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Rerum Uchronicarum Fragmenta
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E-book272 pagine4 ore

Rerum Uchronicarum Fragmenta

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Info su questo ebook

Spesso si sente dire che la storia non si fa con i se e con i ma. La storia no, ma la letteratura sì. Che cosa sarebbe accaduto se i persiani avessero sconfitto i greci a Salamina? Cosa se la congiura contro Cesare fosse fallita? Cosa se Lutero fosse morto durante il suo viaggio a Roma? Cosa se il 28 giugno 1914 la pistola di Gavrilo Princip si fosse inceppata? Basta un piccolo evento, il volo di una farfalla, e la storia cambia corso. Le venti brevi ucronie che costituiscono i Rerum Uchronicarum fragmenta indagano altrettante storie alternative, partendo da vicende realmente accadute e seguendo le vite di personaggi più e meno famosi. Attraverso guerre, amori e scene di vita quotidiana il lettore guarda la storia da una prospettiva diversa, cogliendo venti schegge di universi che, per un guizzo della sorte, non sono mai esistiti. Da queste ucronie emerge che il nostro, forse, non è il miglior mondo possibile, come diceva Leibniz, ma nemmeno il peggiore.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2015
ISBN9788868151454
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    Rerum Uchronicarum Fragmenta - Marco Cristini

    Rerum Uchronicarum Fragmenta

    saggio

    Marco Cristini

    Published by Meligrana Editore

    Copyright Meligrana Editore, 2015

    Copyright Marco Cristini, 2015

    Tutti i diritti riservati

    ISBN: 9788868151454

    In copertina:

    Kaspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia

    1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo.

    Meligrana Editore

    Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)

    Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041

    www.meligranaeditore.com

    info@meligranaeditore.com

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    INDICE

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    Marco Cristini

    Copertina

    AUTONOMIA E LIBERTÀ

    ALESSANDRIA HESPERIA

    ROMA DELENDA EST

    IMPERATOR

    L’AQUILA

    WACHT AM RHEIN

    1453

    L’ELOGIO DELL’ERESIA

    I DUE LEONI

    I COWBOY E L’IMPERO

    FELIX AUSTRIA

    LA GRANDE IDEA

    L’ORA DEL DESTINO

    IL PATRIARCA

    DER FÜHRER IST TOT

    L’ORIENTE È BIANCO

    HIEROSOLYMA

    RULE, BRITANNIA!

    IMPERIUM SINE FINE

    LA FINE DELLA STORIA

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    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale.

    Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la propria copia.

    Grazie per il rispetto al duro lavoro di quest’autore.

    Marco Cristini

    Marco Cristini è nato il 7 febbraio 1992 a Brescia, città in cui risiede. Ha frequentato il Liceo Scientifico Nicolò Copernico, sempre a Brescia. Nel 2011, dopo il diploma, si è iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel 2014 ha conseguito la Laurea Triennale in Lettere.

    Nel 2013 ha pubblicato su Amazon Kindle Direct Publishing un romanzo storico intitolato I cavalieri del Crepuscolo, ambientato in Italia durante il regno ostrogoto, tra il 526 e il 535. Inoltre scrive poesie e racconti brevi in latino, che ha pubblicato su riviste letterarie latine come Vates: The Journal of New Latin Poetry, Vox Latina e Melissa.

    Contattalo:

    markcris@alice.it - marco.cristini92@gmail.com

    AUTONOMIA E LIBERTÀ

    Se gli ateniesi, spaventati dal pericolo incombente, avessero lasciato il loro

    paese o, rimanendovi, si fossero arresi a Serse, nessuno avrebbe combattuto

    il re sul mare. E se nessuno si fosse opposto a Serse sul mare, ecco ciò che

    sarebbe accaduto sulla terraferma. Anche se i peloponnesiaci avessero eretto

    molte mura da un capo all’altro dell’Istmo, gli spartani, abbandonati dai loro

    alleati (non per scelta, ma per necessità, dato che le loro città sarebbero state

    espugnate una a una dalla flotta dei persiani), sarebbero rimasti isolati e, una

    volta soli, dopo aver compiuto imprese degne di memoria, sarebbero morti gloriosamente.

    (Erodoto, Storie, VII, 139, 2-3)

    Nonno, ho paura!. Il vecchio, che stava scrivendo qualcosa alla luce tremolante di una candela, si voltò di scatto. Dion, cosa ci fai alzato a quest’ora?. È colpa dei tuoni e del vento, non riesco a dormire. Ho paura che mi crolli tutto in testa. Proprio in quel momento la luce di un fulmine illuminò violentemente la stanza. Il bambino sobbalzò e corse tra le braccia del nonno. È solo un temporale, Dion. Qualche dio si sta divertendo, lassù in cielo. Ma noi poveri mortali non dobbiamo avere paura, se stiamo tranquilli nelle nostre case e non ci impicciamo nelle loro faccende. Il bambino annuì, ma era ancora spaventato. E se Zeus decide di ucciderci tutti con un fulmine come ha fatto con Capaneo?. Il vecchio lo guardò stupito. Chi ti ha raccontato queste cose?. Ieri ho sentito dei bambini più grandi che ne parlavano. Dicevano tante cose su una città malvagia assediata da sette condottieri e uno di loro si chiamava Capaneo. Era il più forte di tutti, ma Zeus era geloso, così lo ha ucciso con un fulmine. Beh, questo è quello che racconta Eschilo. Chi è Eschilo?. Era un famoso scrittore di tragedie. Ed era un ateniese, come me.

    Gli occhi del vecchio si persero nel vuoto, dietro a immagini e fantasmi del passato. Nonno, mi racconti una storia?. Una storia? Ma, Dion, è notte, tu dovresti essere a letto.... Con tutti questi tuoni non riesco a dormire. E poi ti prometto che dopo farò il bravo e tornerò nella mia stanza. Il vecchio sorrise. E va bene, ma prometti di non dire niente a tua madre. Lo prometto! rispose subito il bambino. Poi aggiunse: Mi racconti la storia di Serse?. Ancora? Dion, te l’avrò già raccontata mille volte. E poi è una storia così triste, perché ti piace tanto?. Il bambino lo guardò con due occhi supplicanti. D’accordo, d’accordo, ma poi non ti lamentare se hai qualche incubo. Il vecchio fece sedere il nipote sulle ginocchia e incominciò.

    A oriente, in una terra remota e selvaggia chiamata Persia, c’era un re potentissimo e ricchissimo di nome Serse. Suo padre aveva tentato di conquistare Atene, ma aveva fallito. Prima di morire, però, aveva fatto giurare al figlio di sottomettere la Grecia. E così fu. Non appena Serse salì al trono cominciò a radunare uomini e navi per attaccare i greci e per togliere loro la libertà. Non si era mai visto un esercito così grande, milioni di uomini marciavano sotto le insegne del gran re, migliaia di navi trasportavano cavalli, provviste e macchine da guerra. A un certo punto raggiunsero un braccio di mare che li separava dall’Europa. Il re fece subito unire cento barche e con esse creò un ponte in modo che le sue truppe attraversassero le acque senza nemmeno bagnarsi i piedi. Così la marcia poté proseguire, ma un bel giorno si trovarono di fronte un altro ostacolo: una penisola si protendeva in mezzo al mare e sbarrava la strada alla flotta. Il re non si scoraggiò, diede subito ordine di scavare un canale in mezzo alla roccia e in pochi giorni dove prima c’era la terra comparvero le onde dell’Egeo. I greci che amavano la libertà nel frattempo si erano riuniti a Corinto e avevano deliberato di resistere con tutte le loro forze ai barbari, ma erano pochi. Mandarono contro Serse il re spartano Leonida con trecento guerrieri, però i persiani li uccisero a tradimento. I barbari giunsero in pochi giorni davanti ad Atene e devastarono la città. Gli ateniesi, intanto, si erano rifugiati sull’isola di Salamina e avevano schierato la loro flotta.

    Si fermò per un istante, certi ricordi gli facevano ancora male, sebbene fossero passati tanti anni. Presto arrivarono le navi dei barbari e cominciò la battaglia. Inizialmente i nostri combattevano come dei leoni e stavano già mettendo in fuga i nemici, quando all’improvviso arrivarono le navi egiziane. I persiani ripresero coraggio e la flotta ateniese, stretta tra due avversari, fu sconfitta. Serse offrì agli ateniesi la pace a patto che diventassero suoi sudditi. È triste dirlo, ma un terzo dei cittadini accettò questo ignobile ricatto. Gli altri, invece, riuscirono a fuggire e si dispersero in tutte le colonie dell’Occidente, giurando che un giorno sarebbero tornati.

    Mentre il vecchio diceva queste cose una lacrima gli solcò la guancia. Il nipote, però, non se ne accorse. E gli spartani? Nonno, perché non mi racconti anche di loro?. Già, hai ragione, me ne stavo dimenticando. Sai, non mi sono mai stati molto simpatici, però, poveretti, con la fine che hanno fatto vanno almeno ricordati. Allora, dove eravamo?. I barbari hanno sconfitto gli ateniesi a Salamina.

    Ah, sì. A quel punto il re decise di marciare subito verso l’Istmo di Corinto, dove gli spartani avevano costruito un lungo muro. Re Leontichida e i suoi soldati si batterono eroicamente per un mese, Eracle non avrebbe saputo fare di meglio. I persiani li sommergevano con le loro frecce e con le loro orde di schiavi, ma gli spartani li respingevano ogni volta. Purtroppo quei barbari infami non combattevano solo con le armi, ma anche con gli inganni. Il loro oro maledetto corruppe gli argivi e li convinse ad attaccare Sparta. Così Leontichida dovette accorrere per difendere la sua città e i persiani oltrepassarono l’Istmo. In quegli stessi giorni gli iloti, i servi degli spartani, insorsero e la flotta dei barbari iniziò a sbarcare truppe lungo le coste del Peloponneso. Una a una tutte le città alleate abbandonarono Sparta e si arresero al gran re. Alla fine, attaccato da ogni parte, stretto tra gli argivi, i barbari e i servi in rivolta, Leontichida si asserragliò a Sparta. Serse gli mandò un messo promettendo la salvezza e molto denaro se si fosse arreso, ma sai il re degli spartani cosa rispose?.

    Il bambino fece segno di no con la testa, anche se aveva già sentito il racconto decine di volte. Disse: ‘‘Persiano, la tua proposta è priva di senso. Infatti tu sai bene cosa significhi essere schiavo, ma non hai mai sperimentato la libertà, non sai se sia dolce o no. Credimi, se l’avessi provata anche solo una volta ora ci consiglieresti di difenderla non solo con le lance, ma anche con le asce’’. Il giorno dopo gli spartani furono attaccati da duecentomila barbari, senza contare gli iloti e gli argivi. Leontichida e i suoi compirono imprese degne di memoria, tinsero col sangue dei nemici le strade di Sparta, ma alla fine caddero tutti. Ormai della città dei lacedemoni rimangono solo rovine.

    Il bambino osservava il nonno con gli occhi spalancati, quasi come se avesse le rovine di Sparta davanti a sé. Il vecchio tacque, immerso nei suoi pensieri. Poi si riscosse e disse: Bene, io ho fatto la mia parte. Adesso devi rispettare tu il patto. Dion si alzò e si avviò verso la sua stanza. Il nonno lo accompagnò e lo mise a letto. Nonno, quando sarò grande tornerò in Grecia e riconquisterò la nostra terra, te lo prometto. Il vecchio sorrise. Certo, certo, ma adesso dormi. Te lo giuro, un giorno il mondo tremerà sentendo il nome di Dioniso di Siracusa, nipote di Temistocle l’Ateniese.

    Vent’anni dopo una nave faceva rotta verso le coste della Messenia. Sul ponte c’era un giovane che osservava l’orizzonte. La Grecia!. Un uomo gli si avvicinò. Allora, stratego, a cosa stai pensando?. Filisto, finalmente ti sei svegliato. Gli storici amano dormire a quanto vedo. Almeno tanto quanto gli strateghi amano fantasticare. Il giovane sorrise. Che cosa sarebbe una vita senza sogni? Un incubo infinito. Sono le fantasticherie, come le chiami tu, che cambiano il mondo. Comunque, se proprio ti interessa, non stavo fantasticando, stavo ripensando a mio nonno. Temistocle?. Esatto. Ha passato tutta la vita nel rimorso per non aver saputo fermare i persiani. Credo che oggi sarebbe orgoglioso di me. Certo che lo sarebbe. Tutti i siracusani sono fieri di te. Il giovane girò lentamente la testa verso la poppa della nave mormorando: E fra dodici mesi lo saranno ancora di più. Mentre pronunciava queste parole dalla foschia del mattino uscirono trecento navi, tutte dirette verso la Grecia.

    Pilo venne occupata senza alcuna resistenza. A Sfacteria vennero trovati due persiani mezzi morti di paura. Non si sapeva bene perché fossero finiti lì, ma Dioniso aveva la netta impressione che avessero qualche conto in sospeso con la legge. In ogni caso diede ordine di non fare loro alcun male. Li lasciò liberi con l’incarico di riferire al satrapo della Laconia che era arrivato Dioniso di Siracusa. Intanto da Messene giunse un drappello di anziani a chiedere che cosa volesse. Ridare la libertà ai greci fu la sua risposta.

    Nell’arco di un mese tutto il Peloponneso insorse, tranne la città di Argo, ormai troppo compromessa coi persiani. Artabano, satrapo della Laconia, mandò un messaggero da Dioniso per ordinargli di arrendersi se non voleva fare la fine dei vecchi spartani. Dioniso rispose che i barbari avevano due settimane per lasciare la Grecia. L’ambasciatore scoppiò a ridere e ripartì.

    Quindici giorni dopo Dioniso entrava a Sparta, o meglio, nelle rovine di Sparta. Quei cani non hanno lasciato in piedi nemmeno i templi! esclamò Filisto. Hanno fatto guerra agli uomini, alle pietre e agli dei. E noi faremo lo stesso!. I due cavalcarono per un po’ in silenzio, poi Filisto chiese: Che cosa vuoi fare con Artabano? Da quando è stato catturato fa stare sveglio mezzo accampamento con i suoi lamenti. Che cosa dicono i nostri alleati? Ha governato bene?. Bene? A quanto ho sentito non c’è mai stato un satrapo più crudele e avido di lui. Allora avrà ciò che merita rispose Dioniso e spronò il suo cavallo.

    Il giorno seguente Artabano fu buttato in un pozzo e lasciato lì a morire di fame. Nel frattempo quasi tutte le poleis greche stavano insorgendo contro i persiani. La flotta di Dioniso conquistò le Cicladi e l’Eubea, mentre la Beozia e la Focide vennero occupate dal suo esercito. Argo, che aveva resistito a un mese d’assedio, cadde sotto i colpi delle sue macchine da guerra. Gli abitanti vennero tutti ridotti in schiavitù. Filisto era contrario a questo provvedimento. In fondo sono greci. Hanno medizzato, hanno pugnalato alle spalle gli spartani mentre difendevano la libertà di tutti gli elleni. Non meritano nessuna clemenza. Da Atene arrivò la notizia che Tissaferne, il satrapo più potente della Grecia, era fuggito su una nave assieme al suo oro. È tempo di tornare a casa disse Dioniso.

    Quando giunse al Pireo il porto era pieno di cittadini in festa. Tutti i barbari presenti in città erano fuggiti, gli oligarchi pisistratidi erano stati uccisi dal popolo, le statue di Ippia e Ipparco giacevano sfigurate a terra. Dioniso fu accolto da un gruppo di cittadini capeggiati da un certo Alcibiade, il capo della rivolta antipersiana. Stratego, lei ha riportato in vita Atene! Nessuno sarà mai in grado di ripagare il debito che la Grecia.... Dioniso lo fermò con un gesto. La ringrazio, ma sono reduce da un viaggio molto faticoso. Se non le dispiace vorrei mangiare qualcosa. A tavola potrà finire di pronunciare il suo bel discorso.

    Quella sera ci fu un grande banchetto nell’agorà di Atene. Alcibiade diede abbondantemente prova delle sue abilità retoriche, ma Dioniso lo ascoltò assai distrattamente. Infatti era occupato a parlare con un uomo dalla faccia di satiro che lo tempestava di domande sulla giustizia, la felicità e la memoria. Dioniso, sebbene avesse avuto un’ottima educazione, spesso faticava a rispondergli in modo soddisfacente. Alla fine, dopo essere stato trascinato in una discussione sulla pietà, lo stratego sbottò: Insomma, se nessuna delle mie risposte le va bene perché non mi dice lei qual è la vera pietà?. Io? Ma io non lo so. E allora perché fa tante domande?. Proprio perché so di non sapere. Spero di trovare qualche uomo che illumini la mia ignoranza, dato che tutti sembrano così convinti delle loro opinioni. Dioniso sorrise. Non dopo aver parlato con lei. A proposito, potrei sapere il suo nome, o esimio tra i mortali?. Socrate, figlio di Sofronisco.

    Intanto i cittadini di Atene avevano già incominciato a litigare su come governarsi. Molti volevano tornare alle leggi dei padri, alla patrios politeia, come la chiamavano loro. Il problema era che non c’erano due persone che concordassero su queste sfuggenti leggi dei padri. Alcuni sostenevano una democrazia radicale, altri un’oligarchia ristretta, altri una via di mezzo. Una minoranza sperava che Dioniso lasciasse in città un governatore, una sorta di satrapo. Un piccolo gruppo di giovani, infine, aveva proposto allo stratego di assumere direttamente il comando della polis, ma Dioniso aveva la netta impressione che fosse più un tentativo di adulazione che un desiderio sincero. Siete dei pazzi! Volete rendere partecipi del potere gli schiavi e i morti di fame, che venderebbero la città per una dracma?. Tiranni, siete peggio dei persiani, volete trattarci tutti come servi!. Sarò morto prima che i mezzi-persiani possano accedere all’assemblea!.

    Dioniso diede una rapida occhiata al gruppo degli aspiranti legislatori e intuì che, a causa del vino e dell’inaspettata libertà, il clima si stava surriscaldando. Le voci salivano sempre più di tono e alcuni cittadini erano già passati alle vie di fatto. Così lo stratego decise di intervenire.

    Si alzò in piedi, aspettò che tutti facessero silenzio, poi disse: Cittadini di Atene! Oggi è un grande giorno per la vostra città e per tutta la Grecia! Sono passati settant’anni da quando i persiani vi hanno imposto la loro odiosa schiavitù, costringendo all’esilio quelli che, come mio nonno Temistocle, li avevano combattuti con determinazione. Hanno cercato di dividerci, di farci rinnegare i nostri valori e i nostri dei! Oggi, però, guardando i vostri volti e ascoltando le vostre parole mi rendo conto che hanno fallito! A parte qualche vile che ha ceduto alle loro lusinghe, il popolo ateniese è rimasto lo stesso di un secolo fa, quando Armodio e Aristogitone uccisero il tiranno Ipparco. Un boato di grida accolse quest’affermazione.

    Dioniso impiegò alcuni minuti per ottenere di nuovo il silenzio. Sento che molti di voi stanno discutendo su come governarsi ed è un bene, perché nessuno stato è stabile senza un buon governo. Tuttavia il nemico persiano non è ancora sconfitto. Proprio oggi mi è giunta voce che il gran re sta radunando un esercito sconfinato per massacrare i greci ribelli. Su tutta l’agorà calò il silenzio. Non è questo il momento di dividersi in fazioni e di combattersi l’un l’altro. Oggi la Grecia affronta una minaccia gravissima, la libertà appena conquistata può essere facilmente persa. Fece una pausa, lasciò che l’idea si facesse strada nelle menti dei presenti, poi aggiunse: Ma questi non sono i tempi di Serse, oggi la Grecia non è sola. Siracusa è al vostro fianco e con essa tutto l’Occidente! Insieme possiamo sconfiggere per sempre i persiani, possiamo vendicare i templi distrutti, gli spartani trucidati alle Termopili e nel Peloponneso, gli ateniesi morti nelle acque di Salamina! Per fare questo, però, ho bisogno dell’aiuto di tutti voi. Oggi, nella città che per prima ha sconfitto il Gran Re e i suoi schiavi, io annuncio che intendo rifondare la Lega Ellenica! I nostri avi si unirono settant’anni fa a Corinto per respingere i persiani, ma erano discordi e fallirono. Questa volta mi aspetto che tutti gli elleni aderiscano sinceramente alla nostra causa. Insieme libereremo i greci d’Asia e sconfiggeremo per sempre la Persia!.

    Un’ovazione accolse queste parole. Allora, chi è con me, chi è disposto a passare in Asia col mio esercito, a riscattare l’onore della Grecia?. Tutti, senza esclusione, si dissero pronti a versare il loro sangue per la comune libertà. Dioniso, prima che gli effetti del vino e del suo discorso sparissero, fece cenno ai suoi uomini di prendere i nomi dei cittadini abili alle armi e desiderosi di imbarcarsi. Poi disse: Finché durerà la campagna militare ciascuno è chiamato a dare il suo contributo. Chi rimarrà qui in Grecia deve riparare le mura e difendere le città. Essendo tali e tante le sfide che ci aspettano, cittadini ateniesi, di certo comprenderete che non è questo il momento più adatto per mettersi a discutere di leggi e governi. Pertanto propongo che la vostra città, fino alla fine della guerra, venga governata da un consiglio di uomini eletto da tutti coloro che oggi sono in grado di procurarsi un’armatura oplitica. Naturalmente non intendo abbandonarvi, lascerò qui ad Atene alcuni siracusani con l’incarico di aiutarvi in ogni modo possibile. La folla approvò a gran voce la proposta. Dioniso sorrise e, poco dopo, mentre usciva dall’agorà, pensò che quel giorno i greci erano passati dall’egemonia persiana alla sua. Ma non se ne erano accorti.

    In due mesi lo stratego radunò altre trecento navi. Unendole a quelle che già aveva era in grado di trasportare in Asia più di centomila uomini. Altri sarebbero poi arrivati via terra. Prima di salpare convocò i cittadini ateniesi più illustri e li esortò a concentrare tutti i loro sforzi contro il comune nemico, dimenticando le passate rivalità. Si era accorto che da quando i persiani avevano lasciato la città Alcibiade era diventato molto influente, forse troppo. Così quel giorno lo sorprese chiedendogli di accompagnarlo. Mi sono bastati pochi giorni per capire che lei, Alcibiade, è un uomo davvero eccezionale. Il mio esercito ha bisogno di persone come lei. L’ateniese, che non era insensibile alle lodi, sembrava incerto, la sua mente oscillava tra la speranza dell’oro persiano e quella del potere ad Atene. Intervenne il filosofo dalla faccia di satiro. Alcibiade, questa è un’occasione unica per la nostra città. Il tuo valore e la tua saggezza renderanno grande il nome di Atene tra tutte le genti barbare. L’ateniese, che sembrava rispettare molto Socrate, si lasciò convincere.

    Il filosofo, terminata l’assemblea, raggiunse Dioniso e gli disse: Stratego, sono certo che Alcibiade si batterà con onore. È un uomo ambizioso, l’astuzia e il coraggio non gli mancano. L’ho notato. Tuttavia durante la sua spedizione non avrà bisogno solo di guerrieri e strateghi. Occorre anche qualcuno che scriva le sue gesta, in modo che non si perdano nel tempo. Filisto è perfettamente capace.... Mi perdoni se oso contraddirla, ma Filisto è un greco d’Occidente. Sono certo che è l’uomo più eloquente della Sicilia, ma temo non sia in grado di parlare al cuore di noi ateniesi. Inoltre Filisto è uno dei suoi consiglieri più fidati, non ha il tempo di osservare tutti gli eventi che accadranno durante la spedizione. Ha in mente qualcuno?. Sì, uno dei miei allievi migliori ha dato prova di essere un buon filosofo, uno scrittore raffinato e un valoroso combattente. Come si chiama?. Senofonte, figlio di Grillo. Dioniso tacque per qualche istante, poi disse: Gli dica di presentarsi questa sera al Pireo. Salpiamo domani all’alba.

    La traversata si svolse senza problemi. Moltissime città asiatiche erano già insorte, altre lo fecero non appena Dioniso sbarcò di fronte a Mileto. Mentre le sue truppe inseguivano i persiani in fuga lui

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