Specchio delle mie trame
Di Paolo Sessa
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Anteprima del libro
Specchio delle mie trame - Paolo Sessa
vita.
Prefazione
Quando ho letto il primo racconto di questa silloge, non ho potuto fare a meno di pensare a come ho conosciuto Paolo Sessa: un vero e proprio incontro in viaggio. Entrambi eravamo stati chiamati in qualità di relatori per un ciclo di seminari che si sarebbe svolto in giro per la Sicilia: io psicologa psicoterapeuta, lui professore esperto in linguistica.
Inizialmente, mille dubbi avevano assalito la mia mente, con la paura di non sentirmi al posto giusto e poco in grado di affrontare la sfida, ma poi, come Dino, protagonista del primo racconto, non avevo potuto farci niente e avevo ceduto al richiamo. Appena ho stretto la mano a Paolo e al suo vecchio amico Puccio, con cui da sempre è impegnato a seminare passione per la vita e la cultura, ho sentito che insieme eravamo parte della stessa storia e ogni mia incertezza cancellarsi.
Durante i nostri viaggi in macchina, da una provincia all’altra della Sicilia, ho avuto modo di conoscere una personalità brillante e ironica, a volte sarcastica, ma mi colpiva soprattutto l’incessante curiosità con cui annusava il mondo intorno a lui. Uomo di vario sapere e profonde conoscenze, che seduce con la sua parlantina; le sue parole si alzano di tono, poi scendono, poi risalgono decise e io, proprio come uno dei suoi personaggi, non ho potuto fare altro che apprezzarle e perdermi nel loro ritmo, germinativo di nuovi pensieri.
Specchio delle mie trame ha per protagonisti sei personaggi che vivono un disagio esistenziale di fondo. A un dato momento della loro vita, si trovano di fronte a uno specchio che li porta a rimettere in discussione la loro identità. Il tutto avviene per ciascun personaggio in modo assolutamente diverso e impensabile, ma in ogni trama la realtà si rivela a se stessa, nello specchio, e nessuno di loro può sottrarsi a questo disvelamento senza venirne prima, più o meno intensamente, travolto.
Nel primo racconto, il protagonista Dino si trova a vivere un viaggio misterioso, così come misteriosa è la ragione per cui lo ha intrapreso, finché non incontra l’enigmatico Seroni, la cui immagine allo specchio si confonde con la sua e con il quale finisce con l’identificarsi.
Nel secondo, il personaggio si ritrova senza memoria né ricordi, si guarda allo specchio senza riconoscersi, come se cercasse qualcuno, solo lacrime al posto delle parole. La sua relazione con la moglie, l’odore di lei, sono l’unica continuità tra il prima e il dopo. Solo riuscendo a entrare in contatto con la sua parte più primitiva, animale - rivelazione che però stravolge il suo corpo e la sua anima - egli potrà ritrovare la parola e comunicare con la sua donna.
Nel terzo racconto, Mario il clown, ripercorrendo il suo passato, si riscopre allo specchio altro da sé: la sua immagine si avvicina sempre più a quella di Jacques, il compagno di classe che si è tolto la vita da ragazzo, tanto da riconoscere in se stesso caratteristiche dell’amico e arrivare a identificarsi con la sua morte.
Alberto, personaggio del quarto racconto, che ha bisogno di cercare amici con cui parlare senza provare schifo, noia, disagio, nei disegni delle pieghe della tenda, una domenica vede riflessa nello specchio un’immagine di sé velata, quasi purgatoriale, così come è sempre stata la sua vita, priva di gioie e di dolori, caratterizzata da una costante incertezza, dalla quale non sa se sarà mai in grado di liberarsi.
Nel quinto racconto il signor Gozzi, uomo di mezza età che ha imparato a controllare il proprio disagio tenendo in ordine ogni particolare della sua vita, scopre attraverso la malattia di non riconoscersi più allo specchio, come fosse dissociato dal suo corpo, col quale non riesce più a relazionarsi e che gli impedisce di liberarsi dal suo dannato disagio.
Nell’ultimo racconto, Luca Murgia, che aveva trovato nella scrittura una via per dare voce ai suoi fantasmi e non sentirsi più solo, si ritrova a vivere una crisi di fronte alla letteratura come strumento di verità. La moralità, di cui è alla continua ricerca nella vita come nell’arte, lo allontana sempre di più dalla moglie la quale, diversamente da lui e all’opposto della sua pallida immagine riflessa nello specchio, pare non cambiare mai.
L’Autore adopera in modo originale la tecnica narrativa usata da Joyce nei suoi Dubliners, l’epifania, per fare emergere, nel quotidiano, un momento che diventa rivelazione nella vita del personaggio, durante il quale dettagli trascurabili, pensieri, gesti, oggetti, sensazioni emergono e si uniscono insieme per condurlo a una nuova consapevolezza interiore. Si tratta, spesso, di dettagli o ricordi sepolti per lungo tempo nella memoria e che all’improvviso vengono in superficie per dare avvio a un processo mentale lungo e doloroso.
Tutti i racconti iniziano in media res ad avvenimenti già in corso. In modo accattivante tengono sospeso il lettore che è sedotto dalla velocità degli schizzi con cui l’autore, in modo accurato e dettagliato, dipinge le scene, e dal pennello lesto puntato sulla vita interiore dei personaggi; chi legge brama di capire, vuole sapere cosa sta succedendo, dove si sta andando, proprio come Dino; ma solo quando sarà giunto il momento, il momento rivelatore, punto nodale di tutte le trame, l’epifania avrà fatto il suo tempo. La rivelazione per tutti sarà, appunto, l’estraneità, il perturbante che Freud definiva come […] quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare
.
In tre dei racconti (Il viaggio
, La coda
, Il clown
), il tutto potrebbe essere solo frutto dell’immaginazione o dell’attività onirica, ma cambia poco; i personaggi non distinguono sempre la realtà dal sogno, o comunque lo fanno con difficoltà. Tutti passano davanti a uno specchio nel quale improvvisamente scoprono quell’altro che, forse, è sempre stato dentro di loro e al quale non avevano mai fatto caso.
La stessa silloge di racconti sembra rappresentare uno specchio speciale che, riflettendo oggetti di identificazione, ci permette di proiettare su di esso diversi aspetti della nostra vita interiore; uno specchio nel quale ci riflettiamo per trovare, anche, un nostro senso di identità. A tutti è capitato, almeno una volta nella vita, di trovarsi di fronte alla propria immagine e non riconoscersi, a percepirsi diversi da quanto lo specchio rifletteva o da come gli altri ci proponevano. Nello stesso tempo, lo specchio/racconto diventa anche il luogo dove si incarnano gli oggetti separati dal Sé, oggetti differenti che ci permettono di dire quello non sono io, è quel personaggio e, quindi, ci impediscono di accettare la rappresentazione delle fantasie proiettate.
Spesso, il non addetto ai lavori pensa all’analista come a uno specchio, recettore delle proiezioni del paziente e del suo mondo interiore, uno specchio nel quale il paziente possa vedere le proprie fantasie inconsce trasferite. In realtà, da tempo, si parla piuttosto di incontri di inconsci ed è nella relazione che si fonda il cambiamento terapeutico, relazione che forse è mancata nell’esperienza vitale dei personaggi dello Specchio, ma che non è mancata nel mio incontro con l’Autore e con le sue epifanie.
Francesca Dabrassi
Il viaggio
Ma i veri viaggiatori sono quelli che partono
per partire; cuori leggeri, simili a palloncini,
non s’allontanano mai dal loro destino,
dicono sempre: Andiamo e non sanno perché.
Quelli i cui desideri hanno forma di nuvole. [1]
L’acquazzone aveva schiarito l’aria e l’orizzonte, alto sulla prua, appariva ancora più sottile e lontano; la brezza leggera, ma insistente, spezzava i flutti in mille frange schiumose con le quali giocava prepotente, tessendo candide trine per scioglierle ancora in capricciose aeree bolle. A prua le onde frangevano rumorosamente contro la chiglia del Poeta e sollevavano in alto perle leggere di frescura zampillante. Folate di acre aria salmastra pizzicavano le narici poco avvezze di due tre passeggeri sdraiati oziosi sul ponte a rubare un ultimo raggio di sole prima della sera. Ritto a prua, lo sguardo all’orizzonte lontano, Dino pareva il vecchio comandante d’un antico veliero, a guardia del vento e delle onde. Alle sue spalle il sole calava lento, lanciando bagliori di fiamma su un altro orizzonte, mentre anche l’ultimo gabbiano, che testardo aveva seguito dal porto la nave confidando in qualche avanzo di cibo, non aveva trovato il coraggio d’affrontare l’ignoto di un lungo viaggio ed era tornato verso la terraferma.
La sera scese malinconica su quel viaggio sognato, strappato all’intenzione, imposto da un sogno confuso come quei flutti dell’Egeo che nell’oscurità cominciavano ad apparire lontani. Gli altri passeggeri erano rientrati. In pochi istanti il buio avrebbe inghiottito il mare e in coperta avrebbero servito la cena, in un brusio di voci vacanziere e un tintinnare allegro di stoviglie che non trovava per niente attraente. Perché era su quella nave? Perché si era precipitato in agenzia a prenotare quella traversata? Non fosse stato per quella irresistibile attrazione che negli ultimi mesi aveva occupato ogni suo pensiero, non fosse stato per quella maledetta sensazione che gli faceva sentire quel viaggio come una necessità assoluta, se ne sarebbe rimasto a casa. Ma non aveva potuto farci niente e aveva ceduto al richiamo. In un altro momento, nulla gli sarebbe sembrato più naturale, li aveva fatti mille e mille volte in classe, questi viaggi, con i suoi studenti, sull’atlante, nell’ora di storia: e questo, non fosse stato per quel sogno bizzarro, non sarebbe stato tanto diverso da quelli: anche l’Egeo aveva il colore azzurro dell’atlante di scuola e l’alito del vento era quello che spingeva la vela di Ulisse di ritorno da Troia. Proprio così, non fosse