Chiamatemi Strega
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Anteprima del libro
Chiamatemi Strega - Barbara Giorgi
sempre.
1. CHIAMATEMI STREGA
( monologo teatrale)
Non importa chi sono. Non importa come mi chiamo. Potete chiamarmi Strega.
Perché tanto la mia natura è quella. Da sempre, dal primo vagito, dal primo respiro di vita, dal primo calcio che ho tirato al mondo.
Sono una di quelle donne che hanno il fuoco nell’anima, sono una di quelle donne che hanno la vista e l’udito di un gatto, sono una di quelle donne che parlano con gli alberi e le formiche, sono una di quelle donne che hanno il cervello di Ipazia, di Artemisia, di Madame Curie.
E sono bella! Ho la bellezza della luce, ho la bellezza dell’armonia, ho la bellezza del mare in tempesta, ho la bellezza di una tigre, ho la bellezza dei girasoli, della lavanda e pure dell’erba gramigna!
Per cui sono Strega.
Sono Strega perché sono diversa, sono unica, sono un’altra, sono me stessa, sono fuori dalle righe, sono fuori dagli schemi, sono a-normale…. sono io!
Sono Strega perché sono fiera del mio essere animale-donna-zingara-artista e ….. folle ingegnere della mia vita.
Sono Strega perché so usare la testa, perché dico sempre ciò che penso, perché non ho paura della parola pericolosa e pruriginosa, della parola potente e possente.
Sono Strega perché spesso dò fastidio alle Sante Inquisizioni di questo strano millennio, di questo Medioevo di tribunali mediatici e apatici.
Sono Strega perché i roghi esistono ancora e io – prima o poi – potrei finirci dentro.
2. GUENDA E I GRANCHI
Un anno fa. Esattamente un anno fa. Una data memorabile della sua esistenza. Lei ed Alex erano andati nella loro casa al mare per ritrovarsi
, per parlare un po’, per riscoprire perché qualche anno prima avevano deciso di amarsi. E quella casa piccola e bianca, quasi una capanna fatta di vecchie assi di legno inchiodato, con il giardino colmo di palme e limoni, con l’edera arrampicata ovunque sui muri di cinta, con quell’assenza di ogni rumore, affacciata sugli scogli e sul mare, era l’ideale per fare da contorno alle loro parole, agli sguardi, alle dita incrociate mano nella mano.
Prima di partire Guendalina aveva immaginato le passeggiate sul lungomare, con i loro passi ondeggianti tra sabbia e acqua, con i loro pensieri immersi in ricordi, con le loro chiacchiere dolci e romantiche. Ma sognare non fa sempre bene. A volte, non fa bene al corpo e non fa bene alla mente. Il sogno ad occhi aperti è spesso un’illusione terribile che corre troppo veloce. E si può schiantare contro il muro della realtà.
Arrivati in quella casa per le vacanze estive, erano subito andati a fare la spesa nel market di quella cittadina da cartone animato. Tutto era piccolo, colorato, ridente, infantile. Sembrava il set di una telenovela brasiliana.
Avevano comprato caffè, latte, zucchero, biscotti, cioccolato, pasta e tanta frutta. Erano tornati subito a casa per mangiare qualcosa dopo il lungo viaggio in auto. Incredibile: il progetto estivo di una fuga dalla città, dallo smog e dal traffico si era concretizzato.
Adesso, primo agosto, erano nel loro piccolo paradiso terrestre.
Vuoi che cucini un po’ di pasta?
le aveva chiesto lui, vedendola stanca.
No. Mangiamo qualcosa velocemente a andiamo sulla spiaggia. Ti va?
lei lo aveva guardato negli occhi, come faceva sempre, cercando qualcosa. Segnali, forse. Qualcosa che le potesse far comprendere finalmente cosa stava succedendo tra loro.
Lui evitava sempre quegli sguardi. Abbassava gli occhi o guardava altrove.
E lei chiedeva a se stessa: Disinteresse, stanchezza o cos’altro?
.… ma non riusciva poi a formulare anche le risposte. Mai.
Avevano mangiato latte e biscotti. Erano andati sul mare e tutto lì era stupendo: il sole caldo che creava una coperta avvolgente sul corpo, il vento leggero, la sabbia sfuggente sotto le piante dei piedi. E quell’odore pungente della salsedine, dei pesci, dei pescatori e delle reti, dei bambini sudati che correvano lì vicino. Era bello anche vedere i granchi caracollanti e impavidi che si avvicinavano uno dopo l’altro, senza porsi troppi problemi: del resto, quello era il loro territorio.
Adoro questo posto. Ci vivrei sempre, per sempre, ogni giorno. Si sta bene, qui, vero?
Guenda aveva provato a rompere il loro silenzio davanti a quelle onde piatte ed irregolari.
Sì. Qui si sta bene.
Perché le risposte di Alex erano sempre così telegrafiche? Perché neppure in quel momento provava a donare qualcosa di sé? Magari, ad aprire una breccia in quella parete di incomprensioni che ormai entrambi vivevano nel loro quotidiano?
Quello era stato l’inizio della fine. Un anno fa. Esattamente un anno fa. Ora Guenda era lì da sola, davanti a quelle solite onde piatte ed irregolari. Primo agosto. Primo giorno di ferie. Data immemorabile. Rewind.
Cosa c’è che non va tra noi?
aveva chiesto lei con un sospiro sommesso, impercettibile.
Silenzio. Silenzio atroce, interminabile, infinito.
Allora lei aveva guardato il mare, forse cercando le risposte in quell’orizzonte azzurro che proseguiva verso il cielo, perdendosi chissà dove. Ma neppure lì c’erano risposte possibili. Lei era abituata ai silenzi infiniti,