La sospensione del tempo
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Anteprima del libro
La sospensione del tempo - Vincenzo Pagano
978-88-9369-162-8
Dedica
Resto in silenzio, in attesa che tu incominci a sfogliare il libro, ad accarezzare le pagine, a bagnarti i piedi nel ruscello che ti scorre davanti cercando di scrutare le minuscole rapide giù, in fondo. Ascolta il rumore generato dai fogli che scorrono tra le tue dita. Ti aiuta a scivolare nel sonno.
Mi raccomando: arrestati poco prima di franare sulla copertina. Il corpo, a volte, ha bisogno di stimoli dolci: il rumore di una matita che scorre su un foglio, il fruscio dell’erba, l’ascolto di una voce appena accennata, magari intrecciarsi dolcemente i capelli o, appunto, sfogliare un libro. Gesti che ti trasportano lontano quasi in riva a un lago dove non è pericoloso affacciarsi. Forse è lì che ti condurranno i personaggi di questo romanzo. Resta un po’ insieme a loro.
Leggere è l’unico modo che hai per entrare davvero nella realtà. Ricordati di riporre gli occhiali e di spegnere il lume prima di reclinare il viso sul cuscino dolce e vellutato. E così sprofondi nel sonno seguendo le orme dei personaggi che ti osservano mentre sorridi.
Semplicemente sorridi, perché stai stringendo tra le mani questo libro.
Prologo
Scrittore - Mi devo muovere. Fare presto. Non devo perdere altro tempo. Devo scrivere questa storia. All’orizzonte ci sono le condizioni per una nuova intensa distorsione dello spazio/tempo nella nostra realtà. L’universo contiguo, sovrapposto, parallelo al nostro, sta generando una nuova cavità.
Vi prego, gentili lettori. Non vi fermate alle prime righe di questo libro. Quello che vado a scrivere è accaduto veramente.
ZADIG - Entità astratta assegnata allo scrittore dall’ESA o Entità Suprema Astratta
«Ma che dici! Solite cose, solita storia, aria fritta, che palle. Non se ne può più con i déjà-vu, la distorsione dello spazio tempo, delle corse contro il tempo, degli universi paralleli che collidono, s’intersecano fino a modificare le realtà dell’uno o dell’altro. Ma, dico, se proprio volevi scrivere, perché non descrivere la realtà, in maniera semplice, senza ricorrere a storie fantastiche, improbabili?! E ridico: perché non te ne stai dentro casa tranquillo ad aiutare quella santa donna di tua moglie che ha tanta da fare, poverina. E adesso ti deve pure sopportare nell’ascoltare le pagine che man mano vai scrivendo, declamandole mentre stira, sparecchia, spolvera per cui non capisce se le stai leggendo stralci dal Processo
di Kafka oppure dal Pellegrinaggio del Cristiano
di John Bunyan e siccome ti vuole bene e ti vuole tanto bene, continua a dire: bello, però evita che ad ammazzare il conte sia il maggiordomo
. Oggi è più credibile che lo faccia l’idraulico o il vicino di casa esasperato perché sente tutto il giorno una specie di rosario di stronzate, dal vicino, sugli universi paralleli e sulla distorsione dello spazio/tempo. Datti pace e impara a intrecciare i cesti, a ricamare oppure a fare le bottiglie di pomodoro, le marmellate. Io ti consiglio lo scooby doo... ti metti davanti la televisione... un programma impegnativo tipo la vita in diretta
o "Barbara D’Urso" e passi il tempo. No, lui deve scrivere... e che palle!»
Scrittore - Quello che sto per scrivere è una descrizione di ciò che è realmente accaduto: "è tutta verità". Tutto parte dal mese di luglio 1975, precisamente il giorno 14 luglio del 1975 e arriva ai giorni nostri...
Zadig - «Parte... arriva... ma che termini sono. Potevi andare su internet al sito sinonimi e contrari, e magari ne trovavi di più adeguati, più trendy. E poi, vuoi che ti elenchi i romanzi che ambientano le loro storie in quel cupo decennio, romanzi che rievocano le vicende di quegli anni funesti inserendoci una storia d’amore melensa, soporifera, condita con qualche rievocazione malinconica di esperienze rivoluzionarie, storia d’amore che si spegne negli anni ottanta per rifiorire negli anni duemila grazie a facebook. Mi sembra di sentire le loro voci: "sai, per caso ho scoperto il tuo profilo su facebook. Mio figlio mi ha registrato sul sito... io non accedo quasi mai. Mi serve per controllare quello che combinano i ragazzi mentre io resto, doverosamente, in disparte. Tengo molto alla privacy. Poi i due s’incontrano, si guardano negli occhi, velati di lacrime, scorgono le tracce d’amore di un tempo, discorrono sul romanticismo del movimento studentesco, sull’assenza, in questi anni, di ogni idealità, della fine dell’amore cosmico, dei rispettivi coniugi tristi e grigi, senza il nostro tormento che ci affligge, mentre loro sono tranquilli e sereni
e poi - scusa la volgarità - et voilà la saucisse
- Ma è una storia senza senso, campata in aria. Scusa la franchezza: nel 1975 lui ha ventiquattro anni, lei ventidue... Oggi, febbraio 2017, sessantasei lui, sessantaquattro lei. Ma quale saucisse
. Gli resterà giusto il tormento ma senza l’estasi! Senti... non so come ti chiami... ma torna a fare lo scooby doo... è meglio.»
Scrittore - Mettiamola così: Io non voglio scrivere un libro ma un diario di bordo, un quaderno in cui annoto dei fatti, storie di persone che hanno subito "L’Evento", l’Instant Flash, che ha causato il passaggio inconsapevole tra i due universi paralleli, sovrapposti, contigui. Eventi avvenuti in due anni: 1975 - 2015 che hanno intrecciato vite semplici in una matassa di sentimenti, di emozioni indistricabili, fino ad oggi, febbraio 2017. Leggerai di Domenico, Marta, Antonio, Gabriella...
Zadig - No fermati, non farmi elenchi di personaggi. Ho capito che vuoi seguire una trama scontata e cioè: un personaggio e un capitolo, un capitolo e un personaggio. Te lo concedo. È più semplice per un esordiente. Però permettimi un giudizio critico e distaccato ogni qualvolta lo ritenga opportuno, magari alla fine di ogni capitolo. Io userò il corsivo, ricordati. Vorrei dare una parvenza di libro a questa storiella. Con chi cominciamo? Lasciami indovinare: con il protagonista della storia... scommetto il premio Pulitzer.
Scrittore - Solo alla fine del libro scoprirai i protagonisti. Dovrai leggerlo tutto, purtroppo.
14 luglio 1975 - Domenico
«Dove vai...?!» Mia madre sembrava che stesse riposando. Il sonno del pomeriggio, quello soavemente dolce, giusto per recuperare le forze e arrivare fino a sera.
Nove maschi. Mio padre valeva per due... io per tre e mio fratello Giuseppe per quattro.
Una folla di uomini che arruffava casa... Eravamo presenti fino a dentro, quasi a ignorare chiunque volesse entrare.
«Sto uscendo... vado al partito... a giocare però.» Forse il gioco scioglieva la sua ansia. Non riusciva proprio a digerirla questa storia del partito.
«Sì... il partito... esagerato! - diciamo che vai a giocare... è meglio... che dici, vuoi il caffettino o lo prendi, giù, al bar? Il caffè fuori è un abbraccio in meno che ti faccio.»
Scendo e l’abbraccio in meno lo avverto. Sì, scendo e rinuncio. Mia madre sospira tutta la sua stanchezza. Penso ai miei e ai nostri sguardi assenti. Guardo su. Le tendine scostate della finestra della cucina.
Il segno del suo sguardo come quando - di nascosto - seguiva mio padre che andava al lavoro. L’affetto pudico di mia madre, solitario, antico. Non resta che la solitudine di un caffè e la sua leggera smorfia delle labbra.
Quella sua smorfia non era un semplice gesto. Era tutto un indefinito. Come se i pensieri svanissero fino a lasciar posto al desiderio dei suoni, dei volti, delle immagini del tempo che fu
Come piaceva a mia madre quel gesto. Lo osservavo di lato. Tristezza... pensavo, malinconia, un indugio a ignorare il presente in una fuga sofferta nel passato, fatto solo di luci, senza ombre. Scompariva, così, all’improvviso nella sorpresa del presente e nel gesto delle mani con i pollici rivoltati all’insù e l’espressione e chest’è
(questa è la realtà).
Mi ritroverò, un giorno, nella stessa smorfia? Saranno attimi, sensazioni di dolore sottili.
Ci penserò quel giorno e, in quel momento, mi toccherà la malinconia
, la gioia di sentirsi tristi, del ritirarsi alla ricerca di... cosa... poi, di uno stato dell’anima, in armonia rispetto a...
È questa l’incertezza che fa del leggero movimento della labbra a misura di una smorfia sottile e, leggermente arcuata, che resta immobile fino a ritirarsi a un improvviso risveglio del viso. A volte si apre a un sorriso. «Allora... ci vediamo dopo... vado al partito.»
Si gira. No, non mi vorrebbe al partito.
Ha lo sguardo rivolto a una scalinata, leggermente ricurva, con l’ultimo tratto ripido, di gradini sbeccati e il muro fatto di pietre sbozzate una sull’altra, sporgenti con una leggera patina di muffa negli angoli e negli interstizi. Alla fine una porta piccola, di lato, che si apriva alle stanze sempre impregnate di fumo, stranamente dolce, non fastidioso. Il tempo modifica gli odori, li rende piacevoli. Era il circolo San Giovanni Berchmans, fondato dallo zio Don Innocenzo, fratello di nonna. Il tempo è lì, davanti all’entrata del circolo.
«Nessuno entra più. Anzi vanno via senza girarsi, incuranti di lasciarsi indietro un grembo avvolgente. Sì... vai al partito... alla sezione. Parole al tramonto. Scendi, anche tu, le scale e non girarti indietro. Mi vedresti su, più giovane, sorridente, a guardarti meravigliata della nostra età prossima. Sì, non ti girare indietro. Vai... vai... e quando prendi il caffè, abbracciati. Sono io.»
Sì. Mi ricordo di Don Innocenzo... alto, con il suo abito talare, con occhielli, bottoni... tanti, mai sgualcito e il cappello. Poggiato sembrava un disco volante. Ci mettevo, di fianco, il mio robot. Me l’aveva portato la befana dell’ufficio del Tesoro di Salerno. Si muoveva rigido, a scatti e gli facevo fare il giro del cappello. Sentivo lo sguardo del Monsignore e poi, senza alcun cenno, poggiava il suo pennino...
«Magari spara... che dici... è un’arma pericolosa... il pennino. Attento a come lo usi. Ti trafigge.»
Il vago odore d’incenso stagnava nella sagrestia, semplice con un piano di legno scuro. A lato un armadio. C’erano i paramenti liturgici. Sembravano fantasmi. Basta poco a spaventare un bambino. L’anta, imperfetta, era la maledizione di Peppino ‘o sacrestano’ una figura intarsiata nel volto come i mobili. Non parlava mai; accennava, si muoveva ondulando leggermente la testa quasi pregando in un sussurro. Mi nascondevo nel lavabo.
Osservavo la vestizione, una liturgia anch’essa, un rituale sacro che mi affascinava. Una volta ho incrociato il volto di Peppino. Gli occhi erano velati ma dolci, umili, ammirati dal Monsignore. Il frastuono sussurrato dalle poderose arcate rallentava i movimenti come un ballo lento. Quando il Monsignore è uscito... mi ha sorriso.
C’era Suor Caterina ad aspettarmi. Mi faceva accoccolare sull’inginocchiatoio e raccoglieva le mie nelle sue mani. Pregava guardandomi negli occhi e sussurrando: «Ti voglio bene, mio rondinotto.»
Se un’immagine balenerà prima di morire, ebbene, è questa l’immagine che avrò in serbo.
Mi siedo sul mio boxer a sella lunga - regalo di mio fratello Francesco dopo i miei cinque mesi a Pordenone da zio Vincenzo - basta che non uso più la sua Fiat 850.
Dice che gliela distruggo. Riesce a usare le stesse parole nella identica sequenza, quasi un rituale mentre mi consegna le chiavi. Un mistero. Non so la ragione ma la litania mi viene in mente ogni volta che prendo il motorino.
Sarà una salmodia che accomuna i due mezzi di locomozione. M’investe un’afa strana, quasi fresca. Resto fermo, un po’. Ieri - che ansia- la notizia di Berlinguer e Castillo in favore dell’ipotesi di un comunismo autonomo da Mosca e rispettoso delle libertà democratiche. Affascinante. Grande Enrico...«il mio partito né teista, né ateista, né anti-teista
; aspirare alla società socialista trovando uno stimolo nella coscienza religiosa... ma no, ricerchiamo un’alleanza con le masse cattoliche... rifiutare il materialismo dialettico oppure sì al materialismo storico come scienza politica
. Accettiamo la strategia dell’attenzione di Aldo Moro.» A proposito di Moro, Tommaso... ricordo le lezioni del mio professore di filosofia al liceo, marxista incallito. una lezione straordinaria sull’Utopìa, l’opera di Tommaso Moro. Uno stratagemma per penetrare le nostre difese borghesi. Con quanta enfasi: «La proprietà privata è abolita, i beni sono in comune, il commercio pressoché inutile. Il popolo impegnato a lavorare la terra circa sei ore al giorno, fornendo alla comunità tutti i beni necessari. Il resto del tempo dedicato allo studio e al riposo. La comunità di Utopìa, può sviluppare la propria cultura e vivere in maniera pacifica e tranquilla, nel rispetto della libertà di parola e di pensiero e soprattutto della tolleranza religiosa. Tommaso rifiutò di accettare l’Atto di supremazia di Enrico VIII sulla Chiesa. Per questo fu condannato alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Con lui venne seppellito il sogno di una società pacifica dove è la cultura a dominare. La produzione è per il consumo e non per il mercato. Non serve denaro ma tempo libero per leggere classici, occuparsi di musica, astronomia e geometria.» Si abbandonava sulla sedia. Aveva un’aria ferma, quasi austera. Ci scrutava e con un sospiro lieve, riponeva le sue cose nell’angoscia del presente. Lo chiamavamo Trockij. Gli somigliava tanto. Era identico al sostenitore della rivoluzione permanente. Amava ripetere: «No... no... ragazzi... è la quarta internazionale, la rivoluzione contro Stalin e il capitalismo. Avrei preferito delle immagini in bianco e nero, un film muto sul suo assassinio, con il magistrale sottofondo della SINFONIA
di Guarany, mentre Ramon Mercader solleva la piccozza sul suo capo troncando una rivoluzione più umana così prossima al mito descritto da Tommaso Moro.»
Lezioni... no, percorsi di emozioni.
Mancava qualche giorno alla maturità. Il 68’ alle spalle, il buio degli anni 70’ pronto a inghiottirci. Un’essenza magmatica di lava scura già penetrava i nostri corpi e le anime. Sembravamo abbagliati da una luce fervida... sì, la rivoluzione alle porte...«borghesi, borghesi ancora pochi mesi...» Si annullava tutto. Si diluivano i precetti, le norme. Svaniva un passato, troppo recente per svanire. Non ci sono brividi. Mia cugina Annamaria rimaneva immune, impassibile. Studiavamo per la maturità. Cugini carnali. I suoi erano gli occhi di mia madre ma più furbi, maliziosi. Sorrideva scuotendo la testa e ogni movimento smussava i miei aneliti... rivoluzionari. Era come parlare a mia madre. Mia madre e Annamaria... la stabilità e il buon senso al potere. Borbottavano all’unisono: «Non sudare adesso che fai la rivoluzione... mettiti la maglietta e ricordati di confessarti prima della comunione, e poi, alè, tutti a munirsi di falce e martello. Saluta Don Peppino. Certo non è come lo zio Monsignore ma è un bravo prete, di quelli semplici, di paese. Ritieni che non abbia risposte per te? Ma tu non hai più domande per lui. Non avere rancore. È la tua gente, la tua piccola storia.» Metto in moto. Non parte l’infame. La candela bagnata, forse, o chissà quale altra diavoleria. il motorino è fermo, inchiodato. sono sicuro. La mia impronta energetica, in questo caso, sta interagendo con quella di mia madre, molto più potente, e sta bloccando il motorino. Non dovevo dire che andavo al partito. Adesso ci vorrebbe un miracolo. come fare a deviare il flusso energetico verso un altro oggetto?! Penso, intensamente, alla 850 di mio fratello Francesco. Al filobus - linea 9 Salerno - Pompei - che, in questo momento, ospita mio fratello Giuseppe all’uscita dal Provveditorato di Salerno. mia madre è una strega, una dolce, bellissima strega. Domina il fuoco, non fa scattare la scintilla del dio del motorino. resto fermo come ancorato. Non faccio niente, adesso, non farò niente, domani. La lascio andare. Non ci saranno giorni a perdonarmi. Una pedalata forte. Eccolo in moto. Via, finalmente. La strada a me, fino alla sezione. Si pensa sul motorino... non lo so. Si guarda la strada. Si avverte la luce, più che il vento. Strada deserta. La gente aspetta ignara il passaggio della controra, dell’ora principe del pomeriggio, immota, infuocata dal sole che si arresta. Sono fermi il cielo e la terra e le cicale intorpidiscono le anime in uno stato allucinatorio. In quest’ora Morfeo non porta con sé il mazzo di papaveri per sfiorare le palpebre dei dormienti. È figlio della notte. Gli uomini sono in preda agli spettri del mezzogiorno, famelici di sogni. No... Morfeo non c’è e il sonno senza sogni è assenza di coscienza.
14 luglio 1975 (ore 14:30)
Il cancello in ferro battuto è serrato... sono le 14:30. Arturo non c’è. Ma no... lo vedo... è giù, in fondo, all’inizio dei portici. Mi osserva. Si ferma. C’è il bar. Rallento, mi sposto sulla destra. Arturo è lì, di fronte. Un cane abbaia. Il motorino prende velocità. Non gli ho dato gas. Arturo è poco distante, appena dopo l’incrocio. Di colpo alza le braccia al cielo... poi si copre gli occhi. Un urlo lancinante ferisce la controra.
14 luglio 1975 ore 14:31 - Universo 2
Sono lì, davanti ai suoi occhi. Sono spaventati, sgranati. Ha il fiato sospeso, stenta a guardarmi. Il suo volto mi scansa ma poi... un respiro profondo. "Ciao" mi dice. Un attimo e di fianco ci accosta un auto, una dauphine celeste. Due ragazzi aprono di scatto le portiere. Scendono, sono muti, mi osservano increduli. Penso agli spettri del mezzogiorno. Entriamo al bar: tre caffè e una coca con il limone e ghiaccio. Non una parola ma solo sagome di marmo. Un cane abbaia. Una nuova storia inizia, forse... torno a casa. Mia madre, in poltrona: «Ah... sei qui. Ma che hai fatto? Stai bene? I figli... questi sconosciuti. Siete le nostre illusioni.» «Mamma: che vuol dire?»«Mi piaceva la parola: illusioni... immagini vaghe... Vuoi un caffettino d’abbraccio... l’ho fatto a Nicodemo, ma lui continua a dormire. Sono gli spettri del mezzogiorno. I tuoi occhi sono diventati più verdi. Non sembri tu... i figli... illusioni di vita.»
Interludio I
Zadig - Questo Domenico ha tutta l’aria di essere il protagonista della storia, non puoi negarlo. Si capisce da alcuni passaggi, da alcune citazioni sui suoi momenti di vita in questa piccola cittadina del mezzogiorno d’Italia. Non mi è dispiaciuto. L’hai disegnato abbastanza bene. Ma sei così malinconico, nostalgico? Come mai non hai citato il nome della cittadina? È voluto per cui i tuoi sporadici ed eventuali lettori dovranno stare in attesa di intuire la località da elementi che sembrano messi lì, a caso? Lo so. Vuoi evitare che il personaggio s’identifichi subito con lo scrittore
. Voi esordienti non ci riuscirete mai. Non potete fare a meno di ignorarvi, anche se scrivete del tempo, del caldo, del vento, di cose all’apparenza banali. Uscite sempre in mezzo, pronti a ricordarvi del passato, della mamma, della famiglia, rimuovendo le cose che non vi sono piaciute e affibbiando emozioni, sensazioni ad altri. Questi altri siete sempre voi.»
Scrittore - Allora, secondo te... o voi (da questo momento vi do del voi) gli scrittori, alle prime armi, non possono che fare riflessioni retrospettive sulla propria esistenza?! Ma perché gli altri scrittori che fanno? Mi viene in mente Alessandro Manzoni I promessi Sposi
, che tanto ci ha allietato nella nostra gioventù, almeno della mia visto che non so quanti anni avete voi. È chiaro che il personaggio principale, Renzo, non è altro che l’auto-identificazione dell’autore con un personaggio giovane e sano. C’è un’evidente omosessualità latente
nello scrittore che porta a trattare Renzo in modo sempre poetico, diversamente dai personaggi femminili del romanzo che sono stereotipati e scarsamente attrattivi. sapete cosa dice Pier Paolo Pasolini nella sua rilettura de I Promessi Sposi
: «Dal momento che Manzoni ha avuto tragici rapporti coi genitori, specie con la madre, si è beccato una nevrosi caratterizzata da una forma di complesso nei riguardi del sesso femminile fino a cristallizzare la femminilità in figure simboliche.» Prendete Gertrude, la peccatrice che deve essere ignorata e allontanata da sé con orrore (oltre tutto è pure monaca) mentre Lucia, l’immagine immacolata della giovane madre che, per questo, non può avere rapporti con l’uomo. Ecco che vengono esclusi rapporti sessuali con i personaggi femminili (non solo per la censura dell’epoca (quello era una scusa) ma per come è stata impostata la storia. E volete mettere il fitto intreccio del romanzo a proposito dei personaggi maschili: Don Rodrigo e i bravi, Don Rodrigo e il Griso, Don Rodrigo e il cugino, il Cardinal Borromeo e l’Innominato, per non citare che i primi che vengono alla mente. Il privilegiato rapporto d’amore uomo - donna viene messo sull’altare mentre tutti i rapporti che formano l’intreccio del libro sono caratterizzati da una strana intensità (fraternità o odio) omoerotica.
Ho detto tutto.
Zadig - Non mi hai convinto caro il mio autore, ancora imberbe, immaturo. È storia vecchia la rilettura freudiana dei romanzi.»
Scrittore - E che palle. Ogni volta usate questo termine è storia vecchia
. Ogni cosa che dico: poh!! È storia vecchia. Ma chi siete il radical chic dei lettori astratti dei libri, nascosti nei rivoli delle loro coscienze?
Zadig - Silenzio e vai avanti. Non perdiamo altro tempo. Il secondo personaggio dovrebbe essere il coprotagonista, o mi sbaglio? Quello del secondo Instant Flash
- il muoio ma non muoio - scompaio ma non scompaio - l’adesso qui e l’adesso là.»
14 luglio 1975 - Marta
«Dove vai?!» Mia madre sembrava stesse dormendo. No... era seduta, quasi abbandonata sulla poltrona accanto alla finestra appena socchiusa.
Si era persa negli angoli bui della depressione. Svaniva giorno per giorno: «Tuo padre - diceva - tuo padre.» Non aggiungeva altro.
Intrecciava le mani a mo’ di preghiera abbassando lo sguardo. Un sospiro sarebbe stato un segno vitale.
Niente. «Come purpureo fior languendo muore» avrebbe sussurrato lei, insegnante di italiano e latino.
Quante volte aveva citato Ariosto ai suoi amati studenti! La sua civetteria di intrecciarsi i capelli si era fatta ossessiva. Con quel suo gesto voleva, forse, intrappolare la tristezza. La tratteneva nella matassa dei capelli per evitare che contaminasse gli occhi o bagnasse le sue labbra, per non piangere e non dire parole insolenti. Mia nonna diceva che alla tristezza piace il sapore amaro per rovesciare la malinconia su tutto il corpo: "intreccio i capelli quando sono triste così li aggroviglio e catturo il dolore."
Non aveva iniziato l’anno scolastico. In malattia dal primo giorno. Questo 1975 lo trovava orribile. Era stata indecisa, fino all’ultimo, se abbandonare i suoi amati alunni
nonostante tutto.
Ma poi, alla fine, aveva sbottato: «Non ce la faccio, no, non ce la faccio. Non so se sopravvivrò. Tuo padre, ignobile persona e questa scuola colpita dal virus di una contestazione caotica e confusa, dogmatica e intollerante, senza alcuna certezza ideologica. Sempre a parlare di struttura soffocante e autoritaria. Basta. Continuate a rinnegare i valori della cultura classica, a rinunciare al latino, al greco! L’aridità consumerà il vostro destino. Vi muoverete aggrappati a forme senza comprendere l’umanità in un finale d’opera d’applausi senza emozioni. Questo vi meritate... tuo padre... tuo padre...»
Da allora non c’è stato verso per tranquillizzarla. Neanche la mia esagerata normalità riusciva ad allontanarla dalla sua apatia: «Mamma vado al mare, con Antonio, a Ostia. Tardo pomeriggio starò qui. In cucina ho preparato la parmigiana. Ti piace tanto. Stasera mi arrangio una cena leggera. Domani torna Gabriella. Ha detto che a Firenze il tempo è stato tremendo. Un temporale con grandine. Terribile. Uno spavento... mercoledì deve tornare su. La versione di latino era difficile. È preoccupata per i suoi studenti. Ti manda un bacio. Vado al Kursaal. Incontro papà... mi deve parlare.» Non mi aspetto alcuna risposta. Forse un pensiero: «Questo ti meriti... tuo padre... tuo padre...»
Questa storia mi lascia senza forze. Mi sono laureata a giugno con il massimo dei voti, in lettere