Il cuoco di Burns night
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Anteprima del libro
Il cuoco di Burns night - Roberto Agostini
night
Il cuoco di Burns night
Opera Prima
Il cuoco di Burns Night
ROBERTO AGOSTINI
© 2013 Roberto Agostini
© Atmosphere libri 2013
Via Seneca 66
00136 Roma
www.atmospherelibri.it
info@atmospherelibri.it
Redazione a cura de Il Menabò (www.ilmenabo.it)
I edizione nella collana Opera Prima novembre 2013
ISBN 978-88-6564-084-5 (cartaceo)
Un uomo gradatamente si identifica con la
forma del proprio destino. Un uomo è, a
lungo andare, le proprie circostanze.
Jorge Louis Borges
PRIMA PARTE
Settembre 2000
… Ho in bocca un sapore strano, sarà la cioccolata amara che
mi ha regalato a scuola Catherine. È una confezione speciale,
per intenditori, conterrà una decina di gusti diversi: peperoncino,
zenzero, menta, cannella… Chissà se esiste una minilaurea
per cioccolatieri professionisti, una sorta di sommelier
del cacao. Questa cioccolata non mi convince. È farinosa e
allo stesso tempo ha qualcosa di carnoso, mi ricorda un corpo
spugnoso appena morto eppure con una vita intensa alle
spalle. Una stella marina essiccata! Adesso basta, devo alzarmi.
È ora di andare, oggi mi aspetta una dura giornata.
Metropolitana
Un rombo lontano di ruote ferrate, poi il ghiaccio dell’aria siringata
dal vagone nel tunnel di pietra e cemento. Capelli e sciarpe
si scompigliano, sembrano spiccare un volo proprio, un salto decisivo
nello spazio per seguire un itinerario preciso. Dio solo sa
quanto mi piacerebbe seguirne il percorso f ino in fondo, unico
modo per capire quanto la natura abbia esigenza di mostrarsi. Rifletto
sul gelo avvertito dalla pelle; poi davanti a me, in un attimo,
le righe nere gommate, cornici dei vetri appannati. Al di là della
lastra trasparente uomini gialli e dannati, illuminati dal neon
che dall’alto proietta bagliori su di loro. Le porte della metro si
aprono come le barriere d’acciaio di una diga che argina la forza
dell’acqua repressa. Sono tentato di entrare con uno scatto prima
che siano usciti tutti, ma trattengo quest’impulso perdendo così la
possibilità di sedermi. Mi ritrovo in piedi, accalcato, grondante
sudore. Gli occhi ruotano all’impazzata, riesco a muovere solo
quelli. Cerco un’immagine cui aggrapparmi per occupare la mente
e non sentire quel senso d’oppressione. I passeggeri hanno la coscienza
sporca, potrebbero scoppiare a piangere da un momento
all’altro. Sguardi che implorano perdono, come fossero in purgatorio.
I loro pensieri mi arrivano come il ronzio che si percepisce a
volte sott’acqua.
È un acquario di pesci persi. S’insinua sotto il naso un fetore che
mi colpisce allo stomaco. Qualcuno non ha rispettato la sua posizione.
Non riesco a spostare la testa. È il respiro di un essere umano
che m’invade violentemente, ma non capisco di chi. È il fiato dell’uomo
col cappello o quello della signora con un rossetto mal sfumato?
Spero non sia la ragazza accanto con gli occhi verdi. No,
non è lei. Me ne accorgo dalla smorfia di disgusto e dal suo sguardo
in cerca di solidarietà. Quel fetore bestiale è arrivato anche nelle
sue narici. Ci sono! È l’uomo con i ferretti d’oro sugli incisivi: ha
soff iato verso di me, mi guarda... e ha anche il coraggio di sorridermi!
Scorgo una patina dalle sfumature verdastre intorno ai
denti, la stessa che si trova su alcuni reperti archeologici.
È scesa più di una persona, così trovo un posto più comodo e
lontano da quell’aria malsana. Non ne potevo più di continuare
a sincronizzare il mio respiro con quel tipo per evitare l’asfissia.
Mi cade lo sguardo su un articolo di giornale, un periodico: parla
di un massaggio miracoloso. Massaggio trinocraniosacrale
recita
la pubblicità. Leggo: "Il movimento delle mani deve seguire rigorosamente
un triangolo". La terapia fonda le sue basi su un concetto
energetico importante, che comprende la testa e la coda di un
essere umano. Il terapeuta consiglia addirittura di disegnare il
tracciato sulla schiena del paziente per ottenere il massimo risultato.
Inoltre il numero tre rimane di rigore.
Le mani del massaggiatore.
Il fruitore della pratica.
Il Divino fra loro, a completare l’opera.
Dopo aver occhieggiato fra le prime righe e mentre mi accingo
a leggere il resto dell’articolo, le mani che stringono il giornale si
accorgono dell’intrusione. Indispettite, con un gesto fulmineo chiudono
le pagine del settimanale, senza scampo. Mi ritraggo come un
mollusco fra la sabbia del mare che si richiude appena s’accorge di
un pericolo pronto a guastargli la beata ossigenazione. Questo tragitto
in metro, anche se breve, mi trasmette ottimismo. Non ho
mai dato peso alla velocità, al coraggio che infonde un motore
spinto al massimo come quello della metropolitana e alla sua ca-
pacità di lanciare i vagoni facendoli sembrare leggeri come la carta.
La velocità è commovente e mi fa pensare all’importanza di proiettarsi
in avanti, verso un destino o più semplicemente verso una
destinazione.
Al lavoro
«Per le cipolle usate pure un semplice coltello ben affilato, da
quindici centimetri, ma sappiate che preferisco la mia vecchia
mezzaluna a doppia lama. Certo ho sofferto all’inizio nell’esercitarmi,
ma adesso trituro tutto come uno schiacciasassi.
Impugno saldamente i due pomelli, scendo giù con la mano
destra e lascio andare per inerzia la sinistra, via via, sempre
più veloce. È la destra che detta il ritmo, la sinistra va dimenticata,
altrimenti fra le mani vi ritroverete un cavallo
pazzo che scalcia furiosamente, difficile da governare, e questo
non va bene. Non saper usare quest’attrezzo, in qualità
d’assistenti, vuol dire far innervosire seriamente un cuoco.
Certe volte in cucina basta un niente, e… puff!, svanisce il
lungo lavoro che c’è dietro un fastoso banchetto. Pensateci
ragazzi! La lezione è finita, fate pure cinque minuti di pausa
e non scalmanatevi troppo, la signorina Catherine Doleac sarà
qui a momenti. Vi consiglio di seguire il suo corso di pasticceria.
È un’occasione averla come insegnante già dal primo
anno, approfittatene! E non concentratevi troppo sulla sua
gradevole silhouette, io mi riferisco alla sua immensa cultura
gastronomica. Allora, arrivederci alla prossima lezione che
sarà, se non vado errato, venerdì ventiquattro dalle quindici
alle diciassette. Parlerò dell’importanza del guéridon e della
cucina di sala. Preparatevi perché faremo degli esercizi pratici
su come si sbuccia, senza mai toccarla con le mani, una bell’arancia
di buon peso e dalla buccia sottile. Vi dimostrerò
come si realizza un dessert, pratica che molto probabilmente
vi ritroverete come materia d’esame: la frutta flambé».
Uscito da scuola incontrai Catherine intenta a parcheggiare
la macchina. Aveva l’aria preoccupata, forse per il ritardo
sull’orario della lezione. Fece riferimento al traffico,
come per scusarsi, poi chiese dell’umore dei ragazzi.
«Irrequieto» risposi.
«E il tuo?» domandò lei allontanandosi velocemente.
«Buono, grazie al cioccolato».
Catherine si voltò di scatto con un’elegante torsione, poi
tornò indietro. Fu un tocco leggero quello che mi strinse il
braccio, la bocca della donna si avvicinò e quasi in un sussurro
mi invitò ad assaporare un pezzetto di cioccolato ogni mattina
per affrontare al meglio la giornata.
Chiesi dettagli a proposito del retrogusto resinoso.
«Caratteristica del cacao biologico non raffinato!» spiegò
Catherine. «Una rarità difficile da trovare in commercio».
Prima di entrare nell’edificio si voltò un’ultima volta strizzandomi
i suoi begli occhi azzurro chiaro.
Distaccata dall’istituto, ma nello stesso comprensorio, si
trovava la mensa della scuola gestita dagli allievi e supervisionata
da altri colleghi.
Per arrivare al refettorio si attraversava un giardino di alberi
di nocciole e, mentre mi affrettavo per assicurarmi il
pranzo, il silenzio veniva interrotto dal rumore dei frutti che
si staccavano dagli alberi a intervalli regolari, provocando un
tamburellare sordo come quello di un tabla indiano sfiorato
da polpastrelli esperti, il cui suono ripetitivo creava un refrain cullante.
I cibi della mensa venivano preparati dagli allievi del terzo
anno di cucina, mentre i ruoli di commis de rang e chef di brigata
erano ricoperti dagli allievi di sala e bar del primo e se-
condo. Il menù del giorno prevedeva delle penne lisce allo
zafferano con cernia e zucchine dolci, per secondo dei filetti
di sogliola alla mugnaia, per contorno insalata mista tagliata
alla julienne. La scelta delle penne lisce era stata ottima perché
quel tipo di pasta si adattava in modo eccellente allo zafferano
facendolo risplendere in tutta la sua brillantezza,
caratteristica che una pasta grezza non avrebbe mai restituito.
Fuori
… Probabilmente so affettare una cipolla in modo abbastanza veloce,
anzi più che veloce a giudicare dalla reazione degli allievi, ma
per me certe tecniche risultano automatismi acquisiti come saper
camminare o correre, e ormai non ci faccio più caso. Ma dopo anni
di questo lavoro non mi sento ancora pronto. Ho bisogno di imparare.
C’è qualcosa che la scuola, i libri, la pratica non possono più
darmi. Sono in grado di cucinare bene e di apprezzare a pieno
ogni sfumatura del buon cibo, so a memoria centinaia di ricette e
i nomi dei più grandi chef del mondo ma, di fatto, realizzo la maionese
esattamente come venti anni fa, senza mai aggiungere un
tocco personale o una modifica…
Una volta mi capitò per errore di aprire una lettera indirizzata
al preside, il professor Francesco Molteni. Molta corrispondenza
spesso è inutile pubblicità e quel giorno mi trovai
fra le mani un depliant che reclamizzava un seminario di recitazione.
Dizione, fonetica, corretto uso della voce, studio
del movimento nello spazio scenico, brevi cenni sulla storia
del teatro, psicodramma, compreso il modo migliore per interpretare
un personaggio secondo il sistema d’immedesimazione
di Konstantin Sergeevič Stanislavskij.
Una compagnia d’attori offriva agli studenti un ciclo di lezioni
su come concepire e interpretare personaggi del mondo
della letteratura. In particolare il lavoro si concentrava su "El
ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha" e sul fedele scudiero
Sancho Panza.
Il Don Quijote era lo spettacolo che la compagnia portava
in giro con successo nelle scuole d’Italia. La circostanza mi
fece riflettere e pensai alle attinenze fra una scuola di pratica
alberghiera e una di teatro. Una frase sul manifestino pubblicitario
mi aveva colpito profondamente: "Posso insegnare a
un attore il movimento per indicare