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Atlantide e il mistero della sfinge di Oricalco
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E-book328 pagine4 ore

Atlantide e il mistero della sfinge di Oricalco

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Info su questo ebook

Il mistero, la suspense e la storia si mescolano in questo romanzo tra il mondo di Atlantide e la civiltà egizia. Uno dei periodi storici più affascinanti e al contempo ricco di misteri e punti interrogativi, quello dell'antico Egitto, fa da sfondo a questa racconto ambientato all'ombra delle piramidi, nella piana di Giza. La storia si sviluppa, con un grande salto temporale, ai nostri giorni, con un mistero ricco di risvolti esoterici e religiosi. Il mondo contemporaneo è sconvolto da calamità naturali e conflitti politici, sull'orlo della terza guerra mondiale e Amir, giovane archeologo, vuole riportare alla luce la Sfinge e le grandi opere dei suoi antenati - gli antichi abitanti della civiltà di Atlantide - sotterrate, dopo un cataclisma, sotto il ghiaccio. Non avrebbe mai immaginato di risvegliare così antiche forze e dare il via a incredibili intrighi in grado di sconvolgere la sua vita, catapultandolo in un'avventura da cui sarebbe uscito, cambiato, dopo parecchio tempo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2014
ISBN9788867930807
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    Anteprima del libro

    Atlantide e il mistero della sfinge di Oricalco - Tiziana Fasoli

    http://creoebook.blogspot.com

    Tiziana Fasoli

    ATLANTIDE

    E IL MISTERO

    DELLA SFINGE DI ORICALCO

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    CAPITOLO 1

    LA PICCOLA SFINGE DI ORICALCO

    Primavera 9568 a. C.

    Piana di Giza, Egitto.

    All’alba i tiepidi raggi del sole colpivano le marmoree pareti bianche delle tre Piramidi situate nella Piana. Le due Sfingi, una alle spalle dell’altra, vigilavano sul terreno sacro.

    La processione dei sacerdoti procedeva lentamente verso la Sfinge con lo sguardo rivolto verso il deserto. Indossavano dei mantelli color del fuoco, con il cappuccio che lasciava scoperti solo gli occhi. Davanti a tutti camminava Bellatrix, il sommo sacerdote: teneva con solennità sui palmi delle mani una piccola Sfinge d’oricalco adagiata su un capitello ove erano incisi simboli in una lingua molto antica: l’atlantideo. Dietro di lui camminavano, tenendo la solenne andatura, i sacerdoti Mintaka e Saif, seguiti da Rigel e Alnilam.

    Bellatrix raggiunse l’altare di granito posto tra le possenti zampe della Sfinge. Si fermò lì davanti. S’inchinò rimanendo per un momento in contemplazione, poi posizionò la piccola Sfinge d’oricalco al centro dell’altare. Intonò una melodia di ringraziamento per il nuovo giorno.

    La piccola Sfinge, posizionata in una cavità fatta su misura per lei, attivò il meccanismo di apertura di una botola che si aprì nel terreno, illuminando una scala di pietra a forma di spirale. Tre dei sacerdoti scesero lentamente mentre a guardia dell’entrata rimasero Rigel e l’anziano Alnilam; quest’ultimo aveva sostituito Lepus, il novizio, che quella mattina non si era presentato al tempio di Orion e Leonix, come invece avrebbe dovuto per partecipare alla preghiera del mattino. Alnilam, dall’alto della sua esperienza, lo aveva etichettato come un giovane arrogante e scansafatiche, proveniente da chissà quale zona sperduta del deserto, dove aveva conosciuto solo gli scorpioni. Ora che aveva scoperto le comodità del tempio, sembrava avere altro per la testa. Lo dimostrava il fatto che sparisse continuamente per poi tornare dopo un po’, comportandosi come se fosse sempre stato al suo posto. Non riusciva a capire perché Bellatrix non lo avesse ancora cacciato. Sbuffò, puntando lo sguardo verso il deserto, quasi a prendersela con lui per aver condotto lì quel losco figuro. Sperò in cuor suo che quella notte i seguaci di Aryan non si presentassero.

    La grande sala del tempio situata sotto la grande Sfinge rivolta verso il deserto era illuminata da numerose fiaccole sorrette da ganci di ferro posti sulle pareti. I tre sacerdoti avanzarono con passo solenne verso l’altare di marmo rosa dedicato al grande dio Positon, signore dell’acqua e dell’antica terra di Atlantide. A testimone della sua grandezza, c’era un’imponente statua di granito nero del dio seduto su un trono. In una mano stringeva un tridente d’oro mentre con l’altra sosteneva una sfera di quarzo.

    Bellatrix stava per intonare il canto di adorazione quando fu interrotto da alcune grida provenienti dalla superficie. Si voltò con aria preoccupata verso le scale.

    Rigel e Alnilam stavano in piedi accanto all’altare di pietra che separava le due possenti zampe della Sfinge, osservando con circospezione l’ambiente circostante. Temevano di essere attaccati dagli uomini di Aryan. Riuscirono a rilassarsi solo dopo essersi rassicurati che, oltre a loro e agli scorpioni, lì non c’era nessun altro. Rigel iniziò a raccontare, sotto lo sguardo annoiato di Alnilam, di quando, da bambino, aveva appreso l’arte dello scriba, imparando a scrivere l’antica lingua dei loro antenati. A un tratto sembrò rivolgersi a un’immaginaria platea, dando le spalle ad Alnilam che non sembrava avere molta voglia di ascoltarlo. Nella foga non si accorse dell’arrivo di due uomini spuntati dalla sabbia del deserto come per magia. I due colpirono l’anziano sacerdote mortalmente. Questi si accasciò al suolo, senza emettere alcun suono. I due sicari, vestiti con tuniche color sabbia, procedettero verso Rigel. In quello stesso istante videro arrivare di corsa un ragazzo con indosso il tipico anzit arancione dei novizi del tempio di Positon che gli copriva il viso. Dall’andatura doveva essere molto giovane e forte. Gridò in direzione del sacerdote ancora in vita che sconcertato si guardò intorno. A cosa devo stare attento? Si voltò, appena in tempo per schivare il colpo mortale di uno dei due assalitori. Colto dalla rabbia per aver mancato la presa, il sicario afferrò la piccola Sfinge d’oricalco, innescando così il meccanismo di chiusura che imprigionò i tre sacerdoti di Orion all’interno del tempio. Gli uomini con la tunica color sabbia iniziarono a correre verso Lepus che si scagliò con tutte le sue forze verso quello che stringeva sotto il braccio la piccola Sfinge. Gliela strappò dalle mani per poi correre verso l’altare e rimetterla al suo posto. Il sicario, colto alla sprovvista, gli andò dietro, afferrandolo per le spalle. Ne uscì una colluttazione. Lepus riuscì a divincolarsi, spingendo l’avversario. Quest’ultimo barcollò all’indietro fino a perdere l’equilibrio e cadere, andando a sbattere la testa contro lo spigolo dell’altare, morendo sul colpo. L’altro sicario tentò di recuperare l’oggetto d’oro che nel frattempo era caduto nella sabbia. Non si accorse dell’arrivo di Rigel che giunto alle sue spalle, lo afferrò per il collo nel maldestro tentativo di soffocarlo. L’avversario fu più veloce: liberandosi della stretta con la sola forza delle braccia, scaraventò il sacerdote a terra come fosse stato una pianta di papiro, poi, furibondo, si voltò in direzione di Lepus. Il giovane non si fece trovare impreparato: raccolse la Sfinge, tenendola per la testa per usarla come una mazza e la scagliò sulla testa dell’uomo che cadde a terra stordito. Lepus ne approfittò per e inserire nuovamente la Sfinge al suo posto, liberando così i tre sacerdoti chiusi all’interno del tempio.

    I rumori provenienti dall’esterno e la repentina chiusura della botola avevano fatto comprendere ai tre sacerdoti di Orion che stava accadendo all’esterno qualcosa di spiacevole. Intuendo di essere stati attaccati, erano entrati subito in azione, nonostante fossero costretti a muoversi al buio. Saif si era arrampicato sulla statua di marmo del dio. Aveva spinto la pupilla destra, innescando il meccanismo di chiusura di una porta a scomparsa, sigillando così la stanza del tesoro di Positon. Mintaka, il più forte e giovane fra i tre, era corso verso la botola, nel vano tentativo di provare ad aprirla. L’anziano Bellatrix aveva nascosto la corona di oricalco. Gli era stata lasciata in sua custodia anni prima dalla principessa Ashia di Atlantide in attesa che un suo discendente ne rivendicasse il possesso. Improvvisamente i rumori esterni cessarono e la botola venne riaperta. Mintaka si lanciò come una furia su Lepus che saltò all’indietro per non essere colpito. Sono Lepus! gridò il giovane, lasciando il sacerdote di stucco per la mancata presa. Potete uscire, non c’è più pericolo!

    I tre uscirono guardinghi. Nel vedere a terra il corpo di Alnilam, fissarono il novizio con aria torva. Che cosa è successo? chiese Bellatrix con tono accusatorio.

    Lepus indicò i corpi a terra. Siamo stati attaccati da quegli uomini.

    Posso confermare esclamò Rigel, visibilmente pallido in volto.

    I tre alzarono meccanicamente lo sguardo verso i corpi che giacevano inermi, uno accanto all’altare e l’altro disteso accanto a quello di Alnilam.

    È morto? chiese il giovane evidentemente dispiaciuto. Purtroppo non ho fatto in tempo a salvarlo. Ma dovevamo aspettarci un simile attacco da Aryan! esclamò Lepus stringendo rabbioso il pugno.

    Lepus, come fai a sapere che Aryan e i suoi fedeli sono nostri nemici? Solo gli anziani conoscono il segreto! osservò accigliato Mintaka. Sono anni che tentano di scoprire dove è nascosto il tesoro di Atlantide.

    Me l’ha spiegato mia madre azzardò il giovane, guardando dritto negli occhi il sacerdote.

    E chi sarebbe tua madre? chiese Saif con tono di sufficienza.

    Ashia rispose Lepus con tono fermo.

    Saif e Mintaka impallidirono, invece Bellatrix sospirò. Si voltarono verso di lui.

    Tu lo sapevi? chiese Saif sulle spine.

    Bellatrix si limitò ad annuire. Sembrava non aver nemmeno ascoltato le domande degli altri sacerdoti. Sgranò gli occhi in direzione di Alnilam. È ancora vivo! esclamò, correndo verso di lui, seguito dagli altri.

    Lo sollevò, mettendogli un braccio sotto le spalle.

    Che cosa è successo?

    Siamo stati attaccati dagli uomini di Aryan ma il principe Lepus ci ha salvati.

    Chi? chiese Mintaka, guardando con aria sconvolta il giovane inginocchiato accanto a lui.

    Così tu sei… sussurrò Alnilam, scoppiando in lacrime. Mi dispiace per averti giudicato… ho capito solo ora chi sei veramente: il principe di Atlantide.

    Non preoccuparti.

    Devi andare via da qui, prima che Aryan scopra la tua vera identità intervenne Bellatrix con tono fermo.

    Lepus lo fissò incredulo.

    Se quei due sicari erano qui, significa che Aryan ha scoperto dove si trova il tempio di Positon. Ricopriremo la Sfinge di sabbia in modo tale che nessuno possa ritrovarla; principe Lepus, tornerai presso il popolo del deserto e porterai con te la corona di oricalco.

    Lepus fece un passo indietro. No, non sono venuto qui per prendere la corona. Sarà più al sicuro qui con voi.

    Bellatrix annuì. Allora, permettimi di donarti la piccola Sfinge d’oricalco. So che la custodirai con cura fino al giorno in cui il pericolo sarà cessato e la grande Sfinge potrà essere riportata alla luce.

    Lepus, onorato, prese il prezioso oggetto dalle mani del sacerdote di Orion e Leonix. Farò ciò che hai detto perché sei un uomo saggio. Porterò la Sfinge nel deserto.

    Poi, nonostante le rimostranze dei monaci, li aiutò a ricoprire di sabbia la Sfinge, promettendo di inviare alcuni uomini di sua fiducia a sorvegliare la zona. I sacerdoti furono lieti di quella notizia, spiegando che avrebbero costruito un altro tempio in un luogo sicuro dove avrebbero potuto venerare Positon in segretezza e tranquillità.

    Lavorarono tutto il giorno, fino a notte fonda, poi Lepus si incamminò verso il deserto, lanciando un ultimo sguardo al cumulo di sabbia che custodiva la Sfinge. Alzò lo sguardo al cielo, verso la sacra costellazione; quasi inciampò nella sabbia quando si accorse che la stella Leonix aveva iniziato a brillare molto meno della altre. Come se ciò che era stato celato in terra si fosse velato anche in cielo. Si voltò nuovamente verso la piana dove giacevano ancora i corpi dei sicari senza vita. Provò pietà per loro. Allungò il passo: la strada era ancora lunga.

    La Piana di Giza era avvolta dall’oscurità della notte. L’uomo dalla tunica color sabbia riaprì gli occhi. Sentì scricchiolare ogni osso del suo corpo dolorante. Nel buio vide allontanarsi la sagoma di un ragazzo che sembrava avere in mano la piccola Sfinge d’oricalco. Cercò di alzarsi. Avrebbe voluto inseguirlo per portare quell’oggetto così prezioso ad Aryan. Guardò alle sue spalle pensando di trovarsi di fronte la Sfinge Leonix, ma non vedendola, rimase senza fiato, pensando a qualche magia dei sacerdoti di Orion e Leonix. Terrorizzato, iniziò a correre verso la città, turbato dal fatto di dover riferire l’accaduto alla sua padrona.

    CAPITOLO 2

    GLI EREDI DI ATLANTIDE

    Lunedì 16 gennaio 2013.

    Il Cairo, Egitto.

    Gli eredi di Atlantide il ventuno dicembre 2012, avevano riunito le dieci sfere di quarzo nell’Omnia, evitando l’apocalisse. Gli sconvolgimenti climatici che si erano abbattuti sull’intero pianeta sembravano esser cessati anche se le cose non erano ancora tornate completamente alla normalità. Interi paesi si erano impoveriti a causa del disastro ecologico, c’erano state molte perdite umane. Le nazioni si accusavano tra loro, mentre cercavano le cause del disastro puntando il dito contro l’utilizzo improprio di diverse risorse e sostanze chimiche. Antichi dissapori si stavano risvegliando e nuove intolleranze stavano nascendo, senza immaginare che ciò che era accaduto era da attribuire alla maledizione che Positon aveva lasciato secoli e secoli prima agli abitanti di Atlantide. Grazie all’ingegno, ma soprattutto, all’unione che si era creata tra loro, avevano impedito al continente di risorgere dai ghiacci, inabissando il resto delle terre emerse.

    Nessuno poteva immaginare che i sovrani di Atlantide, riunendo le dieci sfere intorno all’Omnia, avevano scongiurato un cataclisma che avrebbe riportato alla luce Atlantide e sommerso molte altre terre che avrebbero preso il suo posto.

    Negli ultimi mesi tra tsunami, terremoti, alluvioni e incendi che si pensava fossero solo eventi naturali, i grandi della Terra avevano cercato, con ogni mezzo, un accordo comune per poter riuscire a risollevarsi. Le uniche cose che avevano ottenuto erano accuse di fare i propri interessi e alleanze politiche. Nel frattempo, a distanza di poche settimane dal mancato disastro, la gente si riuniva nelle piazze per manifestare contro uno Stato che non dava loro neanche la possibilità di comprare un pezzo di pane per sopravvivere. Mancavano tutti i generi di prima necessità, ma soprattutto c’era mancanza d’acqua. Il mondo era sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.

    In questo marasma, c’era qualcuno che sembrava vivere al di sopra di tutto; infatti, Amir e i suoi uomini lavoravano in pace e tranquillità, lontani dal mondo e dal tempo. Gli scavi nella Piana di Giza procedevano a velocità moderata. Lui guidava i lavori per riportare alla luce la seconda Sfinge, il monumento fatto costruire dai suoi antenati, gli atlantidei sfuggiti al cataclisma che aveva colpito le loro terre nell’Oceano Atlantico spinte al Polo Sud, dove tuttora giacevano nascoste dai ghiacci perenni.

    Amir sperava di riportare alla luce i resti dell’antica civiltà ormai ricoperta nuovamente dai ghiacci.

    Al suo fianco, supervisori dello scavo, c’erano due dei suoi cugini, Eleonora Cisolla, archeologa romana, giovane e intelligente, con quel pizzico d’intraprendenza apprezzato da Costantino Baldi, cercatore di tesori, che gli ricordava nell’abbigliamento Indiana Jones con la camicia bianca di lino, jeans beige e il cappello a tesa larga.

    I tre discendevano dal grande dio Positon che nella notte dei tempi aveva donato ai suoi dieci figli, avuti da Clito, le terre di Atlantide. A farli incontrare qualche mese prima era stata la tavoletta di oricalco trovata nella tomba di Ahjum, discendente di Atlas, entrambi antenati di Amir. Dopo essere stata esaminata a lungo, la mummia dell’uomo era stata portata a Luxor, nella cripta del Palazzo Piramidale, dove ora riposava.

    Tra i fratelli di Atlas c’erano Tafio da cui discendeva Costantino, e Anteo da cui discendeva Eleonora. Secondo Amir loro erano le reincarnazioni di Marea e Oceano, un triste amore che gli uomini avevano impedito e a cui Positon aveva dato un’altra possibilità. Era scritto nel firmamento: quando le due stelle si sarebbero incontrate in cielo, i due amanti si sarebbero riuniti nuovamente sulla Terra. E così, in effetti, era stato.

    Oltre a loro tre c’erano anche Ftio, discendente di Acheo, Neleo e Pelia, che avevano lo stesso nome dei loro antichi avi, Emilio, successore di Pelasgo, Vincent, erede di Tritone, Rebecca, pronipote di Roa e l’anziano Eumolpo, che aveva lo stesso nome del suo antenato.

    I dieci re e regine avevano partecipato al ritrovamento delle sfere di quarzo grazie alle quali avevano celebrato la cerimonia che aveva impedito ad Atlantide di risorgere. Per farlo si erano recati con la nauta, l’antica nave volante a tre remi, sull’isola di Atlas, in Antartide, scongiurando il cataclisma che avrebbe distrutto gran parte dell’umanità.

    Insieme avevano superato le divergenze e le ipocrisie per sconfiggere il nemico comune: Busiride, il discendente di Brisuide, il capo delle guardie reali. Questi si era finto re di Atlantide ingannando molti di loro con false promesse con il solo scopo di diventare il padrone indiscusso del pianeta.

    Amir venne scosso dal torpore in cui era caduto ripensando a quanto accaduto nell’anno precedente per voltarsi verso la seconda Sfinge, ormai completamente libera dalla sabbia. Durante gli scavi aveva osservato minuziosamente l’antico monumento senza riuscire a trovarne l’entrata. Amareggiato, aveva deciso di tornare per qualche giorno dalla sua famiglia nel deserto, lasciando a Costantino ed Eleonora il gravoso compito di trovarla. Aveva voglia di rivedere Shari, l’amata moglie, e i suoi figli. Nonostante fosse contrario ai suoi principi, era riuscito a comprare al mercato nero due telefoni satellitari, gli unici funzionanti dopo il black out che si era verificato. Uno lo aveva tenuto per sé, l’altro lo aveva dato ad Ali, il suo braccio destro, lo schiavo prediletto che sarebbe rimasto lì a sovrintendere ai lavori.

    Salì su Lira, il suo fidato dromedario beige. Poi, fece un cenno di saluto verso Ali, Costantino ed Eleonora che ricambiarono.

    Dovete trovare l’entrata del tempio di Positon. Secondo un documento lasciatomi in eredità da un mio antenato di nome Lepus, dovrebbe trovarsi esattamente sotto questa Sfinge.

    Un documento? ripeté Eleonora, colta da curiosità. Posso vederlo? Potrei trovare qualche indizio.

    Amir prese l’antico foglio di papiro dalla sua borsa e glielo porse. Più che altro è un disegno: una Sfinge stilizzata alla base sembra esserci un’intera costruzione. Se ho tradotto in modo corretto, secondo Lepus, vi è custodito il tesoro degli atlantidei che Ahjum riuscì a portare in Egitto, stipandolo nelle stive delle naute. La costruzione di questi antichi monumenti è opera sua, di Ahjum, che insieme al suo popolo, ha insegnato agli Egizi a costruire le Piramidi.

    Eleonora prese delicatamente l’antico e prezioso foglio con l’intenzione di esaminarlo immediatamente e analizzarlo con molta attenzione. Ormai conosceva perfettamente quei simboli: l’antico atlantideo non aveva più segreti per lei.

    Deserto del Sahara.

    Amir viaggiava riparato dal taguelmoust, la lunga fascia di cotone color indaco che avviluppata intorno alla testa e sul volto tipica dei Tuareg lasciava libera un’apertura per gli occhi. Il dromedario correva lungo la distesa di sabbia pallida del deserto, coprendo in breve tempo quasi la metà del percorso. Il Tuareg sorrise al sole che ormai lo guardava dall’orizzonte: presto avrebbe rivisto sua moglie Shari e i figli. Si fermò in un’oasi dove trascorrere la notte. Il dromedario si sarebbe abbeverato alla pozza d’acqua e riposato per qualche ora. E anche lui avrebbe assaporato il kebab che gli avevano cucinato Sarah, la moglie di Pelia e Noemi, moglie di Neleo. Erano state molto gentili a preparargli i pasti per il viaggio. Mangiò avidamente per poi sdraiarsi sulla sabbia a osservare le stelle; sorrise: presto avrebbe riabbracciato sua moglie Shari e i figli.

    Luxor.

    Il Palazzo Piramidale era stato trasformato in un albergo. I turisti avevano a disposizione le stanze del primo e del secondo piano, nonché l’immenso giardino con le palme dove era stata sistemata una piscina olimpionica.

    I padroni di casa abitavano in piccoli appartamenti al terzo, al quarto e al quinto piano.

    Al terzo piano vivevano Pelia e Neleo con le rispettive famiglie. Sarah e Noemi, le loro mogli, si occupavano delle cucine sistemate al piano terra mentre i loro figli trascorrevano il tempo giocando. Del resto, le scuole erano chiuse e nessuno sapeva quando avrebbero riaperto. Sullo stesso piano c’era anche l’appartamento di Rebecca, la nipote del defunto Roa. La giovane, qualche dissapore col resto della famiglia, aveva deciso di rimanere a vivere lì. Si era offerta di accompagnare i turisti nei siti archeologici più importanti. Poi alla riapertura delle scuole avrebbe ripreso gli studi per diplomarsi e iscriversi all’università, alla facoltà di archeologia. Anche Vincent, nipote del defunto Tritone, era deciso a fare lo stesso percorso, affascinato dalle gesta di Costantino ed Eleonora. Lui occupava l’alloggio sopra quello della cugina, al quarto piano. Qui c’era anche l’appartamento di Eumolpo. L’anziano trascorreva le sue giornate dietro il bancone della reception a risolvere sudoku. Gli altri appartamenti erano occupati uno da Eleonora e Costantino e l’altro da Ftio ed Emilio. Al quinto piano c’era il loft di Amir e la sua numerosa famiglia. Al sesto piano c’era la palestra, mentre dal settimo al nono gli ambienti erano ancora in ristrutturazione. Al decimo, severamente vietato agli ospiti, c’era la Sala Piramidale dove la famiglia si riuniva per discussioni condominiali.

    CAPITOLO 3

    UN NUOVO ARRIVO

    Mercoledì 18 gennaio.

    La Piana di Giza, Egitto.

    La Sfinge si ergeva maestosa tra la sabbia baciata dal sole del mattino. Eleonora era emozionata per quell’epocale ritrovamento. Sentiva le stesse emozioni di quando aveva tradotto la tavoletta di oricalco nel sarcofago di Ahjum. Spostò lo sguardo su Berenice, la sua assistente, constatando il suo aspetto ricercato: lunghi capelli biondi raccolti dietro la nuca in un’elaborata acconciatura fatta con alcuni pettini di avorio che mettevano ancor di più in risalto la pelle di alabastro che la costringeva continuamente a cerare l’ombra per ripararsi dal sole cocente. La giovane archeologa sospirò: quella ragazza non aveva decisamente l’aspetto di una ricercatrice sul campo con quei vestitini svolazzanti, eppure doveva ammettere che era meticolosa, a volte addirittura puntigliosa, nell’osservare con lei la Sfinge alla ricerca della porta d’entrata. Spostò nuovamente lo sguardo sul papiro che le aveva lasciato Amir. Vi erano raffigurate le tre Piramidi e le due Sfingi. Una era quella conosciuta da secoli, con il volto rivolto verso il fiume Nilo, l’altra, quella riportata alla luce da poche settimane, era rivolta verso il deserto. Era soltanto uno schizzo, ma c’era qualcosa d’incomprensibile disegnato sotto la Sfinge rivolta verso il deserto: forse una scala che conduceva a una stanza. Voleva essere prudente e avere più elementi a disposizione prima di poter interpretare quella che sembrava essere una mappa. Intanto si gustava il momento di tranquillità insieme al suo compagno e ai suoi amici.

    Si ricordò di aver bisogno di alcune fotocopie. Avrebbe potuto mandare Berenice. La giovane amava andare in città. Tornava sempre con qualche gingillo comprato al mercato; si voltò per chiamarla e notò che si stava dirigendo verso la propria tenda. Eleonora sospirò: in effetti faceva molto caldo quel giorno e la pelle chiara di Berenice poteva risentirne. Avrebbe aspettato.

    La radio di Ali annunciò il radiogiornale. Sugli scavi scese il silenzio. Ormai le notizie riguardavano solo catastrofi e paesi sul piede di guerra a causa dei cambiamenti climatici a cui si era aggiunto il black out. Nonostante i re e le regine di Atlantide fossero riusciti a scongiurare la catastrofe, il pianeta tardava a tornare alla normalità perché i grandi della Terra non riuscivano a mettersi d’accordo, troppo occupati a cercare la fetta di torta più grande rispetto agli altri. Le persone, consapevoli della difficile situazione, sapevano di doversi rimboccare le maniche, ma nessuno aveva il coraggio di cominciare. Preferivano manifestare nelle piazze il proprio malcontento, facendo richieste alle quali i capi di Stato non sapevano come rispondere.

    In quello stesso istante, a poche centinaia di metri, Omar, mischiato a un gruppo sparuto di curiosi giunti a osservare gli scavi, scattò alcune foto, immortalando Eleonora e Costantino.

    Tornato nella stanza d’albergo al Cairo, appoggiò delicatamente sul

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