L'Istmo
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Info su questo ebook
tratto da un detto di Sir William Hamilton
"Le illusioni dell’uomo d’oggi sono le illusioni dell’uomo di sempre : la ricerca dell’immortalità attraverso la ricchezza, il potere, la notorietà e addirittura oggigiorno attraverso la scienza. Abbiamo perso di vista che l’unica certezza, dal momento della nascita di un essere umano, è rappresentata dalla morte e che nulla in questo universo è eterno se non forse il nostro spirito. Purtroppo perdendo di vista questa semplice certezza facciamo dell’aiuto ai bisognosi un dovere, della pace una associazione o una manifestazione, della moralità una necessità ecc. e non semplicemente di tutto ciò un “modus vivendi”."
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Anteprima del libro
L'Istmo - Franco Giuseppe Gobbato
menomo.
Prefazione Guglielmo Monti
Soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio del Veneto Orientale
Di primo acchito, sembra di avere a che fare con un pezzo di letteratura grigia
, come quando scopri un pacco di lettere giovanili della zia o tiri fuori da un cassetto dimenticato il manoscritto di un romanzo mancato. Se ne avvertono i caratteri sin dall’esordio in forma di dichiarazione di autenticità in carta bollata, messa avanti come l’ingenuo
espediente di chi, per insaporirla di più, dichiara che la barzelletta che sta’ per raccontare è un fatto vero. E si prosegue con l’uso di una narrazione in soggettiva che ogni tanto, repentinamente, dimentica il suo punto di vista e relega il narratore a personaggio visto da altri.
Ogni descrizione è didascalicamente spiegata con un dialogo di tipo teatrale, da personaggi che infatti si definiscono unilateralmente come maschere.
La mia curiosità si trova a suo agio in questo genere di cose, gustose come scene viste attraverso il buco della serratura, ma procedendo con la lettura mi accorgo che non è tutto lì. Francesco Robbato è una deformazione troppo trasparente di Franco Giuseppe Gobbato per poter essere accettata con
tranquillità e viene voglia allora di spingere la lettura un po’ oltre. Si affaccia l’ipotesi che in realtà Franco Giuseppe non sia solo Francesco, ma anche Andrea, Robert, Roland, Elisabeth, Albert e persino Margherita, l’amata moglie perduta. Ecco che allora l’interminabile dialogo di presentazione dei personaggi diviene un monologo surreale,
come l’inizio della ballata dell’uomo sottile
di Bob Dylan, dove gli ingombranti estranei che affollano la stanza del protagonista si rivelano nient’altro che i suoi riflessi.
Persino l’improprio passaggio dalla prima alla terza persona si rivela, sotto questa luce, un abile stratagemma per mettere da parte in alcuni momenti il narratore e rivelare così al lettore che si tratta solo di uno dei soggetti possibili. Vengono
alla mente gli sdoppiamenti dell’ uomo che fu giovedì
di Chesterton e si affaccia così in un percorso salvifico apparentemente lineare e privo di dubbi, scandito nei quattro capitoli del passaggio, il mondo nel mondo, la ricerca e l’obiettivo, l’ombra dell’ironia. Le scene dei mondi illusori, come i tanti scarti ed equivoci nelle rivelazioni, perdono il loro carattere di ingenui contraltari della verità dello spirito per acquisire la dimensione di icastiche evocazioni dell’umana stupidità, ritratte con swiftiana stilizzazione.
È lo stesso tratto, animato da un allegro illuminismo, che troviamo nelle creature ultramondane che incarnano le costellazioni e, astrologicamente, anche le attitudini, combinate con cabalistico sarcasmo. Sono loro a condurre, attraverso atmosfere che ricordano la fantascienza dei sentimenti dei cristalli sognanti
di Sturgeon, i nostri eroi a riconoscersi come maschere in un ritorno all’Eden, dove potranno finalmente, un giorno, riunirsi in una sola persona. Persino questo canovaccio new age
è peraltro riscattato da
apparenti mancanze di professionalità, perché, anziché trascinare il lettore in irresistibili e stucchevoli ascese al di là della materia verso paradisi perduti, Gobbato introduce, come Melville in Moby Dick
supporti didattici su pratiche scientifiche o meno.
L’ascesi è così solo enunciata e l’illusione è continuamente spazzata da spiegazioni che riportano l’aspirazione mistica e globalizzante dei sacri fumi a terrene constatazioni e a testi di riferimento. Persino l’Eden si frantuma, proprio mentre i personaggi enunciano la loro superiore funzione, in mille diverse raffigurazioni, dettate dalle più disparate culture della Terra.
Sembra, in conclusione, che il tono grigio
della scrittura sia una vera scelta letteraria, mirata non tanto, come talvolta nell’impossibile scientismo di Wells, a rendere credibili le proiezioni fantastiche, quanto a manifestare, forse malgrè sai
, il disincanto ineliminabile anche nelle coscienze più attratte verso il cielo.
Come nella canzone di Dylan, la vicenda si richiude in sé stessa, con un circolare invito a ricominciare. Il protagonista, come il lettore, si ritrova nella sua stanza, con gli occhi nelle tasche perché non si può più fidare di quello che vede e con il naso a terra, pronto a fiutare nuove piste dentro e fuori dalla letteratura.
CAPITOLO I
IL PASSAGGIO
Il sottoscritto Francesco Robbato, nato a Vittorio Veneto il 23.08.1960 e residente in Vittorio Veneto Piazza del Popolo, laureato in ingegneria aerospaziale, vedovo e senza prole, nel pieno delle proprie facoltà fisiche e mentali, non obbligato da nessuno, se non da un dovere morale, libero nella propria scelta dichiara
che i fatti che andrà a raccontare sono realmente accaduti, consapevole del loro straordinario impatto sulla gente e del loro incredibile succedersi.
In fede.
Francesco Robbato
P.S. Nulla di quanto descriverò non mi ha avuto come testimone diretto, invitato o meno, a volte fisicamente a volte in modo intuitivo, per il susseguirsi degli eventi, e nulla voglio inculcare in alcuno, di quanti leggeranno; nessuna verità assoluta ma semplice meditazione sugli eventi. Io stesso, col senno di poi, ho delle perplessità sugli avvenimenti accadutimi e nonostante sia sicuro dei fatti, non lo sono né per quanto riguarda il loro avvicendarsi né per quanto riguarda il loro significato. Tenterò comunque di essere il più possibile obiettivo. La domanda che ora mi sconvolge la mente è : perché io?. Non credo ci sia risposta. E’ accaduto e basta. La mia coscienza e l’impegno assunto, ora mi impone di scrivere questa esperienza aiutata anche dal ricordo indelebile di coloro che con me in un modo o nell’altro l’hanno condivisa; con stupore nello stupore. Nella certezza, ad ogni buon grado, che non c’è niente di nuovo sotto la luce del sole.
Tutto ha inizio in una fredda mattinata domenicale d’inverno. Come ogni giornata festiva il risveglio è tardo e l’alzata dal letto è lunga e decisamente macchinosa. Ancora mezzo addormentato vado in cucina e metto sul fuoco la moka da caffè che avevo preparato la sera precedente. Mentre aspetto che il caffè sia pronto, vado in bagno. Riesco a fare tutte le mie cose nel tempo giusto per l’ebollizione dell’acqua nella moka. Mi preparo tre belle fette biscottate imburrate e con un bel po’ di marmellata ben spalmata. Sulla tavola è già pronta la tazzina da caffè. Ci metto lo zucchero e, stando attento a non scottarmi, ci verso questa bevanda, per me magica perché fonte assicurata di risveglio. Mi siedo ed approfittando del telecomando dello stereo, che ho a portata di mano, lo apro per ascoltare un po’ di musica. Mentre mangio il mio sguardo spazia dalla cucina al salotto, posto di fronte e separato da un mezzo muro che si congiunge al soffitto con un mobile aperto ad alveare. Ogni apertura è riempita con qualche cosa. Soprammobili, forse un po’ pacchiani, ma ricordi di una gita o di una esperienza, che fa acquisire al pezzo una straordinaria importanza affettiva e gli dà un grande valore intrinseco che supera abbondantemente il reale costo. Il mio sguardo si sofferma su un paio di foto che mi ritraggono con mia moglie Margherita. In una ci eravamo appena conosciuti ed eravamo andati a Venezia per vedere una splendida mostra a Palazzo Grassi. Nell’altra eravamo a Firenze, per festeggiare due anni di matrimonio, vicini alla chiesa di S. Maria Novella. Aveva scelto quel posto per annunciarmi che avremmo avuto un figlio. Ricordo che per l’entusiasmo avevo fermato un ignaro vigile mettendogli direttamente fra le mani la macchina fotografica e l’avevo costretto a ritrarre quel momento suo malgrado. Passarono alcuni mesi nei quali toccammo diverse volte, nella nostra sovrumana gioia, il cielo con un dito. Poi in una giornata fredda, come quella di oggi, una visita medica per un banale malessere, forse più scrupolosa delle altre o forse semplicemente destinata a far cessare le nostre speranze di vita assieme, le diagnosticò una leucemia fulminante. Una settimana di vita. Una settimana intensa, di cure, di speranze e di delusioni. Una settimana per rendersi conto alla fine che non c’era veramente più niente da fare. Le sue ultime parole, per sempre stampate a fuoco nella mia mente: Devi imparare ad aver cura di te stesso e solo così un giorno ci ritroveremo. Io ti aspetterò!
Ogni volta che la mia mente ripercorre questo triste ricordo il cuore mi sembra stia per scoppiare. Per iniziare a rivivere mi ci volle un anno. Ed ancora oggi, nonostante ne siano passati altri due, vedere le sue foto e rendermi conto della mia quasi inesistente vita sociale esterna mi fanno convivere nel ricordo del dolore immenso della sua perdita.
Il ticchettio del vecchio orologio da muro, posto nella sala, mi fa ritornare con la mente alla colazione. Sorseggio il caffè, che è ancora bollente, con calma. Finita la colazione, metto tutto in lavastoviglie. Una rapida spolverata al tavolo e ritorno in camera per prepararmi ad uscire. Sono indeciso se vestirmi in modo elegante oppure in modo sportivo. Apro l’armadio e vedo con piacere tutti i miei abiti in perfetto ordine. La donna che mi fa da governante, per quattro ore al giorno, è veramente in gamba. Mi ha risolto il grosso problema dell’ordine e della pulizia. Credo sia comune, a noi maschi, il non avere una grande dimestichezza con la lavatrice, il ferro da stiro, la pulizia di casa e l’ordine. Mi siedo sul letto e ci penso ancora un po’. Del resto, oggi, non ho un gran che da fare. Decido alla fine per una via di mezzo. Un bel maglioncino dolcevita, un cardigan ed un paio di pantaloni in lana. Preparo il tutto depositandolo sopra al letto. I colori si intonano. E non avevo dubbi perché il gusto del vestire e dell’abbinare i giusti colori fra loro, era ed è un mio pregio, riconosciuto anche da Margherita. Mi vesto con tranquillità. Appena pronto mi do uno sguardo allo specchio. Tutto apposto; mi piaccio. Mi infilo un giaccone comodo che ha il vantaggio di tenere molto caldo e di essere esteticamente piacevole. Adesso sono pronto ad uscire per fare la mia passeggiata domenicale. Do un ultimo sguardo all’interno della casa e con la mente ripasso ogni possibile dimenticanza per evitare di uscire lasciando aperto, o in funzione, qualcosa. Sicuro di aver fatto e chiuso tutto, apro la porta di entrata, la oltrepasso e la richiudo.
Appena mi giro rimango senza fiato ed il mio cuore inizia a battere con una velocità che sembra insostenibile. La mia vista