Il Mio Filo Sottile
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La protagonista vede nel suo nuovo lavoro da insegnante e nel giorno delle nozze, che sta aspettando con ansia, l’unico modo per affermarsi agli altri, per fuggire una volta per tutte dai fantasmi della sua ipocondria. Conta i giorni che la separano dal lieto evento, nascondendo le proprie insicurezze dietro una maschera di apparente felicità.
La ragazza avrà bisogno di un incidente serio e di una lunga convalescenza per riuscire a sconfiggere i mali immaginari che attanagliano la sua psiche e per rendersi conto che è inutile nascondersi da sé stessi e aggrapparsi agli altri per trovare la propria forza.
È un racconto lineare, dalla scrittura sobria.
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Anteprima del libro
Il Mio Filo Sottile - Grespan Fanny
Sharma
1
Ci sono molte cose che sembrano esistere e avere un essere proprio e, invece, non sono altro che un nome e una parvenza.
QUEVEDO
Ci sono cose che sembrano e non sono, altre che sono e non sembrano. Le nuvole possono sembrare volti, animali, fiori, ma sono solamente nuvole. Anche la luna sembra guardarci col suo volto, ma non è così, e nulla è più indifferente, distante e inconsapevole di lei.
Sono sempre stata ipocondriaca, fin da piccola che io ricordi, o per lo meno fin da quando ho iniziato a capire la differenza tra malattia e salute. Quando si è troppo piccoli, le uniche malattie che si conoscono, se non si è davvero molto sfortunati, sono la tosse, il vomito e altre bazzecole… sintomi che, curati con un surplus di coccole familiari, qualche giorno di vacanza da scuola e due o tre cucchiaini di sciroppo al giorno, da ingurgitare di solito controvoglia, si trasformano presto in inconsistenti fastidi, tanto che a volte vengono simulati dai bambini che in realtà soffrono solamente di bisogno d’affetto e attenzioni.
Nella scuola dell’infanzia, durante l’appello, se non alzi la mano per confermare la tua presenza le insegnanti mettono la tua fototessera in una scatolina… quando guarisci, ti tirano fuori e ti appendono di nuovo al tabellone, accanto alle foto di tutti i tuoi amici sani e presenti. Non lo ricordo questo, non so se facessero così anche con me, in quel tempo ormai lontano in cui a gestire gli asili erano solo le suore. Della scatolina mi è stato riferito da un’insegnante. La scatolina è una specie di sanatorio fai da te, insomma. Quando i bimbi tornano a casa e raccontano alla mamma che il proprio amico del cuore sta ancora nella scatola, da tre giorni, la mamma non capisce cosa significhi e pensa già a qualche strano castigo, chiedendosi se non sia il caso di interpellare la rappresentante di classe... poi tutto si chiarisce e finisce con un sorriso della mamma che, a quel punto, rimpiange di non avere anche lei una scatolina magica in cui entrare nei momenti del bisogno.
Poi, crescendo, mi sono sempre chiesta perché li facciano con quel colorino orrendo fucsia-arancione e con quel gusto dolciastro. Gli sciroppi, intendo.
Tutto qui. Durante la spensierata età dell’infanzia non c’è la consapevolezza della malattia, salvo che non vi siano particolari situazioni familiari che vedano la presenza in casa di una persona gravemente ammalata, magari un nonno. Neanche della morte c’è consapevolezza. Epicuro diceva che non bisogna avere paura della morte, perché se c’è lei non ci siamo noi e viceversa. Faceva però riferimento alla propria morte, senza tener conto del baratro in cui precipitiamo quando a mancare è una persona a noi cara. Per i bimbi la morte è la nonna che sale in cielo e va a fare compagnia agli angeli, una stellina che ci guarda da lassù insieme a tante altre stelline. Anche i neonati sono stelline che cadono dal cielo fin dentro le nostre case, mentre i morti sono stelline che tornano lassù, come la Piccola Fiammiferaia. Beata l’età dell’innocenza in cui così facilmente ci si accontenta delle risposte che appagano i bisogni dell’anima! Beata l’età in cui la fame del corpo si sazia semplicemente con una merendina. Il cielo è sempre bello agli occhi di un bambino, lo specchio di un paradiso perfetto, infinito, dove tutti prima o poi troveremo posto.
Poi, con gli anni, matura la consapevolezza che la morte e la malattia sono ben altro; della morte si riesce a malapena a pronunciare il nome, ecco che si ricorre a locuzioni tipo è mancato, non c’è più, ci ha lasciato; le coccole di mamma e papà hanno perso potere, da sole non bastano a guarire dalle malattie e anche lo sciroppo spesso non è che un palliativo. La scatolina magica non funziona più e, finiti gli anni della scuola dell’infanzia, si porta via assieme alla nostra piccola foto tessera i giochi, i disegni tinti con pallidi colori a cera e anche la visione del paradiso perfetto, trasformandosi in un armadietto stipato di flaconi e bustine, farmaci di varia natura che, ognuno a suo modo, nascondono il miraggio della guarigione.
Chi non è mai stato ipocondriaco, o non ha mai vissuto a diretto contatto con persone che vivono tale strano malessere esistenziale, probabilmente non riesce a comprendere come trascorrono le giornate di un ipocondriaco: l'ansia, l'agitazione, il senso di inadeguatezza, la paura sono all'ordine del giorno.
2
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
tu se’ queta e contenta;
e gran parte dell’anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
e un fastidio m’ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
sì che, sedendo, più che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
GIACOMO LEOPARDI
Crescendo, aumentando a poco a poco la consapevolezza delle cose, cambia tutto: le merendine, che quand'eri piccolo gustavi di ritorno dall'asilo, assaporandole già nel momento in cui salivi sul pulmino, non ti piacciono più, né quelle del Mulino Bianco né quelle della Kinder Ferrero; malgrado ciò, i brufoli ti spuntano come ombrelli sotto la pioggia, soprattutto sul naso e sulla fronte, specialmente di domenica, giorno in cui vorresti sembrare un po' più carina per far bella figura con le amiche e i primi amichetti! Vorresti nascondere almeno quelli che ti punteggiano la fronte con una bella frangetta spessa, ma sembra che stia bene solo alle francesine, mentre a te fa un effetto coperta che quando vai in discoteca, a contatto con il sudore che ti bagna la fronte mentre balli, si gira all’insù… che orrore. A vent’anni scopri con orrore ancor più crescente il primo solitario capello bianco… a trenta noti che le merendine famose, che ormai non mangi da almeno quindici anni, si sono trasformate in rotolini adiposi, sui fianchi per la precisione, assomigliando vagamente ai Flauti del Mulino Bianco. Se poi ci metti in mezzo anche qualche figlio, a quarant’anni puoi definirti del tutto compromessa e i rotolini (chiamati anche Bombolotti o Girelle) non riesci più a contarli. Nel frattempo i capelli bianchi sono sempre più difficili da nascondere, la pinzetta non basta ad estirparli ad uno ad uno.
Poi, più in là, subentra la presbiopia e i rotolini fai fatica a vederli, anche perché nel frattempo si sono fusi in tutt'uno, ma questo non vuol dire che non ci siano più. Allora cominci finalmente a ripeterti che l’aspetto non conta, cominci a leggere a più non posso, per fare di te una nuova persona, ricca, se non di giovinezza e bellezza, almeno di cultura; cerchi di recuperare gli anni di conoscenze e cultura persi, a frequentare corsi di letteratura e cinema, passi le domeniche ai musei e continui a ripeterti che ora non sei più una ventenne con il fisico da plasmare in vista dello sballo del sabato sera, bensì una donna interessante, intellettuale, con cui è piacevole fare conversazione senza dover per forza parlare di calciatori, moda e locali da ballo.
Anche le cose che si fanno mutano nel tempo; quando si è piccoli è prioritaria la famiglia, che ruota intorno a mamma e papà, ai nonni, ai fratelli, tanto che facciamo fatica a vederci come un essere autonomo, disgiunto da quella cerchia d’affetti che ci accompagna passo passo e ci protegge. Tutto ciò che si fa avviene quindi in seno a quella che è la nostra culla, il nostro guscio. Da soli, facciamo ben poco.
Negli anni della scuola scopriamo gli amici e le maestre; un loro giudizio ha il potere di cambiare in bene o in male il nostro umore e l’immagine del nostro io che ora comincia a costruirsi. Essere o non essere invitati a un festino di compleanno non è la stessa cosa, ma una questione esistenziale prioritaria.
Nell’età dell’adolescenza il nostro rispecchiarci nella società è ancora più evidente; ecco che tendiamo a fare le cose che tutti fanno, come andare in discoteca anche se la musica ci rimbomba nella testa fino al giorno dopo, vestirci con i jeans a vita bassa anche se sentiamo freddo al fondo schiena, essere fan di qualcuno dei vip in voga in quel momento, ascoltare la musica del gruppo pop che tutta la classe ascolta, anche se dentro di noi, proprio in fondo in fondo, sentiamo che le canzoni di Battisti erano un'altra cosa e facevano sognare per davvero.
Nella fase successiva cambiano nuovamente le priorità: il lavoro occupa gran parte del nostro tempo e dei nostri pensieri, la famiglia d’origine comincia leggermente a sbiadire rispetto a quella che ora vogliamo formare, ci si riscopre donna, poi moglie e infine, quando tutto va bene, mamma.
Se poi le cose sono destinate ad andare davvero superlativamente, rieccoci nonne, ferme davanti ai cancelli di una scuola materna ad aspettare il nostro nipotino che appena ci vedrà ci salterà in braccio festoso, sempre che non sia rinchiuso nella scatolina in attesa di cure.
3 Riflessioni sul tempo
Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, io so cos’è. Se cerco di spiegarlo a chi lo chiede, non lo so.
SANT’AGOSTINO
Tu. Non sto più parlando di me. Non sono io la donna che un giorno sarà mamma e nonna.
Sto parlando di te, che sei stata bambina capricciosa, ragazza ventenne, donna interessante e che ora ti stai preparando ad essere madre, perché per me le cose sono andate diversamente. Ecco, diciamo che strada facendo mi sono persa qualcuno di questi passaggi. Strada facendo…
Tu hai vissuto la tua adolescenza, incoerente, incostante. Tu sei cresciuta, hai ballato in discoteca, hai corteggiato e ti sei fatta corteggiare. Tu sei finalmente diventata donna, hai incontrato il vero amore, con cui sei cresciuta ancora e che ancora ti accompagna; sei sbocciata e dentro di te hai fatto crescere un’altra piccola gemma, che presto sarà a sua volta virgulto, arbusto e poi solido tronco.
Io invece sono ancora qui, a chiedermi come sia possibile trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, quando sarebbe bastato cambiare una sola di queste due variabili. Pochi minuti, alcuni insignificanti secondi, sarebbero bastati a cambiare il senso delle cose; chissà, magari se non fosse piovuto: il tempo di aprire e chiudere un ombrello, il tempo di uno starnuto, il tempo di fermarsi a cercare un fazzoletto nella tasca, di soffiarsi il naso, oppure di asciugarsi gli occhiali.
Per capirci meglio, il momento sbagliato è come quando si passa sotto un cavalcavia proprio nell’istante in cui un disgraziato qualsiasi, che circa quindici anni prima era stato un qualsiasi spermatozoo che era meglio se non finiva la sua corsa, lascia cadere un grosso sasso e tu, ignara, sicura nel tuo guidare tranquilla e prudente, senti le note della canzone di Jovanotti, che l’autoradio trasmetteva e che canticchiavi, interrompersi in un frantumarsi del parabrezza... Il momento sbagliato è anche quello in cui tu riesci all'ultimo momento, dopo il fischio del capostazione, a salire sul predellino di quel treno in partenza, quello che poi deraglia... Il momento sbagliato è anche quando decidi per una volta tanto di cambiare strada tornando da scuola e incontri il tuo ex, al quale eri riuscita a non pensare per quasi due anni... Il momento sbagliato