risotto sì», «Risotto no», «Risotto ai tartufi». Nella parola «tartufi» è un riferimento all’ipocrita, austriacante Pasotti confermato dal marchese Bianchi «antico ufficiale del Regno d’Italia»: «Direi che qui non mancano neppure i tartufi neri». Meno convincente l’ipotesi di uno studioso tedesco, Ulrich Leo, sul significato simbolico di «risotto» come «claque». La colazione è un pretesto per far conoscere al nipote della marchesa, don Franco, la signorina Carabelli, di famiglia nobiliare; un sondaggio per un possibile matrimonio. Appare per la prima volta Franco Maironi visto su una barca nel lago dal pettegolo e maldicente Pasotti e poi nel salotto della marchesa, «alto, smilzo», con «una zazzera di capelli fulvi, irti», «occhi parlanti, d’un ceruleo chiarissimo, una scarna faccia simpatica, mobile, pronta a colorarsi e a scolorarsi». Quando nella conversazione a tavola, prima che sia servito il pasticcio di risotto e tartufi, esplode un contrasto di opinioni di natura politica, Franco spezza il suo piatto e se ne va furioso guastando la festa e vanificando l’ipotesi matrimoniale.

    Il secondo capitolo è dedicato a Franco Maironi, che, nella sera dello stesso giorno di «Risotto e tartufi», è nella sua camera in attesa di uscire per il suo matrimonio segreto con Lüisa Rigey, «una signorina della Valsolda, civile, ma non ricca né nobile». Franco aveva «osato» chiedere alla nonna il permesso di sposarla ricevendo «un netto rifiuto» dalla vecchia marchesa che chiamò da allora Lüisa «madama Trappola». Franco, come i protagonisti maschili dei romanzi precedenti, ama la poesia, la musica e i quadri antichi, ma è osservato dall’autore con occhio più critico. Come poeta era «un buon dilettante, senza originalità», come pianista, privo dell’agilità e della tecnica del grandi interpreti, riusciva a «far cantare» il pianoforte, «sopra tutto negli adagi di Bellini e di Beethoven». Nella passione per i vecchi quadri mancava di esperienza e alle pareti della sua camera ce n’erano «parecchi, la più parte croste». Natura nobile, appassionata, era apprezzato «senza fanatismi» dalla fidanzata Lüisa. «Focoso e impetuoso com’era, Franco aveva tuttavia la semplice, tranquilla fede d’un bambino. Punto orgoglioso, alieno dalle meditazioni filosofiche, ignorava la sete di libertà intellettuale che tormenta i giovani quando la loro ragione e i loro sensi cominciano a trovarsi a disagio nel duro freno di una credenza positiva.» In questo era diverso da Lüisa, figlia di una donna cattolicissima e di un miscredente, ma «morto da cristiano»: «Ell’aveva praticato sempre ma, spenti i fervori della prima comunione, non aveva più partecipato con l’anima al culto». Anche ai funerali della madre amatissima, «si mise a recitar macchinalmente dei Pater, degli Ave e dei Requiem, senza provarne soddisfazione alcuna, sentendo anzi una segreta contrarietà, uno sgradito disseccarsi del dolore». In questo è il germe di un dissidio tra lei e il marito che si acuirà col tempo. «Dai quattordici anni in poi s’era venuta inclinando a non guardare oltre la vita presente, e insieme a non guardare a sé, a vivere per gli altri, per il bene terreno degli altri, però secondo un forte e fiero senso di giustizia.» Quella «personcina snella, leggera come l’aria», che riappariva nel ricordo di Franco «sulla soglia di un’altra vita», non assomiglia a certe eteree, sognanti figure femminili dei romanzi precedenti, ma è una donna vera, di un sentimento religioso quasi protestante in contrasto con la devozione di Franco fatta «di credenze, di culto e di precetti». Crede in Dio, ma non nella Chiesa né nella vita futura e, più intelligente del marito, lo giudica «tranquillamente» riconoscendone le imperfezioni, l’incapacità di «produrre opere superiori alla mediocrità», il fervore patriottico senza volontà di servire «proprio davvero, poco o molto», il suo Paese, anche se lo ama per la sua «bontà», per il suo «cuore più caldo, più nobile, più generoso della terra». Il dissidio si esaspera alla vigilia della partenza di Franco per il Piemonte nel capitolo «Ore amare» in seguito a una discussione sull’eredità di cui Franco è stato defraudato dalla nonna marchesa con la orgogliosa, ma ingiusta rinuncia di lui a valersi del testamento e la ribellione di Lüisa, anche lei disinteressata, ma inflessibile nella sua severa idea di giustizia. Di fronte al «tenace fiero sentimento d’indipendenza intellettuale» della moglie, Franco mostra soltanto l’umiliazione del maschio che non è riuscito a impadronirsi di «tutta l’anima» della sua donna. Lüisa è veramente la protagonista del romanzo e a lei è più vicino Fogazzaro, portato dalle ragioni del cuore, anche se sostiene il punto di vista di Franco e il buonsenso dello zio Piero di fronte a Lüisa che si smarrisce fino all’aberrazione nella impossibilità di camminare «sul solido». Il dissidio si prolunga nella lontananza dopo la partenza di Franco, sospettato dalla polizia austriaca e spinto da gravi necessità economiche, nel periodo della «bohème» torinese finché alla morte della bambina Maria, annegata nel lago, segue una lunga separazione, dal 1855 al’59, di due esseri troppo diversi. L’ultimo incontro, alla vigilia della seconda guerra di Indipendenza, apre un capitolo nuovo nella vita di Lüisa, rimasta come «pietrificata» nella «istintiva certezza ch’era madre per la seconda volta».

    Oltre a Lüisa e a Franco altri personaggi di spicco, in due notevoli ritratti, sono lo zio Piero Ribera, il patriarcale «uomo savio e forte» e «la vecchia signora di marmo», dalla «grossa voce nasale», flemmatica, dal viso di una «certa maestà fredda che non mutava mai, come lo sguardo, come la voce, per qualsiasi moto dell’animo», tirannica e vendicativa. Il matrimonio da lei vietato fra Lüisa e Franco scatena la sua persecuzione in accordo con le autorità austriache della quale la prima vittima è l’onestissimo ingegnere Ribera, licenziato dal suo ufficio. Lo zio Piero si era accollato più o meno il mantenimento di sua sorella e della nipote e infine anche di Franco. Le angherie poliziesche nei confronti di Franco per il suo patriottismo hanno sicuramente la stessa origine.

    Dello zio Piero è messa in evidenza la grande generosità venata di bruschezza, il rapporto toccante con la nipotino Maria. Mentre il medico e Lüisa tentano affannosamente di salvare la bambina strofinandola con lana calda, nella casa affollata da gente in singhiozzi, la «nobile fisionomia» dello zio Piero «era piuttosto solenne e grave che turbata». «E si capiva che il suo dolore era diverso da quelle chiassose nervosità passeggiere che gli si agitavano intorno. Era il dolore muto, composto, dell’uomo savio e forte.»

    Un personaggio riuscito è il professor Gilardoni, fervente «apostolo» di Raspail, il chimico che curava ogni malattia con la canfora antiparassitaria, appassionato di agricoltura anche se con pessimi risultati nel suo orto, dalle tendenze mistiche accompagnate, da uomo «cagionevole e timoroso assai del male fisico», dall’orrore «dell’umidità e delle correnti», fra studi di botanica, negromanzia, sedute spiritiche e amori ridicoli. Faccia «magra e giallognola», «contornata d’una barbetta rossastra, fiorita, pomposamente, nel mezzo, d’un ben nasone bitorzoluto e vermiglio», con «due begli occhi azzurri, molto giovanili, pieni d’ingenua bontà e di poesia».

    Vi è poi la folla di «figurine» che ricordano il mondo della Scapigliatura lombarda e piemontese e vi primeggiano i Pasotti, marito e moglie. Lui è il «Tartufo», il «bargnif», appellativo che «designa il diavolo considerato nella sua astuzia», zelante sostenitore della marchesa, sommamente ipocrita, ma «troppo orgoglioso per far mai la spia», «per qualche buona fibra del suo cuore». In questo è una prova che nel romanzo non esistono personaggi tutti d’un pezzo, ma sono tutti testimoni, manzonianamente, del «guazzabuglio del cuore umano». La moglie di Pasotti, la signora Barborin, sorda tanto che fra lei e il marito si svolgono soltanto pantomime per farsi capire, è una buonissima creatura, sempre comicamente bistrattata e rassegnata. Altra figurina è il signor Giacomo Puttini, rispettosissimo del suo prossimo, timoroso e ansimante, sempre in ansia per la «perfida servente» e I’I.R. Commissario, la marchesa «vendicativa» e la storia complicata del «maledetto toro»: tutto in dialetto veneto.

    Un protagonista è anche il lago, calmo e tempestoso, idilliaco e impassibilmente crudele quando uccide la povera Maria. Dà l’avvio al romanzo in un giorno di burrasca, ma riappare come una parte di «un mondo di silenzio e di pace, dove i funzionari di Stato e della Chiesa e, dietro al loro venerabile esempio, anche alquanti sudditi fedeli dedicavano parecchie ore ad una edificante contemplazione». Il Ricevitore, la guardia di finanza, l’imbianchino, il parroco di Albogasio, il fabbriciere, don Giuseppe, il medico, lo speziale, il calzolaio, l’arciprete, tutti intenti alla pesca delle tinche, contemplavano dando l’impressione da lontano, nell’impossibilità di vedere le bacchette, i fili e i sugheri, «d’un romito popolo ascetico, schivo della terra, che guardasse il cielo giù nello specchio liquido, solo per maggiore comodità». Ora il lago si insinua nel racconto come un richiamo, «coperto e cinto d’ombra», mentre «a levante le grandi montagne del Lario avevano una gloria d’oro fulvo e di viola». Il legame col paesaggio, sempre vivo nei romanzi e nei racconti di Fogazzaro, domina anche in Piccolo mondo antico coi suoi monti e i boschi.

    Il romanzo è ricco di temi e di intrecci: il rapporto tra Franco e Lüisa, la storia del testamento della quale è partecipe incauto, ma non senza efficacia, il professor Gilardoni, le vicende di natura patriottica con fughe e inseguimenti contribuiscono a dare vita e movimento a un inerte ambiente provinciale, «segregato dal mondo grande».

    Pessimo poeta in versi, Fogazzaro raggiunge la poesia in momenti brevi, molto meno quando cerca di protrarre l’emozione lirica come nelle esaltazioni di Franco al pianoforte o in battello.

    In Malombra l’autore si era in parte identificato nella figura di Corrado Siila. Anche Fogazzaro, perduta la fede, nella quale era stato educato, abbandonandosi a una vita dissipata, aveva vissuto qualche anno a Milano. In Siila è il conflitto tra le alte idealità e le «tempeste furiose dei sensi», come nel suo autore, mafino a Piccolo mondo antico non c’era niente nelle varie opere narrative che accennasse il distacco di un personaggio dalla Chiesa. Per la prima volta, dedicandosi a Lüisa, Fogazzaro si concentra su questo tema e Lüisa, dopo la morte della figlia, si allontana ancora di più dalla Chiesa, nella sua impossibilità di credere in una vita futura e continua, più volte al giorno, ad andare sulla tomba della piccola Maria e cerca con vero fanatismo di comunicare con la bambina nelle sedute spiritiche col professor Gilardoni. È incerta fino all’ultimo su un incontro, dopo quattro anni, col marito, alla vigilia della partenza per la guerra del’59, tentando morbosamente di avere una risposta da Maria per risolvere la sua indecisione. Piccolo mondo antico anticipa le inquietudini religiose e i dubbi che torneranno nei romanzi successivi, in Piccolo mondo moderno del 1901 e soprattutto nel Santo (1905), il più vicino al modernismo e quindi messo all’Indice con decreto del Santo Uffizio. Seguì una lettera dello scrittore di sottomissione alla condanna, ma che Fogazzaro non si fosse completamente ricreduto è testimoniato da Leila, l’ultimo romanzo del 1910.

    Un grande filologo e critico letterario, Gianfranco Contini, ha espresso su Fogazzaro un giudizio severo: «Se non, o non sempre, alla storia della buona letteratura, il Fogazzaro appartiene come emblema significativo alla storia del costume italiano». Nella sua Letteratura dell’Italia unita Contini ha inserito il primo capitolo di Piccolo mondo antico, «Risotto e tartufi», «poiché non vi sono scarti di valore e di struttura». Vi rileva «palesi sia le qualità dell’osservazione aneddotica sia i suoi limiti (superficialità dell’osservazione, riduzione delle figure a macchiette, presentazione grezza della trama, assoluta neutralità formale)». Ma anche nella Scapigliatura lombarda e soprattutto piemontese che interessava Contini i romanzi e racconti erano fitti di figurine che spesso sono macchiette per quanto in «Risotto e tartufi» la «vecchia signora di marmo» sia già un personaggio. La «assoluta neutralità formale», nella dura definizione di Contini, è certo un elemento proprio della scrittura di Fogazzaro rispetto ai prelibati impasti linguistici del Faldella e alle piacevolezze lessicali del Cagna, per quanto Devoto indichi la misura «perfetta» delle «venature dialettali», «appena inserite», fra l’altro, «nel discorso di addio dello zio Piero, alla vigilia della partenza di Franco». Forse è anche eccessivo parlare di «superficialità dell’osservazione» e della «presentazione grezza della trama». La scena in cui Lüisa affronta la marchesa, interrotta dagli urli delle donne e conclusa dal suo «strido» è di vero effetto drammatico e di una osservazione molto esatta.

    Contini rileva giustamente che Fogazzaro è uno scrittore «talmente» legato «al suo tempo che oggi egli non ha riacquistato peso come precursore né dei movimenti politici di ispirazione cattolica (il Fogazzaro sedette al Senato grazie appunto a Piccolo mondo antico,) né soprattutto di certe tendenze affermatesi al concilio Vaticano Secondo». In realtà l’opera narrativa di Fogazzaro è sensibilmente datata mentre non lo sono I Malavoglia di Verga usciti nello stesso anno di Malombra. Ma lo scrittore ha una certa originalità nei temi che tratta, come in Francia Paul Bourget che tuttavia è cattolico più ortodosso, ed è suo e ben riconoscibile il mondo di un’Italia romita che spesso appare nei romanzi, nel racconto Pereat Rochus e, anche, suggestivamente, in Piccolo mondo antico.

    GIULIO CATTANEO

    Nota biobibliografica

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

    1842. Antonio Fogazzaro nasce a Vicenza il 25 marzo da Mariano e da Teresa Barrera.

    1848. Durante l’assedio di Vicenza è mandato con la madre e la sorella a Rovigo. L’estate è in Valsolda, a Oria, dove è la casa dello zio Piero Ribera modellato sulla figura dello zio materno di Fogazzaro, l’ingegnere Pietro Barrera.

    1855. Educazione religiosa, letteraria e patriottica, dovuta soprattutto allo zio don Giuseppe.

    1856-58. Dopo aver studiato privatamente, da ginnasiale, con lo zio don Giuseppe che per primo segue i suoi esordi poetici, studi liceali alla scuola dell’abate Giacomo Zanella, poeta e patriota. Dopo l’esame di maturità comincia a frequentare la facoltà di giurisprudenza all’Università di Padova.

    1859. Convalescente di una malattia passa un periodo nella villa Fogazzaro di Oria, nell’amata Valsolda.

    1860. Segue il padre esule a Torino dove resta per quasi cinque anni continuando a studiare legge. Nel frattempo coltiva le sue tendenze letterarie leggendo romanzi, in particolare quelli di Dickens che rimane il suo autore prediletto, e pubblicando poesie. A questo periodo risale la perdita della fede nella quale era cresciuto grazie all’educazione religiosa familiare.

    1864. Si stabilisce coi suoi a Milano ed esercita la pratica legale nello studio dell’avvocato Castelli. Vita mondana: frequenta salotti, ritrovi pubblici, teatri, intreccia rapporti con scrittori e artisti della Scapigliatura fra i quali Arrigo Boito quando erano vivi gli scambi fra letteratura, arti figurative e musica. La sua vita assomiglia, in parte, a quella di un suo futuro personaggio, Corrado Siila, nel primo romanzo, Malombra, del 1881. Scrive e pubblica poesie.

    1866. Fidanzamento con Margherita di Valmarana e il 31 luglio si sposa a Vicenza.

    1867-68. È sempre a Milano dove diventa avvocato nel’68.

    1869. Si stabilisce a Vicenza dove il 20 luglio nasce la figlia Teresa.

    1870. Ha inizio il diario intimo che arriverà fino al 4 febbraio 1882.

    1871. Comincia a lavorare al pometto Miranda oltre a scrivere poesie.

    1872. Discorso all’Accademia Olimpica Dell’avvenire del romanzo in Italia dove fa un quadro della narrativa in Europa con indicazioni precise sul suo modo di intendere il romanzo.

    1873. Recupera la fede e torna a essere un cattolico praticante. Conclude Miranda e scrive altre liriche.

    1874. È pubblicato a Firenze da Le Monnier Miranda, pometto in quattro parti che racconta una storia accaduta pochi anni prima: la diciottenne Miranda è innamorata di Enrico credendosi riamata, ma il giovane si allontana da lei, perduto in un sogno di gloria. Nella seconda parte, «Il libro d’Enrico», si parla in forma di diario delle delusioni del poeta che alla fine ha un sogno in cui rivede Miranda. La terza parte è «Il libro di Miranda», il diario della giovane che si consuma fra ricordi e preghiere. Quando Enrico torna a lei, molto malata, dicendo di amarla «oltre la vita, / oltre l’anima», Miranda non regge in questo riavvampare di passione e muore. Il poemetto, costruito con cura, è ricco di reminiscenze letterarie, ma non ha quasi tracce di Scapigliatura, a differenza dei futuri romanzi. La novella in versi aveva già raccontato fatti contemporanei col Prati e l’Aleardi. Nel frattempo Fogazzaro lavora a Malombra.

    1875. Il 5 aprile nasce il figlio Mariano.

    1876. Esce presso l’editore Brigola di Milano il libro di poesie Valsolda con una prefazione dove è descritta la parte lombarda del lago di Lugano che è «la scena di questi versi», ma anche del futuro Piccolo mondo antico.

    1880. Finisce di scrivere e di ricopiare Malombra.

    1881. Nasce l’8 febbraio la figlia Maria. Ai primi di maggio l’editore Brigola di Milano pubblica Malombra. Il romanzo sembra concludere l’esperienza narrativa della Scapigliatura lombarda: esplorazione dell’inconscio, attrazione per i «fenomeni occulti», comunicazione col mondo degli spiriti, ma anche in certe parti una commedia recitata con brio pettegolo in dialetto e in lingua di sapore veneto e lombardo. Nello stesso anno Fogazzaro conosce Felicitas Buchner, la giovane istitutrice bavarese dei due figli del cognato Gaetano di Valmarana. Secondo il nipote Giustino di Valmarana, la Buchner fu amata dallo scrittore «senza peccato e con inaudito desiderio».

    1882. Rinuncia a una candidatura politica; sempre presso l’editore Brigola pubblica Un pensiero di Ermes Torranza diventato poi Un’idea di Enzo Torranza. Comincia a lavorare a Daniele Cortis. Altre poesie.

    1883. Amicizia con Giuseppe Giacosa. Inizia a scrivere il Libro dell’amore immortale. A Lanzo d’Intelvi conosce Ellen Starbuck, pittrice americana che diventerà il personaggio di Violet nel Mistero del poeta.

    1884. Viaggio in Liguria e sulla Costa Azzurra. Morte dello zio Barrera, ritratto nell’ingegnere Piero Ribera di Piccolo mondo antico. Conclude Daniele Cortis, scrive poesie e il racconto Fedele. Appunti per Piccolo mondo antico.

    1885. Viaggio in Germania. L’editore Casanova di Torino pubblica Daniele Cortis che nelle belle vedute romane sembra quasi preludere al Piacere di D’Annunzio, con una sensibilità di impronta decadente. La Buchner, secondo la testimonianza di Giustino di Valmarana, conservò il manoscritto del romanzo con la dedica «Ad Elena», il personaggio femminile principale del Daniele Cortis. Nel frattempo lavora a Piccolo mondo antico e al Mistero del poeta. Poesie, racconti e saggi anche nell’anno seguente.

    1887. Muore Mariano Fogazzaro, padre di Antonio. Nell’estate, a San Bernardino, l’incontro con Jole Moschini Biaggini, «assai bella, elegante, piena d’ingegno», ma «dalla fantasia un poco inquieta», sulla quale si modellerà la figura di Jeanne in Piccolo mondo moderno e nel Santo. Una delle «solite mate de Toni», come la chiamava la moglie Margherita. Esce a Milano presso l’editore Galli Fedele e altri racconti, una raccolta di novelle piuttosto eterogenee, fra l’interesse per i «fenomeni occulti» e le inclinazioni a descrivere ambienti di provincia e luoghi di un’Italia romita. Nel frattempo lo scrittore termina II mistero del poeta.

    1888. Il mistero del poeta appare nella Nuo va Antologia del gennaio-aprile e, dopo una revisione, è pubblicato in volume dell’editore Galli di Milano. È un’opera romanticissima, priva di caratteri realistici e di battute in dialetto, in un tempo irreale. Fogazzaro passa un periodo a Nervi e ha rapporti con Mons. Bonomelli, vicino alle nuove correnti del modernismo.

    1889-90. Ripresa di Piccolo mondo antico, poesie e saggi.

    1891. Muore Teresa Barrera, madre di Antonio. È un momento di intensa attività letteraria, fra racconti, liriche, saggi, discorsi. Uno di questi ultimi è Per un recente raffronto delle teorie di Sant’Agostino e di Darwin, significativo interesse per il concetto di evoluzione che è proprio dei modernisti.

    1892. Continua a lavorare a Piccolo mondo antico: ne escono le prime pagine sul Corriere di Napoli per Natale.

    1893. Va a Napoli per la prima volta e conosce il cardinale Capecelatro e Matilde Serao. Ancora racconti, poesie, discorsi.

    1894. Incontro a Milano con Zola il 23 dicembre. Il 31 pone termine a Piccolo mondo antico.

    1895. Morte del figlio Mariano il 16 maggio. In novembre pubblica Piccolo mondo antico con l’editore milanese Galli.

    1896. È nominato senatore il 25 ottobre grazie anche al grande successo dell’ultimo romanzo. Poesie e saggi.

    1897. Partecipa a Rovereto alle celebrazioni di Rosmini di cui è appassionato studioso come testimoniano i saggi rosminiani. Un libro di Poesie scelte è stampato dall’editore Galli.

    1898. Per la prima volta, in marzo, è a Parigi dove tiene un discorso: Le grand poète de lAvenir. I suoi discorsi sono stampati dall’editore Cogliati di Milano mentre Baldini e Astoldi, sempre a Milano, pubblicano Ascensioni umane. Poesie e saggi.

    1899. In aprile viaggia in Belgio e a Bruxelles tiene il discorso La douleurdans Vari. Esce nel numero natalizio del Bene un anticipo di Piccolo mondo moderno.

    1900. Comincia a pubblicare a puntate, nella Nuova Antologia, Piccolo mondo moderno. Poesie e discorsi.

    1901. Muoiono lo zio Don Giuseppe, il suo vecchio educatore, e la sorella Ina. Piccolo mondo moderno è pubblicato da Hoepli di Milano. Si rompe in questo romanzo l’equilibrio raggiunto in Piccolo mondo antico con Piero Maironi, figlio di Franco e di Lüisa, e Jeanne Dessalle che vivono in una sfera diversa rispetto agli altri personaggi e al coro pettegolo e bigotto che commenta e giudica. Sulla scia del «fiero sentimento intellettuale» della madre Lüisa è l’«analisi inquieta» del protagonista che per suo conto è spesso combattuto tra il suo trasporto a «estasi religiose» e «accessi strani di sensualità». Secondo Gianfranco Contini, Piccolo mondo moderno e specialmente II Santo sono, «se pur confusamente, manifesti modernisti», e in realtà nel primo è già l’idea che il vero Dio non sia «quello della fede cristiana» oltre alla convinzione che «da tutta intera la Chiesa cattolica» si vada «ritirando la vita», «che tutto» vi sia «antiquato», «dalla parola del Vaticano a quella dell’ultimo cappellano di campagna». Nel finale il protagonista torna alla fede, ma non immune da turbamenti di coscienza come si vedrà nel Santo, abbandona «il mondo» e sparisce «senza traccia». Nel romanzo non mancano momenti intensi e l’incanto dei luoghi. Escono Minime, editore Aliprandi di Milano. Lavora al Santo.

    1902-1903. Rappresentazioni del Garofano rosso e del Ritratto mascherato al «Manzoni» di Milano e al «Goldoni» di Venezia. Scrive il dramma Nadejde, pubblicato nel 1903. Escono Scene presso Baldini e Castoldi di Milano.

    1904. Continua a scrivere II Santo. Poesie e saggi.

    1905. Pubblica in novembre II Santo con Baldini e Castoldi. Il romanzo si distacca dalle ultime opere narrative di Fogazzaro per la mancanza di quegli elementi realistici, caricaturali e dialettali che l’autore metteva con arguzia in evidenza. È il libro di natura più intensamente spiritualista che abbia scritto Fogazzaro. Non è così decisamente modernista come è generalmente considerato per la posizione del protagonista che ondeggia fra le tentazioni del modernismo e il rispetto per la tradizione cattolica, dato che «la modernità è buona ma l’eterno è migliore». La speranza in un futuro «santo laico» è comunque un motivo modernista.

    1906. Il Santo è condannato con decreto del Santo Uffizio del 5 aprile. È un momento di grave crisi religiosa in Italia e in Europa con la lotta a fondo di Pio X contro i nuovi «nemici della croce di Cristo». Alla condanna del Loisy seguivano l’espulsione del Tyrrel dall’Ordine dei gesuiti, la sconfessione dello scritto di Monsignor Bonomelli, amico di Fogazzaro, sulla Chiesa e i tempi nuovi, la proibizione del volume di Paul Viollet su\VInfallibilité du Pape et le Sillabus e di opere di Laberthonnière, la sospensione di Romolo Murri a divinis per la sua attività politica. Fogazzaro si sottomette pubblicamente alla Chiesa con una lettera sull’Avvenire d’Italia, aspramente criticato dai modernisti. Ma la sua ritrattazione non è convinta come dimostrano i suoi studi religiosi di impronta modernista, il discorso su Les idées religieuses de Giovanni Selva, «il più legittimo rappresentante italiano del cattolicismo progressista», tenuto a Parigi nel 1907.

    1908. Escono Le poesie, editori Baldini e Castoldi di Milano.

    1909. Saggi letterari, religiosi e pedagogici.

    1910. Scrive fra maggio e agosto Leila, pubblicata dagli stessi ultimi editori milanesi. Un ritorno al romanzo dall’intreccio complesso con un contorno di figurine dialettali. Nonostante la cura di evitare ogni sospetto di modernismo, Leila è pervasa da motivi modernisti. È l’opera di uno scrittore stanco, velata da una tristezza irrimediabile, con una passione non domata dal di fuori, ma intimamente esausta.

    1911. Fogazzaro muore a Vicenza il 7 marzo.

    BIBLIOGRAFIA CRITICA

    Per la vasta bibliografia critica di Antonio Fogazzaro rimandiamo ai volumi:

    S. RUMOR, Antonio Fogazzaro, la sua vita, le sue opere, i suoi critici, Milano, 1912.

    A. PIROMALLI, Fogazzaro e la critica, Firenze, 1952.

    A. PIROMALLI, Fogazzaro (storia e antologia della critica), Palermo, 1959.

    A. PIROMALLI, Miti e arte in Antonio Fogazzaro, Padova, 1973.

    E. GHIDETTI, Le idee e le virtù di Antonio Fogazzaro, Padova, 1974.

    E. GHIDETTI, in I classici italiani nella storia della critica, opera diretta da W. Binni, volume III, «Da Fogazzaro a Moravia», pp. 1-56, Firenze, 1977.

    Per ulteriori approfondimenti si vedano:

    P.G. MOLMENTI, Antonio Fogazzaro, la sua vita e le sue opere, Milano, 1900.

    E. DONADONI, Antonio Fogazzaro, Napoli, 1913 e Bari, 1939.

    T. GALLARATI SCOTT, La vita di Antonio Fogazzaro, Milano, 1920 e 1982.

    A. JENNI, «Franco e Lüisa tra romanticismo e decadentismo in Piccolo mondo antico», in Lettere italiane, aprile-giugno, 1937.

    P. NARDI, Antonio Fogazzaro, Milano, 1938 e 1945.

    G. TROMBATORE, Fogazzaro, Milano-Messina, 1938.

    R. VIOLA, Fogazzaro, Firenze, 1939.

    AA.VV., Nel centenario della nascita di Antonio Fogazzaro, Venezia, 1942.

    B. CROCE, «Antonio Fogazzaro» (1903), in La letteratura della nuova Italia, IV, Bari, 1942.

    B. CROCE, «L’ultimo Fogazzaro» (1935), in La letteratura della nuova Italia, VI, Bari, 1950.

    G. DEVOTO, «Dai piccoli mondi del Fogazzaro» (1942), in Studi di stilistica, Firenze, 1950.

    L. RUSSO, Il tramonto del letterato (tre capitoli alle pp. 282-356), Bari, 1960.

    P. NARDI, «Fogazzaro e la letteratura veneta», in Lettere italiane, ottobre-dicembre 1961.

    M.L. SUMMER, «Le approssimazioni stilistiche di Antonio Fogazzaro», in Giornale storico della letteratura italiana, 1961.

    P. BACCHELLI, «Antonio Fogazzaro nel centenario della nascita» (1942), in Saggi critici, Milano, 1962.

    A. PIROMALLI, «Antonio Fogazzaro», in AA. VV., Letteratura italiana. I minori, IV, pp. 29873038, Milano, 1962.

    A. BORLENGHI, «Antonio Fogazzaro», in Narratori dell’Ottocento e del primo Novecento, IV, pp. 3-22, Milano-Napoli, 1966.

    G. DE RIENZO, Fogazzaro e l’esperienza della realtà, Milano, 1967.

    C. CATTANEO, «Antonio Fogazzaro», in AA. VV., Storia della letteratura italiana, diretta da E. Cecchi e da N. Sapegno, VIII, pp. 414-426, Milano, 1968 e 1988.

    G. CONTINI, «Antonio Fogazzaro», in Letteratura dell’Italia unita, pp. 185-186, Firenze, 1968.

    T. MONTANARI, «La morte in Piccolo mondo antico», in Studium, nov.-dic. 1968.

    P. GIUDICI, I romanzi di Antonio Fogazzaro e altri saggi, Roma, 1970.

    D. E L. PICCIONI, Antonio Fogazzaro, Torino, 1970.

    R. BERTACCHINI, «Introduzione» ad Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Torino, 1971.

    C. FERRUCCI, «Anacronismo e fortuna in Piccolo mondo antico», in Sigma, VII, sett. 1971.

    G. MARIANI, Interpretazione di «Piccolo mondo antico», Milano, 1972.

    A. PIROMALLI, Miti e arte di Antonio Fogazzaro, Firenze, 1973.

    G. TELLINI, L’avventura di «Malombra» e altri saggi, Roma, 1973.

    R. PORCELLI, «Note sul romanzo del Fogazzaro», in Pascoli, D’Annunzio, Fogazzaro e il decadentismo italiano. Irrazionalismo e crisi della ideologia borghese tra‘800 e ’900, Torino, 1976.

    G. CAVALLINI, La dinamica della narrativa di Fogazzaro, Roma, 1978.

    A.R. HALL, Antonio Fogazzaro, Boston, 1978.

    S. RAMAT, «Fogazzaro e la tensione del personaggio», in Protonovecento, Milano, 1978.

    V. RODA, «L’astro e la farfalla di Fogazzaro e Pascoli. Ideologia di una metafora», in Studi e problemi di critica testuale, 17, pp. 181-190, 1978.

    C. BO, «Fogazzaro profeta non ascoltato», in La nuova rivista europea, VI, 31, pp. 40-51, 1982.

    G. DE RIENZO, Invito alla lettura di Fogazzaro, Milano, 1983.

    G. RAGONESE, Da Manzoni a Fogazzaro: studi sull’Ottocento narrativo, Palermo, 1983.

    M. SANTORO, «L’esemplarità dell’amore eccelso: il mistero del poeta», in Esperienze letterarie, X, pp. 33-63, 1985.

    G. PULLINI, «Antonio Fogazzaro» nel volume II del Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, II ed., pp. 252-257, Torino, 1986.

    G. CATTANEO, «L’Italia romita di Antonio Fogazzaro», saggio introduttivo ad Antonio Fogazzaro, il poeta, il romanziere, il saggista, Milano, 1991.

    E. TRAVI, Valori attuali di Piccolo mondo antico. Antonio Fogazzaro scrive a Paolo Arcari. – Ernesto Travi, Lugano 1996.

    G.C.

    PICCOLO MONDO ANTICO

    A Lüisa Venini Campioni

    A Lei, carissima Lüisa, che tante persone e cose

    del piccolo mondo valsoldese ebbe familiari;

    a Lei,devota e fedele amica di due care anime

    che ci aspettano nell’eternità, offro nel nome loro

    e nel nome di un altro morto a Lei diletto

    il libro che queste sacre memorie,

    e non queste sole, segretamente richiama

    Antonio Fogazzaro

    Parte prima

    1. Risotto e tartufi

    Soffiava sul lago una breva fredda, infuriata di voler cacciar le nubi grigie, pesanti sui cocuzzoli scuri delle montagne. Infatti, quando i Pasotti, scendendo da Albogasio Superiore, arrivarono a Casarico, non pioveva ancora. Le onde stramazzavano tuonando sulla riva, sconquassavan le barche incatenate, mostravano qua e là, sino all’opposta sponda austera del Doi, un lingueggiar di spume bianche. Ma giù a ponente, in fondo al lago, si vedeva un chiaro, un principio di calma, una stanchezza della breva; e dietro al cupo monte di Caprino usciva il primo fumo di pioggia. Pasotti, in

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