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Saga della Corona delle Rose - La Cripta delle Anime esiliate Vol.4
Saga della Corona delle Rose - La Cripta delle Anime esiliate Vol.4
Saga della Corona delle Rose - La Cripta delle Anime esiliate Vol.4
E-book388 pagine5 ore

Saga della Corona delle Rose - La Cripta delle Anime esiliate Vol.4

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Info su questo ebook

Logren si prepara ad affrontare il suo incubo peggiore: Nhea, la Paladina decaduta dell’Ordine della Rosa Bianca. È maturato molto dal giorno in cui ha indossato per la prima volta il Sigillo dell’Unicorno ma deve completare la sua formazione nella Città dei Ponti Arcobaleno. Dall’esito delle sue azioni dipenderà il destino della razza umana. Quando si troverà alle strette, fra il timore per la sfida più ardua e la necessità di fermare la devastazione di Arbor, saprà compiere la scelta giusta?
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2020
ISBN9791220302159
Saga della Corona delle Rose - La Cripta delle Anime esiliate Vol.4

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    Anteprima del libro

    Saga della Corona delle Rose - La Cripta delle Anime esiliate Vol.4 - Gianluca Villano

    Horomos.

    1.

    segni degli Angeli

    Tutti gli Angeli dei Sidenlore sono sempre stati rappresentati con statue, simboli, oppure raffigurati secondo le descrizioni delle visioni dei devoti, ma in nessun caso è mai stata creata un’immagine di Horomos, l’Unico, il Dio Creatore, il Tutto

    Quando Logren si destò dal sogno fu accolto dal fruscio delle foglie di un colossale acero bianco che lo sovrastava. La sua chioma non era folta come in primavera e i suoi rami si districavano in un disegno ampio e articolato.

    Logren era sdraiato sul muschio dorato di un sottobosco dall’odore di funghi e bacche ma avvertiva anche una fragranza più delicata, portata dal vento: un profumo di rose.

    Era notte fonda ma nella coltre di nubi frastagliate, che la luna tingeva di un tenue bagliore argenteo, riusciva a intravedere numerose stelle scintillanti.

    Volgendo lo sguardo sul fianco sinistro scorse la figura di Nahily, stesa anche lei, con il volto girato verso di lui, ma ancora addormentata, la fronte stranamente corrucciata.

    Cosa stai sognando? si chiese.

    Ma ripensandoci, non l’aveva mai vista serena e spensierata; i suoi lineamenti erano sempre stati tesi e la sua espressione preoccupata. Nei suoi confronti era estremamente rispettosa e piuttosto silenziosa, eppure ogni volta che incrociava il suo sguardo, gli sembrava che volesse chiedergli qualcosa; rimaneva sospesa in un limbo di pensieri e non faceva altro che fissarlo.

    Lui era il Profeta e lei doveva provare una profonda ammirazione per il ruolo che ricopriva nella lotta contro l’Haorian.

    Le sfiorò il viso, pensando che si sarebbe subito svegliata ma lei accennò soltanto un sorriso con le labbra azzurre e subito dopo i suoi lineamenti si rilassarono.

    Di fronte a quella reazione Logren restò sorpreso. Quanto sei bella… pensò, nel segreto del suo cuore e preferì non disturbarla.

    Si alzò in piedi e cercò di capire dove si trovassero esattamente.

    Per un istante i pensieri tornarono alla collina che avevano raggiunto, allontanandosi dall’accampamento: lui e Nahily si erano stretti al Medaglione di Ghelan con il fenicottero e dopo essere stati travolti da un piacevole torpore, si erano addormentati.

    Ma non era un sogno, si trovavano davvero fisicamente nel cuore del Bosco del Silenzio, alle porte della Città di Primavera, nel regno dei Debenlore; in una dimora che non poteva essere raggiunta in nessun altro modo se non attraverso i sogni.

    I pensieri indugiarono sul Sigillo dell’Unicorno, che percepì, rasserenandolo. Ma perché i suoi poteri non si manifestavano? Si era aspettato che il Vento gli spirasse festosamente intorno e che fosse ansioso di mostrargli la via da seguire, invece sembrava timoroso.

    Era stata dura ritrovarsi al cospetto del Frammento Minore, nella Ferita, affrontare le sfide da incubo che l’avevano condotto fino alla Sidenlore, senza la sicurezza di poter contare sui suoi alleati elementali, e in particolar modo sul suo inseparabile amico Vento. Eh già, perché era così ormai che lo considerava: un amico, un sostegno, un conforto.

    Senza i poteri del Sigillo non era stato facile sopravvivere neanche quando aveva lasciato il Bracciale-Guanto a Elmerhel, per evitare che cadesse nelle mani dell’Han-Ghiorn. In quel frangente si era ritrovato così vulnerabile che Vèlerhon, il Rinnegato, aveva potuto confonderlo al punto da fargli credere un mucchio di menzogne.

    Era stato fortunato ad aver avuto al suo fianco molti altri alleati e grazie a ognuno di loro non aveva mai rischiato di sentirsi veramente solo.

    Il Mantello del Profeta si mosse alle sue spalle, sfiorato dal vento gelido e Logren si ricordò del Bastone di Horomos. Si voltò un istante e lo individuò accanto alla Guardiana.

    Non gli sembrò di scorgere il volo del Bianco Rapace ma non se ne preoccupò.

    L’unico vero turbamento glielo suscitava la Rosa Nera di Nhea, che portava sotto la tunica, il cui influsso negativo era tenuto fortuitamente a bada dall’eredità spirituale dei Paladini che gli avevano già consegnato il loro Voto: Ardhès, Thesil e Beresheen.

    Rincuorato da tutti quei pensieri trovò finalmente il coraggio per concentrarsi sul sogno da cui si era destato e, suo malgrado, accennò un sorriso di compiacimento: per la prima volta, da quando la incontrava nei sogni, era stato lui a infastidire Nhea e non il contrario. E se da un certo punto di vista poteva ritenersi favorito, avendo l’opportunità di conoscere in anticipo tutte le sue mosse, dall’altro significava dover sostenere tutto il peso del suo risentimento, ogni volta che l’avrebbe rivista.

    Abbandonò ogni riflessione e fece qualche passo per raggiungere il limitare di una foresta di rose bianche.

    Non aveva mai visto una cosa del genere: i tronchi di alberi altissimi formavano i sostegni di un pergolato composto dall’intreccio di lunghissimi rami; il tutto era coperto da rose rampicanti, i cui piccoli boccioli punteggiavano il reticolo sovrastante e i numerosi steli pendenti. Oltre che creare un effetto tunnel, ombreggiante, suggerivano l’impressione di trovarsi sotto una pioggia di fiori.

    I Sidenlore dovevano volarci attraverso pensò, notando gli ampi spazi aperti tra le ramificazioni.

    Quel candido cielo vegetale si estendeva a perdita d’occhio davanti al suo sguardo e ipotizzò che cingesse il cuore della Città come fosse una muraglia. E seppure desiderasse ammirarlo inondato dai raggi del sole, di notte era ben lieto di apprezzarlo in un contesto completamente inaspettato: miriadi di bolle trasparenti, che non avrebbe saputo dire se fossero di vetro, s’innalzavano dal prato erboso con un cuore di luce cangiante, volando oltre le siepi, illuminando un baluardo colossale formato da torri con le sembianze di Sidenlore. Erano alte più della foresta di rose, con braccia e ali spiegate che s’intrecciavano tra di loro, così da formare una moltitudine di archi intorno a quello che doveva essere il complesso principale della Città.

    «Logren?» lo chiamò Nahily.

    Lui sussultò ma non si voltò, aspettando che lei si avvicinasse e quando lo raggiunse notò, con la coda dell’occhio, che si era preoccupata di portargli il Bastone di Horomos. Non udendola proferir parola si girò per scrutare la sua espressione e nel vederla estasiata, accennò a un sorriso.

    «Questa è…» sussurrò la Debenlore, non riuscendo a concludere la frase.

    «La Città di Primavera, la Cittadella della Paladina della Rosa Bianca» le disse, recuperando il Bastone.

    «Ma stiamo sognando?» pronunciò lei, con una dolcezza infinita.

    Logren le sorrise. «Ho idea che siamo qui fisicamente, ma non saprei spiegarti come sia possibile» le rispose, iniziando a incamminarsi, sentendosi un po' a disagio: Nahily era diversa dal solito, era più radiosa e naturale ed era ancora più piacevole starle accanto. Pur distanziandola, si voltò spesso a osservarla.

    «Nessun Debenlore è mai stato in questo luogo, sai?» dichiarò Nahily, con un filo di voce, avvicinandosi con passo felpato.

    «Tranne te» aggiunse Logren, sorridendole, passando sotto le prime rose, beandosi del loro profumo, scoprendo che i loro massicci e lunghi viticci erano privi di spine.

    La temperatura dell’aria era piacevole, non c’era traccia dell’umidità autunnale.

    «Questo luogo mi ricorda molto il posto dove sono nata…» gli sussurrò lei e allungando la mano verso i boccioli candidi, la punta delle dita s’accese di un fervido fulgore. Contemporaneamente i tatuaggi sulle gambe si contornarono di una luce adamantina.

    Logren ne rimase ammaliato.

    «È un villaggio alle pendici dei Monti Ametista. Mia madre era Curatrice dei giardini pensili di Orchidee Aurora» continuò, aumentando il passo per raggiungerlo, sfiorando i fiori che erano intorno a lei con entrambe le braccia tese.

    «Era una sacerdotessa di Ghelan anche lei?».

    «No» rispose, semplicemente. «Nel mio villaggio e in tutta la regione ero la sola persona in grado di evocare creature di luce» spiegò e proprio in quell’istante assistettero alla nascita di una delle numerose sfere splendenti che rischiaravano la notte.

    Prese vita da una perla d’acqua formatasi sull’estremità di uno stelo d’erba e subito spiccò il volo.

    «Credi che sia un luogo disabitato?» domandò Logren, fissando oltre, senza fermarsi. Non era escluso che vi si trovassero dei Sidenlore ma era stupito che non fosse sopraggiunto nessuno di loro ad accoglierli.

    Proprio in quel frangente provò una sensazione spiacevole, un disagio inspiegabile e la fragranza di rose fu sostituita, per un istante, da un lezzo di morte.

    «Che cosa sai di questo luogo?» gli chiese, inaspettatamente.

    Prima di risponderle attese di riprendersi. «Oltre al fatto che si tratta della Cittadella di Nhea, direi ben poco» le rispose, cercando di mantenere un tono sereno.

    «Molto tempo dopo la caduta dell’Ordine dei Paladini delle Rose, questo luogo divenne il Santuario di una reliquia dei Sidenlore: il Cuore di Gharim» gli rivelò Nahily, tendendo la mano sinistra per sfiorare una delle perle di luce che le passò accanto. «In esso è racchiusa la divinità perduta dei Debenlore».

    «Le ali e il potere dei Sidenlore» sottolineò il Profeta, seguendo con lo sguardo una scia di luce cangiante, apparsa all’improvviso tra le siepi poco più avanti.

    Cominciava a sentirsi meglio.

    «Nel corso di una notte e di un giorno tutti i Sidenlore che avevano scelto di restare su Arbor, per continuare la guerra contro l’Haorian, caddero in un torpore mistico e quando si risvegliarono, erano divenuti Debenlore».

    Logren puntò lo sguardo verso le statue colossali dei Sidenlore e provò a immaginare cosa potesse significare ritrovarsi all’improvviso diversi, dopo aver sperimentato l’esperienza del volo, avendo conosciuto l’intimità profonda con gli Angeli e ritrovarsi simili agli esseri umani, con limiti e paure.

    «Gli Angeli non tardarono a manifestarsi e a guidarci. Il mondo dei Sidenlore andò scomparendo pian piano, mentre il loro ricordo si dissolse ancora prima, avvolto dalla caducità di un sogno, al punto da avere l’impressione che non fossero mai esistiti».

    Nahily pronunciò quelle ultime parole con un tono amareggiato e nostalgico ma non disse altro e Logren preferì non provocarle un ulteriore dispiacere con domande fuori luogo.

    Come ebbero raggiunto il punto dove Logren aveva visto animarsi il fascio di luce, sul terreno al centro di un roseto, scorse un segno inciso con una materia ardente: sembrava metallo fuso.

    Nahily si avvicinò e si piegò sulle ginocchia. «Non appartiene alla lingua dei Sidenlore» chiarì, con un tremito nella voce, pervasa da un vivo entusiasmo.

    «È la lingua degli Angeli» intervenne Logren e subito la Guardiana lo fissò con espressione trasognata.

    I suoi occhi dall’iride dorata sembravano scintillanti.

    «Figli…» dichiarò il Profeta, avendone tradotto il significato con naturalezza.

    «Sei sorprendente» aggiunse e lui non riuscì a sostenere il suo sguardo.

    «Non sono mai stato tanto speciale, credimi. Tutte le meraviglie che stai scoprendo sono soltanto merito del Sigillo dell’Unicorno» spiegò, mantenendo lo sguardo sul segno.

    «Ne sei così sicuro?» replicò lei, tendendo le mani per avvicinarle a quella manifestazione così straordinaria. «La verità è questa, Logren».

    E si riferiva chiaramente al segno angelico.

    «Ciò che ci rende speciali non sono né i titoli né alcun artefatto di grande potenza che abbiamo il privilegio di aver ricevuto in dono» spiegò con autorevolezza, tornando subito dopo a guardarlo con espressione gioiosa.

    Ma in quel momento stava accadendo qualcosa e Logren riuscì appena a scorgere la nuova apprensione della Guardiana.

    Il Mantello del Profeta si sollevò alle sue spalle e le trame del tessuto azzurro si disgregarono come se la materia di cui era composto fosse troppo sottile e fragile.

    Il mondo intorno a Logren cominciò a cambiare, si dissipò la notte e s’accese un fulgido sole, tingendo la vegetazione di una splendente vitalità.

    E proprio davanti ai suoi occhi, seduta sull’erba accanto alla runa, si materializzò Nhea. Vestiva una tunica di seta color bianco latte, decorata con ricami d’oro. A piedi nudi, le braccia scoperte fino alle spalle, sorrideva mentre il viticcio di una rosa rampicante si avvolgeva intorno all’avambraccio.

    La sua pelle era rosea e delicata, lo sguardo era così penetrante che gli sarebbe occorso uno sforzo mentale smisurato per riuscire a distogliersi da esso.

    Sulla sommità del rampicante sbocciò all’improvviso una rosa dai petali cremisi, che subito sfumarono nei colori dell’arcobaleno, per poi avvampare e divenire come la fiammella di una lucerna.

    «Amici miei, non dovete temere» sussurrò Nhea dolcemente, rivolta al fuoco languido che ardeva sul ramoscello, senza consumarlo. «Ardhès non consegnerà allo Scettro un altro Angelo».

    Il Vento le scompigliò i lunghi capelli bianchi, screziati d’argento, sollevando le piume delle sue grandi ali color verde acqua, generandole un sorriso spontaneo.

    Il Vento… pensò Logren, sbalordito.

    Stava assistendo a un evento molto antico, antecedente al tradimento.

    Nhea aveva parlato di uno Scettro ma era la prima volta che ne sentiva parlare.

    «Sì, mi mancherà» dichiarò la Sidenlore all’improvviso, arrossendo. «Ma non deve sospettare nulla di ciò che sto per fare, verrebbe con me e non voglio che soffra». Poi si strinse in un abbraccio, coinvolgendo anche il viticcio fiammeggiante. «Mi mancherete anche voi» aggiunse, allietandosi di gioia.

    La sua voce era così amorevole.

    Il bocciolo si spense di colpo e lo stelo si ritrasse dal suo braccio.

    Di fronte a quel gesto Nhea si alzò in piedi, incupita. «Vi prego, fidatevi di me» e si guardò intorno con espressione implorante, allargando le braccia come se desiderasse un segno del loro benestare.

    Uno degli altri viticci che ricadevano dal salice di rose si allungò fino a sfiorarle il petto, all’altezza del cuore; il Vento scosse le rose degli alberi circostanti e catturò, in un vortice, tutti i petali bianchi per cingere Nhea in un abbraccio grandioso.

    Logren vide la Sidenlore piangere di commozione.

    «Dimenticate ciò che eravate, quell’incubo non tornerà mai più. Io vi preserverò da esso, è una promessa!».

    Dopo che Nhea ebbe pronunciate quelle parole, Logren vide la visione dissolversi, riportandolo lentamente al cospetto di Nahily, che lo accolse con espressione ansiosa.

    «Che cosa hai visto?».

    «Qualcosa si sta rivelando, Nahily. È la Tela del Tempo che mi parla, come alla Torre di Thesil, ricordi?».

    Sollevò lo sguardo verso gli archi mastodontici, ancora troppo lontani, non riuscendo a togliersi dalla mente Nhea, la sua gioia di vivere, la luce che irradiava il suo corpo e non poté fare a meno di lasciarsi sconvolgere dall’amarezza.

    La sua bellezza era pari, forse, soltanto alla candida innocenza che traspariva dai suoi grandi occhi dall’iride di smeraldo.

    Perché hai avvelenato il tuo cuore? si domandò.

    Nahily dovette capire che c’era qualcosa che non andava in lui, perché gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla destra, mentre dai gioielli che ornavano il suo braccio iniziò a spandersi un’aura azzurra.

    «Vorrei fare qualcosa di più per aiutarti, questo luogo per te non è soltanto una meraviglia da contemplare ma…». Interrompendosi, fece scivolare la sua mano fino all’altra spalla. «…una prova da sostenere».

    Logren avvertì in quel momento una vertigine, come fosse perso nel vuoto, la stessa sensazione che aveva provato la prima volta che Eberryn gli aveva insegnato a nuotare, ma più intensa e profonda.

    Il gesto di Nahily faceva parte del rituale d’accoglienza ma nel voltarsi verso di lei e vedendola scostarsi con imbarazzo, capì che forse l’aveva compiuto inconsapevolmente.

    «Scusami, volevo solo infonderti serenità».

    «E ci sei riuscita» le rispose, sorridendole. «Gli Angeli ci danno il benvenuto» le annunciò con semplicità. «Proseguiamo» la invitò, infine.

    2.

    la purificazione dei Sogni

    Ogni Angelo di Horomos ha come simbolo del proprio potere una rosa di una foggia diversa. Spesso varia il colore o il materiale di cui è composta ma tutte hanno anche un modo alternativo di manifestarsi. Il simbolo di Nigea, l’Angelo della Purezza, è la Rosa Bianca e può irradiare un fulgido bagliore dalle proprietà curative

    Camminavano sotto il cielo di rose senza riuscire a vedere il suolo che calpestavano, celato da un folto e frusciante manto d’erba.

    Logren si sentiva come avvolto da un panno morbido e caldo ma non avrebbe saputo dire se quella sensazione così piacevole fosse dipesa dal tocco della Guardiana oppure dalla suggestione del mondo incantato che lo circondava.

    Per quanto si sforzasse non riusciva neanche a rivivere la tristezza provata pochi attimi prima, quando aveva riflettuto sul destino amaro di Nhea. Nutriva solo il desiderio di andare avanti e scoprire cosa lo attendeva.

    Non devo lasciarmi sopraffare dalla negatività di Nhea pensò e proprio in quel momento, parecchio più avanti, si manifestò di nuovo un fascio di luce splendente tra la vegetazione.

    Questa volta lo aveva scorto anche Nahily, perché subito gli afferrò il braccio.

    «Non ti fermare» la esortò, concentrando lo sguardo dove si era bloccata la luminescenza.

    Qualcosa o qualcuno lo stava guidando.

    Appena poterono distinguere di cosa si trattasse, l’ampio fulgore si condensò, rivelando la figura di un unicorno.

    Segui l’unicorno gli aveva detto il Pellegrino, nel Mausoleo di Ardhès e quel suggerimento sembrò riecheggiare nella sua mente anche questa volta.

    Quando si avvicinarono alla creatura, parve davvero strano che non scomparisse sotto i loro occhi, anzi restò a fissarli senza muoversi.

    Il suo corpo era di un bianco abbagliante, ma sembrava reale e tangibile, un destriero agile, con una criniera folta, una lunga coda che sfiorava il suolo e ciuffi rampanti dietro agli zoccoli d’avorio.

    Logren rimase a guardarlo per cercare di comprendere cosa dovesse fare e l’unicorno ruotò la testa con il corno verso destra, sbruffando e scalpitando con gli zoccoli anteriori.

    Guardando in quella direzione, parecchi passi più in là, gli sembrò di scorgere un soffuso bagliore dorato provenire dal margine del manto erboso.

    «Ti seguo» esordì Nahily, prontamente, stringendo in una mano il suo medaglione.

    L’unicorno spalancò le narici come per annusare qualcosa, chinò la testa e iniziò a brucare l’erba.

    A quel punto Logren si disinteressò dell’animale, raggiunse la china di un avvallamento e si affacciò dalla sommità di una parete che scendeva quasi a strapiombo, fino a un bacino d’acqua sottostante; si udiva un rumore scrosciante e ipotizzò che potesse esserci una cascata proprio sotto di loro.

    Analizzò attentamente il percorso e alla fine si voltò verso Nahily, facendole segno con il capo per farle intendere che avrebbe tentato la discesa.

    «Andiamo, non preoccuparti per me, me la cavo abbastanza bene con le scalate» affermò lei.

    Logren puntò il Bastone davanti a sé, inclinandosi per bilanciare il corpo e si avventurò, scoprendo subito numerose radici sporgenti dove reggersi.

    Dopo aver superato uno sperone formato da cumuli di rocce ricoperte di muschio si ritrovò a fiancheggiare una piccola cascata, le cui acque sgorgavano da un’ampia bocca naturale; l’ingresso era celato da una vegetazione frastagliata e il corso del torrente non scivolava soltanto sulla parete, ma anche sulle braccia tese e sui fianchi di due statue di pietra gigantesche dalla forma umanoide.

    Dal fondale s’irradiava invece la luce dorata che illuminava ogni cosa.

    Si fermò e prima di proseguire, si voltò verso Nahily per scrutarne la reazione, alla vista di quella scoperta inaspettata.

    Unendosi al suo entusiasmo puntò lo sguardo oltre il laghetto, cercando di capire cosa ci fosse dall’altra parte di quella struttura monumentale.

    Nell’oscurità quasi totale riuscì a discernere una fitta coltre di tronchi che formavano, con i loro rami, un tunnel vegetale, sotto il quale scorreva un ruscello che poi si diramava in un bosco di larici.

    Tornò a concentrarsi sul percorso e focalizzò i punti più comodi da intraprendere per proseguire; il declivio lo avrebbe condotto fino ai margini dello specchio d’acqua, in un punto dove avrebbe potuto ammirare le statue in tutta la loro interezza.

    Forse lì avrebbe capito anche cosa fare.

    Raggiunse il fondo della scarpata e prima di voltarsi percepì l’Acqua del Sigillo e poi lo sciabordio che generò alle sue spalle.

    Si voltò nell’istante in cui Nahily superava, con un balzo, l’ultimo ostacolo per affiancarlo, ma la sua attenzione fu rapita dalla forma umanoide d’Acqua che intanto era emersa al centro del piccolo lago.

    Non aveva tratti di nessuna razza conosciuta, le ginocchia spuntavano dal pelo dell’acqua, aveva due braccia sproporzionate rispetto al corpo, con dita affusolate e gocciolanti, lunghi capelli ma nessun volto ed era alta quanto tre uomini. La vide dirigersi verso le statue colossali e si fermò proprio sopra la luminescenza, dove si sciolse, fondendosi con il liquido brillante, aprendo una voragine abissale da cui ne fuoriuscì una vigorosa folata di Vento.

    Amico mio, finalmente. Per quanto non se lo fosse aspettato, immaginando che le forze del Sigillo preferissero mantenere un riserbo reverenziale nei riguardi della loro precedente padrona, fu felice che si fossero invece manifestati.

    Doveva far parte tutto di un rituale e la sua intuizione fu prontamente avvalorata dal rivelarsi della Terra: dove si trovava lui e fino alla voragine che si era aperta, emerse una passerella composta di rocce e muschi.

    Ma prima di avanzare, Logren alzò lo sguardo per ammirare le statue dei due Angeli che erano bagnati dalla cascata: erano incastonati nella parete, ricoperti di muschi verdi e gialli, tenevano lo sguardo fisso sul pozzo e i loro occhi brillavano del colore metallico della luminescenza. La statua di sinistra, pigmentata di un verde intenso, aveva il corpo nudo e ricoperto interamente di glifi circolari, intrecciati con forme geometriche elementari; il braccio destro era cinto dal viticcio di una rosa verde, che teneva raccolta nella mano.

    L’altra statua era del colore dell’avorio, il corpo rivestito di gioielli d’ogni tipo: tra tutti riconobbe un diadema a forma di unicorno.

    Con un tuffo al cuore seguì la linea del viticcio che scendeva dall’avambraccio e scoprì che nella mano sinistra stringeva una rosa di cristallo.

    Quello era il simbolo di un altro Angelo, ma di quale?

    Il Vento cominciò a muoversi così velocemente davanti a loro da formare un vortice.

    «Logren…» gli sussurrò la Guardiana, pervasa da un grande entusiasmo.

    Il Profeta ebbe un’intuizione, ora sapeva cosa doveva fare: ripensò a Miitha, il suo protettore, colui che aveva vigilato sulla sua vita per tutto il tempo che era stato a Muelnor, poi gli parve quasi di figurarsi davanti agli occhi l’espressione del Pellegrino, ogni volta che gli ripeteva che avrebbe dovuto purificare i suoi sogni.

    Ed era giunto il momento di farlo, prima di entrare nella Città di Primavera.

    «Le statue… raffigurano Esel e Ghelan!» spiegò Nahily, al culmine dell’emozione.

    Logren annuì e s’incamminò da solo sul ponticello di pietre, arrivando al cospetto del baratro, senza mai distogliere lo sguardo dai due Angeli.

    Il Vento vorticava proprio sopra al pozzo.

    Logren ne percepì l’intensità e capì che avrebbe potuto sostenerlo.

    Senza esitare fece un passo nel vuoto, precipitando verso il cuore della luce dorata.

    I sogni sono sortilegi dei Sidenlore.

    Sentì una voce provenire da un punto indefinito di quel luogo di luce e la riconobbe: apparteneva alla madre.

    Intorno a lui si formò l’immagine del portico di casa, a Muelnor e si delinearono anche i contorni di Fadnia, con il volto carico di apprensione, le rughe profonde, gli occhi spenti, le braccia abbandonate sui fianchi.

    Attento a come ti comporti, a quello che dici, non parlare mai dei tuoi sogni!.

    Questa volta udì la voce di Handrya e l’immagine cambiò, riportandolo nella camera della Levatrice, nell’Asher.

    «Amico Vento, cosa sta succedendo?» domandò, sperando di percepire nell’animo la risposta all’angoscia che iniziò a tormentarlo.

    Ti è mai capitato di sentire di bambini che interpretavano i sogni?.

    Continuando a precipitare vide animarsi l’immagine di Crios nella stalla dove erano caduti, dopo aver assistito all’arrivo di Silha e del Gran Maestro degli Invocatori.

    La luce dorata cominciò a mutare, velandosi di un’ombra cupa.

    Logren stringeva ancora il Bastone di Horomos, percepiva il Sigillo dell’Unicorno e non era sicuramente un sogno quello che stava vivendo!

    Quei ricordi lo ferivano ancora?

    Non poté fare a meno di domandarselo, perché quel senso d’inadeguatezza, che lo aveva accompagnato per gran parte della sua vita e l’insicurezza, la paura di rivelare i suoi sentimenti, per non essere ferito o frainteso, gli facevano ancora male.

    Ti ha già cercato, nei tuoi sogni, vero? Nhea?.

    Gli sembrò di vedere la parete di roccia che lo aveva condotto al Memoriale e in quelle parole riconobbe la voce di Nimhria.

    Ebbe un sussulto, scrutò verso il basso e distinse un punto nero da cui si spandeva l’oscurità che stava iniziando ad avvolgerlo.

    Non si sarebbe mai lasciato quel passato alle spalle, non sarebbe mai stato forte abbastanza se non avesse superato la prova contro se stesso.

    Sogni, profeti: cosa rende l’Uomo così simile ai Sidenlore?.

    Questo lo aveva letto nel diario del profeta ma la voce che udì nel vortice era sempre di Crios e lo vide mentre bruciava nell’Asher tutte le cose trovate nella camera di Handrya.

    L’amico aveva vissuto credendo di essere il profeta ma dopo aver scoperto la verità aveva reagito con la violenza, cercando di soffocare la delusione e l’amarezza.

    Se non abbiamo potuto trasformare in incubi i tuoi sogni, te li toglieremo! gli aveva gridato l’Officiante nella Città-Palude, prima di condurlo nella Cella del

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