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I draghi del signore dei cieli: Le cronache perdute Volume II
I draghi del signore dei cieli: Le cronache perdute Volume II
I draghi del signore dei cieli: Le cronache perdute Volume II
E-book664 pagine9 ore

I draghi del signore dei cieli: Le cronache perdute Volume II

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Info su questo ebook

Kitiara scopre che il suo amante di un tempo, Tanis Mezzelfo, e i suoi amici sono responsabili della morte del Signore dei Draghi Verminaard. La scoperta espone al pericolo Kit, poiché l’Imperatore Ariakas viene a sapere della connessione e sospetta che Kit abbia organizzato l’assassinio.  Ordina allora alla sua strega, l’esotica Iolanthe, di spiare Kit, che segna il suo destino nel momento in cui si getta alla ricerca di Tanis, un atto che convince Ariakas che è davvero una traditrice. Ma Kit non è tipo da accettare una condanna a morte senza battere ciglio.
La rivale di Kit, Laurana, inizia il suo viaggio verso il destino dirigendosi a Icereach con Sturm, Flint, Tasslehoff e tre Cavalieri di Solamnia, guidati da Sir Derek Crownguard. I cavalieri sono alla ricerca di un mitico Globo dei Draghi che sarà la salvezza di Solamnia. Quello che nessuno di loro sa è che sono caduti in una trappola mortale tesa dal mago elfo oscuro Feal-Thas...
LinguaItaliano
EditoreArmenia
Data di uscita15 gen 2021
ISBN9788834436202
I draghi del signore dei cieli: Le cronache perdute Volume II

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    Anteprima del libro

    I draghi del signore dei cieli - Margaret Weis

    reale!

    Introduzione

    La storia, fino a questo punto

    Molti anni dopo la Guerra delle Lance uno degli Estetici, una donna di nome Lillith Hallmark, ebbe l’idea di invitare i bambini di Palanthas nella Grande Biblioteca per sentire dei resoconti della storia di Krynn. A quel tempo Lillith era uno degli Estetici più influenti, seconda soltanto a Bertrem, e anche se molti fra gli altri Estetici si sentirono allarmati alla prospettiva di una quantità di dita appiccicose, di piccoli nasi gocciolanti e di vocette acute che disturbassero i loro studi, Lillith riuscì a spuntarla.

    Lillith Hallmark non si era mai sposata, cosa che secondo alcuni dipendeva dal fatto che nutriva nel cuore un segreto dolore, ma amava i bambini ed era una storica eccellente, tanto che anche molti dei genitori venuti ad accompagnare i bambini rimasero alla Biblioteca per ascoltarla.

    Dal momento che voi, nostri lettori, potreste non aver più letto da molto tempo le storie dei nostri eroi, o potreste addirittura non aver mai letto nulla sul loro conto prima di prendere in mano questo libro, abbiamo deciso che sarebbe stato saggio ascoltare a nostra volta, oggi, le narrazioni di Lillith. Lei racconterà ai bambini la storia di due donne che hanno avuto una grande importanza nella vita di uno dei nostri eroi, Tanis Mezzelfo. Queste due donne, Laurana e Kitiara, compaiono nel libro che avete in mano.

    Prima di iniziare la sua storia, Lillith sta fornendo un breve riassunto degli eventi che l’hanno preceduta. Ascoltiamola.

    «Sette amici giurarono di ritrovarsi a Solace dopo cinque anni di assenza, anni durante i quali intendevano andare alla ricerca di qualche segno della presenza dei veri dei, anche se in effetti ciò che stavano cercando erano loro stessi. Quei sette amici erano Tanis Mezzelfo, i due gemelli Raistlin e Caramon Majere, il nano Flint Fireforge, l’incontenibile kender Tasslehoff Burrfoot, il cavaliere Sturm Brightblade e Kitiara uth Matar, sorellastra dei gemelli.

    «Sturm e Kit si diressero a nord, verso Solamnia, entrambi alla ricerca delle rispettive famiglie scomparse, mentre gli altri andarono ciascuno per la propria strada. Tutti fecero ritorno alla locanda nel giorno stabilito, tutti tranne Kitiara, che inviò un messaggio in cui affermava di essere impossibilitata a raggiungerli. Tanis, che ne era innamorato, ne rimase rattristato e profondamente deluso.

    «L’arrivo alla locanda di una donna misteriosa che aveva con sé un bastone sormontato da un cristallo azzurro trascinò i sei amici in un’avventura nota come I draghi del crepuscolo d’autunno. Il loro viaggio li condusse da Solace alla città maledetta di Xak Tsaroth, dove i veri dei si manifestarono e donarono loro i Dischi di Mishakal. Si diceva che quei dischi contenessero il sapere dei veri dei, ma nessuno era in grado di leggerli, quindi gli amici si misero in cerca di qualcuno in grado di tradurli.

    «Tornato a Solace, Tanis incontrò un vecchio amico, un elfo di nome Gilthanas; Tanis e Gilthanas erano cresciuti insieme e in passato erano stati molto legati, ma il tempo e le circostanze avevano reciso quei legami. Tutti quanti erano poi stati presi prigionieri dall’esercito del vanaglorioso Fewmaster hobgoblin chiamato Toede. Chiusi in carri-prigione, gli schiavi erano in viaggio verso Pax Tharkas quando furono liberati da un gruppetto di elfi (anche se in seguito il Fewmaster avrebbe raccontato una storia del tutto diversa!).

    «Tanis riconobbe in uno degli elfi Porthios, il fratello di Gilthanas. Apprendendo che i compagni sostenevano di aver trovato prove del ritorno dei veri dei e che avevano riportato il potere del risanamento nel mondo, Porthios accompagnò Tanis e i suoi amici a Qualinost, dove Tanis rivide una giovane donna con cui era stato un tempo fidanzato, Laurana, la figlia del Portavoce dei Soli. Lei lo amava ancora, ma Tanis non ne era più innamorato; l’amore per Kitiara bruciava dentro di lui e lo aveva portato a rompere un fidanzamento che non aveva comunque incontrato l’approvazione del padre e dei fratelli di Laurana a causa del sangue umano che scorreva nelle vene di Tanis.

    «Gli elfi persuasero Tanis e i suoi amici a recarsi nella città di Pax Tharkas, governata dal Signore dei Draghi Verminaard; là, Tanis e i suoi amici avrebbero organizzato una rivolta degli schiavi nella speranza di impedire agli eserciti dei draghi, che minacciavano gli elfi, di lanciare un attacco contro il regno elfico, permettendo così agli elfi di trovare salvezza nella fuga e nell’esilio.

    «Accompagnati da Gilthanas, che fungeva da guida, gli amici si misero in cammino per Pax Tharkas; ferita per essere stata respinta da Tanis, Laurana fuggì da casa per seguirlo, e quando Tanis cercò di rimandarla indietro, si rifiutò ostinatamente di farlo. Lungo il cammino alla volta di Pax Tharkas, si unì a loro un uomo chiamato Eben Shatterstone, che sosteneva di essere in fuga davanti agli eserciti dei draghi, ma che era in realtà una spia del Signore dei Draghi Verminaard.

    «Gli eroi riuscirono a penetrare a Pax Tharkas e a mescolarsi agli schiavi. Là, incontrarono un uomo di nome Elistan, che stava morendo per una malattia che lo consumava nel fisico. Goldmoon, una nuova seguace della Dea della Guarigione, Mishakal, pregò la dea perché lo aiutasse e, una volta guarito, Elistan chiese di sapere qualcosa di più in merito agli dei. Goldmoon gli diede i Dischi di Mishakal e scoprì che lui era in grado di leggerli. Elistan divenne un Chierico di Paladine e prese a operare per restituire la conoscenza dei veri dei al resto degli abitanti schiavizzati di Pax Tharkas.

    «Tanis e i suoi amici guidarono gli schiavi in una rivolta e uccisero Verminaard, poi ottocento fra uomini, donne e bambini si misero in fuga verso sud, riuscendo a eludere gli inseguitori, e si nascosero in una serie di grotte, sperando di trascorrere là l’inverno.

    «Nel frattempo un draconico aurak, che fingeva di essere Verminaard, radunò un contingente di draghi rossi e li lanciò all’inseguimento degli schiavi, che furono costretti ad abbandonare la loro valle e a cercare rifugio presso i nani, nel loro regno perduto di Thorbardin; il resoconto di queste avventure è contenuto nel libro noto come I draghi degli abissi dei nani.

    «In quel periodo Laurana aveva continuato a viaggiare con il gruppo, e nel frattempo pericoli, dolore e paura l’avevano costretta a maturare; quella che un tempo era stata una ragazza viziata e cocciuta divenne così una giovane donna seria e riflessiva. Laurana prese a utilizzare i talenti appresi alla corte del padre per assistere Elistan nella sua opera, e Tanis si trovò a essere affascinato da quella splendida giovane donna, così diversa dalla ragazza che aveva conosciuto. Sentendo rinascere dentro di sé l’amore per lei, si sentì lacerato interiormente: quale delle due donne amava veramente? Quanto a Laurana, i suoi sentimenti non erano mai cambiati.

    «Dopo molte difficoltà e pericoli, gli eroi trovarono il Martello di Kharas e lo restituirono ai nani, che in cambio permisero ai profughi di rimanere a Thorbardin finché non fossero riusciti a trovare il modo di raggiungere sani e salvi le loro nuove dimore. Tanis e il suo gruppo partirono alla volta della città marittima di Tarsis, con l’intenzione di procurarsi un passaggio a bordo delle navi dalle vele bianche ai profughi, che cercavano una nuova patria. Il loro viaggio e le avventure che lo accompagnarono sono narrati nel volume I draghi della notte d’inverno.

    «Quanto a Kitiara uth Matar, lei imboccò una strada diversa da quella dei suoi amici. Là dove essi stavano seguendo il sentiero della Luce, lei seguì invece una strada che conduceva all’Oscurità, si unì agli eserciti dei draghi della Regina Takhisis e ben presto, grazie al suo talento e alla sua ambizione, salì di grado fino a diventare un Signore dei Draghi dell’Esercito dei Draghi Azzurri, conosciuta nella maggior parte di Ansalon come la Dama Azzurra.

    «Le avventure individuali di Kitiara e di Laurana, e ciò che accadde loro a questo punto degli eventi, sono cose che nessuno ha mai narrato… fino ad ora. Nel volume I draghi dei Signori dei Cieli, le due donne della vita di Tanis Mezzelfo compiono viaggi separati i cui pericoli le condurranno entrambe ad affrontare la più grande tra le sfide. Io stessa ho avuto un piccolo ruolo in questa vicenda.

    «Tutto comincia…».

    Libro Primo

    Prologo

    Erano trascorsi trecento anni dall’ultima volta che aveva sentito il suono di una voce umana, o per meglio dire, dall’ultima volta che aveva sentito parlare un umano. Da allora, aveva sentito solo urla, le urla di coloro che erano venuti a Dargaard Keep per affrontarlo, urla che si erano trasformate in singulti gorgoglianti quando quegli stolti si erano soffocati nel loro stesso sangue.

    Lord Soth non aveva pazienza con simili stolti, non ne aveva con quanti venivano a cercare il tesoro che si narrava fosse in suo possesso, e neppure con quanti si impegnavano nella coraggiosa missione di liberare il mondo dalla malvagità della sua presenza, perché conosceva la verità (e chi poteva conoscerla meglio di qualcuno che un tempo aveva perseguito simili cavallereschi ideali?). Sapeva bene che quei cavalieri servivano solo loro stessi e cercavano solo il loro interesse, miravano soltanto alla gloria, a sentire il loro nome decantato dai bardi. Vedeva attraverso la loro lucente armatura, scorgendo le chiazze di oscurità che tingevano di nero la bianca purezza della loro anima. Il loro coraggio colava via attraverso quelle chiazze, quando lui li affrontava, scivolava via da loro ed essi crollavano in ginocchio, tremanti nella loro lucente armatura, implorando misericordia.

    Lord Soth non ne aveva da elargire.

    Chi gli aveva usato misericordia? Chi aveva dato ascolto alle sue grida? E chi vi prestava orecchio adesso? Gli dei erano tornati, ma lui era troppo orgoglioso per implorare il perdono di Paladine. Lord Soth non pensava che il perdono gli sarebbe stato concesso e, nel profondo del suo intimo, non riteneva che dovesse essergli concesso.

    Seduto sul suo trono, nella grande sala della sua fortezza in rovina, una notte interminabile dopo l’altra, ascoltava gli spiriti delle donne elfiche condannate a cantare la ballata dei suoi crimini, così come lui era condannato a starle a sentire. Esse cantavano di un coraggioso e avvenente cavaliere le cui passioni incontrollate lo avevano condotto a sedurre una fanciulla elfica e a metterla incinta; cantavano della moglie tradita che era stata comodamente eliminata in modo che la fanciulla elfica potesse essere accolta a Dargaard Keep e dell’orrore della nuova moglie quando aveva scoperto la verità, delle sue preghiere rivolte agli dei, nelle quali insisteva che in Soth c’era ancora qualcosa di buono e supplicava gli dei di concedergli una possibilità di salvarsi.

    E cantavano della risposta degli dei. A Lord Loren Soth sarebbe stato elargito il potere di persuadere il Re Sacerdote ad abbandonare la sua idea di proclamarsi un dio, evitando così di incorrere nelle ire degli dei. Soth avrebbe potuto impedire il disastro del Cataclisma, salvare la vita a migliaia di innocenti e lasciare a suo figlio un nome di cui potesse essere orgoglioso. Cantavano di come Soth si fosse messo in viaggio alla volta di Istar, deciso a salvare la razza umana, anche se questo avrebbe segnato la sua fine, e cantavano della parte che esse stesse, donne elfiche dannate per l’eternità, avevano avuto quando lo avevano fermato lungo la strada, raccontandogli delle menzogne sul conto della donna amata; cantavano di incontri segreti con altri uomini, e di un figlio che non era suo.

    Cantavano, quegli spiriti inquieti, di come Soth fosse tornato al suo castello in preda all’ira, avesse ordinato a sua moglie di presentarsi al suo cospetto e l’avesse denunciata come una prostituta, dichiarando bastardo il figlio da lei avuto. Cantavano di come la terra avesse tremato, quando la montagna di fuoco scagliata dagli dei si era abbattuta su Istar, e di come quel tremore avesse fatto sì che l’enorme lampadario, splendente del chiarore di cento candele accese, si fosse staccato dal soffitto e si fosse abbattuto su sua moglie e su suo figlio. Cantavano di come lui avrebbe potuto salvarli ma, troppo consumato dall’odio e dalla sete di vendetta, era rimasto a guardare mentre i capelli di sua moglie prendevano fuoco, era rimasto ad ascoltare le urla frenetiche del bambino, mentre la sua carne tenera si copriva di vesciche e ribolliva. Cantavano, ogni notte, di come lui avesse girato sui tacchi e se ne fosse andato.

    Infine, cantavano della maledizione lanciatagli da sua moglie, che lui si sarebbe sentito risuonare per sempre negli orecchi la maledizione che lo condannava a vivere in eterno, un cavaliere votato alla morte e al­l’Oscurità, costretto a riflettere sui suoi crimini mentre il tempo gli scorreva accanto, ignorandolo, e i suoi minuti divenivano ore interminabili, le ore si estendevano in anni altrettanto interminabili e gli anni scorrevano freddi e vuoti come possono esserlo soltanto i morti privi di redenzione.

    In tutti quegli anni era trascorso così tanto tempo dall’ultima volta che aveva sentito una voce rivolgersi a lui, che quando questo accadde pensò per un momento che essa facesse parte delle sue cupe riflessioni, e non vi fece caso.

    «Lord Soth, già tre volte ti ho chiamato», sottolineò la voce, in tono imperioso, fin troppo irosa per poter essere ignorata. «Perché non mi rispondi?».

    Il Cavaliere della Morte avvolto in un’armatura annerita dal fuoco e chiazzata dal sangue scrutò intorno a sé attraverso le fessure dell’elmo e vide una donna, bellissima e splendida, oscura e crudele come l’Abisso su cui regnava.

    «Takhisis», disse, senza alzarsi.

    «La Regina Takhisis», ribatté lei, in tono contrariato.

    «Tu non sei la mia Regina», obiettò Soth.

    Takhisis lo fissò con occhi roventi, e il suo aspetto cambiò. Da femmina umana, si trasformò in un enorme drago con cinque teste che si contorcevano, sibilavano e sputavano; torreggiò su di lui, una creatura di terrore, e ciascuna testa gli stridette contro con ira.

    «Gli Dei della Luce ti hanno reso ciò che sei, ma io posso disfare il loro operato!» sibilò Takhisis, mentre le teste di drago, con le loro zanne grondanti veleno saettavano verso di lui, minacciose. «Ti precipiterò nell’Abisso e ti distruggerò, ti colpirò e tormenterò per tutta l’eternità».

    La furia di quella dea aveva un tempo infranto un intero mondo, e tuttavia Lord Soth non tremò di fronte a essa, non crollò in ginocchio, né fu scosso da brividi. Invece, rimase seduto sul suo trono e la fissò con occhi di fiamma che ardevano calmi e saldi, privi di timore e per nulla impressionati.

    «Quale sarebbe la differenza fra quell’esistenza di torture e quella che ora sono condannato a sopportare?» ribatté in tono pacato.

    Le cinque teste sospesero i loro attacchi e si librarono su di lui, le cinque menti piene di confusione; dopo un momento, il drago scomparve e al suo posto riapparve la donna, con le labbra incurvate in un sorriso, la voce mielosa, seducente e persuasiva.

    «Non sono venuta qui per litigare, mio signore», disse. «Anche se mi hai ferita, se mi hai offesa profondamente, sono pronta a perdonarti».

    «In che modo ti avrei ferita, Takhisis?» domandò Soth, e anche se non rimaneva più nulla del suo volto, parve alla dea che stesse sfoggiando un sorriso sardonico.

    «Tu servi la causa dell’Oscurità…» cominciò.

    Lord Soth abbozzò un gesto di diniego, quasi a dire che lui non era al servizio di nessuna causa, neppure la propria.

    «… e tuttavia, ti tieni lontano dalla gloriosa battaglia che stiamo impegnando», continuò Takhisis. «L’Imperatore Ariakas sarebbe orgoglioso di averti sotto il suo comando…».

    La fiamma degli occhi di Lord Soth ebbe un tremolio, ma Takhisis era così intenta nel perorare appassionatamente la propria causa che non se ne accorse.

    «E tuttavia te ne stai seduto qui, rinchiuso in questa fortezza annerita, a piangere sulla tua sorte, mentre altri combattono le tue battaglie», continuò in tono amareggiato.

    «Stando a quanto ho avuto modo di vedere, signora», replicò Soth asciutto, «il tuo imperatore sta vincendo le sue battaglie, e adesso gran parte di Ansalon è sotto il suo controllo. Non hai bisogno di me o delle mie forze, quindi vattene da qui e lasciami in pace».

    Takhisis studiò il cavaliere non-morto da sotto le lunghe ciglia, le ciocche dei suoi fluenti capelli neri che si agitavano sotto il soffio del vento gelido che filtrava attraverso le mura crepate e infrante; quelle ciocche sottili che si muovevano ricordarono a Lord Soth il contorcersi delle teste del drago.

    «È vero, stiamo vincendo», ammise infine Takhisis, «e non ho dubbi sul fatto che alla fine prevarremo. Tuttavia, e lo confesso a te soltanto, mio signore, gli Dei della Luce non sono stati schiacciati con la rapidità e facilità da me preventivata. Sono insorte certe… uhm… certe complicazioni, e adesso l’Imperatore Ariakas e i miei Signori dei Draghi sarebbero grati di avere il tuo aiuto».

    Certe complicazioni, aveva detto. Lord Soth sapeva tutto in merito a quelle «complicazioni». Uno dei suoi tanto vantati Signori dei Draghi era morto, ciascuno degli altri Signori dei Draghi voleva per sé la Corona del Potere e mentre in pubblico bevevano insieme il vino dell’amicizia, poi si affrettavano a sputarlo non appena erano in privato. Gli elfi di Qualinesti erano sfuggiti agli eserciti dei draghi inviati ad annientarli, i nani di Thorbardin avevano sconfitto quegli stessi eserciti e ricacciato indietro l’Oscurità da sotto la montagna, e i Cavalieri di Solamnia, per quanto sconfitti, non erano ancora stati distrutti. Bastava solo che trovassero un campione che li guidasse, e tale campione sarebbe potuto emergere da un momento all’altro dalle loro file.

    I draghi metallici, che fino a quel momento si erano tenuti al di fuori della guerra, cominciavano a sentirsi a disagio e a pensare di aver forse commesso un errore, e se i potenti draghi d’oro e d’argento di Paladine fossero entrati nella mischia dalla parte della Luce, i draghi rossi e azzurri, i verdi e i neri e i bianchi si sarebbero trovati in serie difficoltà. Takhisis aveva bisogno di conquistare Ansalon immediatamente, prima che i draghi color metallo entrassero nella mischia, prima che gli Eserciti della Luce, ora divisi, ritrovassero il buon senso e stringessero alleanze, prima che i Cavalieri di Solamnia trovassero il loro eroe.

    «Farò un patto con te, Takhisis», disse infine Lord Soth.

    Negli occhi scuri della Regina divampò un bagliore d’ira, perché non era abituata a patteggiare, era abituata a impartire ordini e a essere obbedita. Ricacciò comunque indietro la sua ira, perché la sua arma più efficace era il terrore, e la sua lama affilata risultava smussata e inutile contro il cavaliere non-morto, che aveva perso tutto e quindi non aveva paura di niente.

    «Quali sono i termini del tuo patto?» domandò.

    «Non posso servire qualcuno per cui non nutra rispetto», dichiarò Lord Soth. «Di conseguenza, darò la mia fedeltà e le mie truppe al Signore dei Draghi che avrà il coraggio di trascorrere una notte da solo a Dargaard Keep; o, per meglio dire, al Signore dei Draghi che sopravvierà a una notte trascorsa da solo a Dargaard Keep. Questo Signore dei Draghi dovrà venire qui di sua spontanea volontà, senza pressioni da parte tua o di chiunque altro», aggiunse, ben sapendo come funzionasse la mente della Regina.

    In silenzio, Takhisis fissò con occhi roventi il cavaliere non-morto. Se non avesse avuto bisogno di lui, in quel momento Soth sarebbe stato schiacciato dalle spire della sua furia, lacerato dagli artigli della sua ira, divorato dalle fauci del suo odio.

    Però aveva bisogno di lui, mentre Soth non ne aveva di lei.

    «Riferirò il tuo messaggio ai miei Signori dei Draghi», disse infine.

    «Il signore in questione dovrà venire qui da solo, e non dietro pressioni», ribadì Soth.

    Senza degnarsi di rispondere, Takhisis gli volse le spalle e passò nell’Oscurità su cui governava, lasciandolo ad ascoltare ancora una volta l’amaro canto della sua tragica vita.

    1.

    Grag fa rapporto all’imperatore.

    La Dama Azzurra riceve uno shock

    Era tardo autunno e le foglie, che fino a poco tempo prima erano tinte di colori accesi e audaci, erano tutte morte, i loro fragili resti color marrone sparpagliati dal vento e sparsi al suolo, in attesa di essere misericordiosamente sepolti sotto le nevi invernali ormai imminenti.

    L’inverno era prossimo in Ansalon, e con esso sarebbe venuta la fine della stagione delle campagne militari. Le forze di Takhisis, sotto il comando dell’Imperatore Ariakas, occupavano gran parte di Ansalon, da Nordmaar a ovest a Kalaman a est, da Goodlund nel nord all’Abanasinia nel sud. L’imperatore aveva dei piani per la conquista del resto del continente, e la Regina Takhisis era impaziente che lui li mettesse in atto, voleva che portasse avanti la guerra, ma le venne detto che questo non era possibile, perché gli eserciti non potevano marciare sulle strade intasate dalla neve, e i carri delle provviste sarebbero precipitati dalle alture incrostate di ghiaccio o si sarebbero impantanati sulle piste rese fangose dalla pioggia. Era quindi meglio aspettare la primavera. L’inverno era un periodo fatto per acquartierarsi, riposare e far guarire le ferite riportate nelle battaglie autunnali. A primavera, i suoi eserciti sarebbero emersi dagli alloggiamenti invernali più forti e rinvigoriti.

    Ariakas aveva comunque garantito a Takhisis che la guerra sarebbe continuata lo stesso, anche se i suoi soldati non erano in marcia, accennando al fatto che oscuri complotti e segrete trame erano in fase di esecuzione, rassicurazione in seguito alla quale Takhisis si era sentita più tranquilla.

    Soddisfatti per le recenti vittorie, i soldati dell’Esercito dei Draghi occupavano le città e i villaggi conquistati di recente, vivevano comodamente e al caldo nei castelli catturati e si godevano le spoglie di guerra. Requisivano le scorte di grano contenute nei granai, prendevano qualsiasi donna attirasse la loro attenzione e uccidevano senza pietà chiunque cercasse di difendere le sue proprietà o la sua famiglia. I soldati di Takhisis sarebbero vissuti bene durante l’inverno che stava per sopraggiungere, mentre quanti languivano sotto gli artigli del drago si trovavano di fronte alla fame e al terrore.

    Non tutto stava però andando bene per l’imperatore.

    Era stata sua intenzione trascorrere l’inverno nel suo quartier generale di Sanction, quando aveva ricevuto notizia che nell’ovest la sua campagna non stava procedendo come previsto. Lo scopo, laggiù, era stato quello di spazzare via gli elfi di Qualinesti e di conquistare e di occupare il regno dei nani, Thorbardin, entro la fine dell’anno. Per prima era giunta la notizia che il Signore dei Draghi Verminaard, dell’Esercito dei Draghi Rossi, che aveva fino a quel momento portato avanti una così brillante campagna di conquista nelle terre dell’Abanasinia, aveva incontrato una morte prematura per mano dei suoi stessi schiavi; poi era arrivata anche la notizia che gli elfi di Qualinesti erano riusciti a salvarsi e a fuggire in esilio. Infine, l’imperatore era stato informato che Thorbardin era perduta per gli assalitori.

    Quello era il primo vero scacco che gli eserciti dei draghi avessero mai subito, quindi Ariakas fu costretto ad attraversare il continente fino al suo quartier generale di Neraka per scoprire cosa fosse andato per il verso sbagliato; una volta là, ordinò al comandante attualmente incaricato di sovrintendere alla fortezza di Pax Tharkas di presentarsi a Neraka per fare rapporto, ma scoprì che purtroppo c’era una certa confusione in merito a chi avesse il comando, adesso che Verminaard era morto.

    Un hobgoblin, un certo Fewmaster Toede, sosteneva che il defunto Verminaard lo avesse nominato comandante in seconda. Toede stava già facendo i bagagli per mettersi in viaggio alla volta di Neraka quando venne a sapere che Ariakas era in preda a un’ira ribollente a causa della perdita di Thorbardin e che avrebbe fatto scontare quello smacco a qualcuno. Nel sentire questo, Fewmaster si ricordò di colpo di avere urgenti affari da sbrigare altrove, ordinò al comandante draconico di Pax Tharkas di andare a fare rapporto all’imperatore e si affrettò a levare le tende.

    Trasferito il proprio alloggio presso il quartier generale militare di Neraka, capitale dell’impero della Regina delle Tenebre, Ariakas attese con impazienza l’arrivo del comandante. Aveva considerato Verminaard un elemento prezioso, ed era infuriato per la perdita di un così abile comandante militare, quindi voleva delle risposte, e si aspettava che questo Comandante Grag gliele fornisse.

    Grag non era mai stato a Neraka, prima di allora, ma non aveva intenzione di fare un giro turistico perché gli altri draconici lo avevano avvertito che la loro specie non era ben accetta in città, anche se era proprio la loro specie a offrire tante vite per aiutare la Regina delle Tenebre a vincere la sua guerra. Grag fece quindi in modo di vedere la sola cosa che gli interessava, e cioè il Tempio della Regina delle Tenebre.

    Quando Istar era stata distrutta dagli dei, Takhisis aveva preso la pietra angolare delle fondamenta del tempio dei Re Sacerdoti e l’aveva portata su un altopiano dei Monti Khalkist; là, aveva posizionato la pietra in una radura alberata, e ben presto il tempio aveva cominciato a crescere intorno a essa; segretamente, Takhisis si stava servendo di quel tempio come di un passaggio per raggiungere il mondo, quando la sua porta era stata inavvertitamente chiusa da un giovane di nome Berem, e da sua sorella Jasla.

    Imbattutosi nella pietra angolare, Berem era rimasto affascinato dalle gemme che l’adornavano e aveva voluto rimuoverne una. Intuendo la malvagità che permeava quelle gemme, sua sorella Jasla aveva cercato di impedirgli di farlo, ma Berem si era infuriato e aveva divelto la pietra dal terreno, assestando poi uno spintone a Jasla quando lei aveva cercato ancora una volta di fermarlo. Jasla era caduta, aveva sbattuto la testa contro la pietra ed era morta, mentre la gemma verde si era incastonata nel petto di Berem, bloccandolo in quel particolare momento temporale: adesso non sarebbe potuto morire, né sarebbe mai invecchiato. Inorridito di fronte al proprio crimine, Berem era fuggito.

    Quando Takhisis si era nuovamente accinta a lasciare l’Abisso attraverso la porta costituita dalla pietra, aveva scoperto che lo spirito buono di Jasla si era insediato in essa per attendere il ritorno del fratello pentito, e che questo le precludeva il passaggio. Adesso soltanto il suo avatar poteva aggirarsi per Krynn, cosa che riduceva enormemente il suo potere di influenzare gli eventi del mondo, e inoltre la dea sapeva di essere esposta a un enorme pericolo, perché se mai Berem avesse fatto ritorno e si fosse unito a sua sorella, la porta si sarebbe chiusa definitivamente, e lei sarebbe rimasta esclusa per sempre dal mondo. Il solo modo per riaprire quella porta e garantire che rimanesse aperta consisteva nel trovare Berem e ucciderlo. Era stato così che aveva avuto inizio la caccia all’Uomo dalla Gemma Verde.

    Intanto, il tempio aveva continuato a crescere sopra la pietra angolare, sepolta ora a una grande profondità sotto di esso, ed era diventato una struttura immensa che dominava la terra circostante ed era visibile da chilometri di distanza. Con le sue pareti contorte e distorte, esso somigliava molto a un artiglio che si protendesse dalla terra e cercasse di afferrare il cielo. Grag lo trovò impressionante e gli rese omaggio, anche se da lontano.

    Il Comandante Grag non fu costretto a entrare nella città vera e propria per raggiungere gli alloggiamenti dell’Esercito Azzurro, presso cui Ariakas aveva insediato il proprio quartier generale, e questa fu una fortuna per il draconico, perché le strette strade cittadine erano intasate di persone, per lo più umani che non nutrivano alcuna simpatia per quelli della sua razza, per cui lui si sarebbe trovato coinvolto in uno scontro fisico prima di aver percorso un solo isolato. Grag badò a percorrere solo vie secondarie, e anche così s’imbatté comunque in uno schiavista che stava conducendo al mercato una fila tintinnante di schiavi incatenati e che disse a bassa voce qualcosa al suo compagno in merito ai viscidi «uomini lucertola», aggiungendo che sarebbero dovuti tornare tutti strisciando nella palude da cui erano emersi. Grag si sarebbe soffermato volentieri per spezzare il collo a quell’uomo, ma era già in ritardo, quindi continuò a camminare.

    Ariakas aveva un appartamento ufficiale all’interno del tempio della sua Regina, ma non amava condurre là i propri affari, perché anche se era un devoto credente e godeva di grande favore presso la sua dea, non apprezzava particolarmente i suoi preti, sospettava che essi lo spiassero, quando si trovava nel tempio, e aveva ragione. Il Sommo Sacerdote di Takhisis, noto come il Signore della Notte, pensava che avrebbe dovuto essere lui l’Imperatore di Ansalon e che Ariakas, un semplice comandante militare, avrebbe dovuto essergli subordinato, ed era inoltre particolarmente indignato per il fatto che Ariakas potesse comunicare direttamente con la Regina delle Tenebre, invece di passare per suo tramite, come intermediario. Il Signore della Notte dedicava quindi molto del suo tempo a lavorare per minare il potere di Ariakas e per porre fine al suo regno.

    Di conseguenza Ariakas aveva ordinato a Grag di presentarsi da lui agli Alloggiamenti Azzurri, presso i quali alloggiava l’Armata Azzurra dell’Esercito dei Draghi, quando si trovava in città; attualmente l’Armata si trovava nell’ovest, dove stava effettuando i preparativi per l’invasione di Solamnia, prevista per la primavera successiva, ma anche il suo comandante, un Signore dei Draghi noto come la Dama Azzurra, aveva ricevuto l’ordine di recarsi a Neraka per presenziare all’incontro con il Co­man­dante Grag.

    Adesso che l’Armata Azzurra si trovava a Solamnia, gli alloggiamenti erano stati requisiti da Ariakas, che aveva portato con sé il suo personale e le sue guardie del corpo. Un aiutante di campo trovò Grag che stava girovagando alla cieca dopo aver perduto l’orientamento e lo accompagnò fino al basso, tozzo e insignificante edificio in cui Ariakas viveva e lavorava.

    Due orchi fra i più grandi che Grag avesse mai visto erano di guardia fuori della porta, vestiti con armatura a piastre e cotta di maglia, e armati di tutto punto. Il draconico detestava gli orchi, considerandoli ottusi e brutali, e quel sentimento era reciproco, perché a loro volta gli orchi vedevano nei draconici degli arroganti intrusi venuti dal niente. Grag si tese, aspettandosi qualche problema, ma quei due orchi erano membri della squadra di guardie del corpo personali di Ariakas e svolgevano il loro lavoro in maniera professionale.

    «Armi», ringhiò uno di essi, protendendo una grossa mano pelosa.

    Nessuno entrava armato alla presenza dell’imperatore. Grag lo sapeva, e tuttavia aveva avuto al fianco la spada praticamente dal momento in cui era uscito dall’uovo, e si sentiva nudo e vulnerabile senza di essa.

    Gli occhi gialli dell’orco si socchiusero di fronte alla sua esitazione, quindi Grag si affrettò a slacciarsi la cintura con la spada e a consegnarla, insieme al coltello a lama lunga; dopo tutto non era completamente privo di difese perché gli rimaneva sempre la sua magia.

    Uno dei due orchi rimase a tenerlo d’occhio, mentre l’altro andava a riferire ad Ariakas che il bozak da lui atteso era arrivato. Mentre passeggiava nervosamente fuori della porta, Grag sentì giungere dall’interno la tonante risata maschile di un umano, accompagnata dal suono della voce di una femmina umana, dal timbro meno profondo di quella dell’uomo, ma comunque decisamente profondo rispetto a quello della maggior parte delle donne, un suono ricco e un po’ rauco.

    L’orco tornò fuori e accennò con un pollice simile a una salsiccia per segnalare a Grag che poteva entrare. Il draconico cominciò ad avere il sospetto che quel colloquio non sarebbe andato nel migliore dei modi quando colse un bagliore negli strabici occhi gialli dell’orco e vide l’altro orco sfoggiare tutti i denti marci in un ampio sogghigno.

    Facendosi coraggio, con le ali ripiegate il più possibile e le scaglie color bronzo che sussultavano, le mani dotate di artigli che si flettevano nervosamente, Grag entrò infine al cospetto dell’uomo più potente e pericoloso di tutto Ansalon.

    Ariakas era un grosso e imponente maschio umano, con lunghi capelli neri e il volto che, per quanto rasato, era oscurato da un velo di barba nera. Come età doveva essere vicino alla quarantina, il che lo rendeva un individuo di mezz’età secondo i canoni umani, ma era in condizioni fisiche splendide, e fra le file dei suoi uomini circolavano storie relative alla sua leggendaria possanza fisica, delle quali la più famosa era quella secondo cui una volta aveva scagliato una lancia con tanta forza da farle attraversare di netto il corpo di un uomo.

    Ariakas indossava un mantello bordato di pelliccia, gettato con noncuranza su un’ampia spalla, in modo da rivelare il sottostante giustacuore di cuoio lavorato a mano, il cui scopo era quello di proteggerlo da una coltellata alla schiena, perché perfino a Neraka c’erano alcuni che sarebbero stati lieti di togliergli non solo il comando, ma anche la vita. Una spada gli pendeva lungo il fianco, affibbiata a una cintura a cui erano assicurate anche sacche per i componenti per gli incantesimi e una custodia per pergamene, particolare notevole, perché alla maggior parte dei maghi era proibito dai loro dei di indossare l’armatura o di portare indosso armi d’acciaio.

    Ad Ariakas non importava però nulla degli dei della magia, perché lui riceveva i suoi incantesimi direttamente dalla Regina delle Tenebre, e in questo lui e Grag avevano qualcosa in comune. Fino a quel momento Grag non si era reso conto che Ariakas faceva effettivo uso della sua capacità di lanciare incantesimi, ma il fatto che portasse indosso tutti quegli strumenti di magia, oltre alle armi più consuete, indicava che si sentiva a suo agio nell’uso della magia come in quello dell’acciaio.

    Ariakas, che dava le spalle a Grag, si limitò a rivolgere appena un’occhiata al draconico, da sopra la spalla, per poi riprendere la conversazione in corso con la donna. L’attenzione di Grag si spostò su di lei, perché quella donna era famosa quanto lo stesso Ariakas fra i soldati degli eserciti dei draghi, o forse lo era anche di più.

    Il nome della donna, che aveva da poco varcato la soglia della trentina, era Kitiara uth Matar. I suoi riccioli neri erano tagliati molto corti per comodità, gli occhi erano neri quanto i capelli e lei aveva la strana abitudine di contorcere un po’ le labbra quando sorrideva, cosa che faceva apparire il suo sorriso come leggermente in tralice. Grag non sapeva nulla del suo passato. Essendo un rettile, imparentato con i draghi, era nato strisciando fuori da un uovo e non aveva idea di chi fossero i suoi genitori, così come non gli interessava conoscere le ascendenze di altri. Tutto ciò che aveva sentito dire sul conto di Kitiara era che si trattava di una guerriera nata, ed era una cosa a cui non stentava a credere, perché quella donna portava la spada indosso con sfacciata disinvoltura e non appariva minimamente intimidita dalle dimensioni, dalla forza e dalla pura presenza fisica di Ariakas.

    Grag si chiese se ci fosse qualcosa di vero nelle voci secondo cui i due erano amanti.

    Infine la loro conversazione si concluse, e Ariakas si degnò di concedere udienza a Grag. Girandosi, l’imperatore fissò dritto negli occhi il draconico, che sussultò perché era come guardare nell’Abisso o, per meglio dire, era addirittura come penetrarvi, dato che Grag si sentì attirato, scuoiato, sezionato, fatto a pezzi e gettato via… il tutto in un istante.

    Era così sconvolto che si dimenticò di salutare, cosa che fece tardivamente nel notare le nere e spesse sopracciglia di Ariakas che si contraevano in un’espressione contrariata. Kitiara, che era in piedi alle spalle dell’imperatore, incrociò le braccia sul petto e sfoggiò il suo sorriso in tralice nel rilevare il disagio del draconico, anche se comprendeva alla perfezione come Grag si stesse sentendo. Evidentemente la donna era arrivata da poco, perché aveva ancora indosso la sua armatura azzurra, coperta dalla polvere del viaggio.

    Ariakas non era tipo da soppesare le parole o da perdere tempo in convenevoli.

    «Ho sentito molte diverse versioni su come è morto Lord Verminaard», affermò, in tono freddo e misurato, «e su come abbiamo perso Thorbardin. Comandante, ti ho ordinato di venire qui perché voglio sentire la verità».

    «Sì, mio signore», rispose Grag.

    «Giuralo su Takhisis», ingiunse Ariakas.

    «Giuro sulla mia fedeltà alla Regina delle Tenebre che le mie parole sono sincere», dichiarò Grag. «Possa lei far avvizzire la mia mano destra se dovessi mentire».

    Ariakas parve trovare soddisfacente quel giuramento, dato che con un cenno gli segnalò di proseguire, senza peraltro sedersi o invitare il draconico a farlo; neppure Kitiara si poteva sedere, dato che il suo comandante era ancora in piedi, ma si mise a proprio agio poggiando la schiena a un tavolo.

    Grag riferì come Verminaard fosse morto per mano di assassini, di come l’aurak Dray-yan avesse concepito l’idea di mascherarsi da Verminaard per mantenere in essere la finzione che il Signore dei Draghi fosse ancora vivo, di come lui stesso e Dray-yan avessero pianificato la caduta di Thorbardin e di come il loro piano sarebbe stato coronato da successo se non fosse stato sventato dalla magia, dal tradimento e dagli Dei della Luce.

    Mentre parlava, si accorse che Ariakas si stava infuriando sempre più con il progredire del suo rapporto; quando giunse con riluttanza al punto in cui Dray-yan era precipitato nella fossa, Kitiara scoppiò a ridere mentre Ariakas, furibondo, estraeva la spada e prendeva ad avanzare verso il draconico.

    Smettendo bruscamente di parlare, Grag indietreggiò di un passo, contraendo le dita dotate di artigli nell’approntare un incantesimo. Sarebbe morto, ma Takhisis gli era testimone che non sarebbe morto da solo.

    Continuando a ridacchiare, Kitiara protese la mano e la poggiò sul massiccio avambraccio di Ariakas, trattenendolo.

    «Almeno, mio signore, non uccidere il Comandante Grag prima che abbia ultimato il suo rapporto», commentò. «Per quanto mi riguarda, sono curiosa di sentire il resto della storia».

    «Sono lieto che la trovi così dannatamente divertente», ringhiò Ariakas, ribollendo di rabbia, poi ripose con violenza la spada nel fodero, pur mantenendo la mano sull’impugnatura, e adocchiò Grag con aria cupa, continuando: «Non ci vedo proprio niente di buffo, Thorbardin continua a essere sotto il controllo dei nani Hylar, che sono ora più forti che mai, dal momento che hanno recuperato quel magico martello e che hanno riaperto al mondo le loro porte da tempo sigillate. Il ferro, l’acciaio e le ricchezze del regno dei nani, che dovrebbero fluire nelle nostre casse, stanno invece finendo nelle mani dei nostri nemici! E tutto perché Verminaard è riuscito a farsi assassinare e perché dopo uno stupido aurak con manie di grandezza ha fatto un tuffo in una fossa senza fondo!».

    «La perdita di Thorbardin è un duro colpo», ammise con calma Kitiara, «ma non è un colpo fatale. Certo, le ricchezze del regno dei nani ci avrebbero fatto comodo, ma puoi andare avanti anche senza di esse. Ciò che più abbiamo da temere è che l’esercito dei nani possa entrare in guerra, e non vedo come questo possa accadere. Gli umani odiano gli elfi, che diffidano degli umani, e nessuno ama i nani, che disprezzano le altre due razze. È molto più probabile che si attacchino a vicenda, invece di combattere contro di noi».

    Ariakas grugnì soltanto. Non era abituato a essere sconfitto e continuava a essere contrariato, ma nel lanciare un’occhiata in direzione di Kitiara, Grag la vide ammiccare appena verso di lui, a segnalare che la crisi era superata. Rilassandosi, il bozak lasciò dissolvere l’incantesimo che era stato pronto a usare per difendersi. Al contrario di alcuni degli sgherri umani dell’imperatore, che avrebbero detto con sottomissione: «Grazie per la tua attenzione, mio signore», mentre Ariakas staccava loro la testa dal collo, il draconico non sarebbe andato incontro alla morte senza combattere, e poteva essere un avversario formidabile. Forse non sarebbe riuscito a uccidere il possente Ariakas, ma con il suo massiccio corpo coperto di scaglie, i piedi e le mani dotati di artigli e le ampie ali avrebbe potuto quanto meno danneggiare l’umano. La Dama Azzurra aveva intuito il pericolo, e quello era stato il motivo principale del suo intervento.

    Grag era un discendente dei draghi, e come i draghi nutriva ben poca simpatia per gli umani, ma rivolse lo stesso alla Dama Azzurra un cenno del capo, per indicare la propria gratitudine; lei reagì indirizzandogli uno di quei suoi sorrisi in tralice, e nel notare il bagliore che le accendeva gli occhi scuri, Grag si rese di colpo conto che lei si stava divertendo.

    «Elargiscici i dettagli della morte di Verminaard», disse poi Kitiara. «È stato assalito da assassini che si fingevano schiavi. Questi assassini sono ancora a piede libero, comandante?».

    «Sì, mia signora», rispose Grag, rigido. «Li abbiamo seguiti fino a Thorbardin, e secondo le mie spie essi si trovano ancora là».

    «Offrirò un premio per la loro cattura, come ho fatto per l’Uomo dalla Gemma Verde», affermò Ariakas. «In tutto Ansalon, le nostre forze dovranno tenere gli occhi aperti per cercare di catturarli».

    «Io ci penserei due volte prima di fare una cosa del genere, mio signore», consigliò Kitiara, con quel suo strano sorriso. «Non vorrai far sapere che degli schiavi si sono resi responsabili dell’uccisione di un Signore dei Draghi, vero?».

    «In tal caso, troveremo un’altra spiegazione», ribatté Ariakas, con gelida ira. «Cosa sappiamo di questi uomini?».

    La lingua di Grag saettò in mezzo alle fauci e si ritrasse. In realtà non sapeva molto al riguardo. Lanciò un’occhiata in direzione della Dama Azzurra e si accorse che stava perdendo interesse alla conversazione, come dimostrava la mano da lei sollevata a nascondere uno sbadiglio.

    Si scandagliò la mente alla ricerca di tutto ciò che il suo defunto collega, l’aurak Dray-yan, gli aveva detto sul conto degli assassini.

    «Verminaard aveva piazzato una spia in mezzo a loro, e quell’uomo ha riferito che provenivano da una città dell’Abanasinia, mio signore, un posto chiamato Solace…».

    «Solace, hai detto?» intervenne Kitiara, la cui noia pareva improvvisamente svanita.

    «Solace non è il posto dove sei nata?» domandò Ariakas, lanciandole un’occhiata.

    «Sì», annuì Kitiara. «È dove sono cresciuta».

    «Allora forse conosci questi miserabili», osservò Ariakas.

    «Ne dubito», ribatté lei, scrollando le spalle. «Non torno a casa da anni».

    «Come si chiamavano quegli uomini?» incalzò Ariakas.

    «Conosco solo un paio di nomi…» cominciò Grag.

    «Devi pure averli visti durante la battaglia», osservò Ariakas, in tono secco. «Descrivili, comandante».

    «Li ho visti», borbottò cupo Grag. In effetti, li aveva visti molto da vicino. A un certo punto lo avevano catturato, ed era stato solo grazie alla misericordia della Regina delle Tenebre e al suo stesso ingegno se era riuscito a fuggire. «Sono un mucchio di straccioni. Il loro capo è un mezzelfo bastardo chiamato Tanis, un altro è un nano dalla barba grigia e un altro ancora è un piagnucoloso kender. Gli altri sono umani: un mago dalle Vesti Rosse, un immondo Cavaliere Solamnico di nome Sturm e un guerriero tutto muscoli chiamato Caramon».

    Kitiara emise un lieve suono che era una sorta di sussulto soffocato.

    «Riconosci questi criminali?» domandò Ariakas, girandosi verso di lei.

    Kitiara ricompose in un istante i propri lineamenti e sfoggiò il suo solito sorriso in tralice, nel dire:

    «Temo proprio di no, mio signore».

    «Meglio per te che sia così», ammonì Ariakas, cupo. «Se dovessi scoprire che hai avuto qualcosa a che vedere con la morte di Verminaard…».

    «Mio signore, ti assicuro che non so nulla al riguardo», garantì Kitiara, scrollando le spalle.

    Ariakas la fissò intensamente, quasi stesse cercando si sezionarla. L’assassinio era uno dei metodi usati per salire di rango, all’interno dell’esercito della Regina delle Tenebre, ed era considerato un modo per selezionare i condottieri più forti, ma Ariakas aveva considerato prezioso Verminaard, e Kitiara non voleva essere accusata di averne organizzato la morte, soprattutto quando la mancata conquista del regno di Thorbardin era stata il risultato disastroso di quell’assassinio.

    «Solace ha una popolazione di parecchie migliaia di abitanti, mio signore», aggiunse, cominciando a irritarsi. «Non conoscevo ogni uomo della città».

    Ariakas continuò a fissarla, ma lei sostenne il suo sguardo senza sussultare, e alla fine lui si decise a desistere.

    «No, ma scommetto che hai dormito con la metà di loro», commentò, tornando a concentrare la propria attenzione su Grag.

    Kitiara accolse con un doveroso sorriso la battuta del suo signore, ma quel sorriso svanì non appena lui smise di guardarla; appoggiatasi di nuovo al tavolo, a braccia conserte, lei assunse un’espressione assorta.

    «Dove sono adesso questi assassini, comandante?» chiese intanto Ariakas.

    «L’ultima volta che ho avuto loro notizie, si stavano nascondendo a Thorbardin, mio signore», rispose Grag, poi esitò e aggiunse, arricciando appena le labbra: «Credo che l’hobgoblin che si fa chiamare Fewmaster Toede possa fornirti maggiori informazioni sul loro conto».

    «Se vostra signoria lo desidera», intervenne Kitiara, riscuotendosi leggermente, «potrei recarmi a Pax Tharkas e parlare con questo Fewmaster».

    «Il Fewmaster non è a Pax Tharkas, mia signora», avvertì Grag. «Quella fortezza è in rovina e non è più difendibile. L’Armata Rossa è stata trasferita nella città di Haven».

    «Allora andrò ad Haven», replicò Kitiara.

    «In seguito, forse», ribatté Ariakas. «Solamnia ha la priorità».

    Kitiara scrollò le spalle e tornò a sprofondare nelle sue riflessioni.

    «Quanto a questi assassini», continuò Ariakas, «con ogni probabilità rimarranno nascosti nelle grotte di Thorbardin per tutto l’imminente inverno. Assolderemo qualche nano scuro…».

    «Io non ne sarei tanto sicura…» interloquì Kitiara.

    «Cosa intendi dire?» domandò Ariakas, girandosi a fissarla con occhi roventi. «Credevo non conoscessi questi uomini!».

    «No, infatti, ma conosco il tipo di uomini a cui appartengono», replicò lei, «e lo conosci anche tu, mio signore. Con ogni probabilità sono vagabondi, spade a pagamento itineranti, e uomini del genere non rimangono mai a lungo in uno stesso posto. Puoi essere certo che presto si muoveranno. Un po’ di neve non li potrà fermare».

    Ariakas le rivolse una strana occhiata, di cui lei non si accorse perché si stava contemplando la punta impolverata degli stivali; per un momento ancora lui la fissò in silenzio, poi tornò a rivolgersi a Grag.

    «Fatti riferire dai tuoi agenti tutto il possibile sul conto di questi uomini, e se dovessero lasciare le sale dei nani, avvertimi immediatamente», disse, con aria accigliata. «Inoltre, fa’ circolare la voce che voglio siano catturati vivi. La morte di un Signore dei Draghi non rimarrà impunita, e intendo fare di questi individui un esempio significativo».

    Grag promise che avrebbe scoperto tutto il possibile, poi lui e Ariakas discussero per qualche tempo della guerra nell’ovest e di chi avrebbe dovuto assumere il comando dell’Armata Rossa. Grag rimase impressionato dal fatto che Ariakas fosse al corrente della situazione in cui si trovava l’Armata Rossa, della disposizione delle sue forze, della necessità di provviste e così via.

    Discussero anche di Pax Tharkas. Ariakas affermò di aver valutato la possibilità di riconquistarla, ma di aver deciso che non ne valeva la pena, considerato che la fortezza era in rovina, motivo per cui le sue truppe si sarebbero limitate ad aggirarla.

    Durante tutta la conversazione Kitiara rimase silenziosa e assorta, tanto da indurre Grag a pensare che non li stesse ascoltando, almeno finché lui non accennò, arricciando nuovamente le labbra, all’ambizione nutrita dal Fewmaster Toede di diventare il successore di Verminaard. Nel sentire quelle parole, Kitiara sorrise.

    Quel sorriso non fece piacere a Grag, perché destò in lui il timore che lei intendesse appoggiare una promozione di Toede, e lui non voleva prendere ordini da quel grasso e arrogante hobgoblin che pensava solo al proprio interesse; d’altro canto, a pensarci bene, avere Toede come comandante sarebbe stato meglio che dover dipendere da un ottuso umano, perché Toede poteva essere manipolato, adulato e indotto a fare quello che Grag voleva, mentre un comandante umano avrebbe fatto le cose a modo suo. Era una possibilità su cui avrebbe dovuto riflettere.

    La discussione si concluse poco dopo e Grag venne congedato. Dopo aver salutato, oltrepassò la porta, che Ariakas richiuse alle sue spalle. Con suo stupore, Grag si rese conto che stava tremando, e fu costretto a soffermarsi un momento per ritrovare il controllo.

    Una volta tornato se stesso affrontò i due orchi, che parvero sorpresi di vederlo tornare tutto intero e gli consegnarono in silenzio la spada e il coltello, adocchiandolo con maggior rispetto.

    «C’è una taverna, nelle vicinanze?» chiese Grag, tenendo in mano la cintura con la spada perché non era certo di riuscire ad affibbiarla senza armeggiare a vuoto e non voleva dare agli orchi la soddisfazione di vedere quella sua debolezza. «Mi andrebbe un bicchiere di spirito dei nani».

    Gli orchi sogghignarono.

    «Prova al Troll Peloso», suggerì poi uno di essi, indicando nella direzione in cui si trovava la taverna.

    «Grazie», rispose Grag, e si allontanò tenendo ancora in mano la spada.

    Nella sua mente non c’era il minimo dubbio sul fatto che la Dama Azzurra conosceva quegli assassini e sul fatto che Ariakas sapeva che lei sapeva… o almeno lo sospettava.

    Grag non avrebbe voluto essere al posto di quella donna per tutto lo spirito dei nani che si poteva trovare a Thorbardin.

    2.

    La strategia di Kitiara.

    Il piano di Ariakas. La strega

    «S ai, ho una mezza idea di promuovere quel Grag a Signore dei Draghi», osservò Ariakas, fissando con aria riflessiva la porta da cui era appena uscito il draconico.

    «Un draconico?» commentò Kitiara, divertita. «Quegli uomini lucetola sono eccellenti combattenti, questo è certo, mio signore, e dopo tutto sono stati creati per combattere, ma non hanno l’intelligenza e la disciplina tipiche di un comandante».

    «Non ne sono tanto sicuro», obiettò Ariakas. «Il Comandante Grag ha una testa notevole su quelle sue spalle coperte di scaglie».

    «Se non altro, è più sveglio di Verminaard», borbottò Kitiara.

    «Ti vorrei ricordare che stimavo molto Verminaard», ribadì Ariakas, accalorandosi. «La sua campagna nell’ovest è stata condotta in modo brillante. Chiunque, per quanto potente, più cadere vittima del fato».

    Kitiara scrollò le spalle e soffocò un altro sbadiglio. La notte precedente non aveva dormito molto perché il suo sonno era stato infranto di continuo da sogni angoscianti che riguardavano una fortezza devastata dal fuoco

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