Oliver Twist Again
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Dietro le comiche peregrinazioni quotidiane di un padre spiantato che di mestiere fa lo scrittore e il proprio bambino di neanche dieci anni, che costituiscono l’asse portante di questo romanzo, troviamo in sintesi un solo messaggio alla nazione, che di questi tempi è addirittura rivoluzionario: pur stando nel terzo millennio, ovverosia in piena esplosione della società capitalista e quindi consumistica, non servono soldi per far felice un bimbo, ma basta metterci impegno e saper far fruttare il poco che si ha per vivere. La ricetta è l’ottimismo, l’allegria e il divertimento, tutti ingredienti di cui usufruirà un figlioletto che, oramai adulto, fa da voce narrante, raccontando ai lettori la sua strana vita con quello strano papà. L’opportunità gliela offre l’inaspettato e periodico arrivo in casa, via posta, di dieci prologhi di altrettanti romanzi del genitore, che puntualmente, uno al mese, qualcuno gli invia dopo la morte del padre. Le dieci pagine, quei dieci incipit, celano ovviamente una sorpresa.
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Anteprima del libro
Oliver Twist Again - Pierluigi Felli
ANTEFATTO
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L’ufficio del notaio era austero, freddo, pieno di poltrone scomode e di mobili in legno eccessivamente marroni. Se invece di uno studio fosse stata una casa, vi avremmo trovato anche una camera da letto, con tanto di armadio alto, comodini gemelli, consolle sormontata da ciprie, un distributore d’acqua di colonia a spruzzo e fotografie in bianco e nero incastonate all’interno di cornici d’argento sporco, bombate e tristi. Il talamo nuziale, al lato del quale sicuramente qualcuno avrebbe appeso uno specchio picchiettato di ruggine, sarebbe stato alto, col materasso duro, doppio, scomodo e con la spalliera di ottone ossidato. L’ideale per una coppia frigida, frutto di un matrimonio combinato e paradossalmente duraturo. Il classico appartamento con mobilio d’arte povera, se quella fosse stata una casa. Ma non lo era.
L’uomo di cui si parlerà in questa storia bussò alle diciassette meno cinque di un normale pomeriggio di ottobre. Mancavano pochi giorni al suo compleanno e, a detta del medico, non avrebbe festeggiato quello dell’anno successivo.
Fu fatto accomodare nella stanza del professionista quindici minuti dopo l’orario dell’appuntamento. Il quarto d’ora accademico che ti salva dall’esser definito un maleducato.
L’incontro durò lo spazio di un breve colloquio. Da una parte la richiesta di una informazione e di un preventivo. Dall’altra, una valutazione e una semplice risposta.
Avrei desiderio che dieci prologhi di altrettanti miei romanzi… facevo lo scrittore, sa… venissero consegnati a mio figlio, che vive qui in città, ogni primo del mese, a partire da quello successivo alla mia scomparsa. Per intenderci: tra un po’ di mesi, un anno o giù di lì, dovrei andare a far visita alle officine di messer Satanasso, come prometteva Tex Willer ai suoi nemici. Dopo di che, ogni mese e per dieci mesi consecutivi, dovrà esser recapitato prima questo, poi quest’altro, quest’altro ancora e così via
disse, facendogli vedere dei fogli. Vi occupate, come studio notarile, anche di tali pratiche? E se sì, mi può dire quanto su per giù mi verrà a costare…
Un pochino particolare, come ultima volontà
fece presente il notaro, senza tradire emozioni o far trasparire false compartecipazioni al lutto futuro. Ma rientra indubbiamente nei nostri compiti, stia sereno.
Tra non molto, grazie.
Quanto invece all’onorario… vediamo… vediamo… un atto… dieci consegne… Comprese le competenze e il rimborso spese, diciamo attorno ai duemila euro. Tariffario alla mano, con tanto di parcella da saldare…
Anticipatamente, onde evitare di dovervi rivolgere ad una medium o ad un ghostbuster per rintracciarmi, presumo.
Deduce bene, purtroppo.
Va bene, la ringrazio. È stato gentile ed esauriente. Allora le farò sapere, d’accordo? Intanto la saluto
e stese la mano per ricevere la stretta del commiato.
Chissà se ho ancora un amico a cui chiedere questo favore… pensò l’uomo appena varcato l’uscio.
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Prologo numero 1:
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Ex Miss Primavera di bellezza 1930, la signorina Alda Margon, oramai scomputata in eterno dal novero dei vivi, giaceva come un pezzo di carne buttato là, settanta chili circa insaccati dentro un aderente vestitino strappato e coperto solo da uno scialle, tanto zuppo quanto gualcito, che però non riusciva a coprire l’ostensione di due gambe lunghe e da qualche ora irrimediabilmente atone.
Tuttavia sopravvivevano, se così si può dire, una scarpina dalla punta aguzza ancora calzata e una chiostra perfetta di denti bianchissimi e lucenti come la luna mannara che si rifrangeva su di essi dando loro un tocco cupo e ugualmente decorativo.
Tempestato da centinaia di morsi, come un lugubre fardello devastato dall’assalto di roditori, era dunque strisciato a riva dalla mota del fiume un corpo paradossalmente immoto, un monumento di pelle rigonfia, una massa inerte che dietro di sé aveva lasciato un solco spumoso simile proprio alla traccia di bava che perde la lumaca quando va a morire dopo un bel temporale.
Oramai cereo, il volto faceva contrasto con le iridi, ancora turchine e quindi fatate, incastonate come tetri brillanti all’interno di due occhi traslucidi e spiritati.
Ricordavano quelli dei tonni andati a spiaggiarsi dopo esser stati sorpresi da una di quelle improvvise basse maree che ci vengono a far visita durante gli autunni.
Era stata bellissima, un dì lontano, la nostra cara Alda.
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CAPITOLO PRIMO
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Avevo undici anni quando scoprii che mio padre non era quello che mi aveva fatto credere di essere, quando ebbi la prova del suo assoluto fallimento.
Frequentavo il primo anno delle scuole medie e in pratica non ero mai uscito dalla cittadina di provincia nella quale ero nato, in un anno e in un mese, per non parlare poi del giorno, che in questo inizio di storia rivestirebbe scarso interesse per il lettore. Potete ben comprendere, dunque, come mi sia sentito nel momento in cui la professoressa di lettere ci diede l’annuncio dell’imminente gita a Roma, termine quest’ultimo che fu pronunciato con un’enfasi giustificabile solo se avesse proposto, che so, Atlantide, il continente Mu o di oltrepassare le Colonne d’Ercole.
Prendemmo il treno e appena scesi nella stazione Termini - dissoluto scalo contrassegnato, per noi che venivamo dalla palude, dall’aggettivo indeterminato troppa: troppa confusione, troppa gente, troppa aria viziata - ci spostammo, con passo risoluto e senza dar confidenza a niuno, nell’immensa libreria interna allo scalo denominata Borri Books. Trenta minuti lì dentro prima di essere affidati a una guida che, dopo aver risposto alla parola d’ordine Quo vadis?, ci avrebbe condotto per mano nel circuito di Ben Hur e nell’arena ove sunt leones, perché secondo qualcuno c’erano ancora.
Una volta in mezzo ai libri, avrei dovuto far da padrone di casa, io che avevo un papà autore di una quantità industriale di romanzi, o addirittura best seller, come avevo scritto in un compito d’inglese.
Ricordo di sicuro il primo giro, quello che insieme agli altri compagni di classe percorsi, ancora felice, lungo tutto un piano terra coloratissimo di giallo, di rosa e di noir, oltre che affollato di novità a prezzo pieno e di classici da scontare. Quindi rammento pure qualcosa del piano di sopra - un attico multimediale cinto da pareti di vetro rimasto trasparente che gli davano un tocco decisamente grattacielistico - e ancor meno della discesa nel rustico della libreria, un seminterrato livello metropolitana adibito ai prodotti cartacei di nicchia: sport, musica, favole, essoterismo, complotti internazionali, arti marziali, oggetti volanti non identificati, cose così.
Poi più niente. Blackout completo. Soltanto frasi spezzettate emesse per lo più dal maligno della compagnia - in ogni classe ce n’è uno: da grande farà i soldi - e anche dall’insegnante.
Ma i libri di tuo papà, eh? I romanzi di tuo padre dove sono?
Cerchiamo… cerchiamo…
Signore e signori benvenuti nella più impossibile delle cacce al tesoro!
Ma no… ma no…
farfugliai già in stato confusionale. No!!!
negai ciò che si stava delineando quasi all’improvviso come un’evidenza.
Su, su!
intervenne l’accompagnatrice (nel senso di docente, è bene specificarlo).
Chiediamo alla commessa…
e Vediamo al computer…
furono le grandi speranze.
Forse qui ci sono soltanto i libri di freschissima uscita!
fu invece la disperata illusione di una professoressa di matematica che aveva già capito ogni cosa.
Tornato a casa, la sera, iniziai a piangere appena richiusa la porta. Capitemi: avevo undici anni.
Chi era mio padre? Mi ero chiesto per ore e al dunque gli chiesi semplicemente…
Perché?
Mi disarmò eludendo la domanda.
Prima o poi doveva accadere
disse con voce sommessa prima di aggiungere...
È stato come aver fatto il calciatore professionista per vent’anni senza essere mai riuscito, neanche una volta, ad andare con la foto sull’album Panini.
Vivevamo già nella società dell’immagine. Se non appari, non sei.
E mio padre non esisteva.
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Prologo numero 2:
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Esistere, per le donne, vuol dire riuscire a raggiungere, nel puzzle della loro vita, cinque obiettivi.
Tassello numero uno: maritarsi. Ma questo non è un vero fine perché lo intendono soltanto come propedeutico al secondo, che consiste nel figliare. Una volta avuto il bimbo, ne basta uno, ecco che allora scatta la fase tre, che si risolve nel separarsi per così ottenere un mantenimento vitalizio, utilissimo per chi non ha voglia di lavorare,