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Il Saio a Metà
Il Saio a Metà
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E-book264 pagine3 ore

Il Saio a Metà

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Info su questo ebook

Mara è bella, elegante e ricca. Cresciuta in una residenza a cinque stelle. Ioan è giovane, affascinante e con due grandi occhi color cioccolata. I loro sguardi si incrociano in un pomeriggio di primavera. Da quell'istante, la vita di Mara non è più la stessa. Sapere chi è quell'uomo misterioso è il suo unico pensiero. Si rivelano vani i molteplici tentativi di incontrarlo nuovamente, tanto che lei si convince ad abbandonare il desiderio di lui e a catalogare quell'incontro fortuito come un evento straordinario e irripetibile. La vita è imprevedibile e per opera di inaspettate coincidenze, si ritrovano l'uno di fronte all'altra. Da qui ha inizio una storia avvincente e audace. Ricca di richiami introspettivi ed emozionali. Un susseguirsi di momenti animati dalla voglia di conoscersi, di parlarsi, di farsi spazio nel cuore di entrambi. Tra i due però c'è una "presenza" molto forte...
LinguaItaliano
Data di uscita1 gen 2015
ISBN9788891174130
Il Saio a Metà

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    Anteprima del libro

    Il Saio a Metà - Francesca Risi

    L’autrice

    Francesca Risi laureata in Filosofia.

    Docente e scrittrice.

    Si definisce un’attenta osservatrice delle molteplici realtà di questo mondo.

    Immensamente grata a Dio per tutti i doni ricevuti.

    Il Saio a Metà è un romanzo a lei particolarmente caro.

    Il libro

    Il Saio a Metà è un romanzo di emozioni.

    È la storia di Mara e di Ioan.

    Lei, donna idealista e ribelle, tenace e dolce.

    Lui, un frate di convinzioni molto salde, fedele e rispettoso del saio che indossa, ma anche passionale e temerario.

    I loro sguardi si incrociano in un pomeriggio di primavera. Da quell’istante, la vita di Mara non è più la stessa. Sapere chi è quell’uomo misterioso è il suo unico pensiero.

    Si rivelano vani i molteplici tentativi di incontrarlo nuovamente, tanto che lei si convince ad abbandonare il desiderio di lui e a catalogare quell’incontro fortuito come un evento straordinario e irripetibile.

    La vita è imprevedibile. Per opera di inaspettate coincidenze, si ritrovano l’uno di fronte all’altra.

    Da qui ha inizio una storia avvincente.

    Un susseguirsi di momenti animati dalla voglia di conoscersi, di parlarsi, di farsi spazio nel cuore di entrambi.

    Tra i due però c’è una presenza molto forte.

    Ioan è un sacerdote e ha uno stile di vita che gli impone di non innamorarsi. Una rinuncia fatta quando ancora era adolescente. Quando è accanto a Mara, si scopre capace di provare un forte sentimento a cui è difficile resistere. Sente tutta la prepotenza dell’amore e del desiderio.

    Mara, consapevole della scelta fatta da Ioan, per paura di perderlo, cerca di arginare quella piena di emozioni che le ingorga il cuore.

    L’amore però non si fa facilmente tarpare le ali. Soprattutto quando è puro, inaspettato e sincero. I due, di fronte al sentimento che sta sconvolgendo le loro esistenze, devono decidere se lasciarsi travolgere da esso oppure rinunciarvi, anche a costo di soffrire di dolore.

    L’intreccio dei protagonisti si consuma in un’ambientazione lussuosa, sotto gli occhi ignari di parenti e amici che si prestano, con le loro vite parallele, a rendere esilarante, quanto basta, l’atmosfera.

    Il Saio a Metà

    A Giulia.

    A mia madre e a mio padre.

    A Winnie.

    Parte Prima

    "Vorrei che questo momento non avesse fine. Quello che ora sento è la sua mano che stringe la mia e non posso non farci caso. Anche se con tutte le mie forze mi ostino a considerarlo un prete, non riesco a nascondere il brivido che ho dietro la schiena.

    Quando salirò sul quel treno, dovrò portare con me solo il ricordo di una bella giornata trascorsa con lui, senza alimentare il desiderio di rivederlo, di abbracciarlo, di baciarlo…"

    Maggio

    Devo smettere di pensarlo. Sono anni che vivo libera e spensierata. Senza gelosie, turbamenti e pene sentimentali. Non capisco l’ostinazione della mia mente a voler trattenere questa fissazione.

    Lucia, la mia amica, dice che devo trovare uomini finiti, perché alla nostra età non c’è più tempo per i colpi di testa. Ha ragione! Che senso ha continuare a fantasticare su di lui? L’ho visto una sola volta e pure di sfuggita.

    Mentre il fluire dei pensieri attanaglia la mia mente, un solo desiderio primeggia nel mio cuore: rivederlo al più presto. Come fare? Come riuscire a trovare un indizio, un segno che possa ricondurmi a lui?

    Certo, le strategie potrebbero essere tante, ma non per me che ho l’autostima sotto i piedi e il concetto di sé alterato dalla nascita. E poi, non è assolutamente facile suscitare l’interesse di uomini dotati di così tanta bellezza.

    «Mara non essere sciocca. Sei semplicemente abbagliata dal suo fascino, l’hai visto per una manciata di secondi senza neanche parlarci» afferma Lucia.

    «E se così fosse, perché continuare a pensarlo? Perché, da più di un mese, è il mio chiodo fisso? Insomma, è la prima volta che provo queste sensazioni da quando Luca non c’è più.»

    «Forse, sarà la circostanza in cui è avvenuto il vostro incontro?»

    «Ritieni che il luogo dove l’ho visto stia dando peso a questa emozione?»

    «Non dico questo. Penso però che tu la stia caricando di un’enfasi che non merita. Se vi foste incontrati al supermercato, in fila alla cassa, o in sala d’attesa dal medico non l’avresti neanche notato. Mara eri in chiesa, seduta tra i banchi vuoti, in raccoglimento, come dici oramai da un po', ti passa uno tipo avanti, ti abbozza un mezzo sorriso, vi guardate due secondi e ti scatta l'ossessione da allora?»

    «Non è un'ossessione. Vorrei non pensarci più ma non riesco ad allontanare da me l'idea di lui… la sua immagine.»

    «Io lo so cosa ti è accaduto» ride Lucia mentre tenta di infilarsi una felpa di cotone.

    «Ci conosciamo da molto. Tu a me non puoi mentire. Ho avuto tanto rispetto per il tuo dolore in questi anni e ho capito anche la fase spirituale per la quale ti sei dedicata alla clausura, ma in questo desiderio, lo sai cosa ci vedo? Ci vedo solo un altro tentativo di fuggire dalle tue paure, cara amica mia.»

    «Lucia… finiscila con queste mie paure che lo metti ovunque!»

    «Non dirmi che ora credi che quell’incrocio di sguardi sia stato amore a prima vista? Non sai nulla di lui. Potrebbe essere sposato. Da allora non l'hai più incontrato!»

    «Sì è vero. È solo che io… ho sentito dentro una corda vibrare.»

    «Questa corda che vibra, oramai da un po', per uno che ti è solo passato avanti e che forse non rivedrai mai più, mi fa ridere.»

    «Hai ragione! Devo abbandonare la fissazione di lui» le dico rassegnata.

    «Questa è paura di innamorarti nuovamente» ribatte Lucia.

    «Ancora? Sei un tormento» afferro il cellulare e mi incammino verso la porta. «Muoviti dai, Pamela è giù che ci aspetta.»

    Com’è difficile spiegare la magia di quell'incontro. Io ero lì, assorta nei miei pensieri, quando improvvisamente passò lui. Mi scivolò avanti il tempo necessario per scolpirne il volto e trasferirlo al mio cuore.

    Ricordo che rimasi più di un'ora seduta sulla panca di legno, immobile, ad aspettare che uscisse dalla stanza buia, di fronte a me. Fu nel preciso istante in cui aprì la porta marrone, a vetro opaco della sagrestia, che i nostri sguardi si incrociarono.

    È passato un mese da allora. Sono le quattro di notte. Provo a riordinare i pensieri su carta ed è così arduo seguire il flusso di coscienza che mi tiene sveglia. I miei sensi sono desti e penso al sogno che anche stanotte mi ha svegliata. Un luogo desolato, una collina. Un gregge di pecore al pascolo e vecchie dimore sparse. Un cielo grigio che rende immobile tutto intorno. In lontananza una coppia che, nonostante fosse ferma lungo la linea tracciata tra l'orizzonte e la vallata, sembra muoversi. Lei con una mano sul suo ventre gravido e lui accanto. Non riesco a focalizzare i volti, le espressioni di lui e di lei.

    Quello che mi rimane, di questo sogno, è la sensazione di completezza che ho avvertito subito dopo il risveglio. Sento la vita dentro di me.

    Febbraio

    Sono le nove. La sveglia suona oramai a intervalli da più di mezz’ora, io non ho voglia di alzarmi. Sono passate tre ore e mezzo da quando ho chiuso gli occhi. Vorrei restare ancora un altro po’ sotto le lenzuola, per continuare a sognare. Lo so che lasciando questo letto la mia fantasia subirà un arresto. Ci sono delle mattine che la mente rifiuta di dare spazio alla lucidità e pur consapevolmente lucida non rinuncerebbe a qualche altro istante di riposo. Stamattina non posso. Ho da sbrigare diverse faccende di lavoro.

    Scendo dal letto. Winnie, il mio cane, invece resta tra le coperte. Quante volte vorrei essere al suo posto.

    Il rito si ripropone. Caffè, doccia e dieci minuti di riflessione per risolvere il quotidiano quesito: cosa mi metto? Dopo aver contemplato il mio armadio e ragionato sugli impegni lavorativi della giornata, decido di indossare qualcosa di pratico e di tutta fretta esco. Devo passare da un fornitore per un preventivo e poi incontrare Fiona.

    Fiona è l'assistente di mia madre. Per lei nutro un affetto profondo. Da quindici anni lavora nell’albergo. Segue il personale, gli ordini, la manutenzione, la cucina, le pulizie. È temuta un po’ dai dipendenti poiché molto risoluta e di poche parole. Non si è mai sposata e ha sempre vissuto nella stanza numero 1, in fondo al corridoio, al piano terra.

    L’idea di poter contare su di lei mi ha fatto pesare meno la decisione temporanea di ritornare in Italia, presso l’azienda di famiglia. Da maggio, infatti, ho lasciato Vilnius, per venire ad aiutare mia madre.

    Oltre a essere brillante, Fiona gode di uno spiccato senso pratico, requisito necessario per il lavoro che è chiamata a svolgere. Onesta e leale. Cresciuta in Romania ma nata in Germania, da anni vive in Italia.

    Io e Fiona lavoriamo duro. Solare, simpatica e sempre informata sugli ultimi eventi in città, con lei mi diverto tanto. Di tedesco ha ben poco se non l’altezza e una smodata puntualità. Occhi cerulei, viso spigoloso e lunghi capelli ramati.

    Ho da ultimare delle pratiche burocratiche per conto di mia madre. Con Fiona mi vedrò in centro, a mezzogiorno. È necessario che mi sbrighi, poiché, nel primo pomeriggio, dovrò raggiungere Paolo, il mio migliore amico, che è ricoverato in ospedale.

    Un corteo di manifestanti mi taglia la strada. Resto ferma in macchina. Vedere quei ragazzi mi porta indietro nel tempo. Penso a mio padre, a mia madre, alla mia infanzia alla Domus Aurea.

    Sono cresciuta in un albergo a cinque stelle immerso nel verde collinare circondato da boschi e vigneti, alle pendici di una montagna innevata per buona parte dell'inverno.

    Mio padre è morto due anni fa. È suo il merito di aver messo su questa grande struttura alberghiera che ospita turisti provenienti da ogni dove e per tutto l'anno. La fiorente attività, nel tempo, si è distinta per efficienza e cordialità e questo l'ha resa popolare tra i viaggiatori d'élite disposti a spendere un po’ di più ma avere la garanzia della qualità e del comfort. Del resto, la filosofia dei miei genitori è stata sempre quella di avere cura dell'ospite e farlo sentire a casa.

    D'inverno accoglie turisti che amano sciare, d'estate è frequentato da persone che si rilassano tra escursioni in alta quota o passeggiate in collina.

    Poi ci sono gli affezionati. Coloro che vengono da molto tempo, da quando era in vita mio nonno, a trascorrere dei periodi più o meno lunghi durante l'anno.

    La Domus Aurea è una sofisticata impresa alberghiera formato famiglia. L'intero arredamento è in stile barocco. Le ampie sale, gli spazi comuni, i lunghi corridoi sono rifiniti con gusto nei minimi dettagli. Dalla moquette crema, al parquet lucido color ciliegio a nido d'ape, alle lunghe mantovane dal doppio colore dorato e bianco latte. La residenza sorge lontano dal traffico della città. Lungo la strada comunale, prima di oltrepassare l'imponente cancello della Domus, qua e là ancora qualche casa di periferia, un parco, la fermata dell’autobus numero 39, un piccolo bar frequentato dalle stesse facce che giocano a carte, sempre alla stessa ora e con il bicchiere di birra pieno.

    Attorno un’immensa distesa di bosco. Attraversando il sentiero brecciato, costeggiato da siepi e lampioni di rame bruniti, che va dal cancello d’entrata all’ingresso principale, si ha quasi la sensazione di essere in una residenza reale.

    Si percepisce un’atmosfera fiabesca. Un palazzo principesco con aiuole e giardini tutt’intorno che ne determinano il perimetro.

    La facciata frontale sembra richiamare un’antica casa nobiliare ottocentesca. Di fronte una fontana rotonda dalla quale sgorgano su tre livelli zampilli d’acqua che producono, una volta ricaduti, un gioco di schiuma e movimento. Al centro una Venere avvolta da una veste aurea che porta sulle spalle una scintillante tinozza, dalla quale scende un imponente getto d’acqua.

    Le due facciate laterali abbracciano una parte di quella collina che è attraversata da un rivolo modesto circondato in primavera da fiori di campo gialli e viola.

    All’esterno un antico gazebo ottagonale in ferro e delle panchine da giardino in legno.

    L’albergo si sviluppa su tre piani compreso il piano terra. Oltre alle stanze da letto, arredate con cura nei particolari, a ogni piano c’è una sala speciale.

    A seconda dei momenti della giornata, gli ospiti possono intrattenersi di mattina al bar al piano terra, nella saletta Café, con i divani in pelle e i piccoli tavoli rettangolari. Nel pomeriggio gustare del tè al secondo piano e lasciarsi accarezzare dalle note di un violino, in un’atmosfera di colori chiari e sfumature dorate, nella sala Après-midi.

    Infine, dopo aver cenato nell’ampio ristorante, si può aspettare la notte, al suono di un pianoforte, tra una partita di scacchi e una chiacchierata tra amici, avvolti dal colore rosso scuro delle pareti e dall’odore di cherry, al terzo piano nella sala Soirée.

    E poi c’è quella che per me è la sala più bella, aperta dalla mattina fino a tarda ora, dove si respira aria di cultura. Il Salotto dei Saggi. Un’intera stanza arredata con sofà rosa antico, tappeti e arazzi dalla tessitura orientale, quadri a olio e cimeli provenienti da tutto il mondo. Senza finestre, illuminata dalla luce viva di un camino bianco laccato, lampade di cristallo e plafoniere di vetro di Murano. Lungo le pareti delle enormi scaffalature in legno massiccio, contenenti più di cinquecento libri rilegati in pelle blu, divisi per periodo e per autore. Gli ospiti più affezionati amano trascorrere, soprattutto durante le piovose giornate autunnali, delle ore liete, ammaliati dal fascino della lettura e dal candore dell’arredo.

    Io e mia sorella siamo cresciute in questa meravigliosa tenuta d’altri tempi.

    Sono due ore che aspetto nella saletta fuori dal reparto di chirurgia. Mi chiedo perché ci mettano così tanto tempo. Accanto a me una signora che continua a pregare con il rosario in mano. La cosa mi meraviglia. Come fa la gente a trovare consolazione nella preghiera? Credo che ci sia un momento nella vita di alcuni, quando si arriva a toccare il fondo, che ogni forma di consolazione diventi utile.

    Suona il cellulare.

    «Dimmi Giulia.»

    «Dove sei?»

    «In ospedale, da Paolo.»

    «Come sta?»

    «Sto aspettando che mi facciano entrare.»

    «Ti chiamo per ricordarti che stasera siamo a cena da mamma.»

    «La cena da mamma! Me ne ero proprio dimenticata.»

    «Dove hai la testa in questi giorni…»

    «Sotto la sabbia» ribatto infastidita. «Comunque grazie.»

    «Calmati Mara. A dopo!»

    Si apre finalmente la porta del reparto. Ho provato più volte a telefonare a Paolo durante la mattinata. Strano non aver ricevuto neanche il suo solito messaggio pre-colazione. Entro nella sua stanza, non c’è nessuno. Vedo il suo cellulare riposto sul mobiletto, il letto sgualcito, il libro che gli avevo portato la settimana scorsa, aperto a metà. Incomincio a sfogliarlo.

    «Buonasera!» mi saluta un’infermiera dal volto paffuto, con una flebo in mano. «Le devo chiedere di accomodarsi fuori, dobbiamo liberare la stanza.»

    «… Ehm certo, solo che sto aspettando il mio amico che è ricoverato qui. Mi sa dire dov’è? Sono passata a prenderlo poiché mi ha detto che sarebbe uscito alle due, ma credo sia sceso per una visita, dato che c’è ancora tutta la sua roba in giro.»

    «Il signore è stato portato d’urgenza in sala operatoria. L’intervento è finito da poco. È ricoverato in terapia intensiva.»

    «Come?» domando basita. «Cosa è successo?»

    «Non deve agitarsi. Ci sono state delle complicazioni. Saranno i medici a dirle tutto.»

    Ieri sera stava bene. Mi parlava di emergenza rientrata, di dimissioni. Addirittura rideva a telefono. Mi precipito nella stanza dei medici.

    «Signora, le emergenze non si possono prevedere. Il suo amico è un po' testardo. Ha rischiato stanotte e se non avesse avuto quell’emorragia, stamattina avrebbe firmato le dimissioni. I sospetti che noi avevamo non erano infondati. In ogni modo, l’intervento è andato bene. Adesso dobbiamo attendere il risultato della biopsia.»

    «Posso vederlo?»

    «Meglio lasciarlo dormire. È sotto l’effetto dell’anestesia. Torni a casa. Abbiamo il suo numero. Per qualunque cosa la terremo informata.»

    Paolo lo conosco dall’epoca del liceo. Siamo stati compagni di classe. È l’amico a cui puoi confidare tutto. Riservato, di grande sensibilità e sempre con un consiglio pronto per alleggerire ogni turbamento. Di lui amo la timidezza nonostante il suo metro e novanta di altezza. È un veterinario con una grande passione per il nuoto.

    Sono seriamente preoccupata per lui. Eppure mi aveva detto che non era niente di grave. Il suo ricovero in ospedale era solo per accertamenti. Da diverso tempo lo torturava un dolore all’addome. In ogni modo non devo angustiarmi. I medici hanno detto che starà bene e che uscirà presto. Quindi sarà meglio che vada.

    Infilo incurante il libro di Paolo nella mia borsa e mi incammino stordita verso l’ascensore.

    Mia madre ha deciso di cenare con noi, nella sua residenza adiacente alla tenuta. Questo significa che dovrà annunciarci qualcosa di importante.

    Rientro nella mia stanza. Ho un’ora di tempo per poter riposare. Accendo le candele profumate, mi immergo nella vasca idromassaggio.

    Sono passati sì e no cinque minuti, quando il rumore di una porta che sbatte mi fa sobbalzare. Per lo spavento, tento di aggrapparmi al poggia mano della vasca ma do una gomitata al portasapone appoggiato sul bordo. Nel timore che si possa schiantare sulla mia testa, cerco di afferrarlo, ma non riesco a trattenere la presa. Mi scivola tra le dita grondanti di acqua e schiuma e si frantuma in mille pezzi sul pavimento.

    «Maraaa» sento gridare.

    Santa pace, mia sorella! Spero abbia un buon motivo che l’ha spinta a fare irruzione nella mia stanza in questo modo. Esco dalla vasca.

    «Che c’è?» grido impetuosa mentre indosso l’accappatoio.

    «Scusa, ho provato a picchiare più di una volta, sentivo la musica e sono entrata» mi dice con fare immacolato vicino alla porta del bagno. «Volevo chiederti se… se stasera vuoi accompagnarmi, dopo cena. Vorrei…»

    «No Giulia! Te lo puoi scordare, io non ci ritorno in quel posto e soprattutto non sto tutta la notte appostata a spiare i suoi movimenti.»

    «Ti prego Mara solo per questa volta. Poi ti giuro che non ci andrò più.»

    «Dovrei crederti. Sono tre notti di fila che mi costringi a pedinare quel povero ragazzo. Come se non bastasse, l’altra sera stavamo rischiando anche che ci scoprisse nascoste dietro la siepe, di fronte al pub.»

    La guardo e vedo la confusione nei suoi occhi.

    «Ascolta, ti devi fidare di lui. La devi piantare di essere così paranoica. Stefano ti vuole bene. State attraversando un momento di crisi che si risolverà», mi avvicino e le accarezzo la testa. «Lui ti ha chiesto di stare un po’ divisi. Rispettalo nella sua decisione.»

    «Lo so ma non mi ha dato una spiegazione, un motivo vero che potesse giustificare questa sua scelta. Si sente oppresso?»

    «Sicuramente avresti potuto evitare delle scenate» dico ironica. «Tipo... quando gli hai svuotato in testa un boccale di birra perché eri convinta che stesse facendo gli occhi dolci a una cameriera.»

    «Avevo bevuto e poi è passato del tempo. Sono sei anni che stiamo insieme», gli occhi le si riempiono di lacrime. «Mai una lite, un malumore. È accaduto tutto così improvvisamente. Su cosa mai deve riflettere?»

    «Io credo che dopo tanti anni di fidanzamento sia pure normale chiedersi se valga la pena continuare. Dagli del tempo e vedrai.»

    «Va bene, gli darò del tempo, ma stasera

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