Waiting
Di Sergio Cotti
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Anteprima del libro
Waiting - Sergio Cotti
vivere.
I
È il tempo che hai perduto
per la tua rosa
che ha fatto
la tua rosa così importante.
(Antoine de Saint-Exupéry)
Le cinque e un quarto del pomeriggio. Si sentono schiamazzi di bambini. C’è un campanile al di là dei rami e s’intravvede appena, fuori dal parco. Sugli alberi, le foglie, verdissime, sono ancora piccole piccole. L’erba appena tagliata delle aiuole emana un aroma di primavera che un vento leggero, già tiepido, prova a riscaldare. Giulio è seduto su una panchina. Sta leggendo.
Vera: Posso sedermi?
Lui abbassa il giornale e la osserva con l’aria infastidita di chi è stato svegliato all’improvviso. Poi dà una rapida occhiata intorno. Quella è l’unica panchina ad avere ancora un posto libero. Sulle altre, mamme e badanti tengono d’occhio i loro ragazzi.
Giulio: Lei chiede sempre permesso prima di sedersi?
Vera: No, di solito no. Ma la stavo osservando da là in fondo. E aveva l’espressione di chi fa finta di leggere tanto per passare il tempo, ma in realtà sta aspettando qualcuno.
Lui la guarda perplesso, stavolta squadrandola con più attenzione dalla frangia dei capelli al tacco delle scarpe, mentre lei rimane in piedi, immobile, davanti a lui.
Giulio: Psicologa?
Vera: No.
Giulio: Veggente, cartomante, paragnosta o diavolerie simili?
Vera: Neanche.
Giulio: Ok, si sieda pure.
Vera: Grazie. Quando arriva me ne vado, promesso.
Giulio: Quando arriva chi, scusi?
Vera: La persona che sta aspettando.
Giulio: E lei come lo sa che sto aspettando qualcuno?
Vera: Gliel’ho detto, si capisce, sa? E se mi guarda così, si capisce ancora meglio. Comunque stia tranquillo, sono una persona discreta. Non dirò più una parola, così quando arriva non penserà che la sta aspettando insieme a me.
Giulio: Ci mancherebbe altro. Tanto più che neppure ci conosciamo. Ragione per cui, le chiedo la cortesia di non esprimere più giudizi sul mio sguardo.
Vera: Mi perdoni, non la facevo così suscettibile. Non si direbbe, specialmente di uno che sembra avere la pazienza di aspettare a lungo.
Giulio: E adesso mi dica: dal mio sguardo è riuscita anche a leggere da quanto tempo sono qui seduto?
Vera: No, mi è bastato guardare il suo giornale.
Giulio: Come dice?
Vera: O forse lei è ancora uno di quelli che leggono l’elzeviro perché le interessa veramente? A proposito, di cosa parla, oggi?
Giulio: Constato con piacere che sa cos’è un elzeviro. Siamo rimasti in pochi. Detto questo, la sua insolenza mi sta già stancando, la prego di smetterla.
Vera: Le avanguardie artistiche d’inizio Novecento… No, decisamente non è il mio genere. Preferisco argomenti meno impegnativi.
Giulio: Allora non legga l’elzeviro. Forse a lei si addicono di più i rotocalchi rosa. Ha presente? Quelli che scrivono di fidanzamenti, corna, matrimoni, donne incinte…
Vera: Sì, e di oroscopi, ricette, sessuologhe e costumi da bagno. Non è affatto spiritoso. Potrei offendermi, sa?
Giulio: Non credo sia il caso. Dicevo per dire.
Vera: Intanto ha insinuato di trovarsi di fronte a una donna superficiale.
Giulio: Per niente. Se crede davvero di avermi fatto questa impressione, si sta sbagliando.
(pausa)
Giulio: Mi sembra che le sia arrivato un sms, provi a controllare.
Vera: Impossibile.
Giulio: Eppure ho sentito uno squillo, dia un’occhiata, non si sa mai.
Vera: Ha l’orecchio fino, lei. Complimenti. Ma il mio telefonino è a casa e anche se squillasse in questo momento, escludo che potrebbe sentirlo.
Giulio: Mi spiace, non lo sapevo. Non sono un indovino.
Vera: Ci ha provato, le è andata male.
Giulio: Se è per questo, non sono neppure un prestigiatore, per cui se adesso lei si aspetta che glielo faccia riapparire, il suo cellulare, beh… si metta il cuore in pace, non ci riuscirò.
Vera: Nessun problema. L’ho lasciato a casa di proposito. A volte è bello fare una passeggiata nel parco e sapere che nessuno ti romperà le scatole. Si prova uno strano senso di libertà che è così raro, ormai, assaporare in una società piena di gente sempre più schiava della tecnologia. Detesto chi scrive sms e pretende una risposta nel giro di pochi secondi. A me questo grande fratello informatico non piace per niente. Anzi, se lo vuole sapere, mi fa anche un po’ paura. E così il telefono lo lascio suonare a casa. Lo faccio sempre più spesso, sa? Aiuta a concentrarsi e a riflettere.
Giulio: Anche io oggi ho dimenticato il telefonino, ma evidentemente con me non ha funzionato! Si fidi, c’è sempre qualcuno dietro l’angolo, pronto a importunarti. Comunque sappia che appena fuori dal parco ci sono due telecamere di videosorveglianza, attive ventiquattr’ore al giorno e pronte a riprenderla come mette piede al di là del cancello.
Vera: Lo so, ma cosa posso farci? Ormai siamo spiati ovunque, anche quando andiamo a fare la spesa. Ma non possono obbligarmi a non uscire più di casa.
Giulio: Dove peraltro il suo cellulare, anche da spento, lancia segnali sulla sua posizione geografica. (sorride) Se non fosse perché sta parlando con me, nel caso in cui un domani qualcuno le chiedesse cosa stava facendo in questo momento, potrebbe dire che si trovava a casa. E il suo telefonino lo confermerebbe!
Vera: Mamma, che angoscia!
Giulio: Ci pensa, però? Avrebbe un alibi di ferro e un testimone incorruttibile dalla sua parte.
Vera: E per cosa? Non vado certo in giro ad ammazzare la gente!
Giulio: Ragione in più per avere sempre un alibi credibile, semmai qualcuno dovesse accusarla.
Vera: Lei vede troppi polizieschi.
Giulio: A ogni modo, nessuno la obbliga a fare nulla, né tantomeno a rinchiudersi in casa, anzi. Quelle telecamere stanno lì per tutelare anche la sua sicurezza.
Vera: Sarà, ma a me inquietano lo stesso.
(silenzio)
Vera: Peccato, però.
Giulio: Cosa?
Vera: Che lei abbia