La Humana Istoria
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Anteprima del libro
La Humana Istoria - Franco Caminiti
‘noi’!
CANTO I
Il varco nella siepe di rovi,
il macigno nella radura,
l’incontro con Dante Alighieri,
l’ingresso nella grande pietra.
1
Era un giorno d’autunno, quando il sole
ancora invita ad andare per sentieri
dove il canto ritrova le parole.
Lì tutto cominciò. E mi sembra ieri!
Fu sogno? Fu avventura? O fu un disegno,
di cui ora narro allacciando i pensieri?
Quando l’incomprensibile dà un segno,
lasci la strada che fin là hai percorso
e diventa superfluo ogni altro impegno.
E se tu solo a te sei di soccorso,
raduni ciò che resta del coraggio,
dalla tua fonte trai l’ultimo sorso,
e azzardi il passo che apre al folle viaggio.
2
E fu così che in un giorno come tanti,
fra i miei monti, su vie che ben conosco,
all’improvviso non andai più avanti.
Mi fu estranea la valle e così il bosco:
un luogo inospitale e sconosciuto;
le felci divennero grigie, il cielo fosco.
Davanti a me un sentiero mai saputo,
stretto fra siepi, a un angusto varco apriva,
l’unica uscita ch’io vi abbia veduto.
Come una barca che cerca la sua riva,
e dal mare in burrasca va a salvezza,
di là una luce un’uscita mi offriva.
Allora guardai la siepe, la sua altezza,
e lo stupore diventò sgomento
quando capii che non v’era destrezza,
né preghiera, coraggio o pentimento,
ch’altra uscita mi offrisse, altri passaggi.
Il sentiero si chiuse, si alzò il vento,
e il sole declinò gli ultimi raggi.
3
Lo sgomento fu tale che anche adesso
vivo l’angoscia di quel guardarmi attorno:
un groviglio imperscrutabile e complesso.
‘Dunque’ pensai, ‘la mia fine è in questo giorno!
Amara e grigia, fra due siepi stretta
è la via da cui dovrei non far ritorno?’
Guardai quei rovi in cui restava aperta
quella piccola uscita fra le spine:
vinsi il timore di nuova scoperta
e andai, pensando: ‘Se questa è la mia fine,
a che serve finire spaventato?
Non farò dell’angustia il mio confine!’
Quindi fra i rovi, verso l’altro lato,
a varcare il passaggio mi apprestai:
con l’animo di chi si accinge a cambiar stato,
e spera in meglio, al giogo mi piegai.
4
Qualcosa mi tirò, poi vidi un lampo,
sentii il passaggio dall’una all’altra via,
e mi trovai di là, in un largo campo.
Domandandomi, allora, dove io sia,
volsi lo sguardo intorno, qualche passo:
io solo, e un’ombra che non era mia.
In mezzo alla radura un grande masso
riempiva di sé tutto lo spiazzo,
che la sua cima non vedeva il basso;
grande quanto può essere un palazzo,
né cespugli, né muschio vi cresceva.
Allora cominciai, come fa un pazzo,
a girargli d’intorno, e si vedeva
scendere il sole dietro quella pietra,
che tutto l’orizzonte nascondeva.
Già la radura diventava tetra,
quando vidi lontano una figura
con l’aria di chi non teme e non arretra.
Schietta la fronte e austèra l’andatura,
con una veste di color vermiglio,
pallido il volto e la bocca sicura.
Sul petto aveva ricamato un giglio,
giusto segno di fiera appartenenza,
di Firenze e d’Italia degno figlio.
Arresta l’affannosa tua impazienza,
disse allorquando mi arrivò vicino,
"qui il cerchio chiude ogni arrivo e partenza.
Né fretta né inquietudini: il mattino
aspetta la sua sera per cent’anni,
e ogni cent’anni è un secondo divino."
Io riconobbi, allora, antichi panni
e il marchio suo, che ricordava ancora
di Firenze d’allora lutti e affanni.
5
Maestro...
esclamai, oh, sommo Dante!
E l’emozione mi serrò la gola.
Questo è sogno o magìa, realtà o sembiante?
Lui mi guardò e non fece parola,
alzò la mano, come a redarguire.
Poi: "Né sogno né realtà, questa è la sola
certezza ch’è permessa. Il non capire,"
disse, "a volte è meglio che il vedere chiaro
se è più giusto combattere o fuggire.
Forse è meglio per te che resti ignaro,
se vuoi apprestarti a fare il grande passo,
al fin che tutto ti sia meno amaro."
Allora mi scrutò dall’alto in basso,
ma senza l’arroganza di chi pensa
d’esser maestro di squadra e compasso.
Qui il coraggio si misura nell’essenza!
disse. "Rifletti se del tuo animo ti fidi,
e se l’audacia è pari alla coscienza.
È ancora tempo che i tuoi piedi guidi
fuori da questo bosco, ché la scena
che là ti aspetta: di peggio non vidi.
Non troverai altra cosa terrena
che il ricordo, e il tuo alito di vivo:
un mare cupo senz’acqua né rena!"
Io ascoltavo il poeta e non capivo
a cosa si riferiva e che dicesse.
E un’ansia che saliva già sentivo.
È ora che tu colga la tua messe
disse. "Sapienza e verità. Le giuste genti
potrai incontrare, e le anime perse."
"Se dentro me con cuore saggio senti,
decidi tu, prima che il viaggio cominciamo...
Dimmi la mia verità, so che non menti!"
Qui misuri te stesso,
disse. Andiamo!
6
Dante davanti, ed io due passi indietro,
muovemmo insieme verso quel macigno
e tutto intorno diventò più tetro.
L’immenso masso di colore arcigno,
più grande si mostrava ad ogni passo,
e nell’aria un odore acre ed asprigno.
Quando fummo alla base di quel masso
vidi, come d’incanto, un varco aprirsi;
nell’interno s’udiva un gran fracasso.
Voci che spaventavano all’udirsi.
Io mi fermai, fra l’ansia e la paura.
È gente che... Faticano a capirsi!
disse il maestro, "non averne cura.
Prepara il cuore a ben altri rumori,
qui non avrai silenzio né aria pura.
Qui tu vedrai tutto il mondo di fuori,
senza menzogne e senza ipocrisia,
ognuno per com’è, coi suoi furori.
Invidia, cattiveria, gelosia,
sono il meno di ciò che là ti aspetta:
questo è l’inferno, così è giusto che sia."
Allora mi mostrò una porta aperta
che non aveva cardini né imposte,
e la cui soglia dal fumo era coperta.
"Qui dentro ognuno cerca le risposte
alle domande che non si è mai fatto,
in una vita falsa e senza soste!"
Più forte era l’odore, acre l’impatto...
guardai la porta, poi indietro, e poi me stesso,
e Dante, con lo sguardo quasi astratto:
A questo punto non ti è più permesso,
disse, "seppur ci pensi, di tornare indietro.
Procedere o restar non è lo stesso.
Questo è un cammino che non porta indietro!
Io sarò la tua luce e la tua guida,
sarò la tua bilancia ed il tuo metro."
Allora entrammo, incontro a quelle grida:
la porta si serrò alle nostre spalle
ed io fui bimbo che al padre si affida.
CANTO II
Le anime che aspettano di conoscere
la loro destinazione,
l’incontro con la madre,
il varco che introduce all’inferno,
la radura bruciata,
il fiume di bitume e immondizie.
1
Così fui dentro al pauroso monte;
il maestro avanzava, io dietro a lui.
Un’ampia scala discendeva a fronte.
A destra e a manca corridoi bui,
un soffitto alto, a forma di caverna.
E poi che a Dante accostato mi fui:
Di qua si scende a dannazione eterna...
spiegò il maestro. Guardavo le genti:
ognuno aveva in mano una lanterna.
E ognuno urlava. "Le grida che senti
son disperati e inutili richiami
di chi invano ricerca i suoi parenti.
Non puoi trovare qui quelli che ami
e che avanti abbandonarono la vita
affrontando per primi i tristi esami."
Intorno a noi una schiera infinita,
d’ogni età, d’ogni pelle, d’ogni costa,
si spingevano cercando la salita;
con l’aria strana e la faccia scomposta,
sembrava ognun che a ognuno domandasse,
ma nessuno dava all’altro una risposta.
Io chiesi, allora, a Dante che spiegasse
quella che mi pareva una stazione
dove ogni spirito sembrava che aspettasse.
"Qui ogni attesa ha logica e ragione:
ognuno attende il proprio giudizio,
e qui saprà la sua destinazione.
Chi di una nuova vita avrà l’inizio,
qualcuno salirà fin su la vetta,
altri saranno in fondo al precipizio.
Una penna e un quaderno a ognuno spetta:
dentro riscriverà la propria storia
con verità e coscienza perfetta.
Più avanti una bilancia senza boria
il peso misurerà d’ogni quaderno:
qualcuno avrà la meritata gloria
altri l’attesa. E per i più: l’inferno!"
2
Ci incamminammo, allora, in quella ressa
che si apriva in due ali al nostro passo,
coi corpi chini e la faccia dimessa.
Udii un grido sugli altri e fui di sasso.
Una voce di donna chiamò: Franco?!
Voltai di scatto e distinsi più in basso
mia madre: trecce sciolte, il volto stanco,
ma sereno nei tratti e sorridente,
lo scialle nero su un abito bianco.
Allora esclamai: Mamma..!
e poi più niente,
ché tanto il cuore mi balzava in petto;
tutto il passato diventò presente.
Lei parlò a Dante e disse: "Con rispetto
per l’arte vostra che presto coinvolse
questo mio figlio ch’ è al vostro cospetto,
lo affido a voi, maestro." Poi si tolse
lo scialle nero e mi coprì le spalle.
Fece un sospiro e due colpi di tosse:
"Avrai freddo scendendo in questa valle.
Guarda bene la strada, resta attento,
le cose che devi fare, adesso falle!
Ho visto ormai che il focolare è spento,
la casa è vuota e la tela è finita.
Nel mio quaderno ho già scritto: ‘mi pento,
di ciò che ho fatto e non fatto’. La vita
non è mai come il cuore la disegna,
ne vivi un poco ed il resto è subìta.
L’animo è saggio quando il cuore insegna:
segui il tuo cuore se non vuoi sbagliare
ed ogni azione che farai sia degna.
Ora, purtroppo, ti devo lasciare."
Fra gli altri si mischiò e, con grande affanno,
come quegli altri cominciò a chiamare.
3
Maestro
, domandai, "da quanto stanno
quest’anime aspettando la lor sorte?"
"Molte di queste sono qua da un anno,
altre non sanno nemmeno che son morte.
Qualcuno vaga e non conta più l’ore,
altri mille già bussano alle porte."
All’improvviso un immenso chiarore,
che agli occhi con la man feci riparo,
come un gran fuoco, ma senza calore.
Il maestro avanzò, io vidi chiaro
le genti dietro noi farsi in disparte:
per loro fu spavento, a noi fu faro.
"Da questo punto in poi tutto si parte:
ognuno avrà il suo posto, e lo vedrai,
per lo spirito suo, per la sua arte".
Io per un’ultima occhiata mi voltai:
non vidi più dietro di me la gente.
Nessuno! come se non vi fosse stata mai!
E tutto fu silenzio e vuoto. Niente!
4
Poi la luce calò, come di sera
il sole scende lesto dietro il monte
e già la luna in cielo splende fiera,
noi ci trovammo in faccia all’orizzonte:
intorno a noi un’immensa pianura,
in fondo un fiume, e non scorgemmo ponte.
Ed era tutta bruciata la natura:
non alberi o cespugli. Intorno mesti
girai gli occhi e constatai l’arsura.
"Guarda, rifletti, e nel tuo cuore resti
questo ricordo: la terra bruciata
è ciò che fanno tutti i disonesti
attorno a sé." Io guardai la spianata:
nell’aria un tanfo d’incendio appena spento,
stecchi anneriti e cenere ghiacciata.
"Maestro, percepisci ciò che sento?
Che cos’è questo luogo desolato:
un incendio senza fuoco e senza vento!?"
"Come vedi anche il campo qui è dannato:
mai più fiori vedrà, mai più raccolto,
tutto in eterno resterà bruciato".
Il mio sgomento si leggeva in volto,
e Dante lo notò: "Prepara il cuore:
da queste angosce non sarai distolto.
È tempo che tu veda il gran dolore
che nel mondo di poi qui si prepara,
per chi non ha pietà, grazia o pudore."
Io sentivo ancor più la bocca