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Torno sempre da te
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E-book286 pagine4 ore

Torno sempre da te

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Info su questo ebook

Signs Of Love 1.5

Otto anni fa sono stati separati, ma Leo non ha mai smesso di pensare a Evie, neanche per un attimo. Ora è venuto il momento di tornare da lei e di dare una possibilità al loro amore.
Tutti meritano una seconda possibilità? Anche chi mente e inganna per averne una? Persino chi ha fatto di tutto per distruggersi con le sue mani?

Quanto saresti disposto a lottare per avere una seconda possibilità in amore? Una seconda chance nella vita? Un’altra opportunità di raccontare la tua storia?

Ogni amore viene vissuto da due punti di vista. Evie ha raccontato la sua storia. Ora è il turno di Leo.
Mia Sheridan
È una scrittrice bestseller di New York Times, USA Today e Wall Street Journal. La sua passione sono le grandi storie d’amore. Mia vive a Cincinnati, nell’Ohio, con il marito e quattro figli.
LinguaItaliano
Data di uscita2 nov 2015
ISBN9788854189287
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    Anteprima del libro

    Torno sempre da te - Mia Sheridan

    1100

    Titolo originale: Leo's chance. A sign of love novel

    Copyright © 2013 by Mia Sheridan

    All rights reserved, including the right to reproduce,

    distribute, or transmit in any form or by any means.

    Traduzione dall’inglese di Brunella Palattella e Chiara Beltrami

    Prima edizione ebook: novembre 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-8928-7

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Realizzazione: S.F.V.

    Foto: Shutterstock

    Mia Sheridan

    Torno sempre da te

    Signs of Love Series

    Dedico questo libro a Darcy Rose per avermi insegnato, tra le altre cose, che sono più coraggiosa di quanto pensassi.

    img_nero100.tif

    Il Leone: amante appassionato per natura e combattente coraggioso per istinto.

    Capitolo 1

    Disteso sul mio letto d’ospedale, fisso il soffitto e affondo nel mio dolore. Come ho fatto a ridurmi così? Come ho fatto a finire in questo posto? Non parlo di questa camera in questo edificio, ma dello stato insopportabile in cui versano il mio cuore e la mia mente. Vorrei fuggire da me stesso, vorrei venir fuori dalla mia testa e diventare un’ombra rannicchiata in un angolo, una palla di vuoto. Ho distrutto qualsiasi persona abbia cercato di amarmi e, quando me ne rendo conto, provo un dolore così devastante che sembra schiacciarmi, soffocarmi, è troppo profondo da sopportare.

    Sento qualcuno bussare fuori dalla mia stanza d’ospedale e, prima che io possa rispondere, la porta si apre lentamente. Il dottor Fox fa capolino con i suoi capelli bianchi scompigliati. «Buongiorno, Jake», dice, sorridendo.

    Entra e chiude la porta dietro di sé.

    Il dottor Fox è lo psicologo dell’ospedale. Sono due settimane che viene a trovarmi, ma io non ho niente da dirgli. Non sono interessato a ciò che ha da propormi, punto.

    Quando non rispondo, mi guarda per un minuto e poi dice con gentilezza: «Non vuoi ancora parlarmi del mese traumatico che hai vissuto? Saresti sorpreso nel vedere quanto è utile parlare».

    Espiro, restando in silenzio. Questa è l’ultima cosa di cui ho bisogno, uno strizzacervelli che cerca di dirmi che basterà sfogarmi per stare bene. Assomiglia a Einstein, il che può essere un bene considerato che mi serve davvero un genio per provare a risolvere i miei problemi. Sono un casino e lo so da solo. Ma passo. Grazie, ma non m’interessa.

    «Allora?», dico alla fine. «Vuole fare come in Will Hunting – Genio ribelle? Non è colpa mia, giusto?». Rido, anche se non lo trovo divertente, e distolgo lo sguardo. Che battuta.

    Lui resta in silenzio per qualche istante, poi dice: «Be’, non lo so, Jake. Ho letto del tuo incidente e sembra che sia stata davvero colpa tua. E vorrei parlarne, se ti va. Della morte di tuo padre… quello no, ovviamente. Comunque, non sono qui per ficcarti la felicità su per il culo. Se vuoi qualcuno che ti dia una pacca sulla spalla e che ti dica che non sei responsabile per le tue decisioni sbagliate, io non sono la persona giusta. Ma se vuoi parlare con un uomo che ha aiutato gente messa peggio di un ragazzino ricco viziato che non l’ha avuta vinta e che ha fatto i capricci distruggendo la sua nuova Porsche, forse allora posso ascoltarti».

    Si volta per andare via e io sono furioso per quello che ha appena detto. Non riesco ad alzare il mio corpo spezzato, ho entrambe le braccia ingessate, una gamba sospesa per aria, anch’essa ingessata, e il viso bendato e gonfio. Eppure riesco a muovermi abbastanza da farlo girare e a esclamare: «Bastardo presuntuoso. Pensa di conoscermi in base a poche cose che ha scritto su quel cazzo di foglio di carta? Pensa che le persone possano essere riassunte in una riga o due su una cartellina? Io non sono un ragazzino ricco viziato! Avevo a malapena una bacinella in cui pisciare! Avevo appena scoperto che mio fratello più piccolo è morto, un bambino che avevo praticamente cresciuto. Lei non sa un cazzo della mia situazione».

    Il dottore resta in silenzio per un minuto. «Ora lo so», afferma sottovoce. «Grazie per avermene parlato. Come si chiamava tuo fratello?».

    Esito un minuto, aggrotto la fronte e volto il capo per guardare il cielo azzurro della California fuori dalla finestra. Merda, quel bastardo mi ha fregato. Argh. Sento le labbra curvarsi contro la mia volontà. Inizio a rispettare quest’uomo.

    Prendo tempo prima di rispondere, continuando a fissare fuori dalla finestra in silenzio per un minuto o due. Lui aspetta. «Seth».

    «Mi piacerebbe sapere di più di Seth, se ti va», risponde.

    Sospiro. Non parlo di Seth da molto tempo. Che diavolo. L’unico modo perché quel bambino possa continuare a vivere in questo mondo è grazie a me. Ho sbagliato, gli devo moltissimo. Eppure, esito, anche se alla fine trovo le parole. «Non lo vedevo da dieci anni. Io sono stato adottato, lui era il mio vero fratello, o fratellastro. Ma era mio fratello nel modo che conta. È una lunga storia».

    «Ho una laurea in lunghe storie», sorride e io ridacchio, anche se non vorrei.

    «Ci scommetto».

    «Che ne dici se tornassi domani mattina per un’oretta?».

    Faccio una pausa per riflettere. «Non lo so, sono impegnato. Alle otto devo partecipare alla festa della pietà e alle nove a una seduta di autocommiserazione».

    Lui ride. «Alle dieci, allora. Ci vediamo domani, Jake».

    Si avvia verso la porta e quando sta per afferrare la maniglia, grido: «Ehi, dottore?»

    «Sì?», risponde, voltandosi verso di me.

    «Mi chiamo Leo. Il mio vero nome, intendo. Non Jake. Mi chiamo Leo».

    Si ferma per un minuto, ma non chiede spiegazioni. «Okay. Che ne pensi se ne parliamo domani e mi dici quale nome preferisci? Ci vediamo alle dieci».

    Detto questo, apre la porta ed esce.

    Capitolo 2

    Osservo Evie che si siede su una panchina del parco e mangia una mela, con un romanzo aperto tra le mani. È talmente bella che guardarla senza poterle parlare è una sofferenza. Credo che sia così presa dal libro che potrei avvicinarmi senza farmi notare, e lo faccio davvero: mi siedo su una panchina vicina fingendo di parlare al telefono. Voglio guardarla nei particolari, osservarla attentamente. Ma per ora devo mantenere le distanze, almeno fino a quando non avrò capito cosa fare o cosa dire. Il cuore inizia a battermi forte, non posso rovinare tutto. Sono arrivato fino a qui e l’unica ragazza che abbia mai amato è di fronte a me. E potrebbe odiarmi.

    La seguo ormai da diversi giorni e ho capito che non è sposata – grazie al cielo. Non voglio neanche immaginare come l’avrei presa. Non so però se ha un fidanzato o se esce con qualcuno. Non so se la cosa mi fermerebbe, ma sarebbe carino sapere a cosa vado incontro.

    Lavora all’Hilton in centro e non ha una macchina. Mi dispiace che debba prendere l’autobus per spostarsi. Mi fa sentire meglio seguirla con la mia auto perché so che è al sicuro quando la osservo. Una piccola voce nella mia testa mi ricorda che è stata bene anche quando non l’ho seguita per otto anni e dentro di me sono imbarazzato, il senso di colpa mi colpisce dritto al cuore.

    Sembra che se la cavi abbastanza bene da sola, nonostante non guadagni molto. Vive in una zona decente di Clifton, un quartiere vicino all’università di Cincinnati, si veste bene e sta facendo un ottimo lavoro nel prendersi cura di sé. Non mi sorprende, è sempre la stessa Evie che ricordo. Mi sento orgoglioso. Diamine, ho visto ragazze con molti meno problemi di Evie trasformarsi in lagne ambulanti solo perché era stato cancellato il loro appuntamento per la manicure. Sono uscito con troppe di loro. Ma chi sono io per giudicare? Anche io sono stato debole.

    La prima volta che ho visto Evie quando sono tornato a Cincinnati, stavo aspettando in auto, in un parcheggio dall’altra parte della strada rispetto al suo appartamento. È uscita con indosso un paio di jeans e un maglione, i suoi lunghi capelli scuri ondeggiavano sulla schiena. Mi si è seccata la bocca, non riuscivo a respirare mentre la osservavo, impietrito, passeggiare. Non pensavo fosse possibile trattenere il fiato per otto anni, ma pare sia così. Era una bellissima ragazza che si era trasformata in una splendida donna. Era ancora piccola e magra, ma con curve femminili che non aveva l’ultima volta. Le emozioni sono tornate a farsi sentire con irruenza, mi è sembrato fosse ieri quando l’ho baciata sul tetto e le ho detto di aspettarmi, che io l’avrei aspettata, sarei tornato da lei per amarla per sempre. Ma non l’ho fatto.

    Mentre la seguivo, mi sono ricordato di quanto fosse forte la mia ragazza e ho notato che era ancora la Evie attenta e generosa che conoscevo. Sorrideva a tutti e si fermava a dare una mano quando avrebbe potuto benissimo continuare a camminare. Sembrava che la gente che entrava in contatto con lei si trattenesse dal chiamarla mentre la guardava andare via. Non li biasimavo. La mia ragazza… Non sto facendo il brillante. Ero già pericolosamente preso anche prima di averla vista e ora… sarebbe stato tremendo se mi avesse rifiutato.

    Dopo averla seguita per un paio di giorni, ero sicuro di essere innamorato di lei più di quanto lo fossi a quindici anni. Ora dovevo solo capire cosa fare. Ci ho pensato e ripensato, ma non ho trovato una risposta. Il mio desiderio di parlarle e di toccarla era così divorante che non riuscivo a stare seduto. Andavo in ufficio ogni giorno e dovevo sforzarmi per concentrarmi sul lavoro. La domanda Cosa dovrei fare? continuava a balzarmi nella testa finché ho temuto di impazzire. Dopo anni e anni passati a desiderarla così intensamente, era lì di fronte a me, eppure distante.

    Da bambino, odiavo il giorno in cui dovevamo fare la foto a scuola. Non perché mi fregasse di quel tipo di cose, ma perché a Evie importava e questo mi uccideva. Ogni altro giorno dell’anno potevamo mescolarci agli altri con i nostri vestiti consunti e i capelli arruffati. Ma il giorno della foto, tutti i ragazzini si presentavano a scuola con i vestiti nuovi, le bambine con i fiocchi nei capelli, e le buste piene di soldi da dare all’insegnante. A nessuno interessava avere la foto del ragazzo in affido appesa al muro. A nessuno importava sapere che aspetto avessi in prima o in seconda elementare, o a qualsiasi altra età. Se fosse stato così, gli sarebbe anche importato che stessi vivendo nella casa di uno sconosciuto.

    Guardavo Evie che osservava le altre ragazze e portava, imbarazzata, la mano ai capelli non acconciati e poco spazzolati per cercare di sistemarli. Non riusciva a pettinarli da sola dietro le spalle e nessuno lo avrebbe fatto per lei.

    Poi scrutavo i suoi profondi occhi neri che sognavano e capivo che la mia Evie stava creando una storia da raccontarsi. In parte, mi spezzava il cuore, ma dall’altra mi riempiva di orgoglio. Sapevo che era per quello che non aveva perso la testa come me. Non credo che sognasse per negare la realtà della sua vita. Era la persona più intelligente e rispettosa che avessi mai incontrato. Penso che sognare fosse il suo modo di prendersi cura di se stessa e di reagire per mantenere quell’animo gentile che me la faceva amare con tanta intensità. In un certo senso, credere spudoratamente che ci fosse del buono nel mondo, nonostante la sua situazione devastante, le dava forza.

    Immagino che questo ricordo mi sia tornato alla mente oggi mentre seguo Evie fino al lavoro perché, nonostante stia indossando l’uniforme da cameriera dell’albergo, cammina fiera e senza pensieri, come se fosse felice della sua vita e della sua situazione. E dovrebbe esserlo. Dovrebbe esserlo davvero e sono orgoglioso che sia arrivata a questo punto. Voglio sapere di più, voglio scoprire chi è diventata. Devo sapere tutto.

    Ecco perché devo essere pronto e decidere cosa dirle prima di affrontarla. La paura del rifiuto mi consuma. Mi rifiuto di lasciarmela sfuggire senza avere l’occasione di riconquistarla.

    Maledizione, ho bisogno di bere. No, non lo farò. Andrò in palestra per sfogare la tensione e poi andrò a dormire presto. La scorsa settimana ho letto sul giornale che domani ci saranno i funerali di Willow e ho intenzione di andarci. Di sicuro ci sarà anche Evie, pertanto dovrò mantenere le distanze, ma non voglio mancare. Lo devo a Willow. Aveva molti problemi, ma non ha mai trattato male nessuno. A parte se stessa. Fino alla fine. Penso a quanto sia andato vicino a mettere fine alla mia vita e so che l’unica cosa che mi separa da Willow è aver avuto una seconda possibilità.

    Capitolo 3

    Parcheggio sul retro del cimitero e cammino verso il piccolo gruppo di persone che si sono riunite per il funerale di Willow. Sul giornale, ho scoperto che hanno aperto un fondo per le spese della sepoltura della ragazza che, come hanno scritto, non aveva parenti o amici che possano occuparsene. Ho chiamato le pompe funebri e ho pagato per lei, anche la lapide in granito. Willow merita molto più che una tomba senza incisione. Non le sono stato vicino negli anni, ma ho voluto fare questa piccola cosa per lei.

    Resto indietro, mi appoggio a un albero a qualche metro di distanza dagli altri mentre aspetto che inizi la funzione.

    Ripenso a Willow da bambina. I suoi occhi erano troppo diffidenti per la sua giovane età. Volevo proteggerla, come volevo proteggere Evie, ma Willow era sempre un passo avanti agli altri nell’autodistruzione. Non sapevo cosa dirle, allora, e non so se mi avrebbe ascoltato. Vorrei poterle dire adesso che la capisco. So che non ci si uccide perché la morte è più invitante, ma perché la vita è straziante. Arrivi a chiederti a che serva, perché lottare e soffrire, qual è il punto? Che bisogno c’è di soffrire così tanto? Non voleva morire, voleva solo smettere di soffrire. Io lo so, io lo so perché ci sono passato.

    Ripenso a quella volta in cui Willow si è presentata a casa della mia famiglia affidataria, ubriaca e fatta di non so cosa. Credo avesse dodici anni, forse tredici. È stato prima di andarmene a San Diego. Sono uscito di nascosto e l’ho riaccompagnata a casa, a soli dieci isolati di distanza. Ricordo quanto fossi arrabbiato con lei quella sera. Era come se, nonostante tutte le situazioni in cui avessi cercato di tenerla al sicuro, di proteggerla dai ragazzini a cui non importava niente di lei, tornasse sempre al punto di partenza. Era estenuante.

    Mentre la riaccompagnavo a casa, lei mi ha guardato con gli occhi lucidi e biascicando ha detto: «Leo, perché sei gentile con me?». Dall’espressione sul suo viso ho capito che era davvero un mistero per lei.

    L’ho fissata per un minuto e alla fine ho risposto: «Perché mi importa di te, Willow».

    «Ma, perché?», mi ha domandato.

    «Perché siamo amici, okay?», ho risposto.

    Ma in realtà, ciò che mi rendeva così protettivo nei confronti di Willow era qualcosa di diverso rispetto a quello che mi rendeva protettivo con Evie. Penso che vedessi una parte di me stesso in Willow. E per questo sapevo che, qualsiasi cosa di carino le avessimo fatto o detto io, Evie, o chiunque altro, lei avrebbe continuato a credere alle cose che le avevano detto altri prima di noi. Mio padre mi picchiava e mi diceva che ero uno spreco di spazio, eppure Evie mi amava. Perché era così facile credere a lui e pensare di non meritare lei? Non lo sapevo, ma sapevo che io e Willow avevamo molto più in comune di quanto volessi credere all’epoca. Io la capivo, anche se non desideravo farlo. Eppure, pensavo di essere più forte di lei, ma non era così.

    Torno in me e noto che Evie si sta spostando verso il gruppo di gente dall’altra parte della strada. Indossa un abito nero senza maniche e dei tacchi neri, con i capelli tirati all’indietro. Vedo la silhouette del suo corpo nell’abito fasciante e mi domando come sarebbe muovere le mani sui fianchi morbidi fino a fermarsi sulla vita sottile. Lo vorrei così tanto che fa male.

    Il celebrante inizia a parlare e io ascolto le sue parole, ma non riesco a distogliere lo sguardo da Evie. Ogni tanto, si asciuga una lacrima dagli occhi con un fazzoletto e devo mettercela tutta per non correre a consolarla. Premo il corpo contro l’albero per non andare da lei.

    Quindici minuti dopo, Evie si sposta davanti al gruppo per l’elogio e quando prende posto guarda dritto verso di me, aggrottando leggermente le sopracciglia. Merda, che sta pensando? Non può riconoscermi da così lontano, vero? Probabilmente sembro fuori luogo in questo gruppo composito di gente. I gusti di Willow in fatto di amici non sono cambiati molto negli anni. Evie mi fissa per un attimo o due, poi il suo sguardo torna alla folla davanti a lei. È la prima volta che i nostri occhi si incrociano dopo otto anni e lo sento nel profondo della mia anima, questo momento sembra rimasto immobile dentro di me e mi brilla dentro.

    Qualche minuto dopo mi sciolgo completamente: Evie inizia a parlare e a raccontare una delle sue storie per Willow. Cazzo.

    «C’era una volta una ragazzina speciale, bellissima, che era stata inviata dagli angeli in una terra remota affinché conducesse una vita d’incanto, piena d’amore e felicità. L’avevano chiamata Principessa di Vetro perché la sua risata squillante rammentava loro le campane di vetro sulle porte del paradiso, quelle che rintoccano ogni volta che si accoglie una nuova anima. Ma quel nome era appropriato anche perché lei era molto sensibile e amava profondamente, ma il suo cuore appariva fragilissimo, facile da spezzare.

    Durante l’organizzazione del suo viaggio nella terra remota, uno degli angeli meno esperti commise un errore, e si verificò un pasticcio, così che la principessa fu mandata in un luogo dove non doveva stare, brutto e sporco, dominato perlopiù da mostri e altre figure malvagie. Ma quando un’anima s’incarna in forma umana, la situazione è permanente, immutabile. Sebbene piangessero disperati per il destino che avrebbe dovuto sopportare la principessa, gli angeli non poterono farci nulla, se non sorvegliarla dall’alto e provare a metterla sulla strada giusta, lontano dalle creature perfide e mostruose.

    «Purtroppo, poco tempo dopo l’arrivo della principessa in questa terra, la crudeltà delle bestie che la circondavano produsse la prima grande crepa nel suo tenero cuore. E benché molte altre creature meno malvagie tentassero di volerle bene, perché lei era bella e molto facile da amare, il suo cuore continuò a incrinarsi, finché s’infranse del tutto, lasciandola per sempre straziata.

    «La principessa chiuse gli occhi per l’ultima volta, pensando a tutti i mostri che erano stati crudeli con lei e che le avevano spezzato il cuore. Tuttavia, le creature malvagie, per quanto siano forsennate, non hanno mai l’ultima parola. Gli angeli, che sono sempre nelle vicinanze, scesero dall’alto e la portarono via, di nuovo fino al paradiso, dove ricomposero il suo cuore infranto, che non sarebbe più stato ferito. Lei aprì gli occhi e mostrò il suo bellissimo sorriso, ridendo con voce squillante. E di nuovo sembrava che tintinnassero le campane di vetro, com’era sempre stato. La principessa era tornata finalmente a casa».

    A queste parole, i ricordi mi tornano così rapidamente alla mente che mi sembra di scoppiare. All’improvviso sono sul tetto, a piangere tra le braccia della ragazza più coraggiosa che conosca e a provare l’unico affetto che abbia mai provato, ad avere l’unico conforto che abbia mai avuto. Vorrei inginocchiarmi perché la sua voce non mi ricorda soltanto quei momenti, ma me li fa sentire, e il mio desiderio per lei aumenta a dismisura. Devo andarmene da qui. Come farò a gestire tutto questo? Mi sento ubriaco di ricordi ed emozioni.

    Evie torna tra la folla e la vedo parlare con un’anziana signora con i capelli ossigenati e un paio di scarpe di un rosa imbarazzante. Giro intorno all’albero per andare verso la mia auto. Mentre cammino, mi è sempre più chiaro che non dimenticherò mai Evie: un pensiero angosciante, visto che potrebbe non essere mai più mia.

    Entro in macchina e mi siedo a fissare il parabrezza per qualche minuto, finché non mi sembra di aver ritrovato un certo equilibrio emotivo. Poi prendo il telefono e chiamo le pompe funebri per aggiungere una frase alla lapide di Willow. Sotto il suo nome scriveranno Principessa di Vetro. Credo che a Willow sarebbe piaciuto, perché dimostra che è stata amata.

    Capitolo 4

    Il dottor Fox entra nella mia camera d’ospedale e mi sorride. Io aggrotto le sopracciglia. Non dovrebbe tornare prima di giovedì e oggi è solo martedì.

    «Peggiori ogni giorno di più, vedo», dice.

    «Peggiorare è uno stato dell’anima, signore», gli sorrido come posso con la faccia dolente e il naso rotto. «Se peggioro ogni giorno, forse dovrebbe cambiare lavoro».

    Lui scoppia a ridere e tira una sedia accanto al letto.

    Ho ancora una stecca sul naso e qualche ferita profonda sotto gli occhi, e l’interno della bocca mi fa un male cane dopo che sono dovuti entrarci per sistemare gli zigomi e la mascella. Ho un’altra operazione in programma per il mese prossimo. Ma non ho più il gesso alle braccia, grazie al cielo. Posso almeno lavarmi i denti da solo.

    Le gambe dovranno restare ferme per un altro mese e anche le costole devono ancora guarire, ma poi potrò iniziare la fisioterapia. Non vedo l’ora. Sento la forza che torna e se ne va ogni giorno.

    Sarei stato mandato in riabilitazione se il ferro che mi hanno messo nella gamba non si fosse infettato. Tutto questo casino estenderà la mia permanenza qui, ma non

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